Medicina Territoriale

Innegabili sovrapposizioni tra casa della Comunità e Casa della Salute

Gentile Direttore,
la meccanica quantistica, si sa, è una fra le teorie più controintuitive. E’ strano che una particella possa comparire in due posti contemporaneamente anche a distanze siderali oppure che un fenomeno come l’entropia possa contraddire il tempo potendosi sviluppare in due direzioni opposte: in avanti rispettando il fenomeno dell’incremento del disordine (invecchiamento) ma anche, paradossalmente per il tempo che scorre, indietro o quasi.

Si sostiene che tutto questo dipenda dalla doppia natura delle particelle sub atomiche che sono nello stesso tempo porzioni di materia ma anche onde di energia. Tutto ciò, assicurano i fisici, è stato ampiamente dimostrato e potrebbe valere anche per “corpi” di dimensioni maggiori (batteri, esseri umani, corpi celesti) pur comportando, in questi casi, una documentazione della “sovrapposizione” terribilmente complicata.

Restando con i piedi ben piantati nella meccanica fisica classica non si può dire, come più volte sostenuto ex cathedra, in pubblico, dai cosiddetti esperti del settore che le Case della Comunità siano un netto miglioramento del modello Casa della Salute come è intuitivamente evidente osservando la schematizzazione delle due tabelle sinottiche a fondo pagina (CdS “Grande” vs CdC “hub”).

Il PNRR ha consentito il proliferare di narrazioni normativamente corrette ma soffocanti in favore del fatto che l’innovazione sia data soprattutto dalle Case della Comunità “spoke” (programmate in grande numero) che si collegheranno/integreranno con le Case della Comunità “hub” ( progettate in numero significativamente scarso) così da riproporre un infinito frattale “piramidale” che non ha nulla a che fare con i bisogni delle comunità/quartieri/zone.

Evidentissimo invece il vantaggio per il Distretto inteso non come area geografica ma come apparato amministrativo per altro invocato da molti come modello “salvifico” probabilmente non avendo mai sperimentato i vincoli egemonici possibilmente agiti. Come già approfondito a suo tempo è una questione di potere. Di norma l’obiettivo del potere non può esimersi dall’incremento del potere stesso fino all’esaurimento delle risorse disponibili.

Si replica inoltre la tragedia (a grande richiesta) già sperimentata nella stagione delle Case della Salute. Il racconto, tutto concentrato sulle Case della Comunità “spoke”, nasconde nelle pieghe dell’affabulazione la sventura della differenziazione (alcuni la definiscono discriminazione) professionale ed assistenziale. Infatti non è equivalente o sovrapponibile essere un professionista o un paziente affiliato ad una CdC spoke o assegnato ad una CdC hub in merito a opportunità professionali, servizi o assistenza offerti. Sorge inoltre un dilemma: chi ha deciso dove collocare una CdC hub o spoke? I professionisti? I cittadini assistiti/le comunità? Non sembra proprio ma “Così va il mondo” (Noam Chomsky, Piemme 2017) dove si è portati a ratificare, attraverso alcune ritualità formali, decisioni già prese e comunque separate dalla “policy” del bene collettivo. I cittadini sono intimorirti e smarriti di fronte ai depositari istituzionali “della verità sulla salute” a cui delegano, a causa dello squilibrio di conoscenze e mezzi, senza indugio, le scelte assistenziali/organizzative.

Ciò nonostante, emerge, molto intimo, un singolare pensiero quasi filosofico-stoico: ma è proprio vero che quando c’è la struttura burocratica/amministrativa sanitaria c’è tutto? Si può raggiungere la salute in modo diverso per essere felici? Il benessere può essere conquistato seguendo vie o indicazioni più personalizzate, orientate a stili di vita molto corretti e a sistemi riabilitativi bio-psico-sociali? Per vivere con passione e gusto l’esistenza forse occorre che ci sia qualcosa di grande, un ideale, un bene che renda la vita degna e piena. Paradossalmente per questo ideale spirituale una persona potrebbe essere disposta anche a ridurre la medicalizzazione, sempre più indiscreta, della vita stessa (C. Sanguineti 2021) ed accettare lo scorrere della vita o, se si vuole, la volontà di Dio.

Nel complesso l’impianto normativo sanitario attuale (ACN, DM77, Documenti di Agenzie e di Gruppi portatori di interessi ecc.) appare estremamente fragile, senza fondamenta culturali solide e condivise.

Di tutto ciò è stato appuntato già numerose volte e verosimilmente può non rappresentare nemmeno, dal punto di vista intellettuale, la “questione medica” attualmente più pregnante. Ipotesi e modelli alternativi di organizzazione territoriale sono stati presentati nel tempo da molti commentatori ( il medico “autore”, il vero “welfare di comunità” e l’autonomia territoriale, la dipendenza, rapporto fiduciario e libera scelta, la discrepanza tra la qualità formale, percepita, risultante…).

Mette comunque ora apprensione il destino delle persone che vivono in una comunità che si relaziona, per le questioni di salute, con i propri medici curanti di base. Nondimeno vi è una scarsa consapevolezza, tra gli assistiti, di quello che le normative istituzionali stanno prospettando per il territorio. Il contatto tra cittadini e istituzioni, quando esiste, è sempre estremamente sbilanciato. Le ricchezze esperienziali delle comunità non vengono considerate e si preferisce proseguire con liturgie autoreferenziali addirittura bocciate dalla globalizzazione neoliberalista che tenta di ricostruire un nuovo equilibrio mondiale dopo l’esperienza della pandemia, della fragilità energetica e della guerra. Il coraggio di confrontarsi con i cittadini non si esaurisce in una o due riunioni assembleari annuali. Non implicano nemmeno autorevolezza quelle figure che si autoproclamano rappresentanti dei cittadini o che vengono calate dall’alto dalle onnipotenti aziende sanitarie. Eppure il sapere all’interno dei sistemi complessi come quello sanitario ed assistenziale si crea anche dall’esperienza consapevole degli individui che costruiscono singolarmente più tipi di intelligenze (H. Gardner, Formae mentis, Feltrinelli 1988).

Se la complessità è un dato di fatto è necessaria una pluralità di approcci per comprenderla. Non si può affrontare la complessità con un solo metodo o con un pensiero unico o con modalità lineari rigide e verticistiche/gerarchiche. Le comunità grazie alle “intelligenze multiple” possono costruire con i loro medici di fiducia “la salute dei quartieri” da diversi punti di vista e in modo flessibile. L’autonomia delle comunità nei processi decisionali è sempre più vitale per il servizio pubblico di medicina generale (di base) ed è una netta alternativa alle attuali normative legislative e ai numerosi “stakeholders” molto interessati alle opportunità utilitaristiche che possono emergere dalle normative ufficiali ma che spesso non hanno nulla a che fare con i professionisti e con le comunità territoriali.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria ( CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV


Mendicanti di senso nell’odierna notte del mondo

Gentile Direttore,
i finanziamenti in sanità sono necessari. Non sono comunque mai sufficienti. Le manovre sono ininfluenti se si pensa di far fronte alla “questione medica” e alla sua relazione con l’evoluzione sociale con gli strumenti economici. Conteggi e stime derivano per lo più da valutazioni amministrative e da esigenze di apparato e non da bisogni assistenziali.

Nella situazione sanitaria territoriale attuale può esserci ancora spazio per poter restaurare quell’unità olistica della medicina di base che il tempo e le controriforme hanno lacerato? Le comunità degli assistiti saranno in grado di ispirare i propri professionisti di riferimento incoraggiandoli verso la “resistenza alla disgregazione culturale” che progetta l’annullamento, per consunzione, della medicina generale territoriale?

La filosofia sociale contemporanea considera che il futuro della medicina di base possa essere simboleggiata da un “bicchiere mezzo pieno” se si considerano le opportunità culturali, sociali, cognitive, scientifiche e anche di ritorno economico ma lo stesso bicchiere viene descritto come completamente vuoto se vengono considerate le capacità dell’attuale organizzazione piramidale regionale ed aziendale di cogliere queste opportunità.

