MMG

Comunità Solidale Parma

Video di presentazione estratto dal programma "Volontari senza barriere"

 


Medicina Territoriale

Case della Salute e Case della Comunità. Uguali o diverse?

Purtroppo occorre constatare che, al momento, le comunità sono smarrite, frantumate, frullate dalla globalizzazione e dai recenti avvenimenti sanitari ed economici. In questo senso il termine “Casa della Comunità” appare quindi ancor  più fuori contesto, instabile e senza reali punti o radici  di riferimento.

10 APR -

Il termine “Casa della Salute” (CdS) contiene la specificazione di una funzione o di una attività che, si intuisce, possa essere svolta in quella struttura. Quando invece si parla di “Casa della Comunità” (CdC) il contenuto comunicativo supera l’indicazione logistica e tende a dare come acquisita la presenza di una maggiore complessità.

Bauman ci ricorda come il desiderio di comunità sia molto forte ma richieda una carica generativa naturale e “tacita” proprio per una sua intima problematicità relazionale. Di contro le “comunità” che devono farsi sentire o valere o fanno sfoggio delle loro iniziative si autoeliminano come “comunità” in quanto contraddittorie. Possono essere imprese, gruppi di studio, progetti di scopo, portatori di interessi ma non comunità.

Il DM 77 (2022 e GU n.144) definisce la CdC come struttura socio-sanitaria che entrerà a far parte del SSN: per il momento, quindi, è ancora tutto da vedere...

Il Dgr n.291 del 2010 (78 pagine) della Regione Emilia-Romagna (documento antesignano sulle Case della Salute) definisce la CdS come punto di riferimento certo per i cittadini al quale ci si può rivolgere per trovare una risposta ai propri problemi di salute. E’ un presidio distrettuale a complessità diversificata (CdS piccola-media-grande) e ogni quartiere o territorio avrebbe dovuto avere la propria CdS anche se la vera innovazione era costituita “solo dalla CdS grande.

SCHEDA RIASSUNTIVA DEI SERVIZI E DELLE FUNZIONI DI UNA CASA DELLA SALUTE GRANDE

Funzioni_Casa_Salute

Nel 2013 la delibera Regionale della Regione E-R n.117 completava il pregresso DGR n.291/2010 (Modello organizzativo territoriale regionale fondato sulla CdS) prevedendo, almeno nelle CdS “Grandi”, strumentazioni specialistiche e diagnostiche complesse ma anche la presenza di strutture intermedie e di letti osservazionali (termine più corretto del più “discorsivo” ed ambiguo Ospedale di Comunità o OSCO).

Nel 2015 infine le linee di indirizzo regionali sancivano la partecipazione delle comunità e delle associazioni di cittadini che venivano definite “indispensabili” per il funzionamento delle Case della Salute.

Si completava così un percorso culturale teorico ed innovativo per riordinare l’assistenza di base territoriale.

Ciò nonostante si iniziavano a percepire da subito alcuni movimenti contro-riformisti al fine di recuperare un controllo burocratico-prescrittivo forse sfuggito inavvertitamente con i documenti emanati dal 2010 al 2015. Ad esempio tra il 2013 al 2015 compaiono le prime bozze finalizzate alla “prefabbricazione” dall’alto di associazioni di volontariato ingegnerizzate a tavolino mettendo così a rischio idee e intuizioni innovative caratteristiche di un volontariato libero ed autonomo e alla fine hanno consegnato alla mano paternalistica e rassicurante del potere amministrativo “controllante” almeno la parte sovra-ordinata del così detto terzo settore.

Nel 2016 con la delibera n. 388 del 2016 viene poi, improvvisamente, (a conferma delle avvisaglie percepite nel periodo 2013-2015), varata la contro-riforma di tutta la pregressa sistematizzazione innovativa sulle CdS. Il revisionismo burocratico riprende il sopravvento ed inserisce, nei documenti relativi alle CdS, normative rigide e protocolli “a silos” difficilmente conciliabili con la cultura dell’integrazione o della co-produzione multiprofessionale, multidisciplinare e multisettoriale sviluppatasi intorno al fervore creatosi con la delibera del 2010 sulle CdS.

