“Comunità”, termine inflazionato?

08 APR - Gentile Direttore,
“In quel paese che sorge in qualche angolo dell’Italia… nella pianura del Po… ciascuno lotta a suo modo per costruire un mondo migliore… e qui accadono cose che non accadono in nessuna altra parte del mondo…”. Si diceva così nel film (1952) tratto dal romanzo di Giovannino Guareschi, “Don Camillo”.
Il termine “comunità” diventa dominante, in particolare nelle alte amministrazioni e nelle alte dirigenze, (salvo realtà germogliate nel volontariato in tempi non sospetti dopo lunga meditazione e condivisione) dopo i suggerimenti contenuti nel PNRR. Risente di contingenze e di modifiche interpretative e, per questo, è poco autorevole: non ha avuto il tempo di generare una narrazione veritiera. Non crea coraggio. E’ disfunzionale. Non crea comunità e viene percepita come un surrogato intellettuale che offre un finto senso di identità a buon mercato.

Non è il modello di cure primarie del Brasile o quello Portoghese (sic!) pur tuttavia emerge, nel “mondo piccolo”, qualche esperienza sanitaria di base o territoriale, ben “stagionata”, che potrebbe ottenere miglior fortuna a fronte di ipotesi di tendenza ma alquanto salottiera.

Purtroppo non sono gli appelli o le petizioni che modificheranno la brutta china scivolosa nella quale si trova il nostro sistema sanitario (in particolare quello territoriale). Le cause sono note. La presenza, tra i firmatari delle istanze, di persone che meritano un indiscutibile rispetto non nasconde il fatto che vi siano responsabilità storiche perfettamente identificabili.

La criticità relativa al finanziamento è certamente un argomento serio. La globalizzazione e l’egemonia finanziaria alimenta un consumismo che tende all’infinito. Di conseguenza i fondi non saranno mai sufficienti se oltre all’aspetto economico/finanziario non si associa una solida riforma compossibile previo ampio dibattito pubblico con i professionisti e i cittadini o almeno parlamentare. In questi anni la Conferenza Stato Regioni ha esercitato un ruolo decisionale quasi egemonico con la propria Commissione Sanità continuamente presieduta dai rappresentanti di una o due regioni: la sola questione danarosa quindi potrebbe apparire come un ineccepibile alibi piagnucoloso al fine di oscurare i pregressi processi decisionali controriformisti o esigenze di apparato.

Il mondo della sanità si sta orientando in senso opposto alla 833? Il nostro paese non ha una sovranità tale da potersi opporre, a livello sanitario, al consumismo neo-liberale? Lo si dica chiaramente e forse la società civile, stanca di gestioni consociativistiche e deludenti, troverà una soluzione già sperimentata nella sua storia di associazionismo e di auto-aiuto.

Se invece si considera la sanità una delle più importanti opere pubbliche della nostra nazione occorre trovare il modo di non abbandonare questo bene comune ricorrendo, con responsabilità bipartisan, a modelli come il Welfare di Comunità (vero!) elaborato da Stefano Zamagni e al medico autonomo/autore di Ivan Cavicchi.
La riforma 833/1978 è stata crivellata, dalla sua promulgazione ad oggi, da una infinità di controriforme (nazionali e locali) che l’hanno sostanzialmente annullata.

Attualmente l’asfissiante chiacchiericcio sulle Case della Comunità, Ospedali di Comunità, Distretti, dipendenza dei mmg ecc. sembra voler nascondere la mancanza di una cultura sanitaria pubblica.

La comunità, secondo Aristotele, non è definita da un luogo, da un ambito geografico o da una struttura (CdC) ma dal fatto che un gruppo di cittadini siano in grado di garantire una buona vita alle persone di un territorio affinché possano sviluppare una esistenza indipendente e autonoma pur all’interno di una reciproca solidarietà così che concretizzi una vita degna di essere vissuta. La comunità (contenuta nei numeri) è prioritaria rispetto ad un individuo anche se, proprio grazie alla solidarietà degli altri, lo stesso soggetto singolo può sviluppare la propria individualità.

Infatti la persona non solo è un vivente politico-sociale-comunitario ma è anche l’unico essere che ha il logos cioè il linguaggio-ragionamento “prudente/calcolante” ed è in grado, con la ragione e il dialogo, di stabilire, ad esempio, forme di assistenza misurata (es.: da parte dei mmg) e proporzionata per quella comunità affinché non prevalgono logiche individualistiche dannose (es.: un consumismo amministrativo).
Ciò che dà valore “unico” ad una comunità raccolta intorno ai propri mmg di riferimento sta nel fatto che, in questo modo, è possibile soddisfare i bisogni dei suoi componenti seguendo il criterio di “finitezza” a sua volta sostenuto dal tessuto solidale. Da questo punto di vista potrebbe apparire irragionevole e solo economicistico mettere in campo un costoso meccanismo di appropriatezza prescrittiva. Chi se non il mmg può aiutare le persone, che lo hanno scelto fiduciariamente, ad inserire nel loro bagaglio culturale il concetto del limite, della misura, financo che la vita ha un termine? Non saranno certo le istituzioni o le alte dirigenze o le amministrazioni o i protocolli o gli algoritmi a poter comunicare empaticamente tali riflessioni.

Contrariamente alcuni recenti movimenti filosofici, immersi in una realtà neoliberista, tendono a promuovere una vita illimitata e senza termine (trans umanesimo e post umanesimo). Così la società consumistica opterà per un soddisfacimento dei desideri individuali con quella smania di illimitatezza che corrisponde alla massima distanza dalla ragione. Questa cultura che penetra anche le istituzioni e i gruppi culturali satelliti porta alla disgregazione del tessuto comunitario e della sua tenuta etica. La mancanza di limite riproduce sempre lo stesso ciclo di produzione consumistica tanto da arrivare ad utilizzare i cittadini (volontari, professionisti, assistiti) come semplici strumenti operativi.

La comunità giusta è quella che non è troppo grande né troppo piccola, non ha troppi abitanti né troppo pochi, non conta persone troppo ricche né troppo povere. E’ una popolazione che necessita quindi di un auto-controllo autonomo interno grazie ad individualità specifiche solidali (es.: mmg fiduciari) e all’alternanza tra il governare e l’essere governati perché, questo, è il vero abitare la democrazia.

Tommaso (che avrebbe volentieri voluto battezzare Aristotele), sostiene che, nel caso vi fosse pericolo per la comunità e il bene comune, sarebbe lecita la “perturbatio” cioè la ribellione in quanto significherebbe disubbidire ad una tirannide e obbedire a Dio.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

08 aprile 2024
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Un attimo, per riprendere fiato dal soffocante pensiero unico

Gentile Direttore,

le note controriforme e le ingarbugliate innovazioni, pur consacrate dal soffocante pensiero unico, mostrano già l’inconsistenza a causa di fondamenta costruite sulla sabbia. Alcuni ricorderanno i contenuti del art. 1 della legge Balduzzi (2012) dove si declinavano le funzioni delle AFT (Aggregazioni Funzionali Territoriali). Le regioni hanno poi generato caos inventando numerosi acronimi per marcare il loro territorio. Il DM 77 è una legge che sembra fatta su misura per creare confusione. Fa eco il recente ACN.

Il PNRR sollecita espressamente l’attuazione dell’assistenza di prossimità ma considera le CdC e gli Ospedali di Comunità (tutt’altro che di Comunità) come esempi e non come modelli unici. Ex cathedra si ammette infatti che le CdC (prevalentemente “spoke”) non siano adeguate ai reali bisogni delle popolazioni e dei professionisti.

Nonostante l’inesorabile penetrazione del privato nel SSN, le alte dirigenze (Regionali e Aziendali) si sono cullate nella certezza della loro perenne esistenza e del fatto che alcuni servizi non sarebbero mai stati appetibili al privato-privato e il ruolo di dominio istituzionale, in quei settori, non sarebbe mai stato conteso. In pochi mesi si sono moltiplicati PS, Sert, pronti interventi di base h/24, rianimazioni… il tutto rigorosamente privato-privato!

