Cure primarie

Quale futuro per le cure primarie? (2ª parte)

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità il 18 aprile 2018

Cure primarie

L’attività operativa
del medico di famiglia è rimasta sostanzialmente quella antecedente al 1978
(convenzione, libera professione formale di fatto parasubordinato, rapporto
economico a quota capitaria, organizzazione del proprio ambulatorio) e quelli
che vengono pubblicizzati come cambiamenti rappresentano nella realtà
incrementi progressivi impositivi di obblighi contrattuali spesso di natura
burocratica che hanno in gran parte “impiegatizzato” il lavoro del medico

18 APR - Nonostante il diffuso utilizzo del termine “Clinical Governance” non è sempre agevole comprendere in senso univoco il significato del termine inglese. Anche gli “addetti ai lavori ” divergono in merito all’ esatta interpretazione. Per “Clinical Governance” si intende che... il “governo” (nel senso dell’Amministrazione o dell’Autorità Istituzionale, o dei Capi o dei Governanti, o delle Dirigenze Aziendali) riconosce l’autonomia professionale e il ruolo di dirigenza dei professionisti (e questo vale per tutti i professionisti che operano nell’azienda, qualunque sia la loro disciplina) nella gestione dei servizi, in cambio di una piena assunzione di responsabilità nell’uso delle risorse e nel miglioramento della qualità clinica.
 
Il governo clinico si basa su alcuni principi (valutazione e miglioramento continuo della qualità, autonomia professionale, responsabilità distribuita, rendicontazione e trasparenza, clima organizzativo favorevole, sorveglianza delle condizioni di rischio, monitoraggio delle performance assistenziali, appropriatezza) e su molti strumenti. Esistono comunque nette differenze tra le definizioni istituzionali di governo clinico ( clinical governance) con quello che la letteratura di settore ritiene debba essere considerato un governo clinico affidato effettivamente ai professionisti dell’assistenza territoriale e alle loro integrazioni in team multiprofessionali, multidisciplinari, multisettoriali.

I principi e gli strumenti di un governo clinico affidato effettivamente ai professionisti si discostano dal concetto di clinical governance aziendale in quanto i medici e i professionisti sanitari del territorio sono orientati ad una applicazione delle conoscenze della scienza all’interno di una concezione olistica di salute e di una visione dell’uomo complessa interdipendente secondo un paradigma bio-psico-sociale.

Con l’avvento della cultura manageriale in sanità (legge 502/1992) le logiche aziendali sono state assoggettate a modelli gerarchici monocratici (ampiamente superati da anni nelle imprese private di successo) e hanno ricondotto le categorie aziendali all’interno di una concezione squisitamente giuridica dell’amministrazione con governi (clinici) esercitati da organi apicali nominati dal soggetto politico che non hanno permesso una reale dialettica di rappresentanza degli interessi procurando di fatto una subordinazione della clinica alla gestione.

Le riforme sanitarie attuate dal 1978 ad oggi (833/1978; 502/1992; 229/1999 e la Legge Balduzzi) non sono mai riuscite a creare un prodotto nuovo e di qualità ma sono rimaste inglobate in primis all’interno in un concetto collegato agli interessi e al primato dell’agire amministrativo per poi applicare ai professionisti impegnati in trincea un pensiero sempre un po’ sospettoso e superato di tipo natural-scientifico riduzionista che, inserito nella cultura burocratica-aristocratica, ha mantenuto un modello sostanzialmente ospedalocentrico, specialistico, farmacologico completamente disconnesso dal sistema sociale.

Il salto di qualità ed il prodotto di rottura esige il recupero culturale di una concezione antropologica globale dell’uomo sano e malato contestualizzato nel suo mondo che permette di coniugare il principio del curare, derivante dalla medicina scientifica, con quello del prendersi cura olistico-antropologico-personalizzato.

