Cure primarie

Quale futuro per le cure primarie? (1ª parte)

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità il 17 aprile 2018

Cure primarie

Una volta che l’Acn sarà definitivamente siglato riprenderanno le trattative decentrate che, fatalmente, trascineranno tutte le contraddizioni derivanti dalla mancanza di un vero disegno di riordino delle cure primarie di tipo culturale prima ancora che tecnico-amministrativo. In mancanza di una rielaborazione intellettuale strutturata il sistema tenderà inevitabilmente a conservare lo status quo attraverso modalità e regolamenti tipici della burocrazia lineare, protocollare, amministrata, economicistica.

17 APR - La firma dell’Ipotesi di ACN per la medicina generale avvenuta il 29 marzo 2018 alla Sisac ( Struttura interregionale sanitari convenzionati) ha fatto seguito al così detto Verbale di Preintesa che a sua volta è stato preceduto, nel tempo, da numerose versioni di Atti di Indirizzo. Il 2018 è anche l’ anniversario di quella Riforma Sanitaria che istituì, nel nostro paese, il Ssn 40 anni fa ( legge 833 del 23 dicembre 1978). Non è banale ricordare il 1978 perché, come ha scritto Ilvo Diamanti, le ricorrenze possono servirci per tornare indietro con gli occhi e con la mente oppure, al contrario, per proiettarci in avanti.

Questi suoi primi 40 anni il Ssn li dimostra tutti.

In particolare le rughe sono evidenti nell’organizzazione della medicina generale e dell’assistenza territoriale. Le riforme che si sono succedute negli anni ( 833/1978, 502/1992 e 229/1999 senza dimenticare la Legge Balduzzi del 2012 ) non sono riuscite a incidere in modo significativo sul riordino delle cure primarie tanto che si è costantemente tentato, in modo improvvido, di mettere in atto ulteriori riforme, improbabili ed inattuabili, attraverso gli ACN che per definizione dovrebbero solo regolare i rapporti di lavoro dei professionisti a fronte di una norma sovra ordinata.

Il pallido tentativo proposto nel 2012 dalla legge Balduzzi è ancora li che circola all’interno del suo affastellato Art. 1 come un pezzo di pane raffermo dimenticato nella madia tanto che nemmeno il Patto della Salute del 2014 è riuscito a ravvivarlo. Forse può essere comunque necessario evidenziare che la legge Balduzzi, magnificata a suo tempo da alcuni odierni detrattori, resta una legge che non è stata cancellata o sostituita. L’eventuale mancata osservanza di una certa norma non produce, nell’ordinamento italiano, alcun effetto abrogativo su leggi pubblicate in Gazzetta Ufficiale tanto che i suoi principi restano tutt’ora inseriti in quello che verosimilmente diventerà, entro il 2018, l’ACN.

A partire dall’ACN del 2005 a tutt’oggi gli Accordi continuano ad essere in gran parte sovrapponibili anche se nel frattempo i cambiamenti sociali sono stati vorticosi, fortemente condizionati da una contrazione spazio-temporale globale e da un pensiero unico e debole che ha acuito il conflitto, sempre più insanabile, tra scienza medica collegata agli aspetti operativi /organizzativi ( generati in modo autonomo e spontaneo dai professionisti della sanità grazie alla circolazione dei saperi e degli apprendimenti relativi alle buone pratiche operative) e gestione istituzionale della sanità soprattutto territoriale.

Una volta che l’ACN sarà definitivamente siglato riprenderanno le trattative decentrate che, fatalmente, trascineranno tutte le contraddizioni derivanti dalla mancanza di un vero disegno di riordino delle cure primarie di tipo culturale prima ancora che tecnico-amministrativo. In mancanza di una rielaborazione intellettuale strutturata il sistema tenderà inevitabilmente a conservare lo status quo attraverso modalità e regolamenti tipici della burocrazia lineare, protocollare, amministrata, economicistica basata su relazioni verticali e gerarchie piramidali che, come insegna l’esperienza, spesso sfociano nella sotto cultura dell’ appartenenza e dell’autoreferenzialità.