Alcuni commentatori hanno osservato che le gerarchie di potere (“sappiamo cosa è meglio” per voi) potrebbero essere le prime a non volere mai nessuna vera innovazione proprio perché sarebbe più conveniente, per loro, un orientamento sulla malattia piuttosto che sul cittadino. Così appaiono come “grande finzione” anche le CdC conformi alle contraddizioni contro-riformistiche e ai consociativismi. Questi ultimi probabilmente non più attribuibili a convergenze storiche (es.: istituzioni e sindacato) ma a solide collaborazioni tra istituzioni e/o gruppi che condividono interessi particolari e comuni.

L’urgenza riformatrice desiderata da cittadini e professionisti è contrastata dalla smisurata quantità di tempo gestionale a disposizione delle alte amministrazioni dove il neoliberalismo ed il consumismo sembrano essere proprio di casa.

Il potere di Regioni e Aziende è talmente possente che non c’è spazio per elaborazioni che non siano più che allineate in quanto ciò che una regione delibera, in ambito sanitario, diventa legge. Le Aziende Locali, poi, applicano il mandato avendo come principali o unici referenti politici e datori di lavoro gli Assessorati Regionali.

Si ricorderà l’enorme pressione comunicativa messa in atto nel periodo in cui gli apparati avevano deciso di chiudere i piccoli ospedali territoriali spesso presidi “gioiello” e vere scuole di integrazione con il territorio. Anche allora (USL) i referenti erano politici ma facilmente raggiungibili ed individuabili. I piccoli ospedali sono stati chiusi con la promessa di istituire presidi territoriali “equivalenti”. Ciò poteva sembrare, in un primo momento, accettabile per professionisti e cittadini ma poi è stata varata la controriforma sulle CdS del 2016.

Il Covid ha ricordato tutto ciò ma, al momento, il sistema è immodificabile a causa della legislazione vigente.

Una riflessione a parte merita la questione “comunità”. Non vi sono dubbi che il senso di appartenenza e i legami sociali siano stati fortemente provati dalla globalizzazione finanziaria. Dal punto di vista sociologico-sanitario, per la prima volta, si verifica un elemento inedito. Si può osservare la compresenza, in ambito occupazionale, di nette stratificazioni generazionali che manifestano dirompenti differenze culturali.

Nello specifico i giovani colleghi che intraprendono, oggi, la professione di mmg si trovano a confrontarsi in modo nuovo con istituzioni a struttura medioevale e con le comunità di riferimento (assistiti coetanei ma anche “silenti” o “boomer” che li hanno scelti fiduciariamente). Cosa ricercheranno nei giovani medici questi cittadini? Come considereranno i mmg il loro inquadramento professionale-giuridico, la loro autonomia, l’essere all’interno di una sempre più diffusa complessità, l’aumento delle tensioni sociali e le smisurate ansie individuali di molti assistiti?

Forse la generazione precedente dei medici di famiglia non si è preoccupata di organizzare una adeguata trasmissibilità esperienziale ai giovani colleghi così, è possibile, che gli stessi nuovi mmg non si siano particolarmente interessati a questo aspetto. Non di meno la professione sarà coinvolta nel far fronte ad alcuni strati della popolazione che manifesterà sindromi da sradicamento culturale e che frequenteranno l’ambulatorio del medico di base.

Considerato questo stato di cose i giovani colleghi potrebbero rappresentare un valore aggiunto in grado di comporre una sintesi tra professione e società. Dal punto di vista antropologico si può sostenere che i giovani professionisti abbiano un “cervello” nuovo, una professionalità e una intellettualità immersa nella marea tecnologica in grado di far fronte alle criticità sanitarie burocratiche-amministrative e di affermare una autonomia professionale coerente con il paradigma della complessità.

Questa potrebbe essere la vera “casa” abitata da giovani dottoresse (maggioranza in ambito delle cure primarie) e dottori abili nel costruire i principi per una riforma strutturale nazionale che necessita, per forza di cose, di una partecipazione bipartisan se si desidera finalmente superare tutte le assunzioni controriformiste. Tra queste vanno ricomprese anche gli improbabili modelli esteri o esotici molto pubblicizzati (come nella più classica delle promozioni neo-liberali) dimenticando, colpevolmente, la presenza, nel nostro paese, di questa nuova generazione di medici, inimmaginabile fino a poco tempo fa.

Non a caso l’ultima fatica del Prof. Ivan Cavicchi (“Medici vs Cittadini”, Castelvecchi, 2024) affronta il tema della ridefinizione giuridica del medico ma immette anche, all’interno del dibattito e della riflessione, la questione della complessità come nuovo “archè” che non può più essere tralasciato (Byung-Chul Han, “La crisi della narrazione”, Einaudi, 2024) se si desidera rappresentare la “questione medica” e una cultura assistenziale coerente con l’attualità post-moderna.

Bruno Agnetti

Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

25 marzo 2024

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Medicina Territoriale

La professione medica è ancora in grado di riprendere in mano il proprio destino

Gentile Direttore,

ancora una volta Ivan Cavicchi con il suo nuovo instant book (Medico vs cittadini, un conflitto da risolvere, Castelvecchi, 2024) ha regalato una profonda riflessione che parte dalla controversia della “colpa professionale medica” ed arriva ad affrontare un tema filosofico, etico, sociale semplicemente enorme.

Il professore e collega ha pensato di giocare d’anticipo senza aspettare la conclusione dei lavori della Commissione d’Ippolito costituita, ad hoc, dal Ministero di Giustizia con l’obiettivo di segnalare possibili errori e contraddizioni che potrebbero, se non rivisti, rendere la categoria e i cittadini “prigionieri di leggi sbagliate” difficilmente poi modificabili.

Già il titolo del libro pone un tema etico complesso: tutti i medici sono cittadini ma non tutti i cittadini sono medici: in una situazione di questo tipo chi riveste un ruolo sociale e professionale particolare? Come si può costruire o formare, oggi, una relazione pattizia medici e cittadini? Chi può svolgere la funzione educativa/pedagogica e quella di testimone del “contratto sociale”? Chi riconosce chi? Come può essere costruito un adeguato e contestuale rispetto reciproco?

Sono quindi in gioco “un mondo” di valori essenziali. Sia sufficiente, in questa sede, pensare a cosa capita quotidianamente nella realtà assistenziale: nelle cure palliative portate al letto del malato, al suo domicilio dal mmg che, proprio per il contratto sociale “immateriale”, l’assistito “elegge” come giusto, libero, veritiero, valido e in grado di assisterlo negli ultimi momenti. La situazione è incommensurabilmente diversa da un banale contratto d’opera, se non altro, perché si ha a che fare con il mistero della vita e della sua conclusione. Ha poca importanza, alla fine, la tecnologia o le altre competenze scientifiche. Ciò che è veramente richiesto è una avvolgente abilità relazionale (infatti il mmg è considerato il palliativista di riferimento per il proprio assistito).

Forse una attualizzazione degli storici criteri relativi alla “colpa” professionale (imperizia, imprudenza, negligenza) potrebbero essere più che sufficienti per poter archiviare o attivare le sanzioni, in tempi brevissimi. L’errore umano è sempre possibile a fronte di una realtà ancora sconosciuta nella sua essenza (la vita), che alcuni considerano sacra, e forse è anche corretto che chi deve prendere decisioni tenga conto di questo aspetto.

Non è compito della Commissione Ministeriale indicare le strategie per ridurre la conflittualità però, la stessa Commissione, potrebbe avventurarsi in qualche sapiente suggerimento. Se la problematica di fondo è la formazione generale dei professionisti affinché siano in grado di leggere le modifiche sociali e di ridurre di conseguenza i contrasti, quante cose devono cambiare per impostare ciò che sarebbe necessario? Che valore culturale e di maturazione professionale possono apprendere gli studenti di medicina sottoposti, per gli esami, a test scritti pieni di trucchetti e tranelli più che di una vera valutazione della maturità professionale in crescita? Che rapporto possono avere i futuri medici con il sociale o con il sapere se tutto viene ridotto ad un perfido e narcisistico superenalotto?

