Medicina Territoriale

Gli assistiti e il sistema (ipotetico) cooperativistico

Gentile Direttore,
con il suo recente contributo su QdS (27 maggio 2024) il Prof. Ivan Cavicchi ha presentato una scrupolosa (per nulla facile) riflessione sulle possibili criticità che circoscrivono il fenomeno delle cooperative in ambito medico.

Non si fa riferimento ai contratti con “agenzie di servizio” sottoscritte autonomamente da singole forme aggregative di mmg (es.: medicina di gruppo) per affrontare fattori di spesa e problematiche organizzative. Piuttosto si vorrebbe analizzare la notizia dell’accordo, bilaterale, tra il sindacato maggiormente rappresentativo dei mmg e la Lega coop finalizzato alla costituzione di “cooperative di servizio”, (strutturate anche a livello nazionale), che vorrebbero operare sui fattori di produzione di beni e servizi e sulla loro erogazione in campo sanitario.

Il fenomeno ha un passato, non è una novità. Ha preso vigore, in alcune regioni, dopo la pubblicazione delle delibere riguardanti le Case della Salute (2012). Si formarono allora alcune SCRL (Società Cooperative a Responsabilità Limitata) con complicazioni burocratiche e gerarchiche ma poi, per anni, salvo rarissimi casi, non sono state implementate le incombenze professionali storiche del mmg. Ora i propositi futuribili sembrano molto più impegnativi fatto salvo che non si tratti di un “remake”, di corsi e ricorsi o di “annuncite”.

La situazione attuale del SSN post covid, le improbabili indicazioni discese dal DM77 e il confuso impianto delle CdC (che inizia a mostrare forti sfumature lobbistiche che poco hanno a che fare con i mmg che vengono relegati a ruoli secondari!) possono essere alcune cause che hanno riportato in auge il tema delle società cooperative di servizio. La trattativa/accordo sembrerebbe augurarsi un drastico cambio di passo “di mercato” nell’organizzazione della “medicina territoriale”. Al momento resta una dichiarazione di intenti (“impegno comune per un progetto”) ma potrebbe avere uno sviluppo improvviso ed eclatante verso orizzonti non ancora definibili come attualmente sta avvenendo per alcuni servizi che fino a poco tempo fa erano impensabili da realizzare nel privato-privato (es.: PS, SerDP).

Cosa potrebbero pensare, di un eventuale sviluppo cooperativistico, i cittadini/assistiti che da anni, silenziosamente, tentano di ricostruire relazioni con i loro mmg di riferimento territoriali dopo la strage delle comunità dovuta alla globalizzazione/individualizzazione di mercato? Con che animo si affideranno al loro “amico” (Epicuro) mmg, sapendolo impegnato nella produzione di beni e servizi che possono nascondere performance di impresa? Che vantaggi potrebbero avere gli assistiti da un efficientamento imprenditoriale (es.: abolizione delle liste d’attesa, ricoveri osservazionali negli ospedali di comunità in tempo reale, nessuna lista specialistica bloccata, accessibilità in 15 minuti a servizi compatibili con lo stato sociale della popolazione)? Come possono convivere la cultura universalistica e solidaristica con un’anima produttiva commerciale? In caso di successo del modello sindacato/lega coop i cittadini dovranno subire la nuova “governance” che non è mai neutra? La “libera scelta fiduciaria” si trasformerà totalmente in un “consenso informato” collegato a prassi protocollari destinate inevitabilmente ad un consumismo “payment off-poket” o ad una “intramoenia” nella medicina generale di base? Cosa avverrà nelle zone rurali o montane?

Il contesto socio-sanitario che resta, comunque, un determinante di salute dovrebbe essere degno di miglior causa. Una recente indagine (QdS del 4 marzo 2024) di Comunità Solidale Parma ODV ha mostrato come i pazienti non abbiano dimestichezza con i sistemi dell’alta burocrazia aziendale e, per certi aspetti, il disegno sindacato/lega coop pare una nemesi nei confronti degli apparati. Le istituzioni, da parte loro, hanno fatto e fanno di tutto affinché nessuno possa essere considerato innocente nei confronti della realtà sanitaria. Infatti il programma cooperativistico pare orientato ad una “ridefinizione delle cure territoriali” tanto che potrebbe agire sul mercato sanitario come un nuovo soggetto operativo. Tuttavia alcune esperienze di esternalizzazione in ambito pubblico (es.: socio-sanitario) hanno comportato una tendenza di performance orientate verso il massimo ribasso dei costi più che ad una ricerca di un’alta qualità e di una gratificazione economica professionale spalmata sugli operatori.

Il SSN e i SSR non riusciranno per tanto tempo, a causa della penuria di risorse, a ridurre a dipendenza la medicina generale territoriale (bramosia delle alte dirigenze) cosi come, indipendentemente dalle questioni politiche e legali, sarà molto difficile che le regioni rinuncino, in favore delle cooperative, ad un potere così rilevante come è il Servizio Sanitario Regionale sancito dalla modifica del Titolo V.

L’ipotesi Lega/Sindacato non sarebbe solo un cambio di passo ma addirittura renderebbe ancillari Decreti Ministeriali, ACN, AIR, sistemi di apparato regionale e locale. Un fanta-SSN potrebbe vagheggiare una trattativa diretta stato-cooperative in sanità. Una idea stagionata (AFT, Case della Salute, 2012) che viene da lontano e che, a suo tempo, ha procurato alla professione vere e proprie discriminazioni consociativistiche viene riproposta mantenendo le stesse “invarianze” strutturali, culturali, deontologiche e di credibilità. Date le premesse (è irrilevante che siano vere o false) seguiranno le conseguenze.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

30 maggio 2024
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L’insostenibile fragilità dell’Atto di indirizzo sulle Case di Comunità

20 MAG - Gentile Direttore,

da circa due mesi si è conclusa la “consultazione pubblica” sull’Atto di Indirizzo Agenas (tramite compilazione di un questionario) sul tema della partecipazione/co-produzione nell’ambito delle Case della Comunità. Il documento è stato redatto da un gruppo di studio composto da rappresentanti delle Regioni e da professionisti definiti esperti sul tema della partecipazione di pazienti e cittadini alle questioni sanitarie.

Storicamente gli Atti di Indirizzo indicano, in modo piuttosto potestativo, il comportamento normativo desiderato dalle istituzioni. L’elaborato articola quali debbano essere i passaggi di partecipazione e co-produzione che Regioni, Aziende e Distretti metteranno in atto. A dispetto delle intenzioni quindi nulla di nuovo. La piramide gerarchica sanitaria resta saldamente inalterata così come sarà la valutazione finale della potentissima Conferenza Stato-Regioni.

E’ noto che i documenti ufficiali europei (es.: Piano di ripresa NextGenerationEU ) disegnano strumenti finanziari (in buona parte prestiti pluriennali). Ogni nazione ha poi concepito propri Piani Nazionali (PNRR) con i quali definisce l’utilizzo dei contributi straordinari europei (post-covid) per il periodo che va dal 2021 al 2026. Nessun documento europeo specifica che una azione di ammodernamento sanitario (es.: territoriale) debba realizzarsi con le Case della Comunità. Lo stesso Piano Nazionale (PNRR) indica la necessità di attivare iniziative in grado di promuovere “strutture di prossimità” per quanto riguarda le cure primarie e cita, solo come esempio, le Case di Comunità ma non esclude nessun’altra formalità.