Nel 2021 viene approvato il piano detto PNRR per rilanciare l’economia italiana dopo la pandemia. Al nostro paese vengono assegnati 191,5 miliardi: il 36,5% a fondo perduto e il 63,5% (121 miliardi) in prestito. Con la così detta Missione 6 del PNRR vengono elencati gli obiettivi di tipo sanitario relativi al piano e al finanziamento specifico.

Il DM 77 ( decreto 23 maggio 2022 del Ministero della salute) è il documento che contiene il regolamento attuativo per lo sviluppo nazionale della stessa Missione 6.

Tra le numerose indicazioni alcune disposizioni meritano forse qualche argomentazione.

L’assistenza domiciliare dovrà raggiungere percentuali richieste dalle nuove normative ma questo richiederà il superamento di qualche contraddizione operativa in quanto pare che i Distretti (benedetti come “perni” del riordino delle cure primarie dal DM77) possano paradossalmente essere la causa principale della riduzione del numero delle Assistenze Domiciliari.

Gli Infermieri di comunità in molte realtà sono una attività preziosa e perfettamente operativa da anni (NCP Nuclei di Cure Primarie infermieristiche di quartiere).

Le USCA (Unità Speciali di Continuità Assistenziali) utilissimi sostegni per la medicina di base, soprattutto nelle pandemie, inserite nei territori nel periodo covid per DPCM, sono state poi abolite, successivamente riattivate, ri-annullate di nuovo, infine, come si dice quando si vogliono tagliare i servizi, razionalizzate…

Le Cure Palliative si trascinano da anni snervanti incoerenze. Pur essendo un tipo di assistenza fondamentale e “ontologica” per la medicina generale da qualche parte si asseconda l’insano dubbio che il mmg possa “non” rappresentare il primo palliativista di riferimento per il paziente che ha esercitato la scelta fiduciaria per quello specifico medico (forse pensando proprio ad una eventuale propria terminalità). Se invece la “palliazione” deve essere istituzionalizzata come attività specialistica a se stante, con strutture riservate, con direttori, responsabili e coordinatori… bisognerebbe almeno immediatamente, seduta stante, abolire le vergognose (forse eccessivamente confidenziali) liste d’attesa (sic!).

SCHEDA RIASSUNTIVA DELLE CARATTERISTICHE DISTINTIVE TRA CdS e CdC

Il confronto “a colonne” tra le caratteristiche delle CdS con quelle delle CdC non danno l’impressione di palesare “differenze epocali” e pare che il culmine del divario stia solo nelle denominazioni (da CdS a CdC) e di conseguenza nella cartellonistica. Se poi si desidera soppesare il valore relativo all’efficacia, all’efficienza, all’organizzazione, al gradimento dei cittadini verso i servizi offerti, alla comprensione della struttura da parte della popolazione l’ago della bilancia potrebbe pendere pesantemente a favore della “Casa della Salute Grande” quando questa può beneficiare di una completa autonomia (abolizione delle aziende sanitarie e delle mega aziende e ripristino dei consorzi territoriali) nel processo decisionale e nel governo clinico.

SCHEDA RIASSUNTIVA DEL PROCESSO DECISIONALE NELL’AMBITO DELLE CURE PRIMARIE (es.: EDIFICAZIONE O RISTRUTTURAZIONE DI UNA CASA DELLA COMUNITA’ E DEL SISTEMA ASSISTENZIALE TERRITORIALE)


(Welfare di Comunità, QdS, 7 maggio 2021)

SCHEDA RIASSUNTIVA DELLE CARATTERISTICHE DISTINTIVE DEL GOVERNO CLINICO (GC)
GC AUTONOMO DELLE CURE PRIMARIE VS GC AZIENDALE ISTITUZIONALE

Come già menzionato una “comunità” si considera tale quando è composta da un gruppo di individui che vivono in un territorio limitato con caratteri comuni e reciproca dipendenza (appartenenza, solidarietà, legami sociali paritari non rigidamente gerarchizzati, senso di libertà con potestà di partecipazione alla vita collettiva). La comunità non è sovrapponibile ad una popolazione o ad una società perché in questi casi le relazioni sono più complesse, le dimensioni più vaste, meno controllabili e quindi restano più sconosciute.