Siamo certi che non siano ormai fondamentali, durante il corso di laurea, più esami di psicologia, filosofia, etica, sociologia, antropologia, accorpando eventualmente, qualche esame che tende a ripetere ciò che è appena stato fatto al liceo?

Anche le istituzioni locali e regionali, seguite pedissequamente dai loro accoliti, hanno palesato una incapacità culturale assordante. E’ stato fatto di tutto per fare sprofondare la professione così che il rapporto professione-cittadini è diventato di fatto inagibile.

Il riconoscimento reciproco (patto sociale) resta fondamentale se i due “giocatori” in campo (medici e cittadini), non vogliono perdere.

Il tempo che stiamo vivendo potrebbe essere sintetizzato da alcune parole chiave: modernismo, postmodernismo (quarta rivoluzione), trans-umanesimo, post-umanesimo, consumismo, globalizzazione, neoliberalismo. Una bella complessità. Nemmeno il Covid è riuscito a stimolare pratiche di cambiamento radicale. In ogni caso i movimenti filosofici citati e l’inarrestabile avanzamento tecnologico obbligherà la professione a profonde modificazioni che la regressività di DM77, ACN, Regioni e Aziende non sono nemmeno in grado di immaginare (“cinismo dell’incapacità”). La “quarta rivoluzione” se non sarà gestita con intelligenza ed umanità darà valore non tanto ai professionisti ma ai contratti d’opera, ai formulari, alle procedure, agli algoritmi prescrittivi, ai nomenclatori, ai tariffari… ma dove sarà il medico amico sincero e disinteressato nei momenti importanti della vita? Alcune teorizzazioni del post umanesimo ipotizzano la definitiva scomparsa dei dualismi così che in un mondo di cyborg non ci sarà più posto (bisogno) per medici e cittadini e nemmeno per l’umanità.

La medicina generale può ancora diventare un valido strumento per ridurre la conflittualità sociale in ambito sanitario. Infatti nelle piccole comunità, ancora oggi, riesce a dare un senso alle cose fondando l’agire professionale sul contratto sociale “olistico". La scelta fiduciaria favorisce una azione educativa e formativa che permette di far fronte al dott. Google, ai robot, ai totem, all’assalto dei “malatisti” esperti in scorciatoie per il PS e per la specialistica/diagnostica.

Anni di discredito da parte delle aziende e delle regioni nei confronti delle competenze diagnostiche, terapeutiche, riabilitative dei mmg non poteva che portare tutti al punto in cui ci si trova. Il relativismo e l’economicismo hanno desertificato l’ambito dei valori ma il medico, se vuole, ha la sensibilità per ritornare a riconoscere il dolore umano (e il proprio) e ad ascoltare la sofferenza (che è l’elaborazione mentale del dolore). Questo anche se la società è imbibita di ansia, non riesce più a rallentare, l’amigdala è iperfunzionante mentre la corteccia prefrontale, razionale, è inibita. Le persone non sono più abituate ad affrontare certi temi che la tradizione aveva comunque inserito e mantenuto anche nel periodo della modernità e della postmodernità (il fine vita, la malattia, il dolore, la sofferenza, l’ansia). Il medico è ancora in grado di riprendere in mano il proprio destino e quello della professione perché la cura e il prendersi cura non rientrano solo nei diritti politici ma è l’espressione di una questione ontologica (medicina scienza coraggiosa e impareggiabile).

Bruno Agnetti

Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

06 marzo 2024

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Una formula esemplificativa può essere considerata una affermazione cogente?

Gentile Direttore,

nel 2021 l'Unione Europea ha regolamentato il noto strumento finanziario (PNRR) per supportare la ripresa negli Stati membri dopo il periodo Covid. Nel 2022 è stato emanato il Decreto Ministeriale (DM77) che descrive i nuovi modelli e gli standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale del SSN (Casa della Comunità, Numero europeo per la Centrale Operativa, Centrale Operativa Territoriale, Infermiere di Famiglia e Comunità, Unità di Continuità Assistenziale, Assistenza Domiciliare, Ospedale di Comunità, Rete delle Cure Palliative, Servizi per la Salute dei Minori-delle Donne-delle Coppie-delle Famiglie, Telemedicina).

Nel 2023 la modifica del PNRR presentata dal Governo italiano non ha modificato la Missione 6 (potenziamento e creazione di strutture e presidi territoriali, il rafforzamento dell’assistenza domiciliare, lo sviluppo della telemedicina ed una più efficace integrazione con tutti i servizi socio-sanitari). Nello stesso 2023 viene istituito un tavolo tecnico (affollatissimo) dal Capo di Gabinetto del Ministero della Salute con il fine di studiare le criticità emergenti sanitarie anche se nei vari sottogruppi non è stato espressamente indicata, come materia da indagare, il riordino delle cure primarie. Di conseguenza si può ritenere che il DM 77 non contenga particolari criticità relative all’organizzazione assistenziale territoriale.

Gli interventi riportati su QdS in merito alla medicina generale sono stati molto interessanti, operativi e pragmatici. Le diverse sensibilità sono tutte meritevoli di attenzione (es.: mmg dipendenti o mmg liberi professionisti convenzionati autori/opera di se stessi). Nondimeno sarà concesso a qualche “spettatore”, di approfondire alcuni contenuti con l’angolo di osservazione dell’assistito che, per ragioni varie, frequenta gli ambulatori dei mmg.

L’intento dell’esercizio è quello di analizzare se in qualche costrutto teorico possano celarsi antinomie o contraddizioni in grado di minare nelle fondamenta le stesse ipotesi a discapito dei pazienti e dei loro medici di base di riferimento.

Il latte è stato frettolosamente versato e le norme sono state emanate per la soddisfazione di aziende e regioni.  È facilmente prevedibile che dopo la cornice, sufficientemente regressiva, del recente ACN, le regioni, nella loro già smisurata autonomia in tema sanitario, recupereranno il terreno e re-interpreteranno l’intero DM77 “pro domo eorum” con la pubblicazione degli Accordi Regionali.

Nel postulato di base del PNRR (assunto poi pienamente dal DM 77 e nel divinizzato pensiero unico dominante che incensa in ogni dove le Case della Comunità spoke) si afferma che per adempiere alla Missione 6 punto 1 sia opportuno erogare prestazioni, creare strutture e presidi territoriali. Questa affermazione è subito seguita da una parentesi che inizia con un “come”. In che modo va interpretato il “come”? Secondo la Treccani il termine “come” potrebbe essere considerato un avverbio di maniera (esemplificativo, al modo di) senza per forza significare una iniziativa a carattere cogente. Se così fosse sorge spontaneo il dubbio che il punto 1 della Missione 6 possa essere raggiunto anche con altre modalità più adatte alla complessità e alla compossibilità tipica delle cure primarie (es.: con il potenziamento strutturale e funzionale, su tutto il territorio nazionale delle medicine di gruppo e dei NCP seguendo anche le linee guida professionali Wonca singolarmente nemmeno nominate nel DM77 e nel recente ACN).

Le leggi e gli accordi sono comunque varati e la nave ha impostato una rotta (improbabile). La soffocante narrazione unica (incantatrice, contagiosa e foriera di relativismo etico) insiste sui grandi benefici delle Case della Comunità spoke che tuttavia presentano, nella concretezza, un’offerta di servizi carente e nemmeno paragonabili alla reale operatività di una qualsiasi Medicina di Gruppo ben organizzata.