Successivamente al Piano di ripresa NextGenerationEU e al PNRR sono sati pubblicati il DM77/2022 (regolamento recante la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell'assistenza territoriale nel SSN), il Metaprogetto, documentazioni varie di gruppi e di istituzioni locali. Per quanto riguarda il così detto territorio, le argomentazioni si sono polarizzate sul concetto di comunità (es.: Case della Comunità, Ospedali di Comunità). I criteri, “sui generis”, dettati dal “regolamento”, sono rigorosamente aderenti alle necessità Regionali, Aziendali e Distrettuali e potrebbero non coincidere con bisogni professionali o assistenziali. Questi parametri sono di difficile comprensione culturale se si considera la liquidità delle collettività e il desiderio, espresso dalle persone di buona volontà, di ripensare alla complessa preparazione del terreno per favorire nuove germinazioni comunitarie. Se la comunità non c’è più, così come non esistono le collettività, come è possibile seguire una programmazione che manca di solidi presupposti? Nel recente passato qualche timido tentativo di ricostruire, faticosamente, un delicato tessuto comunitario è stato misconosciuto dai rappresentanti istituzionali. Come è possibile che ora le stesse Alte Dirigenze, per normativa, diventino sensibili ad aspetti sociali/sanitari complessi quando le culture dominanti amministrative sono neoliberali, economicistiche, aziendalistiche e lineari?

In una società riconosciuta da molti studiosi come liquida occorre molta preparazione per riconoscere e valorizzare piccole formazioni comunitarie che sono riuscite, miracolosamente, a sopravvivere alla globalizzazione. Taluni rappresentanti istituzionali hanno dimostrato inadeguatezza verso questi riconoscimenti mentre le mappe e i profili territoriali (non solo relativi all’appropriatezza/risparmio prescrittivo) avrebbero dovuto essere un patrimonio fondamentale per le Aziende. Alcune preziose progettualità e risorse sono state bellamente ignorate determinando così l’esaurimento di esperienze di co-operazioni volontariato/cittadini/professionisti storiche. Se fosse capitato qualche cosa di simile nelle aziende condotte da Olivetti o da Mattei o da Ford avrebbero comportato parecchi licenziamenti.

Un concreto processo di partecipazione (e/o di co-produzione) avrebbe dovuto comprendere il principio di un completo coinvolgimento nel processo decisionale dall’inizio alla fine. Tuttavia la cascata normativa burocratica non ha contemplato questa ipotesi così che, ora, occorre rincorrere determinazioni già decretate up-down.

Infatti, nel testo dell’Atto di Indirizzo, si nomina "l’utilizzabilità” (disponibilità?) delle così dette modalità di partecipazione che verosimilmente saranno poste al giudizio delle stesse Alte Dirigenze Regionali, Aziendali, Distrettuali. La programmazione e il governo della “produzione” Aziendale presenta una certa “complicazione” lineare che richiama suggestioni relative alla globalizzazione, ad orientamenti neoliberali, al consumismo sanitario di origine aziendale (consuetudini conosciativistiche?) causa di differenziazioni (discriminazioni?) professionali e assistenziali. Ogni argomentazione sulla partecipazione non può esimersi dal considerare queste criticità. E’ necessaria, come l’aria, una assoluta trasparenza e la capacità di riconoscere ruoli non tanto di partenariato ma di leadership. In caso contrario tutto diventerà ancora più confuso ed ambiguo. Meraviglia come nel testo non si nomini mai la libera scelta fiduciaria del mmg come strumento fondamentale (sovrapponibile ad una elezione politica/apartitica) per tentare di ricostruire una identità condivisa territoriale e si preferisca citare il consenso informato che è un dispositivo di credito informativo, più attinente alla specialistica/dirigenza/dipendenza, per nulla commensurabile con la libera scelta fiduciaria. All’interno di questo rapporto ci si relaziona, (es.: in team) più con persone e problemi che con malattie o patologie specifiche come invece può avvenire a livello ospedaliero ( es.: équipe chirurgica).

Nell’interessante e lungo elenco bibliografico, riportato alla fine del documento, si richiamano pubblicazioni del periodo pre-covid, che ragionano da Case della Salute (le Case della Comunità sono effettivamente una miglioria nei confronti dei contenuti relativi alle Case della Salute?). Si può altresì notare una ostinata ricerca di modelli esteri senza che vi sia una validata sovrapponibilità operativa di quegli esempi con la nostra eterogenea realtà nazionale già considerata, a suo tempo, una delle migliori organizzazioni sanitarie al mondo.

Bruno Agnetti

Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV-Runts

20 maggio 2024

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La narrazione favoleggiante sulle Case di Comunità

29 APR - Gentile Direttore,
sul tema “comunità”, che per estensione potrebbe inglobare anche il termine “Case della Comunità”, sembra proprio che Bauman e altri pensatori insieme a lui (Zamagni, Cavicchi, Benasayag, Byung-Chul Hann, Benanti, Floridi, Mortari, Morin…) abbiano scritto inutilmente le loro opere. Se le varie forme di “comunità” si sono liquefatte sotto i colpi della globalizzazione, dovrebbe apparire paradossale, una vera contraddizione in termini, imporre, oggi, per normativa, strutture edilizie in conto capitale definite “Case della Comunità” (CdC). Forse sarebbe stato più lineare continuare a definirle “Case della Salute” (CdS).

La vulgata che le CdC siano una innovazione nei confronti delle CdS in quanto nelle CdC verrebbero inseriti, in modo tutt’ora incomprensibile, il terzo settore e il sociale non corrisponde al vero: basta leggere i documenti riferibili alle CdS (2010) ed eseguire una banale ricerca per parole chiave. Così come potrebbe essere sorprendente scoprire che i temi dell’ambiente e del contesto (oggi è di tendenza il temine “one health”) sono già ricompresi addirittura nella legge 833 del 1978. 

La narrazione favoleggiante sulle CdC è quindi triste ed infelice dall’inizio, manca di trasparenza, è informativamente asimmetrica. Non risolverà i gravi problemi che discriminano assistiti e professionisti in quanto differenziati nella fruizione dei servizi. Pare ancora una volta che la visione individualistica e consumistica aziendale abbia il sopravvento e manifesti l’incapacità di sperimentare nuovi assetti comunitari immersi nella molteplicità della complessità e che rifiutano la gerarchizzazione proprio perché gli assistiti ed i professionisti non sono riducibili ad una rigida dimensione.

In ogni caso l’istinto ontologico volto a creare piccole comunità potrebbe trovare, in ambito sanitario, un estremo appiglio proprio nella relazione fiduciaria (rito collettivo?) che contiene in sé aspetti pattizi ed etici.

Le situazioni di commissariamento e sub-commissariamento che perdurano, anche in realtà unanimemente considerate modelli per il paese, non aiutano né a cogliere il significato di siffatte precarietà gestionali/organizzative né a limitare le problematiche che tendono a deteriorarsi di mese in mese. Il caos non permette mai di conoscere una strada da seguire ma abbandona le persone e i professionisti di buona volontà ad un orizzonte impenetrabile.

E’ commovente come, ancora una volta, nelle regioni dove le Ausl si reputano, in modo autoreferenziale, le più avanzate, siano state organizzate, dalle Aziende Sanitarie insieme alle Amministrazioni Comunali, all’Università e ad alcune Associazioni estranee ai territori di interesse, percorsi formativi per i soggetti che direttamente o indirettamente dovranno, secondo gli intenti, popolare le CdC. I percorsi dovrebbero servire ad accompagnare la così detta “partecipazione dal basso”. Fotocopia di quanto è già capitato all’inizio della stagione consociativista per le Case della Salute con i risultati che sono di fronte agli occhi di tutti.