Il termine “comunità” associato a gruppi, associazioni, portatori di interessi è esploso dopo la pubblicazione del PNRR. E’ diventata una parola molto diffusa, inflazionata, utopistica. Infatti la contemporaneità è caratterizzata da un individualismo economicistico e da relazioni “contrattuali” che non lasciano tanto spazio alle “comunità” tradizionali, contenute nelle loro dimensioni e accumunate da saperi, tradizioni e scale valoriali consolidate nel tempo.

Purtroppo occorre constatare che, al momento, le comunità sono smarrite, frantumate, frullate dalla globalizzazione e dai recenti avvenimenti sanitari ed economici. In questo senso il termine “Casa della Comunità” appare quindi ancor più fuori contesto, instabile e senza reali punti o radici di riferimento.

Il tema delle cure palliative, già ricordato, evidenzia l’importanza che può avere un punto di riferimento (non per forza tecnologicamente avanzato) alla fine di una esistenza umana di un assistito che sceglie fiduciariamente un dato mmg proprio per esigenze o bisogni molto riservati. La struttura sociale e le istituzioni (che dovrebbero essere modelli guida) non sono più in grado di conservare le loro funzioni tradizionali perché si sciolgono prima ancora di avere stabilizzato qualche cosa ( es.: la decennale questione delle liste d’attesa, il fallimento del progetto sulle Case della Salute, la mancanza di autocritica e di un radicale cambiamento delle élite Dirigenziali perpetue, l’impossibilità di addivenire ad una riforma radicale del SSN, l’abolizione delle Aziende, Distretti e Assessorati, l’assenza della politica e la vistosa preponderanza della finanza…).

Il risultato è la paralisi di ogni possibile azione collettiva e l’esclusione degli individui, che credono di appartenere ad una comunità, dalla partecipazione attiva alla stessa vita comunitaria.

Chi ha scritto il DM77? Perché è stato redatto in modo che potesse dare la sensazione di essere stato confezionato in favore di piccoli gruppi di élite staminali (totipotenti e onnipresenti)?

Lo sfrenato individualismo elitario è riuscito a danneggiare anche il senso stesso del bene comune.

Le comunità, quelle tradizionali a cui spesso si fa riferimento nella narrazione quotidiana, non ci sono più ed è venuta meno la loro funzione di “organo di mediazione”.

La realtà appare più popolata da gruppi individualistici ed elitari e le inevitabili eccezioni non sono in grado di cambiare la situazione attuale.

Il termine “comunità” ha perso il suo senso anche perché le istituzioni stesse testimoniano un valore unico, quello della “competizione” che diventa poi modello di conflittualità tra individui e istituzioni.

Le divergenze portano, a loro volta, alla difesa dell’interesse egoistico, all’incertezza, all’ansia, al senso di fallimento.

Emblematico da questo punto di vista è la corsa agitata per accaparrarsi un posto sul carro del “progetto Case della Comunita’” dove i gruppi di lavoro o organizzazioni sgomitano per restare a bordo subito pronti però a scendere non appena si comprenderà che non vi saranno vantaggi in solido.

La comunità non è più una finalità filogenetica ma un “mezzo” per raggiungere un fine più prosaico e per questo obiettivo non si esita a rinunciare all’originalità innovativa, spesso non allineata alle disposizioni ufficiali, per adattarsi remissivamente al mito burocratico (es.: DM 77), anche se incomprensibile, perché alla fine resta la via più facile che comunque non riuscirà mai ad attenuare contraddizioni, disuguaglianze e discriminazioni.

Le comunità potranno essere ricomposte?