Prendersi cura significa aiutare l’uomo ammalato ad un empowerment fortemente sostenuto dai sanitari, ove possibile, e incuriosire l’uomo sano ai vari apprendimenti finalizzati al mantenimento dello stato di salute. Il ruolo educativo del medico che opera in un team paritario con altri professionisti della salute acquisisce un ruolo formativo che consente al cittadino di trasformarsi da assistito in soggetto attivo per la gestione della propria salute così che, la condivisione della responsabilità, consente di prendere decisioni all’interno della comunità di appartenenza anche critiche in grado di contrastare effettivamente e produttivamente il tecnicismo estremo, il consumismo sanitario, l’ipermedicalizzazione e la mancanza diffusa del buon senso.

Per questo motivo si avverte in modo pressante la necessità di luoghi dove i professionisti della assistenza territoriale possano ritrovare le radici del loro mestiere (etica, cultura, formazione, deontologia, integrazione ecc.) e al tempo stesso gli assistiti possano diventare protagonisti, con i loro professionisti, dei percorsi preventivi, di educazione sanitaria, di cura, riabilitazione o di recupero delle funzioni residue. Non si tratta di “recinti” o di “ospedaletti” ma di reali strutture (UCCP/Case della Salute) in grado di aggregare per sinergia progetti preventivamente condivisi tra operatori e dove tecnologia e antropologia possano marciare di pari passo per ritrovare il vero senso della clinica e dell’assistenza.

La riforma ter prevede, tra le altre cose, l’aggiornamento obbligatorio (ECM) ma anche in questo caso è necessario un profondo rinnovamento che investa non solo i contenuti ma anche le metodologie che non possono esimersi da una analisi relativa al come si acquisiscono, interpretano e assimilano le informazioni. I professionisti dell’assistenza che operano in team devono poter determinare i propri obiettivi generali e tra questi anche quelli orientati all’ apprendimento. I bisogni informativi non sono uguali per tutti così che deve essere previsto un piano di apprendimento professionale personalizzato che deve essere strutturato in modo autonomo o in team per poter effettivamente produrre cambiamenti positivi nella attività culturale e assistenziale quotidiana.

Oggi la maggior parte delle funzioni assistenziali sono state interamente trasferite al territorio senza che vi sia stata una corrispondenza di investimenti adeguati. A fronte dei profondi mutamenti sociali e sanitari il riordino delle cure primarie è stato semplicemente un fallimento a causa della assenza di interlocutori così che i professionisti della salute non hanno avuto la possibilità di potersi sintonizzare col ritmo dei cambiamenti. Dovrebbe invece essere valorizzata la perizia nella capacità di interpretare la realtà e di immaginare il cambiamento magari partecipando alla sua realizzazione per produrre sevizi che alimentino il bene comune (cultura del progetto, Ezio Manzini, Politiche del quotidiano, Edizioni di Comunità, 2018). Le interminabili latenze che si creano tra una ipotesi progettuale e la sua realizzazione fanno si che eventuali progetti significativi vengano realizzati quando questi sono già ampiamente superati.

L’attività operativa del medico di famiglia è rimasta sostanzialmente quella antecedente al 1978 (convenzione, libera professione formale di fatto parasubordinato, rapporto economico a quota capitaria, organizzazione del proprio ambulatorio) e quelli che vengono pubblicizzati come cambiamenti rappresentano nella realtà incrementi progressivi impositivi di obblighi contrattuali spesso di natura burocratica che hanno in gran parte “impiegatizzato” il lavoro del medico (es.: la compilazione del modulo on line INAIL nella sua laboriosità e ridondanza, dove la componente medico professionale risulta essere residuale è l’emblema di una attività che prima di essere medica va, nella pratica, a sostituire l’attività impiegatizia dei dipendenti INAIL).   

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria ( CSPS)
Sindacato dei Medici Italiani (SMI)
Regione Emilia Romagna 

(Fine seconda parte, leggi la prima parte dell'articolo)

18 aprile 2018
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Cure primarie

Quale futuro per le cure primarie? (1ª parte)

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità il 17 aprile 2018

Cure primarie

Una volta che l’Acn sarà definitivamente siglato riprenderanno le trattative decentrate che, fatalmente, trascineranno tutte le contraddizioni derivanti dalla mancanza di un vero disegno di riordino delle cure primarie di tipo culturale prima ancora che tecnico-amministrativo. In mancanza di una rielaborazione intellettuale strutturata il sistema tenderà inevitabilmente a conservare lo status quo attraverso modalità e regolamenti tipici della burocrazia lineare, protocollare, amministrata, economicistica.