Secondo la letteratura, l’attività di condivisione delle scelte sanitarie pubbliche che interessano i cittadini di un quartiere dovrebbero seguire le regole della co-operazione e riguardare l’intero processo decisionale. Significa che bisognerebbe partire insieme, allineati e parificati, nel rispetto delle specificità non gerarchiche ma curriculari. Il primo step è quello dell’ideazione. Poi si passa alla progettazione, di seguito alla realizzazione per poi terminare con la sperimentazione e la stabilizzazione. Il compendio è dato dalla rendicontazione rivolta ad es.: alla popolazione di un quartiere da parte dei professionisti fiduciari di riferimento che sovraintendono l’intero processo. Quando invece le istituzioni sovraordinate (es.: DM77, Metaprogetto, Regione, Ausl, Amministrazioni locali, Associazioni nazionali…) cercano di convincere i diretti interessati “ad integrarsi” alla fine del processo, cioè dalla coda, allora la trasparenza fa difetto e si crea quella che si definisce una asimmetria informativa. Ed è qui che casca l’asino.

Desta oltremodo meraviglia che le istituzioni (e di conseguenza i processi di formazione da loro attivati) non siano nemmeno in grado di conoscere e di valorizzare esperienze che negli anni si sono dispiegate sotto il loro naso. Oltre alla cronicità e alle fragilità esistono anche persone della 3° e 4° età ancora in buona salute che avrebbero un grande vantaggio nel poter usufruire di servizi sociosanitari completi in una struttura di quartiere raggiungibile in 15 minuti dalla propria abitazione. Si dovrebbe considerare che numerosi pensionati e anziani, ormai mediamente alfabetizzati in ambito sanitario se non addirittura intellettuali del settore, sono in grado di avvalorare ancor di più la stratificazione generazionale professionale, i quartieri e il volontariato. Soprattutto non gradiscono essere considerati manovali prestazionali finalizzati all’efficientamento di disservizi di competenza pubblica.

Le notevoli risorse utilizzate per dare vita a Comitati di Indirizzo, Gruppi di Progetto, Patti Sociali, Percorsi Formativi hanno ignorato il contesto specifico, hanno coinvolto associazioni esterne ai quartieri o ingaggiato soggetti privi di curriculum coerente. Si è arrivati perfino a sostenere modelli amazzonici (sic!) per i “nostri” territori.

Dalla stagione delle “Case della Salute” ciò che non è mai stato effettivamente risolto è la necessaria parità di risorse di partenza per cittadini e professionisti (strutturali, organizzative, gestionali ed economiche). Molti pazienti, di fatto ma non di diritto, e i loro professionisti sono quindi diventati, da numerosi anni, di serie B. Tuttavia, i mmg, ancora punti di riferimento per una popolazione, anche se discriminati, tentano di risolvere i bisogni dei loro assistiti nel miglior modo possibile. Non si può però pretendere da questi medici più di quello che fanno anche perché, se il SSN sta ancora in piedi, molto è dovuto al loro silenzioso e quotidiano lavoro di prossimità. Il pensiero unico, che si auto assolve sempre da ogni responsabilità, non si è mai interessato fattivamente delle competenze delle piccole comunità forse irritato da una loro, ormai esigua, autonomia (che verrebbe eliminata completamente dalla dipendenza). Spesso ne hanno ostacolato l’operatività tanto che, nelle inevitabili difficoltà, prontamente puntano il dito su un presunto insufficiente volontarismo di professionisti e cittadini.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

29 aprile 2024
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“Comunità”, termine inflazionato?

08 APR - Gentile Direttore,
“In quel paese che sorge in qualche angolo dell’Italia… nella pianura del Po… ciascuno lotta a suo modo per costruire un mondo migliore… e qui accadono cose che non accadono in nessuna altra parte del mondo…”. Si diceva così nel film (1952) tratto dal romanzo di Giovannino Guareschi, “Don Camillo”.
Il termine “comunità” diventa dominante, in particolare nelle alte amministrazioni e nelle alte dirigenze, (salvo realtà germogliate nel volontariato in tempi non sospetti dopo lunga meditazione e condivisione) dopo i suggerimenti contenuti nel PNRR. Risente di contingenze e di modifiche interpretative e, per questo, è poco autorevole: non ha avuto il tempo di generare una narrazione veritiera. Non crea coraggio. E’ disfunzionale. Non crea comunità e viene percepita come un surrogato intellettuale che offre un finto senso di identità a buon mercato.

Non è il modello di cure primarie del Brasile o quello Portoghese (sic!) pur tuttavia emerge, nel “mondo piccolo”, qualche esperienza sanitaria di base o territoriale, ben “stagionata”, che potrebbe ottenere miglior fortuna a fronte di ipotesi di tendenza ma alquanto salottiera.

Purtroppo non sono gli appelli o le petizioni che modificheranno la brutta china scivolosa nella quale si trova il nostro sistema sanitario (in particolare quello territoriale). Le cause sono note. La presenza, tra i firmatari delle istanze, di persone che meritano un indiscutibile rispetto non nasconde il fatto che vi siano responsabilità storiche perfettamente identificabili.

La criticità relativa al finanziamento è certamente un argomento serio. La globalizzazione e l’egemonia finanziaria alimenta un consumismo che tende all’infinito. Di conseguenza i fondi non saranno mai sufficienti se oltre all’aspetto economico/finanziario non si associa una solida riforma compossibile previo ampio dibattito pubblico con i professionisti e i cittadini o almeno parlamentare. In questi anni la Conferenza Stato Regioni ha esercitato un ruolo decisionale quasi egemonico con la propria Commissione Sanità continuamente presieduta dai rappresentanti di una o due regioni: la sola questione danarosa quindi potrebbe apparire come un ineccepibile alibi piagnucoloso al fine di oscurare i pregressi processi decisionali controriformisti o esigenze di apparato.

Il mondo della sanità si sta orientando in senso opposto alla 833? Il nostro paese non ha una sovranità tale da potersi opporre, a livello sanitario, al consumismo neo-liberale? Lo si dica chiaramente e forse la società civile, stanca di gestioni consociativistiche e deludenti, troverà una soluzione già sperimentata nella sua storia di associazionismo e di auto-aiuto.

Se invece si considera la sanità una delle più importanti opere pubbliche della nostra nazione occorre trovare il modo di non abbandonare questo bene comune ricorrendo, con responsabilità bipartisan, a modelli come il Welfare di Comunità (vero!) elaborato da Stefano Zamagni e al medico autonomo/autore di Ivan Cavicchi.
La riforma 833/1978 è stata crivellata, dalla sua promulgazione ad oggi, da una infinità di controriforme (nazionali e locali) che l’hanno sostanzialmente annullata.

Attualmente l’asfissiante chiacchiericcio sulle Case della Comunità, Ospedali di Comunità, Distretti, dipendenza dei mmg ecc. sembra voler nascondere la mancanza di una cultura sanitaria pubblica.

La comunità, secondo Aristotele, non è definita da un luogo, da un ambito geografico o da una struttura (CdC) ma dal fatto che un gruppo di cittadini siano in grado di garantire una buona vita alle persone di un territorio affinché possano sviluppare una esistenza indipendente e autonoma pur all’interno di una reciproca solidarietà così che concretizzi una vita degna di essere vissuta. La comunità (contenuta nei numeri) è prioritaria rispetto ad un individuo anche se, proprio grazie alla solidarietà degli altri, lo stesso soggetto singolo può sviluppare la propria individualità.