Tuttavia la congiuntura attuale di cui tanto si parla (“non ci sono i soldi”) non è completamente credibile e non ha motivazioni solo finanziarie. Forse è molto più pervasiva la crisi di fiducia. Nell’immaginario collettivo e in quello del consenso questo disagio coinvolge la così detta classe dirigente del paese considerata non in grado di dare risposte a temi etici di equità e di bene comune a fronte di una progressione inarrestabile della globalizzazione che, per certi aspetti, avrebbe anche potuto produrre opportunità se vi fosse stata una ingegnosa ri-organizzazione della sanità territoriale.

Le istituzioni storicamente preposte al welfare (es.: Pubblica Amministrazione) da sole non riescono più a fare fronte ai bisogni e alle complessità assistenziali attuali così che appare sempre più indispensabile il coinvolgimento delle varie componenti della società civile al fine di rendere sostenibile una assistenza territoriale di qualità. I fautori di questa ipotesi di ri-organizzazione di un Ssn pensano che alla Pubblica Amministrazione debba essere affidata la salvaguardia di valori sociali considerati fondamentali (es.: universalismo, equità, trasmissibilità, integrazione…) mentre la gestione del governo clinico dovrebbe essere consegnata, nel suo complesso, ai professionisti del territorio e alle organizzazioni della società civile che collaborano con loro. Le indispensabili risorse potrebbero derivare da una partnership tra pubblica amministrazione ed economia reale (imprese generative) che interagiscono e co-operano con gli attori, le organizzazioni e le professioni impegnate nell’ assistenza territoriale.

La prossimità periferica, posta al centro delle relazioni, diventa così un concreto strumento per ottimizzare le risorse, la qualità della vita ed il clima di rinnovata fiducia negli accordi e nei patti proprio perché vengono agite forme di scambio e collaborazione che portano a valorizzare la sinergia tra la diversità delle competenze che, oggi, rappresenta il presupposto per permettere alle nostre comunità di affrontare il futuro in modo sostenibile.

La contiguità interna favorisce inoltre azioni di educazione civica, testimonianza e consapevolezza che possono promuovere salute e benessere in modo diffuso e percepito (qualità tacita) e la personalizzazione della cura diventa il criterio principale per valutare una performance assistenziale di successo. In questo disegno i legami sociali, la condivisione delle responsabilità, l’alleanza tra clienti interni ed esterni non solo rendono possibili reali riallocazioni delle risorse ma permettono al mmg di ritrovare il ruolo di leadership nella collettività di riferimento in grado di orientare tutte le collaborazioni operative al fine di conseguire una conduzione responsabile e condivisa del governo clinico.

E’ possibile così realizzare ciò che vien definito un prodotto innovativo di rottura e di successo capace di superare l’attuale modello organizzativo territoriale in declino e non più adeguato al contesto. Un prodotto innovativo di successo implica una completa “gestione” autonoma del governo clinico territoriale con presa in carico dei bisogni dell’assistito (es.: cronicità) all’interno di un sistema integrato che sia abile nel gestire un processo decisionale in tutte le sue fasi tipiche che vanno dall’ideazione alla progettazione, dalla sperimentazione all’organizzazione per finire con la valutazione e la rendicontazione.

Una eventuale organizzazione moderna amalgama le conoscenze professionali, personalizza l’assistenza, gratifica la qualità percepita e tacita, valorizza l’aspetto economico e condivide le responsabilità senza sollecitare gerarchie piramidali. Le risorse aggiuntive provenienti dall’economia reale dimostrano sempre di più una forte disponibilità a collaborare in partnership con le istituzioni (“dall’indagine si conferma un offerta di capitali maggiore della domanda”; Startup sociali, la finanza chiama, Il Sole24Ore Domenicale del 15 Aprile 2018) per rendere concreto e sostenibile un disegno di riordino diretto non tanto al massimo ribasso dei costi ma al maggior rialzo della qualità e della trasparenza (reciprocazione).