Il sistema sanitario appare come un potere più che un servizio. La potestà è in grado di camuffarsi sotto forme cordiali/amicali rendendo l’egemonia invisibile ed inattaccabile. Molti sanitari sono sedotti dall’affabilità delle Alte Dirigenze o degli Assessorati senza rendersene conto. Questa modalità sistematica di dominio minaccia la capacità dei professionisti di resistere.

L’alleanza con i cittadini e gli assistiti, meno stregati dalle parole magiche e confuse delle aziende/assessorati, diventa una strategia indispensabile per i mmg se vogliono riconquistare “autorevolezza” e autonomia. La medicina generale non ha ancora subito le lusinghe della privatizzazione massiva e quindi può diventare il terreno per una radicale innovazione in senso completamente pubblico. E’ necessaria però una netta discontinuità e una alternativa nei confronti delle esperienze amministrative pregresse e delle recenti normative progettuali che hanno abbondantemente dimostrato la loro dissonanza cognitiva in merito alla salute e all’assistenza considerato bene comune.

Alcuni concetti neoliberisti (globalizzazione) continuano a sostituire molti termini tradizionali collegabili all’agire medico: azienda, produzione, debiti e crediti ECM, le offerte formative (richiamano quelle dei super mercati), prodotti, risparmio, incentivi, concorrenza, documenti “venduti” come riforme, investimenti (anche di emozioni e sentimenti), capitale umano, distretti (come quelli industriali), comitati di indirizzo, tavoli pre-giudiziali e autocentrati, gruppi di progetto…

L’aziendalizzazione sanitaria oltre a palesare una triste mancanza di fantasia comporta il rischio di mercificare relazioni e scambi. In questo disegno ogni limite viene considerato un ostacolo: il pensiero critico, l’approfondimento culturale, la partecipazione e l’autonomia nel processo decisionale del volontariato dedicato, l’abolizione del controllo centralizzato… Come ogni prodotto anche il mmg diventa un bene utilizzabile (paradossalmente si offre spontaneamente come servo volontario a causa di un fatalismo introiettato derivato da cattivi ammaestramenti): la professionalità si dissolve nel calcolo del peso utilitaristico e nella strategia del consenso.

Il professionista non allineato con una sanità di apparato/amministrata viene sistematicamente annullato tanto che, in certe situazioni, si osa addirittura paventare la dipendenza dei mmg come “punizione” per quei mmg che si permettono di non introiettare il pensiero unico (violenza economica?). Non avrai altra organizzazione al di fuori di quella aziendale nella quale la logica di mercato, economicistica e finanziaria furoreggiano pur essendo dogmi senza nessuna tenuta epistemica. L’infinita possibile varietà culturale creata dall’ auto-organizzazione non viene considerata una opportunità o un valore.

Nei documenti più in voga di agenzie, gruppi, istituzioni è difficile trovare, per quanto riguarda la medicina di famiglia, riferimenti alle autorevoli indicazioni dell’Associazione Mondiale dei medici di famiglia/Base (Wonca) così come risulta arduo trovare “valori” in grado creare solide motivazioni. Molti invece sono i capoversi che si preoccupano in modo quasi ossessivo di normative amministrative/finanziarie/di controllo. Le contraddizioni presenti negli elaborati dimostrano la debolezza intellettuale ed etica sulla quale si fondano.

Nulla si è modificato: crisi economica, inflazione, malagestione, covid, consociativismo, governance, oligarchia, DM77, PNRR, “spiegoni” in merito a Case della Comunità, Ospedali di Comunità, distretti, meritocrazia, nuovi acronimi… le incoerenza e le antinomie sono incrementate e un considerevole numero di giovani professionisti viene curiosamente capeggiata da pensionati ex Direttori Generali, ex Direttori Sanitari, ex Direttori Amministrativi, come se le nuove leve non potessero più osare un pensiero autonomo ed innovativo.

L’Italia dei comuni potrebbe riservare grosse sorprese a fronte di alcune esperienze esotiche che popolano le bibliografie di numerosi articoli. Nei secoli XII, XIV e XV l’Italia era uno dei paesi più progrediti del mondo tanto che proprio in quel periodo nasce l’Umanesimo grazie alle condizioni culturali e sociali create dalle città-stato italiane. Il Welfare di Comunità, quello vero, si rifà proprio alla filosofia culturale sociale ed organizzativa dei comuni. Anche negli anni Sessanta l’Italia procedeva spedita con un PIL a due cifre (come quello cinese di un po’ di tempo fa) e come ricordano gli economisti allora c’erano molti imprenditori privati, spesso possedendo la sola licenza elementare ma pochissimi manager. Qualche valore storico i nostri territori possono vantarlo e proporlo come garbato modello organizzativo per le cure primarie territoriali.

La meritorietà ha un valore di molto superiore alla meritocrazia autoreferenziale e consociativistica, è rivoluzionaria perché non è massificante e rifugge la mediocrità progettando futuri alternativi alla narrazione dominante che sostiene l’intrasformabilità e l’inevitabilità di un eterno presente.
La cultura (di un mmg che non si abbandoni alla disperazione e che ricerchi una alleanza con i propri assistiti) sostiene la strategia della resistenza per i “mendicanti di senso nell’odierna notte del mondo” a fronte dell’insensatezza divenuta norma ufficializzata.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

18 settembre 2023
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case della salute

La gerarchia è ineluttabile?

31 LUG - Gentile Direttore,
è nozione diffusa che il nostro sistema democratico sia di tipo rappresentativo. Non è una democrazia diretta. Per temperare una certa incompiutezza del sistema rappresentativo l’organizzazione politica/sociale prevede l’esistenza di molti enti finalizzati a mitigare l’inevitabile distacco che si crea tra cittadini e istituzioni (es.: corpi intermedi e organi sussidiari) affinché questi rappresentino nel modo il più diretto possibile le esigenze popolari. Questo processo acquista un valore particolare in sanità.

Non si può dire che il tema “partecipazione” sia stato realizzato se molti cittadini non conoscono (fatto salvo per gli addetti ai lavori) cosa significhi commissariamento o sub-commissariamento e per quali motivi vengano attivati. Oscure per la maggior parte delle persone sono le definizioni e le funzioni dei Comitati Consultivi Misti e delle Conferenze Socio Sanitarie Territoriali o dei Piani di Zona. A volte il turbinio degli avvicendamenti intra-regionali tra componenti delle alte e medie dirigenze non permettono nemmeno agli addetti di avere interlocutori.

L’esaustiva recente indagine di D. Caldirola (Welfare comunitario o Casa della Comunità: dal PNRR alla riforma dell’Assistenza Sanitaria Territoriale, 2022) non rimuove infine le “antinomie” più volte rappresentate sulle colonne di QS.

Un Welfare di Comunità disegnato così come è raffigurato dai recenti decreti e dai vari documenti non è un vero Welfare di Comunità, infatti il processo decisionale autonomo a livello territoriale in favore di professionisti e cittadini resta un esercizio manierato senza reali innovazioni strutturali; incombe quasi minaccioso su ogni ipotesi di riordino l’idea della assoluta necessità del Distretto come se fosse un mantra intoccabile; i consorzi, molto più comunitari sia dal punto di vista geografico che relazionale e politico, sono inconfessabili.

Il tema del Welfare di Comunità, le traversie del PNRR, la complessità, la gerarchia, la governance, il volontariato e l’auto-organizzazione nelle Cure Primarie possono rivelare alcuni elementi in comune.

Il volontariato.
L’enfasi post Covid mostrata nei confronti del volontariato sembra ora essersi convintamente incanalata verso un ruolo che vede l’associazionismo civile come soggetto “conveniente” per possibili esternalizzazioni dell’offerta sanitaria al massimo ribasso possibile se non alla gratuità. Tuttavia il coinvolgimento del Terzo Settore avviene, nella maggior parte dei casi, rigorosamente “ex-post” secondo la più classica delle interpretazioni aziendali di governance (altra formula magica) a cui si vorrebbe dare un significato opposto a ciò che è nella realtà delle cose cioè un governo monocratico/oligarchico e verticistico.

Cure Primarie.
E’ eclatante come si perseveri (diabolicamente) nel calcolare la medicina di base come baluardo per gli accessi al PS e per i ricoveri impropri quando questo effetto dovrebbe essere un conseguenza secondaria ad una assistenza primaria che, secondo quanto definito da Wonca (2011-2012-2022), venga esercitata secondo caratteristiche specifiche proprie.