Infatti la persona non solo è un vivente politico-sociale-comunitario ma è anche l’unico essere che ha il logos cioè il linguaggio-ragionamento “prudente/calcolante” ed è in grado, con la ragione e il dialogo, di stabilire, ad esempio, forme di assistenza misurata (es.: da parte dei mmg) e proporzionata per quella comunità affinché non prevalgono logiche individualistiche dannose (es.: un consumismo amministrativo).
Ciò che dà valore “unico” ad una comunità raccolta intorno ai propri mmg di riferimento sta nel fatto che, in questo modo, è possibile soddisfare i bisogni dei suoi componenti seguendo il criterio di “finitezza” a sua volta sostenuto dal tessuto solidale. Da questo punto di vista potrebbe apparire irragionevole e solo economicistico mettere in campo un costoso meccanismo di appropriatezza prescrittiva. Chi se non il mmg può aiutare le persone, che lo hanno scelto fiduciariamente, ad inserire nel loro bagaglio culturale il concetto del limite, della misura, financo che la vita ha un termine? Non saranno certo le istituzioni o le alte dirigenze o le amministrazioni o i protocolli o gli algoritmi a poter comunicare empaticamente tali riflessioni.

Contrariamente alcuni recenti movimenti filosofici, immersi in una realtà neoliberista, tendono a promuovere una vita illimitata e senza termine (trans umanesimo e post umanesimo). Così la società consumistica opterà per un soddisfacimento dei desideri individuali con quella smania di illimitatezza che corrisponde alla massima distanza dalla ragione. Questa cultura che penetra anche le istituzioni e i gruppi culturali satelliti porta alla disgregazione del tessuto comunitario e della sua tenuta etica. La mancanza di limite riproduce sempre lo stesso ciclo di produzione consumistica tanto da arrivare ad utilizzare i cittadini (volontari, professionisti, assistiti) come semplici strumenti operativi.

La comunità giusta è quella che non è troppo grande né troppo piccola, non ha troppi abitanti né troppo pochi, non conta persone troppo ricche né troppo povere. E’ una popolazione che necessita quindi di un auto-controllo autonomo interno grazie ad individualità specifiche solidali (es.: mmg fiduciari) e all’alternanza tra il governare e l’essere governati perché, questo, è il vero abitare la democrazia.

Tommaso (che avrebbe volentieri voluto battezzare Aristotele), sostiene che, nel caso vi fosse pericolo per la comunità e il bene comune, sarebbe lecita la “perturbatio” cioè la ribellione in quanto significherebbe disubbidire ad una tirannide e obbedire a Dio.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

08 aprile 2024
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Un attimo, per riprendere fiato dal soffocante pensiero unico

Gentile Direttore,

le note controriforme e le ingarbugliate innovazioni, pur consacrate dal soffocante pensiero unico, mostrano già l’inconsistenza a causa di fondamenta costruite sulla sabbia. Alcuni ricorderanno i contenuti del art. 1 della legge Balduzzi (2012) dove si declinavano le funzioni delle AFT (Aggregazioni Funzionali Territoriali). Le regioni hanno poi generato caos inventando numerosi acronimi per marcare il loro territorio. Il DM 77 è una legge che sembra fatta su misura per creare confusione. Fa eco il recente ACN.

Il PNRR sollecita espressamente l’attuazione dell’assistenza di prossimità ma considera le CdC e gli Ospedali di Comunità (tutt’altro che di Comunità) come esempi e non come modelli unici. Ex cathedra si ammette infatti che le CdC (prevalentemente “spoke”) non siano adeguate ai reali bisogni delle popolazioni e dei professionisti.

Nonostante l’inesorabile penetrazione del privato nel SSN, le alte dirigenze (Regionali e Aziendali) si sono cullate nella certezza della loro perenne esistenza e del fatto che alcuni servizi non sarebbero mai stati appetibili al privato-privato e il ruolo di dominio istituzionale, in quei settori, non sarebbe mai stato conteso. In pochi mesi si sono moltiplicati PS, Sert, pronti interventi di base h/24, rianimazioni… il tutto rigorosamente privato-privato!

Alcuni commentatori hanno osservato che le gerarchie di potere (“sappiamo cosa è meglio” per voi) potrebbero essere le prime a non volere mai nessuna vera innovazione proprio perché sarebbe più conveniente, per loro, un orientamento sulla malattia piuttosto che sul cittadino. Così appaiono come “grande finzione” anche le CdC conformi alle contraddizioni contro-riformistiche e ai consociativismi. Questi ultimi probabilmente non più attribuibili a convergenze storiche (es.: istituzioni e sindacato) ma a solide collaborazioni tra istituzioni e/o gruppi che condividono interessi particolari e comuni.

L’urgenza riformatrice desiderata da cittadini e professionisti è contrastata dalla smisurata quantità di tempo gestionale a disposizione delle alte amministrazioni dove il neoliberalismo ed il consumismo sembrano essere proprio di casa.

Il potere di Regioni e Aziende è talmente possente che non c’è spazio per elaborazioni che non siano più che allineate in quanto ciò che una regione delibera, in ambito sanitario, diventa legge. Le Aziende Locali, poi, applicano il mandato avendo come principali o unici referenti politici e datori di lavoro gli Assessorati Regionali.

Si ricorderà l’enorme pressione comunicativa messa in atto nel periodo in cui gli apparati avevano deciso di chiudere i piccoli ospedali territoriali spesso presidi “gioiello” e vere scuole di integrazione con il territorio. Anche allora (USL) i referenti erano politici ma facilmente raggiungibili ed individuabili. I piccoli ospedali sono stati chiusi con la promessa di istituire presidi territoriali “equivalenti”. Ciò poteva sembrare, in un primo momento, accettabile per professionisti e cittadini ma poi è stata varata la controriforma sulle CdS del 2016.

Il Covid ha ricordato tutto ciò ma, al momento, il sistema è immodificabile a causa della legislazione vigente.

Una riflessione a parte merita la questione “comunità”. Non vi sono dubbi che il senso di appartenenza e i legami sociali siano stati fortemente provati dalla globalizzazione finanziaria. Dal punto di vista sociologico-sanitario, per la prima volta, si verifica un elemento inedito. Si può osservare la compresenza, in ambito occupazionale, di nette stratificazioni generazionali che manifestano dirompenti differenze culturali.

Nello specifico i giovani colleghi che intraprendono, oggi, la professione di mmg si trovano a confrontarsi in modo nuovo con istituzioni a struttura medioevale e con le comunità di riferimento (assistiti coetanei ma anche “silenti” o “boomer” che li hanno scelti fiduciariamente). Cosa ricercheranno nei giovani medici questi cittadini? Come considereranno i mmg il loro inquadramento professionale-giuridico, la loro autonomia, l’essere all’interno di una sempre più diffusa complessità, l’aumento delle tensioni sociali e le smisurate ansie individuali di molti assistiti?

Forse la generazione precedente dei medici di famiglia non si è preoccupata di organizzare una adeguata trasmissibilità esperienziale ai giovani colleghi così, è possibile, che gli stessi nuovi mmg non si siano particolarmente interessati a questo aspetto. Non di meno la professione sarà coinvolta nel far fronte ad alcuni strati della popolazione che manifesterà sindromi da sradicamento culturale e che frequenteranno l’ambulatorio del medico di base.

Considerato questo stato di cose i giovani colleghi potrebbero rappresentare un valore aggiunto in grado di comporre una sintesi tra professione e società. Dal punto di vista antropologico si può sostenere che i giovani professionisti abbiano un “cervello” nuovo, una professionalità e una intellettualità immersa nella marea tecnologica in grado di far fronte alle criticità sanitarie burocratiche-amministrative e di affermare una autonomia professionale coerente con il paradigma della complessità.

Questa potrebbe essere la vera “casa” abitata da giovani dottoresse (maggioranza in ambito delle cure primarie) e dottori abili nel costruire i principi per una riforma strutturale nazionale che necessita, per forza di cose, di una partecipazione bipartisan se si desidera finalmente superare tutte le assunzioni controriformiste. Tra queste vanno ricomprese anche gli improbabili modelli esteri o esotici molto pubblicizzati (come nella più classica delle promozioni neo-liberali) dimenticando, colpevolmente, la presenza, nel nostro paese, di questa nuova generazione di medici, inimmaginabile fino a poco tempo fa.