In parte, se saremo in grado di essere saggi. Se saremo prudenti e in grado di generare idee innovative valide.

Per trovare delle soluzioni occorre ricominciare radicalmente da capo (riforma) con leader territoriali credibili e accreditati dal consenso (libera scelta). Nel film “Invictus” il Presidente Mandela, leader emblematico, si trova, suo malgrado, a riprendere i suoi sostenitori più faziosi dicendo “Voi mi avete scelto ed ora lasciativi guidare da me”.

I servizi (che potrebbero essere anche sovrapponibili ai diritti) vanno riportati nei quartieri e nei territori, le risorse devono ritornare paritarie, occorre restituire il maltolto, abbandonare la logica dell’economicismo statistico/numerico, quindi abolire la strutturazione attuale, i relativi documenti normativi e gli oracoli del pensiero unico. E’ determinante, promuovere la salute che può concretamente diventare ricchezza per una comunità e dare vita ad ulteriori sperimentazioni valorizzanti e a convinti stili di vita provvidenziali perché effettivamente preventivi.

Bruno Agnetti

CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria).


Medicina Territoriale

Negli ambulatori arriva il facilitatore: un aiuto in più

L’associazione di volontariato «Comunità Solidale Parma» (iscritta al Runts, Registro unitario nazionale del terzo settore) ha da tempo attivato l’iniziativa del «facilitatore» introdotto all’interno dell’ambulatorio San Moderanno di via Trieste 108/A, inserito nel progetto «Non più soli» promosso dalla rete Parmawelfare e organizzato in collaborazione con il Punto di comunità San Leonardo.

Il facilitatore accoglie e aiuta le persone che si recano in ambulatorio ad entrare in contatto, nel più breve tempo possibile, con le segreterie o con l’infermiera e si preoccupa di fare in modo che nessuna persona che entri in ambulatorio si senta ignorato nel momento dell’attesa nell’area apposita determinata dalle note normative contro l’epidemia.

Dal mese di novembre di quest'anno è iniziata una nuova funzione di «formazione» dedicata a volontari che desiderano apprendere le modalità operative pratiche del ruolo di «facilitatore di sala d’aspetto di un ambulatorio» al fine di preparare altre persone volontarie in grado di dare supporto alle prossime erigende Case della comunità o Case della salute esistenti o Medicine di gruppo già operative.

Dal mese di novembre quindi nuove volontarie/i vengono affiancati alle facilitatrici già esperte dell’Ambulatorio San Moderanno, coordinate delle segretarie dell’Ambulatorio e sotto la responsabilità dei medici della medicina di gruppo affinché possano diventare competenti nell’attività di facilitatrici/facilitatori.

Tali figure si occupano di instaurare subito una relazione con la persona che entra in ambulatorio, permettono alle segretarie di dedicarsi con più tranquillità alle attività prettamente amministrative (telefono, computer, mail, wapp, videochiamate, messaggi vocali ecc.) Anche l’infermiera potrà così occuparsi delle attività sanitarie in quanto il volontario facilitatore sarà in grado di comunicare in tempo reale informazioni utili ai pazienti (ad esempio, ricette già redatte oppure richieste di prescrizioni, orario e giorni dedicati alle vaccinazioni antiinfluenzali; momento più adatto per accedere alle prenotazioni Cup o agli esami ematici; varie informative specifiche).

Il bacino di utenza dell’ambulatorio si aggira attualmente intorno ai 12.000 assistiti (il quartiere che nel suo complesso può contare 30.000 abitanti). L’afflusso di pazienti nelle 12 ore di apertura è continuo. L’obiettivo dell’associazione di volontariato Comunità solidale Parma, soprattutto in situazione pandemica tutt’ora presente, è quello di permettere alla medicina di gruppo San Moderanno di organizzare il servizio alla popolazione in modo efficace, accogliente e sereno nella speranza che si possa così accrescere il gradimento degli assistiti. Una delle missioni statutarie dell’organizzazione di volontariato Comunità solidale Parma è quello di considerare la medicina generale territoriale come un bene comune da appoggiare e sostenere a vantaggio di tutto il quartiere San Leonardo e il territorio a nord della ferrovia.