Comunità Solidale Parma, associazione di volontariato (ODV), grazie alla disponibilità dei volontari facilitatori, sta realizzando una piccola indagine (questionari e interviste) rivolta ai pazienti che frequentano l’ambulatorio/medicina di gruppo. La finalità è quella di sondare uno stato d’animo e il clima emotivo degli assistiti nei confronti della medicina generale di base e delle informazioni che le persone ricevono dai media in merito a questo tema. Da una prima stima molto parziale, non analitica e casalinga, emerge che su 100 assistiti adulti, frequentatori della medicina di gruppo il 47% non sa cosa sia una “Azienda” sanitaria; il 71% considera il rapporto fiduciario con il mmg fondamentale e non vorrebbe che il medico di base diventasse un dipendete pubblico; il 57% si augura che il SSN abbia una direzione nazionale e non regionale e il 66% vorrebbe cimentarsi, autonomamente, nell’intero processo decisionale su questioni che riguardino la comunità o il quartiere nella convinzione che la medicina generale vada considerata un bene comune per una popolazione. Il 68% degli assistiti contattati hanno dichiarato di non sapere quale sia la differenza tra Casa della salute e Casa della Comunità. Percentuali molto elevate e positive, 82%, hanno ricevuto le domande che indagavano il gradimento degli assistiti verso il ruolo di servizio dei volontari facilitatori presenti tutti i giorni in ambulatorio con la funzione di aiutare l’accesso e l’orientamento degli assistiti soprattutto quando le questioni richiedono accoglienza affettuosa e parole cordiali.

Alcuni comportamenti all’interno delle piccole comunità guidati dall’etica professionale e collettiva possono interagire in modi complessi ma sono in grado di riformulare il futuro sanitario. Indipendentemente dalle norme già varate nulla impedisce di pensare a nuovi modi di fare le cose capaci di rendere culturalmente inutili quelle attualmente proposte (già avvizzite al loro apparire).

Bruno Agnetti

Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

04 marzo 2024

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Medicina Territoriale

Il mmg e gli assistiti sono “fondi disponibili”?

Gentile direttore,
Milena Gabanelli (Dataroom del 22 gennaio 2024 su La7) ha presentato un quadro del SSN disarmante. Non è che non si sapesse che il re fosse nudo. L’imbarazzo deriva dal fatto che l’insieme delle informative fa apparire la questione ancor più irrimediabile di quanto previsto dimostrando vieppiù che “il difetto sta nel manico”.

Numerosi sono i dubbi che emergono: è noto che le agenzie nazionali e regionali, attrezzate di tutti i tecnici possibili ed immaginabili, sono state create a suo tempo per aiutare le regioni (e le aziende) a gestire l’aspetto amministrativo. Perché quindi si continua ad esternalizzare ai big della consulenza globale la problematica economica/finanziaria delegandoli addirittura ad analizzare i dati sanitari dei pazienti e di conseguenza a sovraintendere la politica sanitaria?

La stagione delle consulenze esterne in sanità non è mai terminata ma da qualche tempo c’è un boom delle assistenze contabili/monetarie che portano soggetti terzi ad operare su una mole enorme di dati sanitari dal valore inestimabile ma analizzati con l’angolo visuale “consulenziale” o di mercato (es.: strategie di appropriatezza farmacologico/prescrittiva). “Se fai entrare soggetti privati nel cuore del sistema sanitario nazionale per sfornarti il pacchetto completo e a te, pubblica amministrazione, non rimane nemmeno il Know how, a cosa servono i direttori generali, i funzionari, i dirigenti nazionali, regionali e locali?”.

Chi redige poi materialmente i documenti ufficiali che divulgano a professionisti e a cittadini il posizionamento politico sanitario (es.: Accordi Collettivi Nazionali e Regionali, i DM)? Perché questi documenti sono scritti così male che richiedono spesso chiarimenti interpretativi “autentici” ex-post come ricordava già nel 2012 un documento della stessa Sisac?

In questa situazione come è possibile che le recenti ipotesi di riordino delle cure primarie siano libere da pressioni esterne? Le istituzioni sanitarie hanno le competenze culturali, autonome, per riuscire a disegnare insieme ai professionisti e agli assistiti strategie coerenti con l’evoluzione sociale?

Sembra che l’unico archetipo continui ad essere, inossidabile, quello economicistico/finanziario, considerato emancipativo ma in grado, anche, di creare un deserto etico dietro di lui.

Infatti l’antinomismo della medicina amministrata produce per assurdo un nuovo “consumismo” per la verità non attribuibile ai comportamenti delle persone/assistiti ma procurato dalla stessa struttura istituzionale che sempre di più considera i professionisti e i cittadini “fondi disponibili” da utilizzare e da mettere a rendita in conformità dell’idea di uno “sviluppo sostenibile”. Se non si assume il modello di “compossibilità” in grado di ricercare, in un sistema complesso come è la sanità e ancor di più la salute, il minor grado di contraddittorietà possibile nella relazione politica/salute/sanità/economia è inevitabile che il concetto di “sviluppo sostenibile” diventi un ossimoro.

Alcuni modelli/movimenti organizzativi territoriali esotici che vanno per la maggiore e quelli che ipotizzano mmg dirigenti/dipendenti potrebbero apparire in prima battuta come una miglioria ma potrebbero nascondere le premesse per un nuovo “consumismo” in quanto le normative attuali permetterebbero, in caso di necessità, una distribuzione dei professionisti su tutta l’area della AUSL/Provincia riproponendo così il disegno di una disponibilità utilizzabile da mettere a profitto delle aziende ( es.: in situazioni di carenza di servizi di base territoriali per mmg di AP o per mmg di CA).

Eppure la professione del mmg ha ancora qualche cosa di “incommensurabile” per le comunità di riferimento. Il medico è un intellettuale che per sua natura non può essere a implementazioni illimitate o a processi che tendono a svalutare la natura sociale e comunitaria del suo operare (e del suo pensare). Le alte dirigenze, racchiuse nel pensiero unico, non ce la fanno ad uscire da una visione di potere amministrativo/finanziario. Anzi le normative incrementano la medicina amministrata e ci si muove con difficoltà all’interno del basilare paradigma bio-psico-sociale da cui dovrebbero derivare norme e modelli etici e veritieri.

Che ci sia un problema strutturale nella nostra sanità è evidente. Pare vi sia una continua emergenza che però secondo alcuni pensatori diventerebbe una strategia governamentale che pota ad accettare l’inaccettabile (M. Foucault 1978; M.Friedman Nobel per l’economia nel 1976). Attualmente irricevibile sarebbe la riorganizzazione territoriale descritta da DM 77 che verrà ulteriormente gestita dagli accordi regionali e locali. L’elemento che accomuna molti aspetti della crisi sanitaria attuale è una mancanza di fiducia diffusa tra assessorati e aziende da una parte e professionisti, cittadini dall’altra a causa dell’imperante cultura finanziaria. “Oggi si parla in ogni dove di community, ma la community è solo una forma mercificata di comunità” (Byung-Chul Han, 2023). Per aspirare alla verità, anche in merito di salute strettamente collegate ad una cultura di comportamenti e stili di vita opportuni, è necessaria una radicale riforma che preveda un riscatto delle periferie indicando, per gli affollati assessorati e aziende, un posizionamento tipo authority valoriale.

Se la professione viene narrata o descritta come prestazione quantitativa o come attività lavorativa numerica, (essendo non completamente dimensionabile o afferrabile), non riuscirà a sfuggire dallo sfruttamento. Il consumismo istituzionalizzato riesce a strumentalizzare anche l’anelito di salute (spesso identificata dalle persone “solo” come guarigione o risoluzione dei problemi). La relazione di cura, lontano da tentazioni consumistiche, tenta invece di ricercare, insieme, la più percorribile omeostasi qualitativa per quel momento specifico pur riconoscendo di operare in un universo di incertezza e imprevedibilità. Certamente la missione principale del mmg non è quello di fare da filtro per i PS (Wonca 2012-2023).