Secondo la ricerca della Schcool of Management del Politecnico di Milano (2018) che ha considerato alcuni criteri per valutare la prontezza ad accogliere investimenti veri e propri ha evidenziato come la dimensione che ha ottenuto il risultato peggiore ha riguardato proprio le competenze organizzative inadatte ad una effettiva governance inclusiva delle qualità intellettuali e delle competenze professionali in grado di dare vita a “prodotti” attrattivi. (Fine prima parte)

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria ( CSPS)
Sindacato dei Medici Italiani (SMI)
Regione Emilia Romagna 

17 aprile 2018
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Biotestamento

Biotestamento. I dubbi di un medico di famiglia

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità il 12 aprile 2018

Biotestamento

12 APR - Gentile Direttore,
la Legge del 22 dicembre 2017 n. 219,  comunemente definita DAT o  Biotestamento, non  riguarda il suicidio assistito e non è una modalità per attuare la così detta buona morte. Dopo la pubblicazione  della legge sulla   Gazzetta Ufficiale  sono apparsi  numerosi e prestigiosi  commenti   tra i quali  emergono per  lucida completezza  quelli pubblicati su questo giornale dei medici legali  Daniele Rodriguez e Anna Aprile i quali confermano, per molti aspetti, la  delicatezza   dell’argomento tanto che  potrebbero  essere   stati percepiti nondimeno alcuni punti  di sospensione …

Come  semplice medico di base  che nella quotidianità professionale  si trova da tempo, anche in vacanza legislativa, a  dover  affrontare situazioni molto simili a quelle inserite oggi nella legge,   credo possa essere appropriato  riconoscere che il tema delle Disposizioni Anticipate di Trattamento sia collegato  strettamente  alla filosofia  o alla pragmatica delle Cure Palliativa e alla sua  moderna fondatrice  Cicely Saunders  prima infermiera poi medico e  scrittrice.

Cicely Saunders  ha fondato il primo Hospice in Inghilerrra  nel 1967 (“più che un ospedale è  una casa”)   e ha fondato il così detto movimento hospice-cure palliative  basato  su  4 semplici principi etici di riferimento: Giustizia, Beneficità, Non Maleficità, Autonomia.   Cicely Saunders è morta per cancro nel 2005 nell’ospedale da lei stessa fondato.

Nell’Art. 1  della nuova legge viene affrontato il tema del Consenso Informato  strumento per altro  già applicato nella pratica clinica per  promuovere e valorizzare la relazione di cura.  Spesso, nei vari commi,    si sottolinea il fatto che le indicazioni  dell’assistito ( DAT)  dovranno anche  essere registrate nella cartella clinica e   nel fascicolo elettronico.

Le volontà  potranno essere acquisite nei modi e con gli strumenti più consoni  come a sostenere che deve essere  facilitata e semplificata ogni modalità di espressione e comunicazione di questi desideri personali ed intimi.

La problematica e la necessità di poter esprimere  “volonta’ anticipate” è avvertita  da tempo tra alcune tipologie di assistiti  e prima ancora  della promulgazione della legge  i pazienti avevano scelto la modalità di   presentare o di compilare insieme   al loro medico  di base,  che per definizione è scelto liberamente come medico di fiducia,  uno  scritto di pugno  su carta semplice che veniva affidato al medico  di famiglia  considerato come espressione  anche istituzionale  di  un rapporto fiduciario assoluto  tale da potergli confidare   volontà  estremamente  private.

La busta chiusa e firmata nelle linee di apertura dal soggetto proponente e dal medico veniva depositata, di comune accordo, in un posto  sicuro. La legge   ora riconferma che   le disposizioni  dell’assistito  devono essere  rispettate senza che il medico  possa in qualche modo  incorrere in responsabilità  civili o penali anche se viene riconosciuto  in ogni caso il rispetto della deontologia professionale del medico stesso nel senso che  non può essere chiesto al medico qualsiasi cosa.

Merita particolare evidenza l’affermazione  relativa al fatto che   il  tempo che  il medico  dedica ad una adeguata comunicazione su questi contenuti viene considerato tempo medico/atto medico (Art. 35 del Codice Deontologico  Medico 2014).

In effetti il Codice Deontologico è stato anticipatore  e premonitore  della attuale normative (Art. 35 Consenso e dissenso informato; Art. 36 Assistenza di urgenza e di emergenza; Art. 37 Consenso o dissenso del rappresentante legale; Art. 38 Dichiarazioni anticipate di trattamento;Art. 39 Assistenza  al paziente con prognosi infusta o con  definitiva compromissione dello stato di coscienza)  quando nei suoi articoli  considera il medico autorevole responsabile della cura e del progetto di cura condiviso con il paziente.

