Cure primarie. I punti deboli della legge Balduzzi e del Patto della Salute

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità il 12 agosto 2015

12 AGO - Gentile Direttore,
dopo una prima riflessione sulla riforma dell’assistenza territoriale e delle cure primarie, e in vista delle nuove manovre per l'ACN, chiedo ancora ospitalità sul suo giornale per continuare il ragionamento sulla legge Balduzzi e il Patto della Salute esaminando le diverse soluzioni in esse contenute, con i loro punti di forza e i loro limiti.

Le AFT (Aggregazioni Funzionali Territoriali) sono aggregazioni monoprofessionali con effetti tipicamente e solo organizzativi ( non erogativi) e comprendono un area di pertinenza della medicina generale che non superi i 30.000 abitanti ( art. 1, L. 189/2012 Balduzzi); nello specifico le AFT rappresentano l’ insieme dei professionisti che hanno in carico il cittadino che, a sua volta, esercita la scelta del singolo medico ( art. 5, comma 3, Patto della Salute 2014-2016). Da questo punto di vista, per quanto il Patto della Salute possa influire su una legge, verrebbe così mantenuta teoricamente (compatibilmente con un disegno generale apparentemente di quartierizzazione dell’assistenza all’interno di un area geografica) l’istituto della libera scelta e la capillarità in un bacino d’utenza definito. L’AFT è poi collegata funzionalmente ad una UCCP cioè ad una Unità Complessa di Cure Primarie ( art. 1, comma 3, Patto per la Salute 2014-2016).

Le AFT dovrebbero assicurare: la realizzazione degli obiettivi di salute per i cittadini di riferimento producendo quelle prestazioni che sono tipiche della medicina generale detta di opportunità (e non specialistica) finalizzate al governo clinico territoriale. In questo modo quindi, tramite le AFT, si può realizzare una omogeneità nei comportamenti assistenziali alla popolazione assistita in quanto i medici componenti l’AFT monoprofessionale condividono in forma strutturata obiettivi, PDTA, strumenti di valutazione della qualità assistenziale, LG, audit e strumenti analoghi.

Non si devono quindi individuare compiti erogativi in una AFT proprio perché le AFT non possono garantire la presa in carico integrata (essendo strutturalmente carenti di diagnostica e di personale) né attività di prevenzione né risposta alle prestazioni non differibili adeguatamente organizzate. Una AFT è collegata invece funzionalmente ad una UCCP o a più UCCP di riferimento dove vengono effettivamente erogati anche servizi specialistici integrati, attività di prevenzione e prestazioni non differibili ( art. 5, comma 3, Patto della Salute).

Le UCCP (Unità Complessa di Cure Primarie) sono forme organizzate/unità multiprofessionali (art. 1, L. 189/2012 Balduzzi) che operano, in forma integrata, all’interno di strutture o presidi (art. 5 c.2 Patto per la Salute); erogano (come compito) le prestazioni assistenziali della medicina generale tramite il coordinamento e l’integrazione (art.1 L.189/2012 Balduzzi) multiprofessionale ma anche multidisciplinare e multisettoriale (M&M&M). Il carattere multiprofessionale dell’UCCP è testimoniato dall’effettivo stretto collegamento tra le diverse professionalità presenti nell’UCCP ed in particolare dall’integrazione tra mmg e medici specialisti. L’integrazione valorizza le relazioni ed anche i collegamenti con i professionisti ospedalieri e con quelli dei servizi distrettuali (ma anche con il 3°settore).

Tutto ciò è indispensabile per le attività assistenziali complesse delle Cure Primarie (diagnosi, cura, prevenzione, educazione sanitaria individuale, counseling, domiciliarità, presa in carico della cronicità e della fragilità). Le UCCP sono quindi poliambulatori dotati di strumentazione di base aperti al pubblico h12/24 considerando anche dislocazioni plurime ( art. 5 comma 2 del Patto della Salute).
Le UCCP dovrebbero garantire prestazioni elencate nell’art. 5 comma 4 del Patto della Salute.

L’assetto organizzativo, le linee, le modalità e le caratteristiche in merito alla divisione del lavoro tra i professionisti che compongono l’UCCP (tutti i medici erogano le proprie attività attraverso l’UCCP) vengono definite da disposizioni nazionali (Atto di indirizzo - ACN). Sono demandati invece alle regioni l’individuazione dei principi per definire gli standard relativi alle erogazioni delle prestazioni, la programmazione e la realizzazione delle UCCP con la specifica dei criteri attraverso cui le aziende devono individuare e concordare i programmi di attività nelle UCCP con la possibilità di definire i livelli di spesa programmati avvalendosi anche di forme di finanziamento a budget nei confronti delle UCCP (Atto di Indirizzo).