Auto-organizzazione.
Tra le varie ipotesi di riforma l’autonoma organizzazione di professionisti “autori” all’interno di comunità “contenute” (mai superiori ai 30.000 abitanti) può rappresentare uno “strumento chiave” per gestire un sistema complesso come è quello della salute (L’auto-organizzazione quale strumento di gestione della complessità, De Toni, 2021).

Complessità.
Lo stesso E. Morin (2005) ha sostenuto che, in un sistema complesso, le azioni alla fine sfuggono alle volontà di chi le ha generate a causa del meccanismo di autoregolazione o feedback (retroazione) così come avviene anche nelle reazioni biologiche o cellulari (catabolismo, anabolisismo, entropia, entalpia). Il principio della retroazione è fondamentale per comprendere la complessità. Quando manca la consapevolezza dei fenomeni correlati alla complessità non potranno mai essere approfondite le conseguenze che le azioni che insistono su questi stessi sistemi possono avere. Ogni azione può modificare l’evoluzione di un sistema complesso con esiti assolutamente inaspettati tanto che è possibile affermare che non esistono spiegazioni definitive ma solo contestuali.

Le strategie storicamente utilizzate dalle Aziende Sanitarie vengono guidate dagli esiti finali attesi perché l’assistenza di base viene considerata come un sistema semplice e lineare (appropriatezza prescrittiva e di diagnostica strumentale, riduzione degli accessi al PS e dei ricoveri definiti inappropriati, Assistenza Domiciliare Integrata/Programmata ecc.). Se invece l’assistenza viene pensata come un sistema complesso la strategia è ispirata dalle condizioni e dal contesto senza che si possa prevedere o attendere un esito ex-ante.
L’organizzazione gerarchica piramidale monocratica/oligarchica è assolutamente inadeguata per far fronte ai sistemi complessi.

Conclusione (leadership, presidio di riferimento, gerarchia, periferia)
Le Cure Primarie Territoriali richiedono la conoscenza del funzionamento dei sistemi complessi. La strategia organizzativa più adatta sembra essere quella dell’auto-organizzazione territoriale (patti tra professionisti e cittadini/assistiti) senza la presenza di controlli o modelli gerarchici centralizzati ( Ausl, Distretti, Assessorati).

Parafrasando il fisico premio Nobel Philip Warren Anderson (1977) si potrebbe sostenere che l’auto-organizzazione territoriale rappresenta il futuro più affascinante per un SSN in ragione della sua infinita varietà! L’autonomia organizzativa/gestionale richiede da parte dei professionisti impegno, innovazioni, intelligenza anche per esercitare una “self-leadership” vocazionale (Chris Lowney 2005) dove la gestione della responsabilità cliniche, relazionali e sociali crea benessere nei professionisti e nei cittadini. In questo modo si crea un “presidio” contestuale di riferimento per la comunità. Un vero Welfare di Comunità. La cultura del controllo centralizzato (es.: dipendenza dei mmg) non potrà mai risolvere le attuali criticità che aggrediscono le Cure Primarie perché ciò che è necessario è la comprensione della complessità e la soluzione è data dall’autonomia e dall’auto-organizzazione dei professionisti a livello territoriale. La gerarchia non è ineluttabile. Al centro non si risolve. Il futuro è in periferia (De Toni 2021).

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

31 luglio 2023
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Dente di leone

Le informazioni e i dati da soli non illuminano il mondo

05 LUG - Gentile Direttore,
sia concessa una riflessione sul tema della “pezza peggiore del buco” esortata proprio dalla “teorizzazione dell’acqua calda” (Le ricerche in sanità e l’invarianza dei risultati, QS 26 giugno 2023) vessillo dell’imperitura cultura della conservazione. La metodologia degli annunci relativi alla riorganizzazione delle cure primarie a volte si trasformano in veri e propri scenografici talk show estivi a cui partecipano, molto rilassati, soggetti in grado di offrire originali perle di ovvietà ad un uditorio particolarmente pronto ad accogliere favorevolmente ogni fragilità cognitiva purché derivate da elaborati istituzionali.

Al contrario per coloro che riflettono da tempo in modo discrezionale e argomentato sulla riforma delle cure primarie (come passaggio imprescindibile per il “servizio” salute/sanità) le “aporie” presenti nei documenti ufficiali e nelle varie petizioni circolanti creano situazioni pressoché irrisolvibili. La filosofia politica sanitaria organizzativa non può tuttavia esimersi dal ricercare la ricchezza insita nel territorio (con iniziative testimoniali, crematistiche e paideiche) formulando appunto proposte accorte per un ordinamento alternativo.

Secondo il parere di alcuni estensori dei documenti calati dall’alto o scaturiti da organizzazioni/associazioni nate frettolosamente in ragione e del PNRR, DM77, Metaprogetto, ACN ecc. pare non ci si possa separare dalle teorizzazioni cardinali (es.: esistenza del Distretto) come se il mondo fosse immodificabile e non esistessero forze sociali in grado di far fronte all’appiattimento sanitario globale. Come se tecnica ed economia fossero sempre e comunque sovraordinate, la forma “merce” sembra dominare sui beni e sui valori (es.: … due mezzi medici, QdS, 30 maggio 2023; Case della Comunità e Ospedali di Comunità tutt’altro che di comunità ma più propriamente “di amministrazione”; ipotesi subentranti di una compresenza tra mmg dipendenti e liberi professionisti; ecc.). Per riappropriarsi di virtù oggi non più scontate occorre l’audacia di immaginare possibili radicali innovazioni corroborate da una viva “speranza” (E. Bloch) perché le diagnosi vanno accolte con attenzione ma senza affidarsi completamente alle prognosi.

Valori e principi fondamentali della medicina generale ( Wonca riconferma 2022)

Come se ne esce?

L’elenco delle varie definizioni di “centralità del paziente”, “welfare di comunità” o di “comunità”, di “partecipazione” o di strumenti decotti proprio in quanto infilati nel “sistema” delle AUSL a simulare la presenza dei cittadini o millantare un loro potere nel processo decisionale incrementano solo l’instabilità dei fragili costrutti normativi oggetto del dibattito di questo periodo.

Il primo movimento dovrebbe permettere di pensare che siano possibili le vere riforme (es.: quarta riforma come innovazione del “Servizio” Sanitario Nazionale; Nuovo patto-contratto tra medici professionisti della sanità territoriale e il Servizio Sanitario Nazionale, elaborato datato al 2011, ma possibile traccia per ipotetici, sintetici, leggibili e trasparenti ACN).

La seconda azione riguarda il conoscere bene la complessità della professione del mmg ( l’errore macroscopico diffuso è credere che la medicina generale non abbia una propria specificità, valori e principi e sia in funzione di un efficienza del Pronto Soccorso o un mulino in grado di macinare dati come se già quelli stoccati nei silos in questi 20 anni non siano abbastanza inutili per le persone tanto che hanno fatto esplodere il fenomeno delle liste d’attesa più che incredibili, insopportabili ed irritanti per un sistema costantemente intento a ricercare ogni forma di esternalizzazione leggendo in questo senso “commerciale” forse anche il coinvolgimento del terzo settore ).

Ragionare senza i passaggi necessari e continuare a disquisire su cose che si ignorano, non favorisce la nascita di adeguate soluzioni ( es.: Tavolo Tecnico per lo studio delle criticità emergenti istituito presso l’Ufficio di Gabinetto del Ministero della Salute dell’8 giugno 2023 che pare non aver considerato l’imporsi della medicina di genere tuttavia sicuramente su 18 componenti non è stata individuata una medica esperta sul tema e comunque una presenza competente femminile considerati rapporti percentuali m/f presenti ad es. nel territorio).

I determinanti delle varie crisi possono essere numerosi e forse può essere inserita di diritto, tra queste, la sofferenza della verità in quanto le informazioni e i dati da soli non illuminano il mondo e obbligano le persone a rimanere in una “caverna” che inconsapevolmente appare levigata e confortevole (Byung-chul Han).