Di conseguenza  una  “ normazione” dei principi deontologici  e dell’alleanza terapeutica comporta  inevitabilmente  una ulteriore  burocratizzazione  dell’atto medico  e tende  a coinvolgere  altri co-attori  che forse, ad esempio sul territorio,  potrebbero non esserci.

Si tende inoltre, a volte,  anche  ex cathedra,   a sovrapporre  il Fascicolo Sanitario Elettronico, la Cartella Sanitaria e il  Patient  Summary    che  sono  strumenti elettronici con finalità e funzioni specifiche ma non sovrapponibili.

Permane  poi nel testo legislativo una certa insicurezza  riguardo al  ruolo del medico di base (di fiducia)  che non viene esplicitamente  previsto anche se non risulta palesemente escluso (secondo alcuni colleghi  Medici Legali è comunque compreso per estensione del termine medico)  così che nella  attuale  fattispecie  l’assistito potrebbe depositare un atto (DAT)  senza che il medico di famiglia possa esserne informato pur essendo, per esempio,  teoricamente in primis  il palliativista di riferimento per il proprio assistito soprattutto in caso di una assistenza domiciliare.

E’ prevedibile che da questo punto di vista  le normative regionali provvederanno a sanare questa problematicità. Alcune associazioni o enti hanno già predisposto moduli  o schemi che comportano  comunque  un certo aumento di procedure burocratiche anche se gratuite  che  si distaccano dalle pregresse  semplicissime abitudini “fiduciarie”  attuate da alcuni assistititi   che si relazionavano , su questo tema, solo con il proprio medico curante di fiducia.

La Legge affronta (art. 2) inoltre  in modo specifico il tema della terapia del dolore e delle cure palliative  rifacendosi per altro alla legge  15 marzo 2010, n.38.   Così come argomenta  con scrupolosità (Art. 4) e  con la necessaria prudenza   in merito  al comportamento da attuare  in presenza di minori o incapaci. Sono poi   affrontate le modalità operative (Art. 5)  per esprimere  le Disposizioni Anticipate di Trattamento  che   ora, con la  legge in vigore,  vengono redatte per atto pubblico o per scrittura privata autenticata o consegnate  personalmente all’Ufficio dello Stato Civile del Comune di residenza anche attraverso strumenti  o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di esprimere compiutamente le proprie volontà.

Come già ricordato il sistema fatalmente,  ogni volta che  una disposizione di legge deve affrontare un tema di natura  etica,  ha aumentato alcuni elementi o passaggi burocratici  che sembrano  influire  sull’autorevolezza del medico attore principale e insostituibile dell’atto medico già  regolamentato da tempo  dal proprio Codice Deontologico che, nel pieno rispetto delle volontà dell’assistito,  non può essere considerato uno dei componenti dell’ équipe  ma  depositario naturale  delle scelte dell’assistito  e colui che le può orientare.

La legge potrebbe quindi apparire come  un irrigidimento di una relazione  fondamentalmente   di affidamento  scarsamente dimensionabile se non al momento  della manifestazione della  scelta fiduciaria  anche se  vi è la possibilità   che ogni determinazione    dell’assistito resti  rinnovabile, modificabile o revocabile in qualsiasi momento e con modalità adeguate ad ogni contesto.

In osservanza alla normativa  il Ministero della Salute, le Regioni e le Aziende Sanitarie provvederanno  a diffondere  adeguata  informativa sul come redigere le DAT.  Il tema della Pianificazione Condivisa delle Cure (PCC)  rappresenta una ulteriore  declinazione  delle Disposizioni Anticipate di Trattamento riferite  specificatamente  al processo di cure  che l’assistito o il paziente deve affrontare e anche in questo caso  si elencano  le modalità di espressione di questo parere che sono sovrapponibili a quelle già ricordate per le DAT .