Questo passaggio normativo evidenzia un importante punto di debolezza: se si ricerca uno sviluppo uniforme dell’ assistenza primaria, accanto alla riorganizzazione dei distretti da parte della Conferenza Stato-Regioni (con le AFT e le UCCP) la stessa conferenza (attraverso l’ACN e all’interno dell’ACN) deve prevedere anche la definizione organizzativa e programmatica dei servizi da svolgere nell’UCCP.
Le forme di finanziamento a budget (attività di programmazione tipicamente aziendale) non possono riguardare “finanziamenti adeguati programmati” inseriti nell’ articolato dell’ACN ma resteranno iniziative singole aziendali e di conseguenza le realizzazioni non potranno mai essere uniformi su tutto il territorio nazionale e ripresenteranno le difformità assistenziali e professionali già ben documentate dall’esperienza delle Medicine di Gruppo (alcune collocate in locali pubblici e contigue a servizi aziendali ed altre assolutamente lasciate al self made). Le UCCP sono parte fondamentale ed essenziale del distretto/azienda (Art. 5 comma 6 del Patto della Salute) per cui i costi ed i rapporti standard (come per i distretti/aziende) devono essere definiti a livello nazionale (ACN) per garantire l’uniformità di erogazione dei LEA su tutto il territorio nazionale.

L’adesione all’assetto organizzativo (AFT e UCCP) e informativo è obbligatorio e le regioni hanno l’impegno di prevedere lo sviluppo delle due uniche forme aggregative individuate sul territorio (AFT e UCCP) per i medici di medicina generale; queste forme sostituiscono tutte le diverse tipologie di forme di aggregazione o associative funzionali o strutturali realizzate nel tempo nelle varie regioni (art. 54 ACN 2009). L’obbligo alla partecipazione ( che è diverso dall’obbligo all’adesione) all’assetto organizzativo va considerato rivolto in modo prioritario alle UCCP in quanto le AFT, come già ricordato, sono aree territoriali della medicina generale, non sono quindi forme associative ma aree geografiche ed organizzative.

Governance. Una aggregazione di medici di medicina generale per acquisizione storica e in virtù delle normative vigenti è una organizzazione tra pari (Wonca ); sono rappresentate (come è prassi nelle  medicine di gruppo) dal referente scelto elettivamente; questo collega non può essere definito anticipatamente “ adeguatamente formato” perché, se così fosse, verrebbe a mancare la concreta possibilità di eseguire elezioni democratiche fra pari ( strumento che attribuisce vera autorevolezza). La nomina di un coordinatore medico (o altrimenti definito medico in staff o direttore di dipartimento o coordinatore ecc.) da parte aziendale, non eletto tra pari, al quale viene riconosciuto un compenso di scopo presuppone la costituzione di un ruolo automaticamente e gerarchicamente sovraordinato procurato dallo stesso istituto della nomina: un mmg nominato consulente aziendale con relativa valorizzazione economica qualificante acquisisce potere informativo, di frequentazioni e di conoscenze tali da poter trasmettere disposizioni o forti suggerimenti tecnico/organizzativi idonei senz’altro alle intenzioni dell’azienda/impresa ma nello stesso tempo trasforma il rapporto autonomo del mmg in un rapporto di consulenza/dipendenza che finisce per coinvolgere tutti i mmg dell’aggregazione. Inevitabili quindi numerosi ed inopportuni conflitti di interesse forieri di scarsa fiducia e reciprocazione.

Il referente invece, rappresentante credibile dell’aggregazione, eletto (a scrutinio segreto) tra pari e ratificato dall’azienda (e non scelto tra una triade: modalità organizzativa della dirigenza/dipendenza), è in grado per autorevolezza di promuovere i vari processi di integrazione e deve essere in grado di mantenere un rapporto di consenso e di gradimento tra i colleghi pena la decadenza. Le regioni si devono impegnare ad organizzare corsi di formazione per i referenti designati dai colleghi considerando che, all’interno di una cultura di integrazione mono/multiporofessionale, multidisciplinare e multisettoriale il referente per una AFT/UCCP è appropriato se è unico. Non possono poi esistere criteri specifici per ricoprire il ruolo di referente AFT/UCCP eccezion fatta (forse) per gli anni di servizio attivi nell’assistenza la quale, essendo soggetta al consenso e al gradimento degli assistiti, in un sistema di libera concorrenza di norma produce, negli anni, inevitabilmente una “formazione adeguata”.