La “banalità” della aziendalizzazione/governance

Gentile Direttore,
la riflessione vorrebbe concentrarsi sul tema degli esiti che possono derivare da processi decisionali assunti ideologicamente e con una scarsa consapevolezza relativa alle conseguenze nel medio/lungo periodo. Pare questa oggi la condizione del SSN: quella di dover considerare appunto le conseguenze. Alcuni dati di fatto relativi al fenomeno di causa/effetto in sanità (aziendalizzazione, organizzazione manageriale, governance …), sembrano incontrovertibili e vengono reiterati come fossero miti inconfutabili. Le recenti normative definite “riforme” (es.: DM77 e imminente ACN) non apportano nessuna sostanziale innovazione. Paradossalmente sembrano amplificare le contraddizioni e le differenziazioni.

Un grande malessere serpeggia quindi all’interno di una organizzazione dedicata, istituzionalmente, al benessere e il disagio condiziona soprattutto l’operatività dei professionisti e la fiducia degli utenti. Il sospetto è che, per qualche ragione, sia stato smarrito il quadro generale (complessità) a causa di una frenesia orientata al raggiungimento di obiettivi soprattutto economicistici (linearità).

È malinconico e anche noioso reiterare sempre i soliti esempi appartenenti alla galleria delle profezie fallimentari auto avverantesi: le Case della Comunità generatrici di una babele di disparità assistenziali e professionali; gli ospedali di comunità (OSCO) tutt’altro che di comunità; i cacofonici CAU forse causa di ulteriori desertificazioni enigmatiche dei servizi territoriali. Eppure le recenti esperienze avrebbero dovuto suggerire la necessità di abbandonare completamente modalità organizzative frettolose up-down che continuano a coinvolgere professionisti e utenti immancabilmente ex-post.

Per troppo tempo si è assistito al paradosso di vedere il Servizio Sanitario Nazionale o il territorio o la medicina generale di base ostaggio di un Sistema Sanitario Nazionale e Regionale ossessivamente amministrato (con risultati pessimi).

Non sarebbe una cattiva idea se nascesse l’ambizione da parte dei vertici istituzionali del SSN, pur a normativa corrente, di cercare comunque di avviare un comitato di salute pubblica, molto contenuto nel numero dei componenti, che possa elaborare una proposta culturale contenente alcuni elementi fondamentali a supporto di una reale riforma sanitaria coerente al contesto sociale. Così come è basilare individuare un nuovo baricentro assistenziale territoriale basato sulle piccole comunità o sui consorzi o sulle storiche USL e, contemporaneamente, dovrebbe essere attivato un programma di deregulation delle Aziende AUSL.

Tutto ciò potrebbe apparire semplicemente velleitario. Dipende dai paradigmi di riferimento concepiti (quarta riforma, compossibilità…).

Recentemente per il tema dell’Intelligenza artificiale e per le reti generative sono stati coinvolti, in tempi brevi, studiosi a prova di curriculum sia in istituzioni nazionali che europee. Sarebbe altrettanto auspicabile che le “pietre angolari” di una rinnovata cultura sanitaria della complessità possano coinvolgere ed appassionare operatori del settore che siano anche ferrati in filosofia della scienza e della medicina e studiosi dell’organizzazione sanitaria. Come una “road map” ben calendarizzata potrebbe apparire essenziale, così dovrebbe esserlo anche il dibattito pubblico.

In generale si può affermare che le distanze culturali e sociali tra le persone e gli attuali decisori siano gigantesche. In un contesto simile è comprensibile che nei cittadini possa crescere l’ansia a causa di una profonda incertezza culturale e psicologica nei confronti della “galassia salute”. La conseguenza è che le persone sono così portate a chiedere tutto. Non si tratta, solo, di una educazione sanitaria carente ma la percezione è che venga a mancare un supporto percepito come ontologico, essenziale per l’essere o per la vita.

A livello professionale le finte riforme recentemente pubblicate (a tutti gli effetti controriforme), propagandano, in modo unilaterale, la ricetta perfetta per una organizzazione assistenziale che tende al consumismo amministrativo sanitario lineare, performante. L’efficienza e l’efficacia sono gli storici idoli economicistici. La misurazione non può essere considerata l’obiettivo fondamentale per la promozione della salute (sistema complesso). La linearità fideistica rende l’assistenza territoriale di base standardizzata, anonima e il mmg uno schiavo “inumano tecnologico” (Sennet R. 2009).

Il consumismo istituzionalizzato enfatizza e strumentalizza anche la salute (spesso identificata dalle persone come guarigione o completa risoluzione dei problemi). La relazione di cura tenta invece di ricercare, insieme, la più percorribile omeostasi qualitativa per quel momento pur riconoscendo di operare in un universo di incertezza e imprevedibilità.

I sanitari territoriali lamentano (basterebbe ascoltarli) che le loro attività siano costantemente esposte agli effetti, a volte perversi, dovuti ai cambiamenti burocratici/organizzativi/gestionali imposti dalla classe dirigente aziendale nella quale non si riconoscono. Tuttavia questi professionisti riescono ancora a fare la differenza quando si confrontano liberamente tra di loro, con i pazienti, con le loro famiglie e con le comunità. Il futuro è strettamente collegato alla cultura che può nascere in questa area “periferica” dimenticata dal sistema verticistico e dalla sanità amministrata.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

16 gennaio 2024
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Dente di leone

I “fondamentali” e l’Assistenza Territoriale di Base

Gentile Direttore,
un paradigma, secondo la filosofia della scienza, corrisponde ad una “matrice disciplinare” stabile nel tempo e condivisa all’interno di una vasta comunità scientifica che studia quella parte della conoscenza. Dal 1946 l’OMS ha adottato il modello Bio Psico Sociale (BPS) come paradigma di riferimento per l’approccio alla complessità della persona con particolare attenzione alla sua salute. Oggi il modello ha quasi 80 anni è e pare essere tutt’ora saldo anche se nel tempo ha affrontato numerose declinazioni.

Il tema della integrazione tra le sue componenti (oggi più correttamente si dovrebbe utilizzare il termine co-operazione) è così essenziale che qualsiasi intervento che si dovesse concentrare su uno solo dei fattori riportati nel paradigma inevitabilmente produrrebbe effetti inadeguati sia concettuali che operativi. E’ quindi auspicabile una costruttiva co-operazione tra le specifiche dimensioni sociali (cultura, spiritualità, aspetti esistenziali), psicologiche e professionali (albero delle competenze costitutive Wonca per la Medicina Generale di base 2011-2012-2023).

Alcune premesse risultano quindi inevitabilmente fondamentali per impostare argomentazioni relative ad una riforma del SSN e delle Cure Primarie al fine di proteggere il dibattito da dissertazioni che già in origine contengano contraddizioni foriere di derive di convenienza e di interessi parziali.

L’approfondimento intellettuale e scientifico deve poter proseguire nonostante che normative, accordi, strutture organizzative, processi decisionali attualmente dominanti rappresentino una vera “fiera delle incoerenze” e una conseguente negazione del paradigma BPS.

Qualche esempio tra i tanti:
• la modifica della situazione che riguarda il Titolo V non può avvenire se non ci si occupa di una riforma del SSN e di quella parte della Carta Costituzionale;

• non è coerente dichiarare che si considera necessario riformare l’attuale normativa che guida il Titolo V e nello stesso tempo sostenere il potenziamento dell’aziendalizzazione delle AUSL e delle sovrastrutture territoriali;

• la mitizzazione normativa della “governace” contenuta in numerosi elaborati istituzionali e laici non corrisponde al sentire di professionisti e cittadini;

• il CCM (Chronic Care Model) è un emblematico esempio di modello “esotico” che non riesce ad aderire pienamente al Paradigma BPS in quanto le numerose criticità evidenziate offrono una plastica prevalenza della dimensione “bio” su altre componenti del modello ( epidemiologia, demografia, frammentazione informativa, devastazione delle forme organizzative inerenti la continuità assistenziale e la continuità dell’assistenza, presa in carico difformi, scarsi effetti positivi su mortalità, accessi al Pronto Soccorso e ospedalizzazione);

• è velleitario pensare ad un coinvolgimento nel processo decisionale dei professionisti territoriali (titolari di responsabilità differenti) e dei cittadini se non si “scaravolta” la piramide gerarchica/oligarchica dando un ruolo vincolante alle comunità ristrette e ai loro professionisti;

• può sommessamente essere ricordato che dal punto di vista “economico” (oggi motore immobile di ogni valore relazionale) i mmg, oppressi dal “consumismo” normativo aziendale non beneficiano di tutele, non ottengono tredicesime e nemmeno TFR;

• se la medicina territoriale (servizi e Cure Primarie) mantiene una certa scarsa attrattività (per ora) da parte del privato forse potrebbe diventare la pietra d’angolo per costruire un nuovo ed esplicito servizio sanitario pubblico, accessibile, universale e gratuito;

• gli attuali decisori dei destini del SSN dopo anni di egemonia prima o poi dovranno lasciare i ruoli decisionali ma cosa resterà in mano ai cittadini e ai professionisti? Forse numerosi siti di interesse archeologico (rovine)?