Infine  si vincola il Ministro della salute  a   relazionare annualmente alle  Camere   sull’andamento  dell’applicazione della legge.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria Regione Emilia-Romagna
Sindacato dei Medici Italiani ( SMI)

12 aprile 2018
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declino cure primarie

Il lento ed inesorabile declino delle Cure Primarie

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità il 6 febbraio 2017

declino cure primarie

06 FEB - Gentile Direttore,
l’ultimo intervento di Ivan Cavicchi su QS del 27 gennaio  riporta una lievequasiimprecazione (… ma per quale diavolo di motivo … nulla che non produca conseguenze distruttive … regolarmente le peggiori). Risulta arduo non poter raccogliere lo spunto per la riflessione  che  proviene da un autorevole studioso della materia come è il Prof. Cavicchi.

Se anche  il Prof. Cavicchi  viene  scarsamente ascoltato  si conferma ancor più  fortemente il concetto (sperimentato in questi tribolati anni  di trattative romane e di  turbinanti  iniziative in libera uscita di regioni ed aziende) che sostiene    come  le elaborazioni  propositive  presentate   dai professionisti operanti  in  prima linea per quanto riguarda  ciò  che viene definito “riordino delle cure primarie”  restino  solo esercizi  letterari (Cavicchi : Il riformista che non c’è,  2013)  tra   quei  pochi colleghi che non hanno completamente abbandonato un atteggiamento positivo e con fatica cercano di valicare bandiere e tifoserie.  Intanto l’impero romano sta crollando senza nemmeno uno scricchiolio di avvertimento.

La nuova delibera della Lombardia in merito alle patologie croniche non è una sorpresa  ed era  ampiamente prevedibile prima  perché l’esternalizzazione, la privatizzazione ed il sistema degli accreditamenti  (inesistente nella medicina generale per la sua  residua componente libera professionale convenzionata)  è iniziato tanti anni fa  con i gruppi  dedicati alle cure palliative  (esperienza  che pare  non  aver prodotto particolari ripensamenti   ai professionisti delle Cure Primarie),  poi è continuata  con i CreG  anch’essi con budget   a provider ed  infine eccoci con l’affidamento  dell’assistenza  della  cronicità a gestori sanitari. 

Che dire?  Negli anni gran parte delle  stagioni  contrattuali  sindacali   si è spesso  basata  sulla ricerca di  benefit  (e non raramente business per pochi) piuttosto che puntare su una assoluta e condivisa  valorizzazione della professionalità diffusa  ( giustamente da gratificare ).  Ciò che avviene in Lombardia sta avvenendo in altre regioni con la diversità che non sempre,  questo passaggio tra welfare state  ad  altro welfare,  è immediatamente intellegibile  ai  più (es.: a Bologna ci sono più  Guardie  Medica privata che  evidentemente, per legge di mercato, soddisfano un bisogno. Vedi web).

Come dice Pina Onotri (Segretaria Nazionale SMI  su QS,  31 gennaio 2017)  sarebbe necessario un fronte comune, senza unanimismi di facciata,  in difesa del servizio pubblico … a meno che non sia però  troppo tardi e ilcountdown  sia inarrestabile  visto  comunque le tiepide reazioni  possibiliste all’iniziativa Lombarda  dichiarate dai  rappresentanti di alcune sigle sindacali. 
Come già altri colleghi hanno ricordato l’attuale organizzazione sanitaria comprende una attività assistenziale-erogativa  e una  amministrativa-gestionale-organizzativa-di controllo.  Le due aree  presentano diversità  di origine e  di  fondamenta: una arcaica e  plurisecolare, l’altra recente e collegata ad esigenze politiche-burocratiche-amministrative.  

Nel passato la parte  burocratica-amministrativa  si è dimostrata più  dimensionata  a fronte di una componente assistenziale forte. Attualmente la situazione si è ribaltata a favore di una  strutturazione aziendale  gerarchica, una burocrazia amministrativa  molto forte ed in grado di schiacciare e livellare ogni altra forma di pensiero che non sia unico.