Modello hub and spoke. E’ un disegno già utilizzato per il sistema ospedaliero e può essere applicato alla medicina generale in quanto è in grado di mantenere l’assistenza di prossimità e la capillarità. Le formule applicative possono essere le più varie e possono essere contestualizzate a seconda delle necessità ( forma più accentrata – forma più decentrata) ma l’essenza è che il servizio sia suddiviso tra sede di riferimento ( ad es.UCCP) ed tutte le altre sedi (ex MdG, sedi unificate, singoli mmg ). Con questo modello i costi complessivi non si incrementano in quanto si evitano compresenze e attività sovrapponibili eseguite in contemporanea e nello stesso tempo si mantiene una maggiore territorialità, una maggiore condivisione e un convinto affidamento reciproco (es. integrazione infermieri-medici).

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS)
Sindacato dei Medici Italiani (SMI) Regione Emilia-Romagna

12 agosto 2015
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Il Decreto Balduzzi va superato. Ma anche il pensiero unico della politica

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità il 10 agosto 2015

10 AGO - Gent. mo Direttore,
da tempo su QS si intrecciano interessanti confronti sul tema della c.d. riforma dell’assistenza territoriale e delle cure primarie. Come SMI (Sindacato dei Medici Italiani) desideriamo partecipare allo scambio di opinioni con questo contributo. Gli innumerevoli articoli e gli interventi, spesso lungimiranti ed avveduti, susseguiti in questi anni sulla stampa di settore (anche prima dell’approvazione della legge Balduzzi ) non hanno poi alla fine apportato reali modifiche al paradigma tradizionale e non hanno inciso sull’urgente necessità di elaborare una discontinuità nei processi decisionali come globalizzazione e glocalizzazione richiederebbero.

Le buone intenzioni espresse dall’autorevole Patto della Salute (2014) non sono riuscite a fare luce sul fumoso decreto legislativo (Balduzzi) a causa di una debolezza normativa intrinseca e così sono rimasti al palo anche le bozze di ACN e gli atti di indirizzo susseguiti alla pubblicazione del DL 189/2012 palesando, in questo modo, una incapacità nell’affrontare e nel risolvere le contraddizione e le difficoltà interpretative contenute nella normativa legislativa stessa ( DL. 189/2012 Balduzzi).
Nemmeno l’iter del decreto legislativo attualmente in atto alle Camere permette di intravedere un “innovazione di rottura” così che il prossimo venturo ACN per la medicina territoriale (vitale per lo sviluppo del nostro SSN) appare sempre più abbandonato in una desolazione desertica con assenza completa di vita quando, al contrario, il contesto socio-assistenziale, ogni giorno di più, presenta il conto legato alle contingenze di rilievo epocale.

Qualche motivo dovrà pur esserci se dal 2012 al 2015 non si è riusciti a trovare il bandolo della matassa di un DL forse nato sbagliato nel merito e nel metodo; forse orientato, nei suoi fondamentali, a concetti medioevali; più preoccupato (ad ascoltare le malelingue) di realizzare alcuni vantaggi di business per pochi che a darsi pensiero di procedere ad un cambio di passo basato su una reale discontinuità organizzativa ed operativa da modalità ossequiate nel passato.

“L'è tutto sbagliato, l'è tutto da rifare!” direbbe il buon Gino.

In effetti, a questo punto la cosa migliore sarebbe dar vita ad una nuova legge: le indicazioni migliorative (se non addirittura i testi già completi per un nuovo ACN) realmente innovative e coerenti con le emergenze derivanti dalla globalizzazione e dalla glocalizzazione sono già stati tutti scritti e pubblicati in più occasioni da numerosi colleghi ma, come si sa, sono rimasti esercizi letterari.

In QS sono intervenuti, sulla tesi delle cure primarie, nomi illustri: tutti hanno contribuito a far comprendere le dimensioni del problema, i distinguo, il processo cronologico degli avvenimenti e, dal dibattito, sono emerse in modo palese le singole responsabilità in merito alla situazione attuale. La turbolenza degli eventi socio-sanitari palesa un zavorra rimasta sommersa per tanto tempo, talmente densa e pervasiva che alcuni gruppi sembrano non accorgersi delle conseguenze insistendo nella coltivazione disordinata di orticelli dove cresce soltanto il frutto del pensiero unico che sedimenta e resiste ad ogni bonifica o ad ogni implementazione che possa provenire da nuove visioni. Questa interminabile crisi interna allo stesso sistema del welfare continua inoltre a mostrare grevi conflitti di interessi, di identità e di valori.

La crisi non è solo economica. E’ soprattutto una crisi di fiducia. Tutto ciò potrebbe far improvvisamente collassare il SSN su se stesse stesso , senza nessun scricchiolio di avvertimento, proprio perché le nuove vie di uscita, di direzione o di senso, di fiducia non riescono mai ad emergere e a dimostrare come sia urgente una discontinuità dalle paludose consuetudini degli anni passati.