17 APR - La firma dell’Ipotesi di ACN per la medicina generale avvenuta il 29 marzo 2018 alla Sisac ( Struttura interregionale sanitari convenzionati) ha fatto seguito al così detto Verbale di Preintesa che a sua volta è stato preceduto, nel tempo, da numerose versioni di Atti di Indirizzo. Il 2018 è anche l’ anniversario di quella Riforma Sanitaria che istituì, nel nostro paese, il Ssn 40 anni fa ( legge 833 del 23 dicembre 1978). Non è banale ricordare il 1978 perché, come ha scritto Ilvo Diamanti, le ricorrenze possono servirci per tornare indietro con gli occhi e con la mente oppure, al contrario, per proiettarci in avanti.

Questi suoi primi 40 anni il Ssn li dimostra tutti.

In particolare le rughe sono evidenti nell’organizzazione della medicina generale e dell’assistenza territoriale. Le riforme che si sono succedute negli anni ( 833/1978, 502/1992 e 229/1999 senza dimenticare la Legge Balduzzi del 2012 ) non sono riuscite a incidere in modo significativo sul riordino delle cure primarie tanto che si è costantemente tentato, in modo improvvido, di mettere in atto ulteriori riforme, improbabili ed inattuabili, attraverso gli ACN che per definizione dovrebbero solo regolare i rapporti di lavoro dei professionisti a fronte di una norma sovra ordinata.

Il pallido tentativo proposto nel 2012 dalla legge Balduzzi è ancora li che circola all’interno del suo affastellato Art. 1 come un pezzo di pane raffermo dimenticato nella madia tanto che nemmeno il Patto della Salute del 2014 è riuscito a ravvivarlo. Forse può essere comunque necessario evidenziare che la legge Balduzzi, magnificata a suo tempo da alcuni odierni detrattori, resta una legge che non è stata cancellata o sostituita. L’eventuale mancata osservanza di una certa norma non produce, nell’ordinamento italiano, alcun effetto abrogativo su leggi pubblicate in Gazzetta Ufficiale tanto che i suoi principi restano tutt’ora inseriti in quello che verosimilmente diventerà, entro il 2018, l’ACN.

A partire dall’ACN del 2005 a tutt’oggi gli Accordi continuano ad essere in gran parte sovrapponibili anche se nel frattempo i cambiamenti sociali sono stati vorticosi, fortemente condizionati da una contrazione spazio-temporale globale e da un pensiero unico e debole che ha acuito il conflitto, sempre più insanabile, tra scienza medica collegata agli aspetti operativi /organizzativi ( generati in modo autonomo e spontaneo dai professionisti della sanità grazie alla circolazione dei saperi e degli apprendimenti relativi alle buone pratiche operative) e gestione istituzionale della sanità soprattutto territoriale.

Una volta che l’ACN sarà definitivamente siglato riprenderanno le trattative decentrate che, fatalmente, trascineranno tutte le contraddizioni derivanti dalla mancanza di un vero disegno di riordino delle cure primarie di tipo culturale prima ancora che tecnico-amministrativo. In mancanza di una rielaborazione intellettuale strutturata il sistema tenderà inevitabilmente a conservare lo status quo attraverso modalità e regolamenti tipici della burocrazia lineare, protocollare, amministrata, economicistica basata su relazioni verticali e gerarchie piramidali che, come insegna l’esperienza, spesso sfociano nella sotto cultura dell’ appartenenza e dell’autoreferenzialità.

Tuttavia la congiuntura attuale di cui tanto si parla (“non ci sono i soldi”) non è completamente credibile e non ha motivazioni solo finanziarie. Forse è molto più pervasiva la crisi di fiducia. Nell’immaginario collettivo e in quello del consenso questo disagio coinvolge la così detta classe dirigente del paese considerata non in grado di dare risposte a temi etici di equità e di bene comune a fronte di una progressione inarrestabile della globalizzazione che, per certi aspetti, avrebbe anche potuto produrre opportunità se vi fosse stata una ingegnosa ri-organizzazione della sanità territoriale.