Quindi queste  due aree hanno  consistenze numeriche e decisionali-politiche completamente sbilanciate  con interessi ed obiettivi non coincidenti.  La maggioranza dei mmg attualmente impegnati a garantire  la sostenibilità  dell’assistenza (dimissioni sempre più complesse con equilibri precari ed impossibilità di trovare soluzioni adeguate) è soggetta ad una frenetica iperattività ed iper-occupazione che supera di molto le 12 ore giornaliere tanto da poter ipotizzare due strade:  
A - il passaggio alla dipendenza di tutto il comparto dell’assistenza primaria;  
B - in alternativa occorre marciare  verso una convinta accettazione dell’autonomia e della libera professione dell’assistenza primaria sostenuta a sua volta  da una reale valenza politica.

Le istituzioni forse sceglierebbero l’opzione A ma non sembrano attualmente più in grado di sostenere il costo dell’operazione anche se perseguono tenacemente  con normative e delibere la finalità della parasubordinata spinta e soffocante. Nello stesso tempo non riescono a garantire un welfare state storico perché la globalizzazione e le modifiche socio-assitenziali  hanno portato ad un incremento esponenziale di nuovi bisogni ostentati dai clienti esterni.

In numerose  occasioni  è stata data la possibilità, su questo stesso quotidiano, al nostro Centro Studi  ma anche a tanti altri  professionisti,  di presentare  le  analisi critiche relative  ai  testi dei documenti nazionali e regionali/locali che argomentavano di Cure Primarie così come è stato acconsentito di elencare  contributi  e proposte costruttive al fine di sanare eventuali defaillance nella convinzione che l’interesse verso il bene comune non fosse definitivamente  esaurito e  lo strumento  del confronto potesse tutelare l’interesse professionale di molti (assistiti e medici)  senza rischiare di incunearsi in posizioni di rendita per pochi.   

Ciò nonostante  i  processi decisionali  sono afflitti  da pregiudiziali  tali  che  da anni  vengono riproposte soluzioni di tecnicismo esasperato  ed   inconfutabile ed in questi casi la rappresentatività resta di facciata. Questo sistema inoltre oltre tende  a  contrastare  ogni evidenza  statistica dove le competenze per stabilire le   “ragioni e i  torti” non  dovrebbero mai  appartenere ad una sola delle  parti. 

Non è questa  l’occasione di fare un elenco (lungo)  di proposte  argomentate  a favore di un riordino delle cure primarie già presentate più volte. Desta non poca meraviglia  però non poter più ritrovare, nei  numerosi documenti  nazionali e  regionali/locali, richiami introduttivi  alle caratteristiche e alle competenze valoriali della medicina generale enunciate dalla prestigiosa World Organization of National Colleges and  Academics (Wonca) sostituite, a sostegno delle scelte di politica sanitaria,   da  altre numerose  citazioni autoreferenziali  o di relativo  impatto effettivo culturale /scientifico assistenziale  (es.:  DG SANCO 2014) con il conseguente impoverimento  della credibilità dei documenti stessi.

Le istituzioni  sembrano comunque  aver esaurito la spinta propulsiva  per rivoluzionare la sanità nonostante  il poderoso apporto culturale accademico e  delle  agenzie.  In questa situazione diventa difficoltoso  attivare una  fase di ripensamento del welfare nel quale sia possibile, grazie al ruolo essenziale dei professionisti,  coniugare rigore,  universalismo e   scelte prioritarie   riportando  al centro  del dibattito culturale e politico la sanità come unico luogo in cui si sostanziano uguaglianza  dei cittadini e  principio di solidarietà. 

Dopo la riforma del 1978  si è esaurita la stagione dei dividendi  derivati dagli anni del boom economico  dove nel nostro paese gli imprenditori (anche con la terza elementare) superavano di gran lunga i dirigenti e il Pil correva a doppia cifra come quello cinese attuale. Ora ci sono molti più dirigenti che imprenditori (un mmg è un piccolo imprenditore ). Le difficoltà crescenti per coniugare il buon governo con i bisogni reali delle persone diviene addirittura oggetto di studio da parte delle neuroscienze (Il Sole24Ore,15 gennaio 2017). Nel complesso la Sanità Italiana è passata al 22° posto (Indagine dell’Health Consumer Powerhouse 2016 che valuta la soddisfazione  dei cittadini) su 35 paesi europei analizzati.