L’obbiettivo dell’azione «Non- piùsoli» è quello di trovare modalità innovative per supportare i cittadini ed in particolare quelli che si trovano in una situazione di fragilità.

Il periodo Covid ha più volte evidenziato come le relazioni tra servizi sanitari oberati di mansioni e gli assistiti possono creare incomprensioni che potrebbero sfociare anche in veri conflitti. In questo senso l’attività del facilitatore o della facilitatrice può svolgere un ruolo molto importante nel promuovere la comprensione reciproca e comportamenti più adattivi e gratificanti in quanto i volontari possono intervenire per risolvere i piccoli problemi che si creano quando le attese si prolungano nel tempo o quando i soggetti hanno l’impressione di non essere visti o considerati. Ogni situazione relazionale può fare emergere debolezze o criticità automatiche e inconsapevoli che possono influire negativamente sugli ambienti lavorativi soprattutto quando si opera in strutture di «aiuto» ma la «facilitazione» si propone proprio di essere una nuova forma di aiuto al fine di superare le varie difficoltà ricordate e di sostenere e promuovere la medicina generale (di base) dei nostri quartieri che rappresenta per tutti noi un bene prezioso.

L’attenzione che la volontaria facilitatrice/facilitatore rivolge all’assistito diventa anche un modello positivo di reciprocazione.

 

Gazzetta di Parma, sabato 26 novembre 2022


Medicina Territoriale

Per la sanità territoriale è venuto il momento del “redde rationem”

Gentile Direttore,
da anni come centro studi abbiamo scelto di seguire una via difficile ed impervia ma tuttavia esaltante proprio a causa della sua difficoltà.  Abbiamo tentato di mettere insieme ( per comporre un  concreto progetto riformatore delle cure primarie) le elaborazioni concettuali, epistemologiche ed ontologiche del nostro storico punto di riferimento Prof. Ivan Cavicchi con le visioni organizzative territoriali e di welfare comunitario del Prof. Stefano Zamagni. Per noi due giganti che hanno da sempre guidato la nostra pratica professionale.

Come capita spesso, le sollecitazioni del prof. Ivan sono, irresistibili e ci coinvolgono ogni volta profondamente. Desideriamo approfondire le sue tematiche ma abbiamo anche il desiderio di partecipare e condividere le sue argomentazioni apportando qualche nostra posizione.  Il suo ultimo intervento spiega bene come si stia profilando un completo fallimento della medicina generale a causa di un consociativismo che purtroppo pare aver cancellato ogni credibilità alle Aziende e ai sindacati coinvolti in queste pratiche di sottogoverno.

Che dire delle analisi coloritissime e di piacevolissima lettura del Prof.  se non che siano inevitabilmente e tragicamente condivisibili al 100%? Anche il nostro gruppo di studio ha spesso espresso concetti e considerazioni sulla medicina generale e alla sua malattia degenerativa interna sovrapponibili a quelle dell’articolo sul “redde  rationem” che ricorda, con dovizia di particolari, le lunghe manovre di controriforme, l’assenza di un coming out di ammissione del completo fallimento delle aziende sanitarie, degli assessorati, di alcune decisioni condizionate dalla maggioranza rappresentativa.  L’incapacità di ascolto della società civile, lo svilimento dei bisogni espressi ed inespressi degli assistiti e dei professionisti sono riportati addirittura con nomi e cognomi fino a ricordare l’esilarante episodio dove il Prof. Ivan riceve il consiglio (non richiesto) di utilizzare  un po’ di Prozac! Sarebbe interessante allagare questo elenco anche i nomi dei responsabili sanitari regionali e aziendali.