Le istituzioni storicamente preposte al welfare (es.: Pubblica Amministrazione) da sole non riescono più a fare fronte ai bisogni e alle complessità assistenziali attuali così che appare sempre più indispensabile il coinvolgimento delle varie componenti della società civile al fine di rendere sostenibile una assistenza territoriale di qualità. I fautori di questa ipotesi di ri-organizzazione di un Ssn pensano che alla Pubblica Amministrazione debba essere affidata la salvaguardia di valori sociali considerati fondamentali (es.: universalismo, equità, trasmissibilità, integrazione…) mentre la gestione del governo clinico dovrebbe essere consegnata, nel suo complesso, ai professionisti del territorio e alle organizzazioni della società civile che collaborano con loro. Le indispensabili risorse potrebbero derivare da una partnership tra pubblica amministrazione ed economia reale (imprese generative) che interagiscono e co-operano con gli attori, le organizzazioni e le professioni impegnate nell’ assistenza territoriale.

La prossimità periferica, posta al centro delle relazioni, diventa così un concreto strumento per ottimizzare le risorse, la qualità della vita ed il clima di rinnovata fiducia negli accordi e nei patti proprio perché vengono agite forme di scambio e collaborazione che portano a valorizzare la sinergia tra la diversità delle competenze che, oggi, rappresenta il presupposto per permettere alle nostre comunità di affrontare il futuro in modo sostenibile.

La contiguità interna favorisce inoltre azioni di educazione civica, testimonianza e consapevolezza che possono promuovere salute e benessere in modo diffuso e percepito (qualità tacita) e la personalizzazione della cura diventa il criterio principale per valutare una performance assistenziale di successo. In questo disegno i legami sociali, la condivisione delle responsabilità, l’alleanza tra clienti interni ed esterni non solo rendono possibili reali riallocazioni delle risorse ma permettono al mmg di ritrovare il ruolo di leadership nella collettività di riferimento in grado di orientare tutte le collaborazioni operative al fine di conseguire una conduzione responsabile e condivisa del governo clinico.

E’ possibile così realizzare ciò che vien definito un prodotto innovativo di rottura e di successo capace di superare l’attuale modello organizzativo territoriale in declino e non più adeguato al contesto. Un prodotto innovativo di successo implica una completa “gestione” autonoma del governo clinico territoriale con presa in carico dei bisogni dell’assistito (es.: cronicità) all’interno di un sistema integrato che sia abile nel gestire un processo decisionale in tutte le sue fasi tipiche che vanno dall’ideazione alla progettazione, dalla sperimentazione all’organizzazione per finire con la valutazione e la rendicontazione.

Una eventuale organizzazione moderna amalgama le conoscenze professionali, personalizza l’assistenza, gratifica la qualità percepita e tacita, valorizza l’aspetto economico e condivide le responsabilità senza sollecitare gerarchie piramidali. Le risorse aggiuntive provenienti dall’economia reale dimostrano sempre di più una forte disponibilità a collaborare in partnership con le istituzioni (“dall’indagine si conferma un offerta di capitali maggiore della domanda”; Startup sociali, la finanza chiama, Il Sole24Ore Domenicale del 15 Aprile 2018) per rendere concreto e sostenibile un disegno di riordino diretto non tanto al massimo ribasso dei costi ma al maggior rialzo della qualità e della trasparenza (reciprocazione).

Secondo la ricerca della Schcool of Management del Politecnico di Milano (2018) che ha considerato alcuni criteri per valutare la prontezza ad accogliere investimenti veri e propri ha evidenziato come la dimensione che ha ottenuto il risultato peggiore ha riguardato proprio le competenze organizzative inadatte ad una effettiva governance inclusiva delle qualità intellettuali e delle competenze professionali in grado di dare vita a “prodotti” attrattivi. (Fine prima parte)

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria ( CSPS)
Sindacato dei Medici Italiani (SMI)
Regione Emilia Romagna 

17 aprile 2018
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declino cure primarie

Il lento ed inesorabile declino delle Cure Primarie

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità il 6 febbraio 2017

declino cure primarie

06 FEB - Gentile Direttore,
l’ultimo intervento di Ivan Cavicchi su QS del 27 gennaio  riporta una lievequasiimprecazione (… ma per quale diavolo di motivo … nulla che non produca conseguenze distruttive … regolarmente le peggiori). Risulta arduo non poter raccogliere lo spunto per la riflessione  che  proviene da un autorevole studioso della materia come è il Prof. Cavicchi.