Può esistere un fondamentale epistemologico acclarato da cui partire nell’elaborazione intellettuale per una riforma del SSN ed in particolare delle Cure Primarie che possa avere concrete ricadute sui territori e sulle comunità? Le conseguenze del DM 77, dell’imminente ACN, del frettoloso, confuso e discriminante piano di riordino delle cure territoriali apparso con il PNRR (Case della Comunità, ospedali di Comunità, Distretti, CAU…) autorizzano un pensiero sfavorevole.

Questo capita perché è assente la cultura della complessità quando si pensa di gestire il territorio. Tralasciando in questa sede i noti fallimenti programmatori, pare non sia possibile ragionare di auto-organizzazione e di auto-formazione pur essendo queste caratteristiche tipiche dei sistemi complessi (quasi un marchio di fabbrica) e quindi perfettamente applicabili ai territori. In natura l’auto-organizzazione emerge come fenomeno bottom-up cioè a piramide gerarchica annullata o rovesciata. Le istituzioni continuano però a non volere accettare questa sfida o questa sperimentazione radicale. Molto presto sarà il privato ad accorgersi che questi valori potrebbero essere produttivi e molto remunerativi. Infatti i sistemi complessi presentano proprietà omeostatiche che evidenziano capacità auto-organizzative e auto-formative (come dimostrato dai comportamenti organizzativi liberi, diagnostici e terapeutici di molti mmg che, autonomamente, in periodo covid sono riusciti a ridurre o annullare i ricoveri seguendo scrupolosamente gli assistiti, senza correre rischi ma basandosi su una propria cultura/formazione inerente processi diagnostici e sistemi terapeutici per altro ostacolati da alcuni protocolli aziendali).

Le formiche, gli sciami, i fringuelli, i pesci, gli stormi, i moscerini, le cellule, le molecole non hanno sistemi di predominio gerarchici o oligarchici. I leader sono assolutamente fiduciari o di servizio (es.: ape regina) o possono cambiare in relazione alle contingenze. È l’insieme che presenta le caratteristiche specifiche in grado di adattarsi, autoregolarsi, innovarsi in modo non prevedibile linearmente.

Il consumismo sanitario e quindi le spese di settore non riguardano tanto gli esami, i farmaci, i ricoveri, il welfare fai da te ma l’aspetto cognitivo dei soggetti e il significato che questi danno alla vita. Si può e si deve approfondire ogni aspetto della vita ma deve essere molto chiaro che non si potrà mai possederla del tutto.

Non si scappa, per non creare aspettative irrazionali c’è solo una strada, per nulla semplice, da percorrere (molto impegnativa per chi svolgerà ruoli di leadership responsabile e competente): è quella di un patto assolutamente fiduciario tra cittadini e professionisti territoriali in grado di recuperare una fiducia e forse una nuova “affabilità servizievole” nei confronti di possibili stili di vita umani, solidali, compossibili, liberi da preconcetti relativi alla vita serenamente consapevoli che anch’essa ha un suo traguardo incommensurabile.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

18 dicembre 2023
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case della salute

Per una filosofia delle cure primarie

Gentile Direttore,
in un articolo del 3 novembre il prof. Ivan Cavicchi ha sostenuto che fosse, in primis, necessario dire almeno qualche verità sulla situazione attuale del SSN per pensare ad una efficace riforma sanitaria. Questa ricerca della verità può essere facilitata in periferia dove i professionisti e le comunità possiedono una abilità originale nel leggere la professione e l’evoluzione sociale. All’origine della cultura occidentale sono state proprio le colonie ioniche o quelle della Magna Grecia che hanno contribuito alla sua diffusione più di quello che aveva fatto la madre patria (Atene).

Il tema dell’integrazione può essere un esempio emblematico di come la periferia riesca a superare di molto le elaborazioni istituzionali burocratiche. Molti mmg hanno creato spontaneamente reti di relazioni che permettono di operare in modo integrato. Il servizio territoriale del SerDP da sempre realizza un’integrazione quotidiana, strutturata tra medici, psicologi, servizi sociali, attività educative, infermieri, iniziative sperimentali ed innovative con volontari ed assistiti. È un modello ben rodato, interno al SSN, che avrebbe potuto essere utilizzato come schema formativo ed operativo per altri servizi territoriali e per la medicina di base indipendentemente dalla presenza o meno di strutture in conto capitale (Case della Comunità).

Malgrado questo le istituzioni (soprattutto regionali e aziendali) fanno a gara per ricercare modelli “esotici” di riordino del sistema di integrazione territoriale. In questi ultimi anni è cresciuto sempre di più, tanto da diventare “di tendenza”, il modello brasiliano (sic!). Qualche tempo fa erano “di gran moda” le Case della Salute spagnole o la pianificazione delle Cure Primarie portoghesi: a guardar bene sistemi completamente diversi dall’attuale SSN Italiano (es.: i mmg in quei paesi sono dipendenti).

Desta veramente meraviglia come i decisori possano essere così masochisti e incapaci di ascoltare o di vedere ciò che di prezioso c’è nel nostro territorio. Questa interminabile autoreferenzialità delle oligarchie porta il tutto al macero.

L’elenco delle contraddizioni inattendibili contenute nei documenti sanitari ufficiali e nelle elaborazioni delle agenzie culturali sono numerose. Si possono ricordare solo alcuni temi.

Il PNRR pur essendo uno “strumento finanziario” viene considerato dai più una riforma.

Il DM77 che palesemente “non spicca per innovazione” trascinerà comunque con sé per anni le incoerenze strutturali e regressive negli ACN, negli Accordi Regionale e in quelli Aziendali/locali.

Il concetto di “governance” è diffusamente percepito dagli operatori come un termine completamente sovrapponibile ad una rigida forma di governo di controllo assoluto e autoritario pur ammantato da affabilità.

“L’assistenza centrata sul paziente” è e sarà inesistente come dimostrato delle infinite, irrazionali e antiscientifiche liste d’attesa.

Finta è la valorizzazione delle comunità, del volontariato, del terzo settore ma anche dei professionisti di periferia che vengono coinvolti nel processo decisionale ex-post, in senso consultivo e solo se funzionali a quanto già deciso nei palazzi.

I Distretti raffigurati come “mera articolazione organizzativa delle Aziende” hanno dimostrato negli anni di essere fortemente regressivi e di non saper leggere i bisogni delle popolazioni, tuttavia continuano ad essere osannati ed incensati come elementi di innovazione.

I commissariamenti che perdurano da anni anche in realtà considerate eccellenti (luogo comune?) restano incomprensibili perché, indirettamente, avvallano il pensiero che in quei territori non vi siano individui in grado di svolgere le funzioni istituzionali stabilite dalle normative.

La questione della dipendenza o della libera professione convenzionata dei mmg non è “futile” ma sostanziale in quanto “l’orizzonte degli eventi” si modifica radicalmente. Anche se solo si trattasse del “diritto di critica” del dipendente che può essere esercitato solo all’interno di precisi limiti (come da sentenza della Cassazione 17784/2022) e, se non rispettati, un eventuale esternalizzazione avversa può essere soggetta alle conseguenze di una Commissione Disciplinare Aziendale.