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

05 luglio 2023
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La pedanteria che a nulla porta

20 GIU - Gentile Direttore,
il solco (…ed ecco quello che scriverei, QS, 12 giugno 2023) ancora una volta dimensiona la distanza siderale che si va accumulando tra coloro che tentano di sviluppare una analisi razionale sulla Sanità/Salute (SSNP) e quelli che si adeguano in qualche modo al debolissimo pensiero unico. Il tema gira intorno alla questione della “sanità” identificato come un “potere” piuttosto che un diritto o un servizio o un bisogno o una entità ontologica (le aziende, le mega aziende, l’aziendalizzazione, i distretti, le sovrastrutture della medicina amministrata non hanno più senso e per questo vanno superate prevedendo Autority nazionali, consorzi locali, autonomie completamente pubbliche nell’assistenza primaria non ancora colonizzata).

Pare che la fatica di divulgare pensieri razionali non porti ad una maggiore diffusa saggezza in quanto il rumore degli annunci autoreferenziali è così assordante e supponente che disintegra nella polvere ogni onesto e pacato tentativo di riflessione approfondita (rivolta al bene comune e alla fruibilità piena dei servizi che corrisponde al godimento dei diritti in una territorialità che sia effettivamente comunitaria).

La prassi pluridecennale della cosiddetta “privatizzazione della sanità” alimenta la sua origine culturale proprio all’interno delle istituzioni pubbliche. Infatti molti ex alti dirigenti sanitari o assessori o “pezzi grossi” della galassia amministrativa sanitaria, una volta terminato il mandato, si sono dedicati al management sanitario privato spesso raggiungendo posizioni da “top manager”.

Paradossalmente si assiste ad un modello biologico entropico in quanto all’interno delle normative c’è già, nascosto, il messaggio genetico che distruggerà lo stesso ente che le direttive asseriscono di sottrarre alla morte.

Queste contraddizioni inevitabilmente diventano poi discriminazioni che coinvolgono professionisti, assistiti, l’assistenza, la prossimità. Esse galleggiano, quasi invisibili, in periferia dove vengono sperimentate sottotraccia. In un secondo tempo la situazione viene formalizzata, normata, deliberata. Lentamente e impercettibilmente, come una chiazza di petrolio contaminato, dai sobborghi arriva infine ai convincimenti centralizzati monologici o alle agenzie che scrivono i testi “obbligando” alla lettura noiosa e pedante priva di slanci e visioni.

Un esempio tra i tantissimi possibili. A microfoni spenti, tutt’oggi, vi sono amministratori che confermano l’inutilità della maggior parte del programma del PNRR che riguarda la materia delle Case della Comunità e il costrutto collegato… in quanto completamente inadeguate alle necessità del contesto. Si caldeggia comunque il piano al fine di non perdere i finanziamenti dedicati. Nascono quindi come l’erba quando piove commissioni, tavoli, regie, coordinamenti, relazioni che a causa del punto di partenza non possono che generare nebbia cognitiva.

Gli amministratori di cui sopra attribuiscono comunque le scelte o le decisioni sbagliate alla governance precedente. Di questo flusso di accadimenti i professionisti della prima linea (troppo impegnati a tentare di prendersi cura delle liste d’attesa attingendo quando necessario a strutture private) e i cittadini non sanno nulla. Chi dovesse azzardare suggerimenti o alternative costruttive verrebbe bollato come uno “scappato di casa” che si è svegliato male la mattina.
Sono rappresentazioni mentali disarmanti ma conformate al pensiero unico.

È un pensiero che non andrà lontano. Le contraddizioni si scateneranno tutte insieme (nelle cure primarie) anche se i manoscritti delle associazioni culturali vogliono rappresentare un futuro vantaggioso. Per chi? Cui prodest? Questi elaborati palesano qualche cosa che somiglia molto ad un “sofismo contemporaneo” indifferente all’essenza e che appare come un “sapere” orientato esclusivamente al mantenimento dello status quo. Covid, guerra, inflazione, incremento della povertà, disagio sociale tutto dimenticato in un attimo. Se non c’è passato non può nemmeno esserci una visione futura.
C’è solo un afoso presente affastellato di nuovi acronimi irrazionali che popolano i documenti ufficiali e le elaborazioni delle associazioni culturali del settore.

È probabile che sia stato raggiunto un limite. Non sono individuabili naturalmente i diretti responsabili salvo non si voglia incolpare di tutto il maggiordomo (governance pregresse).
Ma è proprio necessario condividere il DM77, il Meta Progetto o i pedanti “spiegoni” autoreferenziali diffusi in tutto lo stivale?
Anche la Legge Balduzzi era una legge … che non è mai stata applicata… con il DM77 si è improvvisamente scoperto che la L.Balduzzi aveva, nascosta, la data di scadenza.
Chi ha scritto questi articolati? Quali sono le cause (spiegazioni) di tutto ciò? Senza una causa tutto resta un’opinione apparente e crea un sapere per sua natura instabile apparentemente affabile.

C’è chi propone addirittura modelli esotici come se non esistessero esperienze locali sorprendenti e concrete, con un passato e una visione futura. Non sempre dimensionabili statisticamente. Non inserite in ricerche bibliografiche accademiche o internazionali (essendo locali e periferiche). Non rigorosi nel seguire protocolli o linee guida. Privi anche del conforto della Medicina Basata sulle Evidenze.

Eppure i loro pazienti curati professionalmente e amorevolmente per Covid nel periodo pandemico non sono morti. C’è una verità assoluta nell’esperienza umana del condividere il senso di finitezza che dà al medico e al “suo” paziente una consapevolezza che non ha bisogno che la “centralità del paziente” sia artatamente enunciata (a favore della medicina amministrata che, da quello che si legge su QS, “dipendenza dei medici di famiglia” secondo il Piano del Ministero della Salute…, ha vinto!).

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma

20 giugno 2023
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Medicina Territoriale

E pensare che c’era il pensiero

Gentile Direttore,
un personaggio un po’ poeta ed un po’ filosofo nel 1996 ha registrato dal vivo un suo spettacolo nel Teatro Regio di Parma. Da questo recital poi è stato prodotto un album che aveva questo titolo: “E pensare che c’era il pensiero”. In una successiva intervista Giorgio Gaber sostenne come fosse più importante dire la verità ad una persona che molte mezze verità a tantissima gente. Oggi pare che il diffondere mezze verità sia diventato pandemico.

Nelle cure primarie territoriali la questione del pensiero e della sua complessità è strettamente connesso con quello della cura e del prendersi cura (funzione ontologica). Desta meraviglia come sia le istituzioni che le associazioni culturali che tentano di affrontare argomenti complessi decadano nel culto della raccolta dati (dataismo) e dell’autoreferenzialità. Le soluzioni lineari rivelano un conformismo amministrativo destinato inevitabilmente ad un precocissimo invecchiamento.
Cos’è un territorio assistenziale e come percepisce, una specifica popolazione, il bene comune?

In un periodo non sospetto (2010-2014) una associazione di volontariato che opera in un quartiere periferico di una città (Comunità Solidale Parma www.comunitasolidale-parma.it) aveva cercato di analizzare la situazione sociale/antropologica degli abitanti di quell’area dal punto di vista assistenziale. Nel 2015 ha pubblicato sulla stampa locale la conclusione di quelle riflessioni che propugnavano la necessità che, in quel quartiere, dovesse sorgere una Casa della Salute “grande” contenente tutti i servizi e le funzioni previste dalla normativa allora vigente. E’ stato quindi realizzato un disegno progettuale da offrire alle istituzioni locali e regionali. Sono state anche raccolte le firme dei cittadini in favore della Casa della Salute “grande” prevedendo la logistica, l’impatto ambientale, geologico e l’utilizzo di materiali ecologici.

Non vi è mai stato un confronto con le istituzioni su questo tema.
“… il sistema assume oggi una forma affabile, smart, rendendosi invisibile ed inattaccabile … questa tecnica di dominio neutralizza la resistenza in maniera efficacissima” (Byung-Chul Han, Perché oggi non è possibile una rivoluzione, Nottetempo, 2022).

Comunità Solidale Parma è una delle poche associazioni di volontariato in Italia che ha come missione statutaria la promozione e il supporto alla medicina generale territoriale considerata bene comune tanto che l’associazione ha la sede proprio nella sala d’aspetto nella Medicina di Gruppo “Ambulatorio San Moderanno”.