Se anche  il Prof. Cavicchi  viene  scarsamente ascoltato  si conferma ancor più  fortemente il concetto (sperimentato in questi tribolati anni  di trattative romane e di  turbinanti  iniziative in libera uscita di regioni ed aziende) che sostiene    come  le elaborazioni  propositive  presentate   dai professionisti operanti  in  prima linea per quanto riguarda  ciò  che viene definito “riordino delle cure primarie”  restino  solo esercizi  letterari (Cavicchi : Il riformista che non c’è,  2013)  tra   quei  pochi colleghi che non hanno completamente abbandonato un atteggiamento positivo e con fatica cercano di valicare bandiere e tifoserie.  Intanto l’impero romano sta crollando senza nemmeno uno scricchiolio di avvertimento.

La nuova delibera della Lombardia in merito alle patologie croniche non è una sorpresa  ed era  ampiamente prevedibile prima  perché l’esternalizzazione, la privatizzazione ed il sistema degli accreditamenti  (inesistente nella medicina generale per la sua  residua componente libera professionale convenzionata)  è iniziato tanti anni fa  con i gruppi  dedicati alle cure palliative  (esperienza  che pare  non  aver prodotto particolari ripensamenti   ai professionisti delle Cure Primarie),  poi è continuata  con i CreG  anch’essi con budget   a provider ed  infine eccoci con l’affidamento  dell’assistenza  della  cronicità a gestori sanitari. 

Che dire?  Negli anni gran parte delle  stagioni  contrattuali  sindacali   si è spesso  basata  sulla ricerca di  benefit  (e non raramente business per pochi) piuttosto che puntare su una assoluta e condivisa  valorizzazione della professionalità diffusa  ( giustamente da gratificare ).  Ciò che avviene in Lombardia sta avvenendo in altre regioni con la diversità che non sempre,  questo passaggio tra welfare state  ad  altro welfare,  è immediatamente intellegibile  ai  più (es.: a Bologna ci sono più  Guardie  Medica privata che  evidentemente, per legge di mercato, soddisfano un bisogno. Vedi web).

Come dice Pina Onotri (Segretaria Nazionale SMI  su QS,  31 gennaio 2017)  sarebbe necessario un fronte comune, senza unanimismi di facciata,  in difesa del servizio pubblico … a meno che non sia però  troppo tardi e ilcountdown  sia inarrestabile  visto  comunque le tiepide reazioni  possibiliste all’iniziativa Lombarda  dichiarate dai  rappresentanti di alcune sigle sindacali. 
Come già altri colleghi hanno ricordato l’attuale organizzazione sanitaria comprende una attività assistenziale-erogativa  e una  amministrativa-gestionale-organizzativa-di controllo.  Le due aree  presentano diversità  di origine e  di  fondamenta: una arcaica e  plurisecolare, l’altra recente e collegata ad esigenze politiche-burocratiche-amministrative.  

Nel passato la parte  burocratica-amministrativa  si è dimostrata più  dimensionata  a fronte di una componente assistenziale forte. Attualmente la situazione si è ribaltata a favore di una  strutturazione aziendale  gerarchica, una burocrazia amministrativa  molto forte ed in grado di schiacciare e livellare ogni altra forma di pensiero che non sia unico.

Quindi queste  due aree hanno  consistenze numeriche e decisionali-politiche completamente sbilanciate  con interessi ed obiettivi non coincidenti.  La maggioranza dei mmg attualmente impegnati a garantire  la sostenibilità  dell’assistenza (dimissioni sempre più complesse con equilibri precari ed impossibilità di trovare soluzioni adeguate) è soggetta ad una frenetica iperattività ed iper-occupazione che supera di molto le 12 ore giornaliere tanto da poter ipotizzare due strade:  
A - il passaggio alla dipendenza di tutto il comparto dell’assistenza primaria;  
B - in alternativa occorre marciare  verso una convinta accettazione dell’autonomia e della libera professione dell’assistenza primaria sostenuta a sua volta  da una reale valenza politica.