Non a caso l’ultima fatica del Prof. Ivan Cavicchi (“Medici vs Cittadini”, Castelvecchi, 2024) affronta il tema della ridefinizione giuridica del medico ma immette anche, all’interno del dibattito e della riflessione, la questione della complessità come nuovo “archè” che non può più essere tralasciato (Byung-Chul Han, “La crisi della narrazione”, Einaudi, 2024) se si desidera rappresentare la “questione medica” e una cultura assistenziale coerente con l’attualità post-moderna.

Bruno Agnetti

Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

25 marzo 2024

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Medicina Territoriale

La professione medica è ancora in grado di riprendere in mano il proprio destino

Gentile Direttore,

ancora una volta Ivan Cavicchi con il suo nuovo instant book (Medico vs cittadini, un conflitto da risolvere, Castelvecchi, 2024) ha regalato una profonda riflessione che parte dalla controversia della “colpa professionale medica” ed arriva ad affrontare un tema filosofico, etico, sociale semplicemente enorme.

Il professore e collega ha pensato di giocare d’anticipo senza aspettare la conclusione dei lavori della Commissione d’Ippolito costituita, ad hoc, dal Ministero di Giustizia con l’obiettivo di segnalare possibili errori e contraddizioni che potrebbero, se non rivisti, rendere la categoria e i cittadini “prigionieri di leggi sbagliate” difficilmente poi modificabili.

Già il titolo del libro pone un tema etico complesso: tutti i medici sono cittadini ma non tutti i cittadini sono medici: in una situazione di questo tipo chi riveste un ruolo sociale e professionale particolare? Come si può costruire o formare, oggi, una relazione pattizia medici e cittadini? Chi può svolgere la funzione educativa/pedagogica e quella di testimone del “contratto sociale”? Chi riconosce chi? Come può essere costruito un adeguato e contestuale rispetto reciproco?

Sono quindi in gioco “un mondo” di valori essenziali. Sia sufficiente, in questa sede, pensare a cosa capita quotidianamente nella realtà assistenziale: nelle cure palliative portate al letto del malato, al suo domicilio dal mmg che, proprio per il contratto sociale “immateriale”, l’assistito “elegge” come giusto, libero, veritiero, valido e in grado di assisterlo negli ultimi momenti. La situazione è incommensurabilmente diversa da un banale contratto d’opera, se non altro, perché si ha a che fare con il mistero della vita e della sua conclusione. Ha poca importanza, alla fine, la tecnologia o le altre competenze scientifiche. Ciò che è veramente richiesto è una avvolgente abilità relazionale (infatti il mmg è considerato il palliativista di riferimento per il proprio assistito).

Forse una attualizzazione degli storici criteri relativi alla “colpa” professionale (imperizia, imprudenza, negligenza) potrebbero essere più che sufficienti per poter archiviare o attivare le sanzioni, in tempi brevissimi. L’errore umano è sempre possibile a fronte di una realtà ancora sconosciuta nella sua essenza (la vita), che alcuni considerano sacra, e forse è anche corretto che chi deve prendere decisioni tenga conto di questo aspetto.

Non è compito della Commissione Ministeriale indicare le strategie per ridurre la conflittualità però, la stessa Commissione, potrebbe avventurarsi in qualche sapiente suggerimento. Se la problematica di fondo è la formazione generale dei professionisti affinché siano in grado di leggere le modifiche sociali e di ridurre di conseguenza i contrasti, quante cose devono cambiare per impostare ciò che sarebbe necessario? Che valore culturale e di maturazione professionale possono apprendere gli studenti di medicina sottoposti, per gli esami, a test scritti pieni di trucchetti e tranelli più che di una vera valutazione della maturità professionale in crescita? Che rapporto possono avere i futuri medici con il sociale o con il sapere se tutto viene ridotto ad un perfido e narcisistico superenalotto?

Siamo certi che non siano ormai fondamentali, durante il corso di laurea, più esami di psicologia, filosofia, etica, sociologia, antropologia, accorpando eventualmente, qualche esame che tende a ripetere ciò che è appena stato fatto al liceo?

Anche le istituzioni locali e regionali, seguite pedissequamente dai loro accoliti, hanno palesato una incapacità culturale assordante. E’ stato fatto di tutto per fare sprofondare la professione così che il rapporto professione-cittadini è diventato di fatto inagibile.

Il riconoscimento reciproco (patto sociale) resta fondamentale se i due “giocatori” in campo (medici e cittadini), non vogliono perdere.

Il tempo che stiamo vivendo potrebbe essere sintetizzato da alcune parole chiave: modernismo, postmodernismo (quarta rivoluzione), trans-umanesimo, post-umanesimo, consumismo, globalizzazione, neoliberalismo. Una bella complessità. Nemmeno il Covid è riuscito a stimolare pratiche di cambiamento radicale. In ogni caso i movimenti filosofici citati e l’inarrestabile avanzamento tecnologico obbligherà la professione a profonde modificazioni che la regressività di DM77, ACN, Regioni e Aziende non sono nemmeno in grado di immaginare (“cinismo dell’incapacità”). La “quarta rivoluzione” se non sarà gestita con intelligenza ed umanità darà valore non tanto ai professionisti ma ai contratti d’opera, ai formulari, alle procedure, agli algoritmi prescrittivi, ai nomenclatori, ai tariffari… ma dove sarà il medico amico sincero e disinteressato nei momenti importanti della vita? Alcune teorizzazioni del post umanesimo ipotizzano la definitiva scomparsa dei dualismi così che in un mondo di cyborg non ci sarà più posto (bisogno) per medici e cittadini e nemmeno per l’umanità.

La medicina generale può ancora diventare un valido strumento per ridurre la conflittualità sociale in ambito sanitario. Infatti nelle piccole comunità, ancora oggi, riesce a dare un senso alle cose fondando l’agire professionale sul contratto sociale “olistico". La scelta fiduciaria favorisce una azione educativa e formativa che permette di far fronte al dott. Google, ai robot, ai totem, all’assalto dei “malatisti” esperti in scorciatoie per il PS e per la specialistica/diagnostica.

Anni di discredito da parte delle aziende e delle regioni nei confronti delle competenze diagnostiche, terapeutiche, riabilitative dei mmg non poteva che portare tutti al punto in cui ci si trova. Il relativismo e l’economicismo hanno desertificato l’ambito dei valori ma il medico, se vuole, ha la sensibilità per ritornare a riconoscere il dolore umano (e il proprio) e ad ascoltare la sofferenza (che è l’elaborazione mentale del dolore). Questo anche se la società è imbibita di ansia, non riesce più a rallentare, l’amigdala è iperfunzionante mentre la corteccia prefrontale, razionale, è inibita. Le persone non sono più abituate ad affrontare certi temi che la tradizione aveva comunque inserito e mantenuto anche nel periodo della modernità e della postmodernità (il fine vita, la malattia, il dolore, la sofferenza, l’ansia). Il medico è ancora in grado di riprendere in mano il proprio destino e quello della professione perché la cura e il prendersi cura non rientrano solo nei diritti politici ma è l’espressione di una questione ontologica (medicina scienza coraggiosa e impareggiabile).

Bruno Agnetti

Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

06 marzo 2024

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Una formula esemplificativa può essere considerata una affermazione cogente?

Gentile Direttore,

nel 2021 l'Unione Europea ha regolamentato il noto strumento finanziario (PNRR) per supportare la ripresa negli Stati membri dopo il periodo Covid. Nel 2022 è stato emanato il Decreto Ministeriale (DM77) che descrive i nuovi modelli e gli standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale del SSN (Casa della Comunità, Numero europeo per la Centrale Operativa, Centrale Operativa Territoriale, Infermiere di Famiglia e Comunità, Unità di Continuità Assistenziale, Assistenza Domiciliare, Ospedale di Comunità, Rete delle Cure Palliative, Servizi per la Salute dei Minori-delle Donne-delle Coppie-delle Famiglie, Telemedicina).