Il mancato confronto può procurare contraddizioni che si sommano ad altre contraddizioni che alla fine producono errori e dimostrano come alcune argomentazioni ufficiali non siano adeguata al contesto sociale in cui vorrebbero calarsi creando così un peggioramento della regressività tra società e sanità ( es.: nel DM77 la parola “cura” viene riportata due volte e sempre in funzione di situazioni organizzative e non come essenza valoriale fondamentale e distintiva).

La macchina in conto capitale delle CdC, OdC, COT pare sia comunque partita con il rischio di fallire.
Chi da anni studia queste tematiche e propone una organizzazione sanitaria territoriale generativa (salute non come costo ma fonte di benessere, ricchezza, economia) sa bene come siano veramente necessari nuovi spazi di pensiero e nuovi modi di vivere la salute, di curare e di prendersi cura. Spazi fortemente alternativi alla violenta tendenza che mira alla cancellazione della complessità.

Nuovi spazi di pensiero e anche ambientali logistici che siano però belli e piacevoli, percepiti come appartenenti alla comunità dei cittadini e dei professionisti perché il burnout non va considerato una malattia occupazionale ma una conseguenza del fanatismo riguardante la prestazione cumulativa/additiva. La prassi della salute pensata e applicata a livello territoriale richiede una solida autostima dei professionisti e dei loro assistiti nelle competenze o abilità cognitive, spirituali ed economiche.

Le capacità professionali territoriali forse potrebbero co-operare se si individuassero idee o progetti, anche sperimentali, in grado di mettere insieme situazioni contrattuali diverse per almeno un medio periodo affinché nuove strategie volte alla salute possano efficacemente ed economicamente affiancarsi agli storici determinanti la salute e alle modalità assistenziali più diffuse.

Da questo punto di vista potrebbero svolgere un ruolo fondamentale i leader professionali (es.: mmg autori) e i leader spontanei delle comunità ristrette e contenute (es.: associazioni di volontariato che si pongano veramente a servizio della comunità avendo però accumulato un curriculum significativo in campo delle cure primarie territoriali). Il fondamentale rapporto tra cittadini e professionisti del territorio, non essendo prestazionale ma fondato sul rapporto fiduciario, sul curare e sulla presa in carico non è riducibile ad una performance facilmente dimensionabile e quindi è meno appetibile dal privato: da questa pietra angolare si può far ripartire una “nuova” sanità che genera salute e capacità economica completamente e genuinamente pubblica a fronte di PNRR e DM77 ammuffiti prima ancora di essere attivati.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS)
In collaborazione con Comunità Solidale Parma

29 maggio 2023
© Riproduzione riservata


Burnout

La sindrome del burnout

Gli studi hanno dimostrato che la risposta disadattiva allo stress occupazionale nelle professioni d’aiuto ha una sua alta specificità definita “sindrome del burnout.”


MMG

Comunità Solidale Parma

Video di presentazione estratto dal programma "Volontari senza barriere"

 


Medicina Territoriale

Case della Salute e Case della Comunità. Uguali o diverse?

Purtroppo occorre constatare che, al momento, le comunità sono smarrite, frantumate, frullate dalla globalizzazione e dai recenti avvenimenti sanitari ed economici. In questo senso il termine “Casa della Comunità” appare quindi ancor  più fuori contesto, instabile e senza reali punti o radici  di riferimento.

10 APR -

Il termine “Casa della Salute” (CdS) contiene la specificazione di una funzione o di una attività che, si intuisce, possa essere svolta in quella struttura. Quando invece si parla di “Casa della Comunità” (CdC) il contenuto comunicativo supera l’indicazione logistica e tende a dare come acquisita la presenza di una maggiore complessità.

Bauman ci ricorda come il desiderio di comunità sia molto forte ma richieda una carica generativa naturale e “tacita” proprio per una sua intima problematicità relazionale. Di contro le “comunità” che devono farsi sentire o valere o fanno sfoggio delle loro iniziative si autoeliminano come “comunità” in quanto contraddittorie. Possono essere imprese, gruppi di studio, progetti di scopo, portatori di interessi ma non comunità.

Il DM 77 (2022 e GU n.144) definisce la CdC come struttura socio-sanitaria che entrerà a far parte del SSN: per il momento, quindi, è ancora tutto da vedere...

Il Dgr n.291 del 2010 (78 pagine) della Regione Emilia-Romagna (documento antesignano sulle Case della Salute) definisce la CdS come punto di riferimento certo per i cittadini al quale ci si può rivolgere per trovare una risposta ai propri problemi di salute. E’ un presidio distrettuale a complessità diversificata (CdS piccola-media-grande) e ogni quartiere o territorio avrebbe dovuto avere la propria CdS anche se la vera innovazione era costituita “solo dalla CdS grande.

SCHEDA RIASSUNTIVA DEI SERVIZI E DELLE FUNZIONI DI UNA CASA DELLA SALUTE GRANDE

Funzioni_Casa_Salute

Nel 2013 la delibera Regionale della Regione E-R n.117 completava il pregresso DGR n.291/2010 (Modello organizzativo territoriale regionale fondato sulla CdS) prevedendo, almeno nelle CdS “Grandi”, strumentazioni specialistiche e diagnostiche complesse ma anche la presenza di strutture intermedie e di letti osservazionali (termine più corretto del più “discorsivo” ed ambiguo Ospedale di Comunità o OSCO).

Nel 2015 infine le linee di indirizzo regionali sancivano la partecipazione delle comunità e delle associazioni di cittadini che venivano definite “indispensabili” per il funzionamento delle Case della Salute.

Si completava così un percorso culturale teorico ed innovativo per riordinare l’assistenza di base territoriale.

Ciò nonostante si iniziavano a percepire da subito alcuni movimenti contro-riformisti al fine di recuperare un controllo burocratico-prescrittivo forse sfuggito inavvertitamente con i documenti emanati dal 2010 al 2015. Ad esempio tra il 2013 al 2015 compaiono le prime bozze finalizzate alla “prefabbricazione” dall’alto di associazioni di volontariato ingegnerizzate a tavolino mettendo così a rischio idee e intuizioni innovative caratteristiche di un volontariato libero ed autonomo e alla fine hanno consegnato alla mano paternalistica e rassicurante del potere amministrativo “controllante” almeno la parte sovra-ordinata del così detto terzo settore.

Nel 2016 con la delibera n. 388 del 2016 viene poi, improvvisamente, (a conferma delle avvisaglie percepite nel periodo 2013-2015), varata la contro-riforma di tutta la pregressa sistematizzazione innovativa sulle CdS. Il revisionismo burocratico riprende il sopravvento ed inserisce, nei documenti relativi alle CdS, normative rigide e protocolli “a silos” difficilmente conciliabili con la cultura dell’integrazione o della co-produzione multiprofessionale, multidisciplinare e multisettoriale sviluppatasi intorno al fervore creatosi con la delibera del 2010 sulle CdS.

Nel 2021 viene approvato il piano detto PNRR per rilanciare l’economia italiana dopo la pandemia. Al nostro paese vengono assegnati 191,5 miliardi: il 36,5% a fondo perduto e il 63,5% (121 miliardi) in prestito. Con la così detta Missione 6 del PNRR vengono elencati gli obiettivi di tipo sanitario relativi al piano e al finanziamento specifico.

Il DM 77 ( decreto 23 maggio 2022 del Ministero della salute) è il documento che contiene il regolamento attuativo per lo sviluppo nazionale della stessa Missione 6.

Tra le numerose indicazioni alcune disposizioni meritano forse qualche argomentazione.

L’assistenza domiciliare dovrà raggiungere percentuali richieste dalle nuove normative ma questo richiederà il superamento di qualche contraddizione operativa in quanto pare che i Distretti (benedetti come “perni” del riordino delle cure primarie dal DM77) possano paradossalmente essere la causa principale della riduzione del numero delle Assistenze Domiciliari.

Gli Infermieri di comunità in molte realtà sono una attività preziosa e perfettamente operativa da anni (NCP Nuclei di Cure Primarie infermieristiche di quartiere).