Le istituzioni forse sceglierebbero l’opzione A ma non sembrano attualmente più in grado di sostenere il costo dell’operazione anche se perseguono tenacemente  con normative e delibere la finalità della parasubordinata spinta e soffocante. Nello stesso tempo non riescono a garantire un welfare state storico perché la globalizzazione e le modifiche socio-assitenziali  hanno portato ad un incremento esponenziale di nuovi bisogni ostentati dai clienti esterni.

In numerose  occasioni  è stata data la possibilità, su questo stesso quotidiano, al nostro Centro Studi  ma anche a tanti altri  professionisti,  di presentare  le  analisi critiche relative  ai  testi dei documenti nazionali e regionali/locali che argomentavano di Cure Primarie così come è stato acconsentito di elencare  contributi  e proposte costruttive al fine di sanare eventuali defaillance nella convinzione che l’interesse verso il bene comune non fosse definitivamente  esaurito e  lo strumento  del confronto potesse tutelare l’interesse professionale di molti (assistiti e medici)  senza rischiare di incunearsi in posizioni di rendita per pochi.   

Ciò nonostante  i  processi decisionali  sono afflitti  da pregiudiziali  tali  che  da anni  vengono riproposte soluzioni di tecnicismo esasperato  ed   inconfutabile ed in questi casi la rappresentatività resta di facciata. Questo sistema inoltre oltre tende  a  contrastare  ogni evidenza  statistica dove le competenze per stabilire le   “ragioni e i  torti” non  dovrebbero mai  appartenere ad una sola delle  parti. 

Non è questa  l’occasione di fare un elenco (lungo)  di proposte  argomentate  a favore di un riordino delle cure primarie già presentate più volte. Desta non poca meraviglia  però non poter più ritrovare, nei  numerosi documenti  nazionali e  regionali/locali, richiami introduttivi  alle caratteristiche e alle competenze valoriali della medicina generale enunciate dalla prestigiosa World Organization of National Colleges and  Academics (Wonca) sostituite, a sostegno delle scelte di politica sanitaria,   da  altre numerose  citazioni autoreferenziali  o di relativo  impatto effettivo culturale /scientifico assistenziale  (es.:  DG SANCO 2014) con il conseguente impoverimento  della credibilità dei documenti stessi.

Le istituzioni  sembrano comunque  aver esaurito la spinta propulsiva  per rivoluzionare la sanità nonostante  il poderoso apporto culturale accademico e  delle  agenzie.  In questa situazione diventa difficoltoso  attivare una  fase di ripensamento del welfare nel quale sia possibile, grazie al ruolo essenziale dei professionisti,  coniugare rigore,  universalismo e   scelte prioritarie   riportando  al centro  del dibattito culturale e politico la sanità come unico luogo in cui si sostanziano uguaglianza  dei cittadini e  principio di solidarietà. 

Dopo la riforma del 1978  si è esaurita la stagione dei dividendi  derivati dagli anni del boom economico  dove nel nostro paese gli imprenditori (anche con la terza elementare) superavano di gran lunga i dirigenti e il Pil correva a doppia cifra come quello cinese attuale. Ora ci sono molti più dirigenti che imprenditori (un mmg è un piccolo imprenditore ). Le difficoltà crescenti per coniugare il buon governo con i bisogni reali delle persone diviene addirittura oggetto di studio da parte delle neuroscienze (Il Sole24Ore,15 gennaio 2017). Nel complesso la Sanità Italiana è passata al 22° posto (Indagine dell’Health Consumer Powerhouse 2016 che valuta la soddisfazione  dei cittadini) su 35 paesi europei analizzati.