Nel 2023 la modifica del PNRR presentata dal Governo italiano non ha modificato la Missione 6 (potenziamento e creazione di strutture e presidi territoriali, il rafforzamento dell’assistenza domiciliare, lo sviluppo della telemedicina ed una più efficace integrazione con tutti i servizi socio-sanitari). Nello stesso 2023 viene istituito un tavolo tecnico (affollatissimo) dal Capo di Gabinetto del Ministero della Salute con il fine di studiare le criticità emergenti sanitarie anche se nei vari sottogruppi non è stato espressamente indicata, come materia da indagare, il riordino delle cure primarie. Di conseguenza si può ritenere che il DM 77 non contenga particolari criticità relative all’organizzazione assistenziale territoriale.

Gli interventi riportati su QdS in merito alla medicina generale sono stati molto interessanti, operativi e pragmatici. Le diverse sensibilità sono tutte meritevoli di attenzione (es.: mmg dipendenti o mmg liberi professionisti convenzionati autori/opera di se stessi). Nondimeno sarà concesso a qualche “spettatore”, di approfondire alcuni contenuti con l’angolo di osservazione dell’assistito che, per ragioni varie, frequenta gli ambulatori dei mmg.

L’intento dell’esercizio è quello di analizzare se in qualche costrutto teorico possano celarsi antinomie o contraddizioni in grado di minare nelle fondamenta le stesse ipotesi a discapito dei pazienti e dei loro medici di base di riferimento.

Il latte è stato frettolosamente versato e le norme sono state emanate per la soddisfazione di aziende e regioni.  È facilmente prevedibile che dopo la cornice, sufficientemente regressiva, del recente ACN, le regioni, nella loro già smisurata autonomia in tema sanitario, recupereranno il terreno e re-interpreteranno l’intero DM77 “pro domo eorum” con la pubblicazione degli Accordi Regionali.

Nel postulato di base del PNRR (assunto poi pienamente dal DM 77 e nel divinizzato pensiero unico dominante che incensa in ogni dove le Case della Comunità spoke) si afferma che per adempiere alla Missione 6 punto 1 sia opportuno erogare prestazioni, creare strutture e presidi territoriali. Questa affermazione è subito seguita da una parentesi che inizia con un “come”. In che modo va interpretato il “come”? Secondo la Treccani il termine “come” potrebbe essere considerato un avverbio di maniera (esemplificativo, al modo di) senza per forza significare una iniziativa a carattere cogente. Se così fosse sorge spontaneo il dubbio che il punto 1 della Missione 6 possa essere raggiunto anche con altre modalità più adatte alla complessità e alla compossibilità tipica delle cure primarie (es.: con il potenziamento strutturale e funzionale, su tutto il territorio nazionale delle medicine di gruppo e dei NCP seguendo anche le linee guida professionali Wonca singolarmente nemmeno nominate nel DM77 e nel recente ACN).

Le leggi e gli accordi sono comunque varati e la nave ha impostato una rotta (improbabile). La soffocante narrazione unica (incantatrice, contagiosa e foriera di relativismo etico) insiste sui grandi benefici delle Case della Comunità spoke che tuttavia presentano, nella concretezza, un’offerta di servizi carente e nemmeno paragonabili alla reale operatività di una qualsiasi Medicina di Gruppo ben organizzata.

Comunità Solidale Parma, associazione di volontariato (ODV), grazie alla disponibilità dei volontari facilitatori, sta realizzando una piccola indagine (questionari e interviste) rivolta ai pazienti che frequentano l’ambulatorio/medicina di gruppo. La finalità è quella di sondare uno stato d’animo e il clima emotivo degli assistiti nei confronti della medicina generale di base e delle informazioni che le persone ricevono dai media in merito a questo tema. Da una prima stima molto parziale, non analitica e casalinga, emerge che su 100 assistiti adulti, frequentatori della medicina di gruppo il 47% non sa cosa sia una “Azienda” sanitaria; il 71% considera il rapporto fiduciario con il mmg fondamentale e non vorrebbe che il medico di base diventasse un dipendete pubblico; il 57% si augura che il SSN abbia una direzione nazionale e non regionale e il 66% vorrebbe cimentarsi, autonomamente, nell’intero processo decisionale su questioni che riguardino la comunità o il quartiere nella convinzione che la medicina generale vada considerata un bene comune per una popolazione. Il 68% degli assistiti contattati hanno dichiarato di non sapere quale sia la differenza tra Casa della salute e Casa della Comunità. Percentuali molto elevate e positive, 82%, hanno ricevuto le domande che indagavano il gradimento degli assistiti verso il ruolo di servizio dei volontari facilitatori presenti tutti i giorni in ambulatorio con la funzione di aiutare l’accesso e l’orientamento degli assistiti soprattutto quando le questioni richiedono accoglienza affettuosa e parole cordiali.

Alcuni comportamenti all’interno delle piccole comunità guidati dall’etica professionale e collettiva possono interagire in modi complessi ma sono in grado di riformulare il futuro sanitario. Indipendentemente dalle norme già varate nulla impedisce di pensare a nuovi modi di fare le cose capaci di rendere culturalmente inutili quelle attualmente proposte (già avvizzite al loro apparire).

Bruno Agnetti

Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

04 marzo 2024

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MMG

Auto determinazione delle comunità di professionisti e cittadini

Gentile Direttore,
nella situazione sanitaria attuale non vi sono dubbi che sia necessaria una “radicale” discontinuità culturale ed operativa, alternativa alle “recenti” innovazioni all’acqua di rosa discutibili già dalla loro prima apparizione. Alcuni arrivano in estremo ritardo a queste considerazioni. Altri continuano a galleggiare sostenendo che è stato fatto ciò che era possibile. Non è mai, comunque, solo una questione di risorse economiche in quanto sono proprio le argomentazioni monetarie che permettono e giustificano il mantenimento delle contraddizioni comportamentali e legislative (es.: Aziende, Mega Aziende, Distretti, ecc.) e la sopravvivenza del loro contro riformismo invincibile. Aggiustamenti o toppe non fanno altro che rimettere la pedina alla casella del via. Crisi economica, inflazione, guerre, riduzione delle risorse, modifiche della geopolitica, della globalizzazione, del clima, intelligenza artificiale… hanno già fatto poi la loro parte sui sistemi sanitari.

Le riflessioni che seguono sono comunque destinate all’ambito delle Cure Primarie.

Ancora oggi, la medicina di base, pur essendo a tutti gli effetti SSN, mantiene una sua autonomia (residua) dagli apparati gerarchici. Il mmg rimane tutt’ora strettamente collegato ai bisogni ed ai sentimenti della comunità degli assistiti ed è proprio l’appartenenza alle zone più esterne dell’impero che, paradossalmente, permette una lettura maggiormente accurata di ciò accade a livello territoriale. I macrofenomeni globali già citati influenzano profondamente la sanità. Nondimeno le ultime documentazioni ufficiali più note e gli elaborati degli aspiranti “capotreni” non hanno liberato le cure primarie da una sostanziale regressione professionale/assistenziale introducendo funzioni sempre più improbabili, discriminatorie e palesemente inadeguate ai contesti ( s.: Case della Comunità hub/spoke scorrettamente mercanteggiate come baluardi a difesa degli accessi impropri al PS quando numerosi studi hanno dimostrato che il mmg pesa, sugli accessi impropri al PS, per il 2%).