Eppure una organizzazione adeguata della sanità (con i suoi  determinanti di salute)   potrebbe essere un  solido fattore di sviluppo economico come dimostrato da numerose pregresse argomentazioni dove si richiama l’attenzione al rispetto delle  comunità reali. Oggi è un po’ di tendenza parlare di comunità  proprio perché le istituzioni si sono accorte che da sole non sono più in grado di affrontare i grossi capitoli  dell’assistenza territoriale. Ancora una volta però, a causa di un ritardo culturale incredibile, i centri decisionali non si sono accorti che le comunità non esistono più.  

Per dire più correttamente esistono residui di comunità  intorno alle massime istituzioni morali dei nostri territori (parrocchie)  e anche il mmg rappresenta, in molte realtà,  un punto di riferimento fondamentale. Le comunità non si creano con i finanziamenti o le sovvenzioni. Le persone desiderano autonomamente e fortemente partecipare  in modo reale e non virtuale.  Il MMG e le cure primarie  sono rimaste  effettivamente  forse  tra i pochi  punti  di riferimento delle comunità/società locali  che (anche se fortemente in crisi) grazie all’azione  di empowerment dei mmg   mostrano di poter  esercitare un  protagonismo crescente per far fronte  all’incrementi dei bisogni socio-assistenziale a cui le istituzioni non  riescono più a dare rispose. Inoltre   la personalizzazione delel cure   che solo  il medico di base   è in grado di assicurare   è  considerata   dai pazienti   criterio di valutazione della qualità assistenziale.

L’impegno economico consistente e necessario  sul medio periodo  per il riordino delle  cure primarie  resta   un investimento non un costo ma c’è la necessità di uscire  da sfere molto ampie per comunicare competenze ed abilità in modo raccolto (walled garden cioè giardino contenuto:  Colletti, Il Sole24Ore, 5 febbraio 2017). Potrebbe non essere coerente con i bisogni ipotizzare quindi ambiti territoriali che superino i 30.000 abitanti. Da questo punto di vista  occorre  individuare  con chiarezza   strutture  logistiche  all’interno dell’ambito territoriale geografico  contenuto  (mai più di  30.000 assistiti/popolazione/presenti)  identificabili  indiscutibilmente come  declinazione del distretto. La presenza  stanziale dei mmg  è fondamentale per offrire integrazione e gestione della  complessità.  

L’adesione  e la partecipazione  dei mmg che desiderano  affrontare questa esperienza  devono essere volontarie e devono comunque garantire  equità anche per coloro che desiderano  garantire  una capillarità territoriale continuando ad operare negli ambulatori singoli pernon creare differenziazioni tra professionisti e di conseguenza  diversità  tra potenzialità assistenziali territoriali.

Bruno Agnetti
Centro Studi  Programmazione Sanitaria CSPS
Sindacato dei Medici Italiani  (SMI)
Regione Emilia-Romagna

06 febbraio 2017
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declino cure primarie

Non basta la convenzione per riformare le cure primarie

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità il 25 ottobre 2016

declino cure primarie

25 OTT - Gentile direttore,
qualche giorno fa Il DG delle Professioni  Sanitarie del Ministero della salute Rosanna Ugenti ha riconosciuto  la necessità di un riordino delle cure primarie territoriali (dopo il riordino degli Ospedali) previa l’adozione di modelli in grado di garantire la sostenibilità.

A commento di questi autorevoli concetti pare opportuno poter estendere l’argomentazione  a qualche  tesi nodale emersa clamorosamente in questi anni di trattative per quello che viene definito in modo non appropriato “riordino delle cure primarie attraverso il rinnovo dell’ACN”.

Che qualche cosa di scomposto sia stato presentato sul tavolo delle trattative deve pur esserci se dalla aggrovigliata legge Balduzzi  del 2012 (tentativo instabile ma istituzionalmente corretto di affrontare una riforma sul riordino delle  cure primarie  attraverso una legge o un decreto) nonostante l’intervento  per districare la matassa compiuto  dal Patto della Salute  del 2014 (senza forza  legislativa) i tempi si sono dilatati a tutt’oggi ( 2016) e  alcune menti illuminate prevedono, alle condizioni attuali e per i contenuti più volte ripresentati dalla parte pubblica, tempi per nulla immediati.