Eppure una organizzazione adeguata della sanità (con i suoi  determinanti di salute)   potrebbe essere un  solido fattore di sviluppo economico come dimostrato da numerose pregresse argomentazioni dove si richiama l’attenzione al rispetto delle  comunità reali. Oggi è un po’ di tendenza parlare di comunità  proprio perché le istituzioni si sono accorte che da sole non sono più in grado di affrontare i grossi capitoli  dell’assistenza territoriale. Ancora una volta però, a causa di un ritardo culturale incredibile, i centri decisionali non si sono accorti che le comunità non esistono più.  

Per dire più correttamente esistono residui di comunità  intorno alle massime istituzioni morali dei nostri territori (parrocchie)  e anche il mmg rappresenta, in molte realtà,  un punto di riferimento fondamentale. Le comunità non si creano con i finanziamenti o le sovvenzioni. Le persone desiderano autonomamente e fortemente partecipare  in modo reale e non virtuale.  Il MMG e le cure primarie  sono rimaste  effettivamente  forse  tra i pochi  punti  di riferimento delle comunità/società locali  che (anche se fortemente in crisi) grazie all’azione  di empowerment dei mmg   mostrano di poter  esercitare un  protagonismo crescente per far fronte  all’incrementi dei bisogni socio-assistenziale a cui le istituzioni non  riescono più a dare rispose. Inoltre   la personalizzazione delel cure   che solo  il medico di base   è in grado di assicurare   è  considerata   dai pazienti   criterio di valutazione della qualità assistenziale.

L’impegno economico consistente e necessario  sul medio periodo  per il riordino delle  cure primarie  resta   un investimento non un costo ma c’è la necessità di uscire  da sfere molto ampie per comunicare competenze ed abilità in modo raccolto (walled garden cioè giardino contenuto:  Colletti, Il Sole24Ore, 5 febbraio 2017). Potrebbe non essere coerente con i bisogni ipotizzare quindi ambiti territoriali che superino i 30.000 abitanti. Da questo punto di vista  occorre  individuare  con chiarezza   strutture  logistiche  all’interno dell’ambito territoriale geografico  contenuto  (mai più di  30.000 assistiti/popolazione/presenti)  identificabili  indiscutibilmente come  declinazione del distretto. La presenza  stanziale dei mmg  è fondamentale per offrire integrazione e gestione della  complessità.  

L’adesione  e la partecipazione  dei mmg che desiderano  affrontare questa esperienza  devono essere volontarie e devono comunque garantire  equità anche per coloro che desiderano  garantire  una capillarità territoriale continuando ad operare negli ambulatori singoli pernon creare differenziazioni tra professionisti e di conseguenza  diversità  tra potenzialità assistenziali territoriali.

Bruno Agnetti
Centro Studi  Programmazione Sanitaria CSPS
Sindacato dei Medici Italiani  (SMI)
Regione Emilia-Romagna

06 febbraio 2017
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Il format delle cure primarie: il Territorio della Salute

Articolo a cura di Bruno Agnetti, Presidente Regionale SMI Emilia Romagna e Alessandro Chiari, Segretario Regionale SMI Emilia Romagna

Pubblicato su M.D. Medicinae Doctor - Anno XXI numero 2 - 20 marzo 2014


Un Patto tra Generazioni. L'Esperienza del Mmg al Servizio dei Giovani Medici

Un Patto tra Generazioni.

L'Esperienza del Mmg al Servizio dei Giovani Medici.

L’inserimento di un giovane collega junior nello studio del Mmg senior già convenzionato, non solo si può collegare perfettamente con il progetto di integrazione territoriale e con la funzione di “Mmg primario del territorio”, ma può essere una opportunità per l’inserimento di nuove leve nell’esercizio della medicina generale.

Articolo di Bruno Agnetti, Alessandro Chiari 

Pubblicato su M.D. Medicinae Doctor - Anno XIX numero 1 - 20 gennaio 2012

 

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Mmg soli o in Team pari sono

MMg soli o in team pari sono

Gli utenti sono ugualmente soddisfatti, ma serve un supplemento d'indagine

Una ricerca di customer satisfaction condotta a Parma non rileva differenze di gradimento

Articolo di Bruno Agnetti, Davide Dazzi, Alessandro Chiari, Lucia Monari, Lorella Marinucci, Maria Antonioni

Pubblicato su Il Sole 24 Ore - Sanità del 25 - 31 Maggio 2010

 

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