Le USCA (Unità Speciali di Continuità Assistenziali) utilissimi sostegni per la medicina di base, soprattutto nelle pandemie, inserite nei territori nel periodo covid per DPCM, sono state poi abolite, successivamente riattivate, ri-annullate di nuovo, infine, come si dice quando si vogliono tagliare i servizi, razionalizzate…

Le Cure Palliative si trascinano da anni snervanti incoerenze. Pur essendo un tipo di assistenza fondamentale e “ontologica” per la medicina generale da qualche parte si asseconda l’insano dubbio che il mmg possa “non” rappresentare il primo palliativista di riferimento per il paziente che ha esercitato la scelta fiduciaria per quello specifico medico (forse pensando proprio ad una eventuale propria terminalità). Se invece la “palliazione” deve essere istituzionalizzata come attività specialistica a se stante, con strutture riservate, con direttori, responsabili e coordinatori… bisognerebbe almeno immediatamente, seduta stante, abolire le vergognose (forse eccessivamente confidenziali) liste d’attesa (sic!).

SCHEDA RIASSUNTIVA DELLE CARATTERISTICHE DISTINTIVE TRA CdS e CdC

Il confronto “a colonne” tra le caratteristiche delle CdS con quelle delle CdC non danno l’impressione di palesare “differenze epocali” e pare che il culmine del divario stia solo nelle denominazioni (da CdS a CdC) e di conseguenza nella cartellonistica. Se poi si desidera soppesare il valore relativo all’efficacia, all’efficienza, all’organizzazione, al gradimento dei cittadini verso i servizi offerti, alla comprensione della struttura da parte della popolazione l’ago della bilancia potrebbe pendere pesantemente a favore della “Casa della Salute Grande” quando questa può beneficiare di una completa autonomia (abolizione delle aziende sanitarie e delle mega aziende e ripristino dei consorzi territoriali) nel processo decisionale e nel governo clinico.

SCHEDA RIASSUNTIVA DEL PROCESSO DECISIONALE NELL’AMBITO DELLE CURE PRIMARIE (es.: EDIFICAZIONE O RISTRUTTURAZIONE DI UNA CASA DELLA COMUNITA’ E DEL SISTEMA ASSISTENZIALE TERRITORIALE)


(Welfare di Comunità, QdS, 7 maggio 2021)

SCHEDA RIASSUNTIVA DELLE CARATTERISTICHE DISTINTIVE DEL GOVERNO CLINICO (GC)
GC AUTONOMO DELLE CURE PRIMARIE VS GC AZIENDALE ISTITUZIONALE

Come già menzionato una “comunità” si considera tale quando è composta da un gruppo di individui che vivono in un territorio limitato con caratteri comuni e reciproca dipendenza (appartenenza, solidarietà, legami sociali paritari non rigidamente gerarchizzati, senso di libertà con potestà di partecipazione alla vita collettiva). La comunità non è sovrapponibile ad una popolazione o ad una società perché in questi casi le relazioni sono più complesse, le dimensioni più vaste, meno controllabili e quindi restano più sconosciute.

Il termine “comunità” associato a gruppi, associazioni, portatori di interessi è esploso dopo la pubblicazione del PNRR. E’ diventata una parola molto diffusa, inflazionata, utopistica. Infatti la contemporaneità è caratterizzata da un individualismo economicistico e da relazioni “contrattuali” che non lasciano tanto spazio alle “comunità” tradizionali, contenute nelle loro dimensioni e accumunate da saperi, tradizioni e scale valoriali consolidate nel tempo.

Purtroppo occorre constatare che, al momento, le comunità sono smarrite, frantumate, frullate dalla globalizzazione e dai recenti avvenimenti sanitari ed economici. In questo senso il termine “Casa della Comunità” appare quindi ancor più fuori contesto, instabile e senza reali punti o radici di riferimento.

Il tema delle cure palliative, già ricordato, evidenzia l’importanza che può avere un punto di riferimento (non per forza tecnologicamente avanzato) alla fine di una esistenza umana di un assistito che sceglie fiduciariamente un dato mmg proprio per esigenze o bisogni molto riservati. La struttura sociale e le istituzioni (che dovrebbero essere modelli guida) non sono più in grado di conservare le loro funzioni tradizionali perché si sciolgono prima ancora di avere stabilizzato qualche cosa ( es.: la decennale questione delle liste d’attesa, il fallimento del progetto sulle Case della Salute, la mancanza di autocritica e di un radicale cambiamento delle élite Dirigenziali perpetue, l’impossibilità di addivenire ad una riforma radicale del SSN, l’abolizione delle Aziende, Distretti e Assessorati, l’assenza della politica e la vistosa preponderanza della finanza…).

Il risultato è la paralisi di ogni possibile azione collettiva e l’esclusione degli individui, che credono di appartenere ad una comunità, dalla partecipazione attiva alla stessa vita comunitaria.

Chi ha scritto il DM77? Perché è stato redatto in modo che potesse dare la sensazione di essere stato confezionato in favore di piccoli gruppi di élite staminali (totipotenti e onnipresenti)?

Lo sfrenato individualismo elitario è riuscito a danneggiare anche il senso stesso del bene comune.

Le comunità, quelle tradizionali a cui spesso si fa riferimento nella narrazione quotidiana, non ci sono più ed è venuta meno la loro funzione di “organo di mediazione”.

La realtà appare più popolata da gruppi individualistici ed elitari e le inevitabili eccezioni non sono in grado di cambiare la situazione attuale.

Il termine “comunità” ha perso il suo senso anche perché le istituzioni stesse testimoniano un valore unico, quello della “competizione” che diventa poi modello di conflittualità tra individui e istituzioni.

Le divergenze portano, a loro volta, alla difesa dell’interesse egoistico, all’incertezza, all’ansia, al senso di fallimento.

Emblematico da questo punto di vista è la corsa agitata per accaparrarsi un posto sul carro del “progetto Case della Comunita’” dove i gruppi di lavoro o organizzazioni sgomitano per restare a bordo subito pronti però a scendere non appena si comprenderà che non vi saranno vantaggi in solido.

La comunità non è più una finalità filogenetica ma un “mezzo” per raggiungere un fine più prosaico e per questo obiettivo non si esita a rinunciare all’originalità innovativa, spesso non allineata alle disposizioni ufficiali, per adattarsi remissivamente al mito burocratico (es.: DM 77), anche se incomprensibile, perché alla fine resta la via più facile che comunque non riuscirà mai ad attenuare contraddizioni, disuguaglianze e discriminazioni.

Le comunità potranno essere ricomposte?

In parte, se saremo in grado di essere saggi. Se saremo prudenti e in grado di generare idee innovative valide.

Per trovare delle soluzioni occorre ricominciare radicalmente da capo (riforma) con leader territoriali credibili e accreditati dal consenso (libera scelta). Nel film “Invictus” il Presidente Mandela, leader emblematico, si trova, suo malgrado, a riprendere i suoi sostenitori più faziosi dicendo “Voi mi avete scelto ed ora lasciativi guidare da me”.

I servizi (che potrebbero essere anche sovrapponibili ai diritti) vanno riportati nei quartieri e nei territori, le risorse devono ritornare paritarie, occorre restituire il maltolto, abbandonare la logica dell’economicismo statistico/numerico, quindi abolire la strutturazione attuale, i relativi documenti normativi e gli oracoli del pensiero unico. E’ determinante, promuovere la salute che può concretamente diventare ricchezza per una comunità e dare vita ad ulteriori sperimentazioni valorizzanti e a convinti stili di vita provvidenziali perché effettivamente preventivi.

Bruno Agnetti

CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria).


Sanità pubblica addio? Agnetti: “Come possiamo evitare di arrivare al punto di non ritorno?”

La sanità privata è ormai un sistema molto potente in tutte le regioni ed in tutte le provincie. E’ molto complesso pensare ad una sua revisione radicale. Sarebbe come affrontare le problematiche sorte con il finanziamento pubblico della Fiat ad iniziare dagli anni ’70 aggravato da fatto che, oggi, gli occupati nella così detta sanità privata sono molto superiori al numero dei dipendenti della Fiat e la diffusione logistica del privato è capillare in tutto il paese.