Nonostante i pomposi DM non si vedrà un ben nulla a potenziamento del territorio e chi ci rimetterà saranno sempre i soliti professionisti di trincea e i cittadini. Impressionante, tanto da diventare incredibile nella sua realizzazione (l’avanzo del PNRR sarà condizionato dalla guerra in atto), sono le 1350 Case della Comunità previste che entrano, concettualmente, immediatamente in contraddizione con i 400 Ospedali di Comunità   programmati. Questi ultimi, come minimo, dovrebbero modificare subito  la loro definizione altrimenti emergerebbe un ossimoro clamoroso ed emblematico (non saranno mai di comunità ma al massimo di territorio dovendo ricoprire, secondo i numeri annunciati, aree molto più ampie di quelle che vengono comunemente indicata come “territori di comunità” ) e quindi, come dice Cavicchi, da questo punto di vista la prossimità si palesa come una bella fandonia.  Gli assistiti di serie A e di serie B sono sempre esistiti in questi anni quando le strutture, chiamate fino a 6 mesi fa Case della Salute,  hanno creato, negli anni, differenziazioni o discriminazioni  coinvolgendo nella sciagura sia i pazienti che i professionisti.

Già da qualche articolo anche il Professore pare piegarsi all’inevitabile avanzare delle assicurazioni   complementari o integrative e al rovinoso welfare aziendale…  Si assiste ad una narrazione già ascoltata  nel passato dove per normativa la Guardia Medica (presidio) è diventata  Continuità Assistenziale e l’auto medica e divenuta infermieristica (con grande rispetto per i colleghi infermieri) ecc. Piccoli passi infinitesimali ma ben progettati perché la burocrazia ha tutto il tempo che le serve per una rivalsa che va servita fredda.  Inoltre, mandarini, oligarchi e autocrati riescono con estrema facilità a far credere alla stragrande maggioranza degli assistiti   che gli asini volino e che il miglior medico di base  possibile  sia quello che opera come specialista.

Quando un assessorato regionale o una amministrazione sanitaria Ausl non sono convinte di dover affrontare certi problemi in modo puntuale (cioè con una radicale riforma dell’assistenza territoriale e delle cure primarie in modo trasparente ed assolutamente equo) non saranno certo le parole o gli scritti a far cambiare queste convinzioni radicate e sovraordinate.

La cronica mancanza di avvicendamenti o alternanze nel processo politico-decisionale sanitario, considerato l’enorme potere economico e  sociale affidato alle regioni,  può portare a quello che James Reason, in campo clinico, ha definito la “teoria del formaggio svizzero”.  Reason, con la sua ipotesi, ha tentato di rappresentare come nei sistemi complessi (e non solo in quelli sanitari) la consuetudine (es.: la uggiosa ed insopportabile questione della governance che non vuol dire altro che comandare) possa causare situazioni tali da determinare errori successivi o seriali che possono diventare alla fine anche catastrofici (“tranvata”).  Ogni pratica è prigioniera della sociologia o del “contesto”.  Non avevano tenuto conto del contesto i dinosauri e sono scomparsi. Non è successo invece ai piccoli roditori che scavavano le loro tane nel terreno più profondo.

Sarà solo il tempo che riuscirà a dare ragione e senso a questa parte politica della cura.

Il modernismo regressivo, a volte, si dimentica di questo aspetto fino a ipotizzare che il cittadino ideale debba tendere alla massima autonomia, libertà, tendendo cosi a tralasciare la collettività o alla vita in comunità.

Infine, con tutto il massimo rispetto e devozione vorremmo riportare l’invocazione del Sommo Pontefice Papa Francesco riportata nel titolo dell’articolo di QdS (6 giugno 2022)  sulla Sanità Pubblica. “E’ una ricchezza: non perderla, per favore, non perderla”. “Anche in campo sanitario è frequente la tentazione di far prevalere vantaggi economici e politici di qualche gruppo a discapito della maggior parte della popolazione”.  “Tagliare le risorse per la sanità è un oltraggio per l’umanità”

Giuseppe Campo, Alessandro Chiari, Alessandro D’Ercole, Bruno Bersellini, Bruno Agnetti

Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) FISMU, Emilia Romagna