Le Case della Comunità (in conto capitale) sono in affanno per la difficolta di armonizzare le “mura” con un conto corrente (cioè la funzionalità quotidiana strutturata). Forse perché contradditorie, inadeguate ai bisogni dei territori, generatrici di discriminazioni professionali e assistenziali, ideate up-down prima ancora di sapere cosa e chi contenere. Il sistema è in difficolta e pare non poter essere equanime nell’offrire, a tutti i mmg che dovessero fare richiesta, una CdC. Gli edifici detti edifici “spoke” sono palesemente inadatti tanto che non possono nemmeno essere considerati equivalenti ad una semplice Medicina di Gruppo ben organizzata. Se si analizzassero adeguatamente i bisogni dei territori ci si accorgerebbe che le CdC, sia “hub” che “spoke”, non potranno mai risolvere i problemi anche se il martellamento pubblicitario esercitato dagli addetti ai lavori può generare un bisogno (consumistico) nei cittadini senza che questi sappiano di cosa effettivamente si tratta.

Per non parlare, infine, del sistema di formazione continua ECM che, se confrontato con le infinite possibilità di aggiornamento in tempo reale per professionisti interessati alla propria “opera”, appare, quanto meno, arcaico.

Quale “futura riforma” potrà mai essere elaborata oggi dagli stessi soggetti che dominano la sanità da anni e che l’hanno portata alle corde? Non è possibile fare bene ed essere di qualità se ci si è disinteressati della dimensione (spesso inespressa) che caratterizza il contesto e le relazioni tra coloro che vivono la quotidianità territoriale delle cure primarie.

Le numerose incoerenze emergenti richiederebbero la mobilitazione delle forze culturali sensibili al tema della salute, dei professionisti e dei cittadini al fine di ricercare principi di Verità/Giustizia/Etica coerenti, razionali, compossibili. In questo senso una filosofia dell’organizzazione territoriale delle cure primarie può proporsi di utilizzare il sapere (nella sua essenza) a vantaggio della vita delle persone (Platone) e dei professionisti a fronte di una medicina amministrata funzionale solo per agli apparati. Il filosofo infatti assume la medicina come modello di una metodologia per raggiungere il sapere e per uscire dalle contraddizioni derivanti da una conoscenza esclusivamente teorica (es.: burocratico/amministrativo/di controllo) ma priva di aperture sull’esperienza.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

14 novembre 2023
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MMG

Auto determinazione delle comunità di professionisti e cittadini

Gentile Direttore,
nella situazione sanitaria attuale non vi sono dubbi che sia necessaria una “radicale” discontinuità culturale ed operativa, alternativa alle “recenti” innovazioni all’acqua di rosa discutibili già dalla loro prima apparizione. Alcuni arrivano in estremo ritardo a queste considerazioni. Altri continuano a galleggiare sostenendo che è stato fatto ciò che era possibile. Non è mai, comunque, solo una questione di risorse economiche in quanto sono proprio le argomentazioni monetarie che permettono e giustificano il mantenimento delle contraddizioni comportamentali e legislative (es.: Aziende, Mega Aziende, Distretti, ecc.) e la sopravvivenza del loro contro riformismo invincibile. Aggiustamenti o toppe non fanno altro che rimettere la pedina alla casella del via. Crisi economica, inflazione, guerre, riduzione delle risorse, modifiche della geopolitica, della globalizzazione, del clima, intelligenza artificiale… hanno già fatto poi la loro parte sui sistemi sanitari.

Le riflessioni che seguono sono comunque destinate all’ambito delle Cure Primarie.

Ancora oggi, la medicina di base, pur essendo a tutti gli effetti SSN, mantiene una sua autonomia (residua) dagli apparati gerarchici. Il mmg rimane tutt’ora strettamente collegato ai bisogni ed ai sentimenti della comunità degli assistiti ed è proprio l’appartenenza alle zone più esterne dell’impero che, paradossalmente, permette una lettura maggiormente accurata di ciò accade a livello territoriale. I macrofenomeni globali già citati influenzano profondamente la sanità. Nondimeno le ultime documentazioni ufficiali più note e gli elaborati degli aspiranti “capotreni” non hanno liberato le cure primarie da una sostanziale regressione professionale/assistenziale introducendo funzioni sempre più improbabili, discriminatorie e palesemente inadeguate ai contesti ( s.: Case della Comunità hub/spoke scorrettamente mercanteggiate come baluardi a difesa degli accessi impropri al PS quando numerosi studi hanno dimostrato che il mmg pesa, sugli accessi impropri al PS, per il 2%).

Numerosi sono le prove dello scollamento tra istituzioni sanitarie e la realtà. Questo divario è palesato anche dal sistema comunicativo di AUSL o Mega Aziende fondamentalmente costituito da continui annunci, informazioni o messaggi e da incontenibili incombenze urgenti. L’assillo, soffocante, non concede tempo alla riflessione, al confronto, al dibattito incrementando così il disagio di molti assistiti e professionisti. Forse nessuno di coloro che oggi hanno in mano il processo decisionale sa veramente ridurre le criticità sanitarie, non pensa ad un modello assistenziale e resta in attesa che capiti qualche cosa a livello generale (o mondiale?) che indichi o imponga qualche cambiamento. Non è detto che le prescrizioni siano poi positive. Nel 1978 il Parlamento con la 833 non aveva aspettato il parere del mondo e per alcuni anni il nostro SSN è stato considerato il migliore del mondo.

Oggi non c’è solo l’interesse comune. Diversi tornaconti sono talmente intrecciati che non si riesce a distinguere il bene dal male come nel più classico doppio legame. Si possono separare i vimini buoni da quelli cattivi ma alla fine il cesto non c’è più.

Sarà capitato a molti di partecipare ad eventi dove le AUSL celebrano e incensano elenchi della spesa apparentemente “splendidi” ma invisibili, senz’anima, senza amor di patria e senza interesse per il bene comune. Sono annunci che non aumentano la conoscenza ma dimostrano sostanziale indifferenza nei confronti del destino che i professionisti del territorio e i cittadini potrebbero avere.

Quando manca una robusta autocritica non è possibile immaginare un futuro nuovo, diverso e più attento alle modifiche sociali e professionali (compito della politica). Se questa auto analisi non è in grado di vedere ciò che è stato fatto di svantaggioso per cittadini e professionisti non si farà altro che ripetere, senza turbamenti, ciò che è già stato fatto (es.: le Case della Comunità). L’autodeterminazione nel processo decisionale e nel governo clinico di professionisti e comunità non è velleitaria. Senz’altro è radicalmente alternativa. Forse addirittura meno costosa?

Quando nella medicina generale (di base) si passa il testimone ai giovani colleghi ci si preoccupa che tutto il lavoro fatto di presa incarico e di cura per 30-40 anni non si disgreghi o si perda. La trasmissibilità tra professionisti non è data dai contenuti registrati nell’archivio computerizzato ma dalla cultura che li ha accompagnati. Non sono certo annunci eclatanti ma avvenimenti silenziosi, poco spettacolari che forse creano comunità proprio perché generano una propria cultura speciale. Svilire questo patrimonio di conoscenze vuole dire contribuire alla distruzione delle comunità già molto provate. Tuttavia, le comunità stesse sono le prime a ricercare la tecnologia e ad adattarla ai propri contesti. Sarà forse sufficiente ricordare come il volontariato di quartiere Comunità Solidale Parma, in stretta collaborazione con i propri mmg, avesse già nel 2017 proposto alle autorità politiche e sanitarie un disegno progettuale di Casa della Salute “grande” di quartiere che, oltre ai servizi contemplati nei documenti di allora, potesse sviluppare una specifica competenza terapeutica riabilitativa a causa di un incremento di certe patologie in quel determinato quartiere periferico ( malattie neuro-muscolari trattate con esoscheletri, anche in affitto, e robot; patologie neurodegenerative e cognitivo-comportamentali affrontate con stanze virtuali immersive o visori; problemi socio-sanitari adolescenziali, educativi, genitoriali e di dipendenze affrontate attraverso il mondo dei giochi virtuali).