Molti colleghi erano lì, nei primi anni 80, quando la riforma sanitaria ( 833 del 23 dicembre 1978) iniziava il suo iter applicativo. Da allora si è passati dall’iniziale entusiasmo al disincanto rassegnato tanto che pensare a qualche cambiamento può apparire addirittura velleitario. Gli storici sanitari “boomer” sono passati dall’essere clinici attivi ed operativi a utenti se non pazienti. Mantengono tuttavia un patrimonio di conoscenze che li rende esperti perché “conoscitori dei fatti accaduti” sia nell’ambito dei professionisti delle cure che nell’area variegata degli assistiti.

Durante questo tribolato periodo numerosi medici e operatori sono stati quasi presi per mano dalle numerose pubblicazioni del Prof. Ivan Cavicchi che hanno così favorito formazione e approfondimenti in merito ai temi più critici della politica sanitaria italiana.

L’ultima fatica del Prof. Ivan Cavicchi ha nel titolo (Sanità Pubblica Addio) un termine definitivo, “addio” appunto.

Il sottotitolo riporta però una frase che tenta di individuare “la causa prima” che ha provocato la sconfortante rottura: il cinismo delle incapacità. A leggere il testo questa incapacità pare poter essere associabile ad una profonda ignoranza, soprattutto da parte dei decisori, sui fondamentali di una disciplina molto complessa come la medicina.

Nella controcopertina riemerge comunque lo spirito indomito del Prof. Cavicchi quando sostiene: “non è vero che sia impossibile o inconcepibile una sanità che funzioni, adeguata ai bisogni delle persone, giusta”.

L’analisi inesorabile e a tutto campo presentata nel testo del Prof. Cavicchi è già più che bastevole. Sono state lette su QdS ulteriori riflessioni e studi generali colti e minuziosi. E’ superfluo quindi esporre altre considerazioni complessive affidando quindi questo compito ad una sola immagine.

Spesa sanitaria pubbica in rapporto al PIL

In considerazione della esperienza accumulata nel tempo si farà soprattutto riferimento al capitolo 14 del libro del Prof. Cavicchi: Medicina Generale.

In effetti il Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di cui il sottoscritto fa parte, si è dedicato, in questi anni, allo studio “operativo” e “di base” di quanto la Politica Sanitaria ha prodotto in merito all’organizzazione sanitaria territoriale (ACN, AIR, DM77, Metaprogetto, PNRR, delibere, intese, documentazioni, iniziative o coordinamenti ecc.).

L’attività della Medicina Generale, più correttamente, l’operatività dell’insieme degli attori che agiscono sulla scena delle Cure Primarie si svolge per la gran parte in modalità ”periferica” e di conseguenza sviluppa una cultura specifica di “confine” in quanto, a questo livello, avviene il contatto diretto con le persone, le loro peculiarità ed i loro bisogni espressi e non espressi. In questo ambito le richieste bio-psico-sociali sono molto forti.

Tuttavia è proprio a livello del territorio che si potrebbero intravedere interessanti spinte riformiste foriere di una nuova cultura sanitaria assistenziale, originale e specifica, spesso spontanea, che potrebbe affondare le proprie radici nelle integrazioni (co-operazioni) tra operatori professionali e cittadini (https://youtu.be/KtDb05WbtFI).

Il nuovo clima intellettuale riformista che originerebbe nel perimetro delle cure primarie sarebbe in grado di misurarsi con sistemi complessi rappresentati dal contesto (bisogni delle persone ed esigenze degli operatori). Si formerebbero così modelli di leadership riconosciuti che si pongono come punto di riferimento e di servizio per l’intera comunità di appartenenza.

La leadership di comunità si distinguerebbe non solo per la mancanza di strutture gerarchiche, per la flessibilità verso forme collettive o collegiali del modello, per la trasparenza e la capacità di mettersi in gioco; per la gestione serena della responsabilità condivisa; per il ruolo di testimonianza; per la valorizzazione della meritorietà ( criterio del merito) al posto della tanto decantata meritocrazia ( governo della meritocrazia), per la totale gratuità.

A tutt’oggi la “libera scelta” che caratterizza in modo unico la medicina generale e il medico di base (finché questo istituto verrà mantenuto) rappresenta una legittimazione quasi politica (non partitica) che facilità la co-operazione e la co-responsabilità tra sanitari e cittadini. Il prof. Cavicchi, nel suo scritto, liquida definitivamente il tema della dipendenza del mmg (“stupidaggine”).

Questa cultura riformista che da tempo si sta sviluppando silenziosamente a livello territoriale, resta sempre una constatazione inaspettata da parte delle Alte Dirigenze regionali e locali in quanto spesso la loro efficacia non coincide con i protocolli o con le normative istituzionali e le esigenze amministrative/economiche di controllo. Si tende quindi a scotomizzarla o riassorbirla in complicati sistemi burocratici che ne soffocano l’originalità innovativa.

Al chiacchiericcio che recentemente è nato intorno al PNRR (missione 6), alle Case della Comunità e agli Ospedali di Comunità partecipano troppi soggetti autoreferenziali (“che di base non hanno niente”). Non si considerano le esperienze che non siano perfettamente allineate ma si sommano stucchevoli esposizioni che poco hanno a che fare con gli operatori che svolgono la loro attività quotidianamente in prima linea. Nessuna iniziativa e nessun coordinamento è riuscito ancora a eguagliare quella “vera riforma” delle cure primarie rappresentata dalla storica delibera della Regione Emilia-Romagna sulle Case della Salute (GPG/2010/228) con la quale si normava la realizzazione di queste strutture.

La reale azione riformatrice riguardava solo la così detta casa della salute “Grande” in quanto ipotizzava la creazione in ogni quartiere o in ogni territorio di un complesso logistico-architettonico che potesse offrire un “contenuto” in grado di mettere a disposizione di una comunità l’intera gamma dei servizi territoriali sanitari, sociali, assistenziali, riabilitativi, di strutture intermedie, di assistenza diurna, di integrazione tra operatori e terzo settore.

Un reale servizio per i cittadini che avrebbe garantito anche la prossimità, la domiciliarità e la continuità delle cure. Le normative, i coordinamenti e le iniziative che si stanno muovendo intorno alla questione del PNRR sanitario restano tutt’ora una “mistificazione” che “non hanno niente a che fare con la comunità” (termine ormai inflazionato) e sono funzionali solo ad un ruolo prefettizio dei distretti che grazie alla narrazione collegata al PNRR tentano di recuperare una competenza da tempo evaporata.

Il fallimento dell’esperienza Case della Salute non è da attribuire a questioni economiche ma piuttosto al mancato coraggio di portare fino in fondo quel progetto che avrebbe potuto dare forma a quel clima intellettuale e culturale territoriale innovativo ed autonomo già ricordato ma poco controllabile a livello istituzionale.

Da questo punto di vista può essere molto istruttivo analizzare la Delibera GPG/2016/2253 della Regione Emilia-Romagna dove, probabilmente, può essere evidenziato un esempio plastico di contro-riforma estremamente contorto che nella pratica ha bloccato ogni possibile evoluzione innovativa delle Case della Salute “Grandi”.

L’esito negativo di questa stagione ha lasciato dietro sé profonde cicatrici individuabili in una aumentata sfiducia degli operatori nei confronti delle istituzioni e in un incremento delle differenziazioni (eufemismo) professionali ed assistenziali. Anche i recenti documenti che vanno per la maggiore dimostrano una intricata “assenza di pensiero”, la mancata semplificazione che offusca la trasparenza, un serpeggiante contro-riformismo, una evidente inapplicabilità delle norme operative (“il mmg segato in due per fare due mezzi medici”), soprattutto l’incapacità di comparazione con altri concetti e altre esperienze palesata dalla numerosa produzione “potestativa” di normative cogenti. (https://www.brunoagnetti.it/2022/05/17/cosa-fa-oggi-e-cosa-dovrebbe-fare-oggi-e-domani-il-medico-di-medicina-generale/ ).

Già nel lontano 27 giugno 2012 la stessa SISAC (Struttura Interregionale Sanitari Convenzionati ) evidenziava alcune criticità evidenziate nella stesura dei documenti ufficiali dove si confondono periodi temporali; difficoltà nella comprensione delle disposizioni; farraginosità, contraddittorietà, ambiguità… ma da allora a tutt’oggi non sembra che siano cambiate le cose.