Si possono all’uopo considerare solo due temi tra i tanti a disposizione e di analogo valore.

In tempi di globalizzazione non è avveduto pensare che il riordino delle cure primarie territoriali (che non riguarda solo la medicina generale ma tutta l’area della convenzionata, del territorio  fino all’ospedale se si vuole realizzare l’ integrazione e la sua complessità  come elemento indispensabile per una riforma  moderna in grado di dare risposte all’epidemia della cronicità e delle varie forme di fragilità)  possa realizzarsi attraverso la stipula  di  un ACN. Una Convenzione  (o ACN)  dovrebbe rappresentare  un insieme di normative “convenzionali” inerenti i rapporti  tra le richieste  che lo stato presenta ai liberi professionisti  e i loro oneri a fronte  di un regolamento  funzionale e  di una remunerazione concordata.

Una riforma (ad es.: un riordino delle cure primarie territoriali, una strutturazione dell’integrazione  multiprofessionale, multidisciplinare e multisettoriale  a gestione  della complessità,  una sistematica modalità per far fronte alla fragilità e alle cronicità, una integrazione ospedale-territorio)  può essere originata  solo da una Legge, da un Decreto Interministeriale o da un DPCM.  All’interno di una reale  riforma è possibile, come  già ricordato,  ritrovare risorse fresche e reali previo l’essenziale  inserimento  nella Legge di Stabilità di un comma relativo alla possibilità di utilizzare  lo strumento dei Fondi di Rotazione  anche per le cure primarie:  l’Unione Europea ha accettato che i Fondi di Rotazione  possano essere utilizzati anche per i servizi  e non solo per le strutture e la Cassa Depositi e Prestiti  è stata riformata  nel luglio 2015  proprio a questo scopo.

Questo tipo di sostegno economico alla riforma del SSN e nello specifico  al riordino  delle cure primarie  non graverebbe sul bilancio dello stato in quanto,  dagli studi  eseguiti e dalle proiezioni,  l’intera somma utilizzata verrebbe restituita  nel periodo di 6-8 anni. A fronte di questo impegno si realizzerebbe sul territorio nazionale una uniformità di performance, di comportamenti  e di apprendimenti  destinati a produrre un considerevole risparmio generale  e quindi una forte sostenibilità del nostro SSN.  Sono forse maturati i tempi per affiancare la Formazione Continua  ECM all’apprendimento ( per adulti)  svolto  nell’attività di team multiprofessionale, multidisciplinare e multisettoriale che deve essere accreditata  al 100% degli ECM  in grado di assicurare  appropriatezza e adeguatezza prescrittiva  in tempo reale e raggiungimento degli obiettivi anche economici  aziendali.

La questione generazionale. Qualcuno ha definito questa problematica “conflitto generazionale”.  Dal 2012  (legge Balduzzi) si argomenta di ruolo unico senza poi definire nei particolari cosa si intenda concretamente per ruolo unico. Le proiezioni Enpam hanno già da anni dimostrato come dal 2017  diventerà critica la copertura assistenziale  da parte della medicina generale territoriale  se non si facilita l’inserimento immediato (nello stesso anno del  conseguimento  il diploma) dei medici che escono dalla scuola di formazione in  medicina  generale senza l’irrazionale attesa  di un anno.  
Così come dev’essere data la priorità  agli stessi medici che frequentano il Corso di Formazione  in medicina generale  per  il servizio una volta denominato e conosciuto da tutti gli assistiti come Guardia Medica ma che oggi  viene istituzionalmente definito  Continuità Assistenziale. E’ anche possibile che la mancata programmazione di copertura assistenziale territoriale  adeguata, in tempi di globalizzazione e di cronicità in crescita esponenziale, possa suggerire una qualche forma di affiancamento strutturato  tra medici senior e junior nell’assoluto rispetto delle normative e delle graduatorie.

Bruno Agnetti
Centro Studi  Programmazione Sanitaria CSPS
Sindacato dei Medici Italiani (SMI)
Regione Emilia-Romagna

25 ottobre 2016
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