Numerosi sono le prove dello scollamento tra istituzioni sanitarie e la realtà. Questo divario è palesato anche dal sistema comunicativo di AUSL o Mega Aziende fondamentalmente costituito da continui annunci, informazioni o messaggi e da incontenibili incombenze urgenti. L’assillo, soffocante, non concede tempo alla riflessione, al confronto, al dibattito incrementando così il disagio di molti assistiti e professionisti. Forse nessuno di coloro che oggi hanno in mano il processo decisionale sa veramente ridurre le criticità sanitarie, non pensa ad un modello assistenziale e resta in attesa che capiti qualche cosa a livello generale (o mondiale?) che indichi o imponga qualche cambiamento. Non è detto che le prescrizioni siano poi positive. Nel 1978 il Parlamento con la 833 non aveva aspettato il parere del mondo e per alcuni anni il nostro SSN è stato considerato il migliore del mondo.

Oggi non c’è solo l’interesse comune. Diversi tornaconti sono talmente intrecciati che non si riesce a distinguere il bene dal male come nel più classico doppio legame. Si possono separare i vimini buoni da quelli cattivi ma alla fine il cesto non c’è più.

Sarà capitato a molti di partecipare ad eventi dove le AUSL celebrano e incensano elenchi della spesa apparentemente “splendidi” ma invisibili, senz’anima, senza amor di patria e senza interesse per il bene comune. Sono annunci che non aumentano la conoscenza ma dimostrano sostanziale indifferenza nei confronti del destino che i professionisti del territorio e i cittadini potrebbero avere.

Quando manca una robusta autocritica non è possibile immaginare un futuro nuovo, diverso e più attento alle modifiche sociali e professionali (compito della politica). Se questa auto analisi non è in grado di vedere ciò che è stato fatto di svantaggioso per cittadini e professionisti non si farà altro che ripetere, senza turbamenti, ciò che è già stato fatto (es.: le Case della Comunità). L’autodeterminazione nel processo decisionale e nel governo clinico di professionisti e comunità non è velleitaria. Senz’altro è radicalmente alternativa. Forse addirittura meno costosa?

Quando nella medicina generale (di base) si passa il testimone ai giovani colleghi ci si preoccupa che tutto il lavoro fatto di presa incarico e di cura per 30-40 anni non si disgreghi o si perda. La trasmissibilità tra professionisti non è data dai contenuti registrati nell’archivio computerizzato ma dalla cultura che li ha accompagnati. Non sono certo annunci eclatanti ma avvenimenti silenziosi, poco spettacolari che forse creano comunità proprio perché generano una propria cultura speciale. Svilire questo patrimonio di conoscenze vuole dire contribuire alla distruzione delle comunità già molto provate. Tuttavia, le comunità stesse sono le prime a ricercare la tecnologia e ad adattarla ai propri contesti. Sarà forse sufficiente ricordare come il volontariato di quartiere Comunità Solidale Parma, in stretta collaborazione con i propri mmg, avesse già nel 2017 proposto alle autorità politiche e sanitarie un disegno progettuale di Casa della Salute “grande” di quartiere che, oltre ai servizi contemplati nei documenti di allora, potesse sviluppare una specifica competenza terapeutica riabilitativa a causa di un incremento di certe patologie in quel determinato quartiere periferico ( malattie neuro-muscolari trattate con esoscheletri, anche in affitto, e robot; patologie neurodegenerative e cognitivo-comportamentali affrontate con stanze virtuali immersive o visori; problemi socio-sanitari adolescenziali, educativi, genitoriali e di dipendenze affrontate attraverso il mondo dei giochi virtuali).

Parafrasando il pensiero di R. Easterlin (Paradosso della felicità) nella medicina generale occorrono nuove organizzazioni territoriali, nuovi criteri, nuove relazioni politiche fortemente radicate nel quartiere, nuove auto-formazioni, nuovi sistemi di apprendimento continuo (team e briefing), nuove forme di auto-valutazione più orientate ad una strategia di welfare di comunità (alternativo al sistema incentivante imperante tipico della appropriatezza prescrittiva o diagnostica) per poter avere un vero impatto sul benessere collettivo anche in periodi di scarsità di risorse.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

03 novembre 2023
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Mendicanti di senso nell’odierna notte del mondo

Gentile Direttore,
i finanziamenti in sanità sono necessari. Non sono comunque mai sufficienti. Le manovre sono ininfluenti se si pensa di far fronte alla “questione medica” e alla sua relazione con l’evoluzione sociale con gli strumenti economici. Conteggi e stime derivano per lo più da valutazioni amministrative e da esigenze di apparato e non da bisogni assistenziali.

Nella situazione sanitaria territoriale attuale può esserci ancora spazio per poter restaurare quell’unità olistica della medicina di base che il tempo e le controriforme hanno lacerato? Le comunità degli assistiti saranno in grado di ispirare i propri professionisti di riferimento incoraggiandoli verso la “resistenza alla disgregazione culturale” che progetta l’annullamento, per consunzione, della medicina generale territoriale?

La filosofia sociale contemporanea considera che il futuro della medicina di base possa essere simboleggiata da un “bicchiere mezzo pieno” se si considerano le opportunità culturali, sociali, cognitive, scientifiche e anche di ritorno economico ma lo stesso bicchiere viene descritto come completamente vuoto se vengono considerate le capacità dell’attuale organizzazione piramidale regionale ed aziendale di cogliere queste opportunità.

Il sistema sanitario appare come un potere più che un servizio. La potestà è in grado di camuffarsi sotto forme cordiali/amicali rendendo l’egemonia invisibile ed inattaccabile. Molti sanitari sono sedotti dall’affabilità delle Alte Dirigenze o degli Assessorati senza rendersene conto. Questa modalità sistematica di dominio minaccia la capacità dei professionisti di resistere.

L’alleanza con i cittadini e gli assistiti, meno stregati dalle parole magiche e confuse delle aziende/assessorati, diventa una strategia indispensabile per i mmg se vogliono riconquistare “autorevolezza” e autonomia. La medicina generale non ha ancora subito le lusinghe della privatizzazione massiva e quindi può diventare il terreno per una radicale innovazione in senso completamente pubblico. E’ necessaria però una netta discontinuità e una alternativa nei confronti delle esperienze amministrative pregresse e delle recenti normative progettuali che hanno abbondantemente dimostrato la loro dissonanza cognitiva in merito alla salute e all’assistenza considerato bene comune.

Alcuni concetti neoliberisti (globalizzazione) continuano a sostituire molti termini tradizionali collegabili all’agire medico: azienda, produzione, debiti e crediti ECM, le offerte formative (richiamano quelle dei super mercati), prodotti, risparmio, incentivi, concorrenza, documenti “venduti” come riforme, investimenti (anche di emozioni e sentimenti), capitale umano, distretti (come quelli industriali), comitati di indirizzo, tavoli pre-giudiziali e autocentrati, gruppi di progetto…

L’aziendalizzazione sanitaria oltre a palesare una triste mancanza di fantasia comporta il rischio di mercificare relazioni e scambi. In questo disegno ogni limite viene considerato un ostacolo: il pensiero critico, l’approfondimento culturale, la partecipazione e l’autonomia nel processo decisionale del volontariato dedicato, l’abolizione del controllo centralizzato… Come ogni prodotto anche il mmg diventa un bene utilizzabile (paradossalmente si offre spontaneamente come servo volontario a causa di un fatalismo introiettato derivato da cattivi ammaestramenti): la professionalità si dissolve nel calcolo del peso utilitaristico e nella strategia del consenso.