Anche il fenomeno delle liste d’attesa e la regolamentazione amministrativa delle priorità (UBDP) desta qualche criticità e probabilmente deriva da una mancanza di fiducia istituzionale nei confronti dei professionisti. Un collega medico di base ha raccontato il seguente episodio: nel mese di gennaio 2023 ha diagnosticato ad un assistito occasionalmente una severa Insufficienza renale ( in relazione ai dati di laboratorio). Ha immediatamente provveduto a impostare una terapia adeguata associata a dieta e ad attività fisica.

Contestualmente ha provveduto personalmente, in considerazione del caso clinico, a prenotare una visita specialistica nefrologica urgente. L’appuntamento nel pubblico necessario anche per ufficializzare l’E.T. e poter ricevere i prodotti alimentari aproteici è stato fissato per metà maggio del 2023. Le liste d’attesa rappresentano la prima barriera all’accesso alle cure (quasi 4 milioni di cittadini hanno rinunciato alle cure nel 2022 e ancora nel 2023 pare che circa 2 milioni di persone siano senza medico di base).

Modelli e idee alternative per una vera riforma radicale delle Cure Primarie ve ne sono molte e lo stesso Prof. Cavicchi ne sintetizza alcune tra queste ( terza via):

- coerenza con i “valori” di riferimento ( è possibile elencarne alcuni: non maleficità, beneficienza, giustizia, autonomia, equità, qualità, trasparenza, sostenibilità, trasmissibilità, complessità, co-operazione, co-responsabilità collegiale…)

- “abolizione delle aziende” (invece che accorparle in mega-aziende) e ritornando ai consorzi per governare meglio la complessità dei malati spendendo molto meno.

- “modificazione del sistema retributivo” degli operatori puntando su gli esisti. Il sistema del governo clinico dovrebbe essere completamente scollegato da sistemi amministrativi/burocratici/economicistici; gli obiettivi verrebbero scelti, in accordo con le esigenze del SSN, anno per anno dagli stessi professionisti/operatori (clinici, assistenziali, organizzativi, relazionali, co-operativi…) incrementando così il senso di appartenenza e la condivisione delle responsabilità all’interno di una aggregazione professionale territoriale

- “produzione di salute” perché questo crea quella ricchezza in grado di bilanciare i costi della sanità.

- trasformazione del mmg in medico “autore” in grado di attuare una nuova prassi ( “opera”).

- rendere il mmg “azionista della sanità pubblica” affidandogli responsabilità dirette sul processo decisionale e sulla gestione del SSN

Come possiamo evitare di arrivare al punto di non ritorno?
La sanità privata è ormai un sistema molto potente in tutte le regioni ed in tutte le provincie. E’ molto complesso pensare ad una sua revisione radicale. Sarebbe come affrontare le problematiche sorte con il finanziamento pubblico della Fiat ad iniziare dagli anni ’70 aggravato da fatto che, oggi, gli occupati nella così detta sanità privata sono molto superiori al numero dei dipendenti della Fiat e la diffusione logistica del privato è capillare in tutto il paese. Vi sono precise responsabilità da attribuire ai decisori e alle forme di consociativismo. Alcune città dell’Emilia-Romagna, regione dove la narrazione ufficiale o i luoghi comuni porterebbero ad immaginare una maggiore diffusione del servizio sanitario pubblico, presentano una densità di strutture private sovrapponibile a quella della Lombardia.

Ciò che invece ha effettivamente condotto al capolinea di un binario morto sono stati i limiti culturali che si sono accumulati nel tempo e hanno interiorizzato un pensiero “privatocratico” generatosi proprio all’interno del Servizio Sanitario Pubblico. Da questa ”regressività” è verosimile che nessuna regione e nessuna azienda può chiamarsi fuori. E’ quindi impossibile uscire da questo flusso di torrente in piena per ricostruire una “titolarità del pubblico” con chi, in questi anni, ha coltivato un pensiero unico e debole così monotono e ripetitivo ( ossessivo?) da non permettere nemmeno un minimo di autocritica. Persistono infatti deliberazioni e narrazioni decontestualizzate ed antistoriche anche sul PNRR. Secondo la Corte dei Conti c’è un forte ritardo nella sua attuazione.

Le strutture in conto capitale sono progettate e deliberate senza mai coinvolgere nel processo decisionale (es.: sulla struttura/disegno architettonico) ex ante i professionisti che dovrebbero renderle efficienti ed anche efficaci. L’obiettivo delle aziende è molto orientata alla formazione “amministrata” degli operatori tanto che si prospetta una obbligatorietà fallimentare ( “il mmg segato in due per avere a disposizione due mezzi medici”!) per svolgere una parte del monte ore professionale tra le costruende Case della Comunità e gli ambulatori singoli o di proprietà.

Sembra che non esista la minima consapevolezza della realtà operativa quotidiana che impegna gli operatori territoriali ( mmg, altri sanitari, servizi…). Il rovinoso impianto orario ipotizzato dal DM 77 diventa impossibile da realizzare pena un ulteriore declassamento valoriale dell’assistenza di base. Il diritto alla salute come “meta-valore” in questo modo non viene rispettato.

Quale giudizio diamo delle nostre esperienze riformatrici e contro-riformatrici? A parte la già citata Riforma del 1978/ 833 le azioni riformatrici sembrano appartenere ad esperienze isolate e nascoste a causa di una qual diffidenza tra convenzionati innovativi e istituzioni. Chi riesce realizzare qualche aspetto creativo e riformatore, anche se non strutturato, desidera poter continuare ad operare silenziosamente per non rischiare di diventare oggetto di una invadenza amministrativa sapendo bene che l’esperienza pratica non potrà mai essere accolta così come viene applicata. Invece l’attività contro-riformatrice è molto attiva. E’ talmente pervasiva che nasce il sospetto che non vi sia nei decisori una piena consapevolezza di come le situazioni vengano ingarbugliate così da causare la lenta erosione della sanità pubblica. Anche la pandemia (già dimenticata) e la questione del PNRR sembrano aver prodotto ora un fastidioso ed estraneo rumore di fondo che distrae gli operatori dal compito di affrontare ogni giorno la “complessita’ del nostro tempo”.

Che giudizio diamo del nostro macroscopico anti riformismo? Inevitabilmente questa tendenza è molto forte, apparentemente inarrestabile. La globalizzazione (anche se attualmente potrebbe subire modificazioni profonde) e la finanza vincono sulla intelligibilità e sulle persone. La rassegnazione, l’individualismo, il singolarismo e il conseguente relativismo fa accettare, quasi passivamente, ogni forma di anti riformismo. Inoltre le logiche aziendali continuano ad essere concentrate su aspetti economicistici che vengono assunti come parametri meritocratici per distinguere i buoni dai cattivi clinici ( sic!).

Per quale ragione le cose in sanità restano saldamente invarianti? Le sovrastrutture di potere gerarchico non possono essere modificate. È noto a tutti che un bilancio regionale per un 70-80% interessa la sanità. È un potere enorme… qualche volta capita che incroci anche il bene comune. Il mercato, la governace, l’economicismo sono diventati sinonimo di equità, giustizia, universalità, libertà ed hanno uniformato sotto questo ombrello qualsiasi modello culturale. Il mercato rappresenta un potente impatto ma crea anche amnesie immediate. Le norme e le circolari devono avvicendarsi velocissimamente così sono in grado di catturano l’attenzione.

Non importa se sono riforme o contro riforme. Come la circolare della Sisac pare suggerire più i testi sono contradditori più creano infinite “chiacchiere”, finte attenzioni, spirali senza fine e giochi retorici. Ogni interpretazione è possibile. Quella che vince tuttavia è sempre la più forte. Che non significa che sia la più giusta.

Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi di Programmazione Sanitaria)

Leggi gli altri interventi al Forum: CavicchiL.FassariPalumboTuri, QuartiniPizzaMorsiani, TrimarchiGarattini e NobiliAnelli, GiustiniCavalliLomutiBoccafornoTosiniAngelozzi.

05 aprile 2023
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