Parafrasando il pensiero di R. Easterlin (Paradosso della felicità) nella medicina generale occorrono nuove organizzazioni territoriali, nuovi criteri, nuove relazioni politiche fortemente radicate nel quartiere, nuove auto-formazioni, nuovi sistemi di apprendimento continuo (team e briefing), nuove forme di auto-valutazione più orientate ad una strategia di welfare di comunità (alternativo al sistema incentivante imperante tipico della appropriatezza prescrittiva o diagnostica) per poter avere un vero impatto sul benessere collettivo anche in periodi di scarsità di risorse.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

03 novembre 2023
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Purché nulla cambi?

Gentile Direttore,
alcuni interventi recenti, tra i tanti che potrebbero essere citati, aiutano e incoraggiano a tentare di ri-cercare, almeno culturalmente, il bandolo della matassa. L. Fassari (La sanità sospesa tra le poche risorse e la paura di cambiare, QS 5 ottobre 2023) ricorda come non sia più possibile la sola manutenzione della macchina… ma occorrono idee e coraggio. Il tenace Prof. I. Cavicchi avvisa i naviganti che di propaganda si può affogare se non ci sono i salvagenti (Di troppa propaganda il Ssn muore, QS 10 ottobre 2023; Bene auspicare una nuova riforma della sanità ma ora servono le proposte, QS 13 ottobre2023).

In merito alla medicina generale molto è già stato scritto su questioni inerenti la “Quarta riforma”, il medico di medicina generale “Autore”, il welfare di comunità. Di attualità è il tema delle Case della Comunità che probabilmente delineano uno dei maggiori abbagli controriformisti: infatti la narrazione unilaterale cela il fatto che le CdC spoke rappresentino, concretamente, un pesante declassamento della medicina di base a causa delle verosimili discriminazioni, strutturate normativamente, assistenziale e professionali.

La potestà dei tradizionali livelli decisionali della piramidale galassia sanitaria ha già deliberato, da tempo, ogni cosa e concede solo qualche residua briciola all’esausto ed impotente dibattito pubblico. Il potere, quando è un potere, si mostra affabile ma inesorabile a difesa del vantaggioso, per pochi, status quo.

A latere delle argomentazioni citate potrebbero meritare una riflessione dialogica alcuni temi apparsi sulle colonne di QS. Considerando però ciò che è capitato (crisi economica, approvvigionamento energetico, transizione ecologica, covid, inflazione, guerra) e sta capitando ( guerra medio-orientale ed altri focolai di guerre “a pezzi” nel mondo) ogni commento casalingo potrebbe sembrare inadatto quando l’equilibrio geo-politico ed economico muta sotto i nostri occhi e trascinerà fatalmente, con se, anche i sistemi sanitari nazionali.

Si è ragionato sul tema dell’ECM. Il programma di Formazione Continua in Medicina (ECM) inizia nel 2002 in conformità con il DL 502/1992 e 229/1999 la cui gestione viene affidata, nel 2007, all’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (Agenas). In venti anni di acqua ne è passata sotto i ponti. Le innovazioni tecnologiche e le occasioni per poter usufruire di aggiornamenti professionali in tempo reale sono oggi incredibili. Congressi o eventi in presenza sembrano diventati obsoleti. Eppure l’ECM per i mmg, nel tempo, è cambiata poco o nulla. Forse sono aumentati solo gli eventi “obbligatori” di Ausl e Regioni. Ciò che invece dovrebbero essere valorizzate sono le strategie di apprendimento contestuali e auto organizzate a piccoli gruppi (es.: mmg dei NCP o mmg dei team assistenziali) dove è possibile la circolazione dei saperi. Nell’apprendimento continuo vanno inseriti anche l’organizzazione degli incontri stessi, la partecipazione ai team assistenziali, il coinvolgimento -anche amicale- di esperti, le docenze, le presentazioni, l’elaborazione di articoli, le pubblicazioni, la partecipazione a programmi o progetti, la co-operazione attiva alla vita sociale del proprio territorio… Sarà necessario ripensare un nuovo equilibrio più liberale ed esentato da obblighi punitivi, per altro evanescenti, per gli ECM?

Particolarmente analizzata è stata la questione della sfrenata raccolta “dati” in funzione di una auspicata “qualità”. A tutt’oggi, a livello territoriale, non pare vi sia stato il miglioramento assistenziale atteso. Anzi le criticità incrementano e non sembrano apparire all’orizzonte fausti presagi. È possibile che l’ubriacatura procurata dallo stoccaggio nei “silos” di informazioni in fermentazione produca solo uno stordimento afinalistico. I fatti, relativi agli esiti sull’organizzazione territoriale, dimostrano come persista uno scollamento con la realtà. Il riferimento fideistico ai “big data” comporta, quasi in modo direttamente proporzionale, un incremento di sfiducia nei professionisti mmg (vedi sistemi di priorità continuamente rivisti; le variazioni dei nomenclatori clinici; l’infinito riordino del sistema emergenza-urgenza e il fiorire di splendidi nuovi acronimi tanto cari ai cittadini; il richiamo incessante all’obiettivo di ridurre gli accessi impropri al PS e i ricoveri arbitrariamente attribuiti alla mission del mmg). L’innegabile vantaggio dell’informatizzazione in sanità territoriale si volatilizza se questa è impiegata, essenzialmente, come mezzo di controllo burocratico e non come strumento a sostegno del mmg e dell’assistenza. La creazione di un regime disciplinare orientato a raccogliere esclusivamente informazioni trasforma i professionisti (inconsapevoli) in banali strumenti di lavoro. Alla frenesia comunicativa/informativa non interessa il pensare, il confronto, la relazione.

Sta di fatto che senza i legami sociali non si creano le abilità per dedicarsi agli altri. Senza relazioni libere e fiduciarie si ottiene il paradosso di una “comunicazione senza comunità” enfatizzata proprio dalla narrazione sulle Case della Comunità. Se mancano le relazioni non c’è nemmeno l’attualità perché manca la socializzazione (i dati si possono aggregare fin che si vuole ma appartengono sempre alla sfera singola e non rappresenteranno mai la collettività se non in senso linearmente probabilistico). Tutto ciò facilita l’avvento di regimi gestionali manageriali basati sull’economicismo e con un eticità in grado di dissolvere, anche le persone, in una misera serie di dati ( Byung-Chul Han, Infocrazia, Einaudi 2023).Tuttavia è fortemente diffusa la convinzione che la raccolta dati sia effettivamente vantaggiosa per migliorare i servizi. Le informazioni accumulate, comunque, non sono riuscite ad offrire veri orientamenti sul medio periodo e hanno fallito nell’ambito della coesione sociale e del consenso (zoppica il DM77, zoppicano ancor di più le CdC, addirittura annaspa l’assurdo concetto di spoke …).

Modelli o proposte rivolte ad una soluzione alternativa delle problematiche della medicina generale territoriale (ancora poco appetibile per il sistema privatistico) ed in particolare i progetti elaborati dalla co-operazione volontariato/mmg, (dove si ritiene che la medicina di base sia un “bene comune” per una comunità), vengono disconosciute, ignorate, nascoste, negate dalla fregola che fa correre i portatori dei “loro” interessi ad azzuffarsi per un posto da “capotreno”. Dio non voglia che l’ossessione faraonica di edificare le “proprie” piramidi non sia la causa della fuga dei professionisti che si sentono schiavizzati. Sarà necessario ri-pensare, per le cure primarie, un nuovo equilibrio adeguato al contesto e non agli apparati zoppicanti/anneganti?

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria ( CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

16 ottobre 2023
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