Il professionista non allineato con una sanità di apparato/amministrata viene sistematicamente annullato tanto che, in certe situazioni, si osa addirittura paventare la dipendenza dei mmg come “punizione” per quei mmg che si permettono di non introiettare il pensiero unico (violenza economica?). Non avrai altra organizzazione al di fuori di quella aziendale nella quale la logica di mercato, economicistica e finanziaria furoreggiano pur essendo dogmi senza nessuna tenuta epistemica. L’infinita possibile varietà culturale creata dall’ auto-organizzazione non viene considerata una opportunità o un valore.

Nei documenti più in voga di agenzie, gruppi, istituzioni è difficile trovare, per quanto riguarda la medicina di famiglia, riferimenti alle autorevoli indicazioni dell’Associazione Mondiale dei medici di famiglia/Base (Wonca) così come risulta arduo trovare “valori” in grado creare solide motivazioni. Molti invece sono i capoversi che si preoccupano in modo quasi ossessivo di normative amministrative/finanziarie/di controllo. Le contraddizioni presenti negli elaborati dimostrano la debolezza intellettuale ed etica sulla quale si fondano.

Nulla si è modificato: crisi economica, inflazione, malagestione, covid, consociativismo, governance, oligarchia, DM77, PNRR, “spiegoni” in merito a Case della Comunità, Ospedali di Comunità, distretti, meritocrazia, nuovi acronimi… le incoerenza e le antinomie sono incrementate e un considerevole numero di giovani professionisti viene curiosamente capeggiata da pensionati ex Direttori Generali, ex Direttori Sanitari, ex Direttori Amministrativi, come se le nuove leve non potessero più osare un pensiero autonomo ed innovativo.

L’Italia dei comuni potrebbe riservare grosse sorprese a fronte di alcune esperienze esotiche che popolano le bibliografie di numerosi articoli. Nei secoli XII, XIV e XV l’Italia era uno dei paesi più progrediti del mondo tanto che proprio in quel periodo nasce l’Umanesimo grazie alle condizioni culturali e sociali create dalle città-stato italiane. Il Welfare di Comunità, quello vero, si rifà proprio alla filosofia culturale sociale ed organizzativa dei comuni. Anche negli anni Sessanta l’Italia procedeva spedita con un PIL a due cifre (come quello cinese di un po’ di tempo fa) e come ricordano gli economisti allora c’erano molti imprenditori privati, spesso possedendo la sola licenza elementare ma pochissimi manager. Qualche valore storico i nostri territori possono vantarlo e proporlo come garbato modello organizzativo per le cure primarie territoriali.

La meritorietà ha un valore di molto superiore alla meritocrazia autoreferenziale e consociativistica, è rivoluzionaria perché non è massificante e rifugge la mediocrità progettando futuri alternativi alla narrazione dominante che sostiene l’intrasformabilità e l’inevitabilità di un eterno presente.
La cultura (di un mmg che non si abbandoni alla disperazione e che ricerchi una alleanza con i propri assistiti) sostiene la strategia della resistenza per i “mendicanti di senso nell’odierna notte del mondo” a fronte dell’insensatezza divenuta norma ufficializzata.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

18 settembre 2023
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Dente di leone

Le informazioni e i dati da soli non illuminano il mondo

05 LUG - Gentile Direttore,
sia concessa una riflessione sul tema della “pezza peggiore del buco” esortata proprio dalla “teorizzazione dell’acqua calda” (Le ricerche in sanità e l’invarianza dei risultati, QS 26 giugno 2023) vessillo dell’imperitura cultura della conservazione. La metodologia degli annunci relativi alla riorganizzazione delle cure primarie a volte si trasformano in veri e propri scenografici talk show estivi a cui partecipano, molto rilassati, soggetti in grado di offrire originali perle di ovvietà ad un uditorio particolarmente pronto ad accogliere favorevolmente ogni fragilità cognitiva purché derivate da elaborati istituzionali.

Al contrario per coloro che riflettono da tempo in modo discrezionale e argomentato sulla riforma delle cure primarie (come passaggio imprescindibile per il “servizio” salute/sanità) le “aporie” presenti nei documenti ufficiali e nelle varie petizioni circolanti creano situazioni pressoché irrisolvibili. La filosofia politica sanitaria organizzativa non può tuttavia esimersi dal ricercare la ricchezza insita nel territorio (con iniziative testimoniali, crematistiche e paideiche) formulando appunto proposte accorte per un ordinamento alternativo.

Secondo il parere di alcuni estensori dei documenti calati dall’alto o scaturiti da organizzazioni/associazioni nate frettolosamente in ragione e del PNRR, DM77, Metaprogetto, ACN ecc. pare non ci si possa separare dalle teorizzazioni cardinali (es.: esistenza del Distretto) come se il mondo fosse immodificabile e non esistessero forze sociali in grado di far fronte all’appiattimento sanitario globale. Come se tecnica ed economia fossero sempre e comunque sovraordinate, la forma “merce” sembra dominare sui beni e sui valori (es.: … due mezzi medici, QdS, 30 maggio 2023; Case della Comunità e Ospedali di Comunità tutt’altro che di comunità ma più propriamente “di amministrazione”; ipotesi subentranti di una compresenza tra mmg dipendenti e liberi professionisti; ecc.). Per riappropriarsi di virtù oggi non più scontate occorre l’audacia di immaginare possibili radicali innovazioni corroborate da una viva “speranza” (E. Bloch) perché le diagnosi vanno accolte con attenzione ma senza affidarsi completamente alle prognosi.

Valori e principi fondamentali della medicina generale ( Wonca riconferma 2022)

Come se ne esce?

L’elenco delle varie definizioni di “centralità del paziente”, “welfare di comunità” o di “comunità”, di “partecipazione” o di strumenti decotti proprio in quanto infilati nel “sistema” delle AUSL a simulare la presenza dei cittadini o millantare un loro potere nel processo decisionale incrementano solo l’instabilità dei fragili costrutti normativi oggetto del dibattito di questo periodo.

Il primo movimento dovrebbe permettere di pensare che siano possibili le vere riforme (es.: quarta riforma come innovazione del “Servizio” Sanitario Nazionale; Nuovo patto-contratto tra medici professionisti della sanità territoriale e il Servizio Sanitario Nazionale, elaborato datato al 2011, ma possibile traccia per ipotetici, sintetici, leggibili e trasparenti ACN).

La seconda azione riguarda il conoscere bene la complessità della professione del mmg ( l’errore macroscopico diffuso è credere che la medicina generale non abbia una propria specificità, valori e principi e sia in funzione di un efficienza del Pronto Soccorso o un mulino in grado di macinare dati come se già quelli stoccati nei silos in questi 20 anni non siano abbastanza inutili per le persone tanto che hanno fatto esplodere il fenomeno delle liste d’attesa più che incredibili, insopportabili ed irritanti per un sistema costantemente intento a ricercare ogni forma di esternalizzazione leggendo in questo senso “commerciale” forse anche il coinvolgimento del terzo settore ).

Ragionare senza i passaggi necessari e continuare a disquisire su cose che si ignorano, non favorisce la nascita di adeguate soluzioni ( es.: Tavolo Tecnico per lo studio delle criticità emergenti istituito presso l’Ufficio di Gabinetto del Ministero della Salute dell’8 giugno 2023 che pare non aver considerato l’imporsi della medicina di genere tuttavia sicuramente su 18 componenti non è stata individuata una medica esperta sul tema e comunque una presenza competente femminile considerati rapporti percentuali m/f presenti ad es. nel territorio).

I determinanti delle varie crisi possono essere numerosi e forse può essere inserita di diritto, tra queste, la sofferenza della verità in quanto le informazioni e i dati da soli non illuminano il mondo e obbligano le persone a rimanere in una “caverna” che inconsapevolmente appare levigata e confortevole (Byung-chul Han).

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

05 luglio 2023
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