Tra poco, non appena i singoli professionisti attualmente operativi e produttivi smetteranno di immettere nel sistema quel qualcosa in più di assolutamente soggettivo, personale e volontario , per altro mai riconosciuto da alcun criterio c.d. oggettivo di valutazione della performance ( es.: il carico di lavoro; medicina basata sull’esperienza; personalizzazione della cura) il sistema stesso potrebbe non restare più insieme.

Come ricorda Ernesto Galli della Loggia, argomentando dello scandalo romano, la crisi è così profonda che pare non avere scampo perché il pensiero unico, pesante e obeso, non è in grado di utilizzare strategicamente le idee che nascendo dalle minoranze potrebbero attivare, in modo generativo, numerosi problem solving urgenti e necessari per uscire dal pantano.

Siamo di fronte ad una serie di doppi legami di difficile soluzione: la c.d. riforma Balduzzi, costringe la categoria medica a confrontarsi con una formulazione normativa contraddittoria ed ingarbugliata che favorisce una infinità di interpretazioni e la nascita di una costellazione nebulosa di modelli e progetti più inclini a soddisfare interessi lobbistici che il bene comune; la normativa è continuamente ossessionata dalla ricerca di una bollinatura ( visto di conformità e copertura amministrativa da parte dalla Ragioneria dello Stato , che così certifica, salvo errori ed omissioni, che le leggi approvate abbiano nominalmente copertura finanziaria) e non si intravede la tendenza ad una reale che “sostenibilità trasmissibile”.

L’impasse annoso dovuto quindi alle contraddizioni di fondo presenti nella normativa Balduzzi sembrano superabili solo con un vero nuovo atto politico legislativo che ri-definisca da capo tutto l’assetto assistenziale che dovrebbe accompagnare ( all’interno dell’ ACN) la modifica delle modalità assistenziali per i prossimi 10-15.

Il Sindacato dei Medici Italiani (SMI), ostinatamente già dal 2012, si è comunque mobilitato per tentare di uscire dallo stallo e immaginare una via d’uscita verso una sanità pubblica meno caratteriale, più solidale, più equa, di qualità e che possa rispondere ai nuovi bisogni assistenziali, alle esigenze dei cittadini e della professione . Infatti se da una parte è completamente inibito ogni aumento contrattuale a causa della legge dello Stato 189/2012 ( Balduzzi ) i sevizi, il personale, le aggregazioni di riferimento si possono e si devono finanziare tramite uno start-up iniziale in grado poi di auto sostenersi e di reintegrare completamente l’investimento iniziale. In caso contrario vi è un forte rischio sul quale si dovrebbe riflettere molto attentamente: se le regioni non sceglieranno di dialogare con i medici disposti a condividere una nuova,seria e comprensibile assunzione autonoma di responsabilità nella gestione del governo clinico e nella strategia di organizzazione territoriale proattiva contenuta nell’ACN prima o poi (al primo, speriamo mai, caso di malasanità) le regioni stesse verranno accusate di non aver voluto o saputo organizzarsi uniformemente e per tempo nonostante che lo stato avesse fornito gli strumenti ad hoc (es.: legge Balduzzi ) e di conseguenza, le regioni, perderanno consensi politici e il ruolo centrale attualmente ricoperto in sanità ( la sanità rappresenta 70-80 % di un bilancio regionale).

La perdita di consenso e di potere favorirà inoltre la realizzazione di una privatizzazione e di una esternalizzazione del SSN che potrebbe non dispiacere a qualcuno ma che comporterebbe verosimilmente ulteriori perdite di consenso e di ruolo politico.

Secondo gli approfondimenti e le analisi svolti all’interno del nostro sindacato ( SMI) lo strumento finanziario per sostenere economicamente una riforma della medicina generale territoriale esiste e dovrebbe essere gestito come un “fondo di rotazione” ( che richiede comunque una definizione normativa in ACN ad esclusivo usum fabricae) esattamente come è già stato attuato per la riqualificazione degli ospedali dove sono stati reperiti i fondi per qualificare, ristrutturare, innovare, ridurre sprechi e produrre risparmi. Se tutto ciò è stato fatto per gli ospedali non si comprende come mai non si possa fare la stessa cosa per la “struttura territorio” che deve già da ieri ( garantendo qualità diffusa e risparmi estremamente importanti) affrontare l’epidemia della cronicità, della fragilità, della domiciliarità, del disorientamento emotivo degli assistiti, della somatizzazione del disagio, dell’enorme difficoltà di costruire prevenzione e corretti stili di vita con assistiti scoraggiati e quindi disinteressati, dei ricoveri sempre più brevi e delle dimissioni ogni volta più precoci.

Bruno Agnetti    
Centro Studi Programmazione Sanitaria ( CSPS)
Sindacato dei Medici Italiani (SMI)
Regione Emilia-Romagna

10 agosto 2015
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