Servizi territoriali post-covid

SALUTE: INVESTIRE SUI SERVIZI TERRITORIALI NELLA FASE POST-COVID (Webinar 8 febbraio 2021)

LA PRODUZIONE DELLA CURA

Il webinar si propone di
affrontare alcuni temi che in qualche modo sono collegati alla voluminosa sfera
del Welfare di Comunità.

Questa argomentazione non è di per se inedita, in efetti alcuni autori fanno risalire l’inizio di questo modello collaborativo e partecipativo nel periodo del nostro Rinascimento Italiano.

Oggi l’aspetto che potrebbe
apparire come effettivamente innovativo corrisponderebbe (necessariamente) alla
realizzazione delle numerose argomentazioni anche prodotte anche in tempi molto
recenti ben coscienti delle enormi influenze positive che la tecnologia in
ambito sanitario può aver fatto intravedere durante la pandemia senza
dimenticare le conseguenze sociologiche a volte non sempre favorevoli sulle
comunità e sulle loro relazioni interne.

Quando si sostiene che occorre
investire in sanità (una volta superata questa maledetta pandemia) significa
che finalmente si pensa di considerare i servizi sanitari territoriali e i
presidi territoriali talmente importanti da diventare ora il denominatore
essenziale e fondamentale per darle il via al nostro nuovo rinascimento
sociale, economico e culturale.

Peccato che sia stata necessaria
una pandemia per fare ricredere i fautori della chiusura dei presidi sanitari
territoriali sovrastanti nei gli ultimi 20 anni così come nello stesso periodo
non si è esitato a ridurre i finanziamenti per il territorio generando
preoccupanti differenziazioni professionali e assistenziali. In effetti avere
il primato di Case della Salute non significa aver avuto la necessaria
attenzione verso una equità di cura ai cittadini e di opportunità ai
professionisti. 

Nello stesso tempo occorre il
coraggio di rigenerare un nuovo rapporto di fiducia tra professionisti e
aziende   che si è ormai sfilacciato in questi ultimi 20
anni e che è possibile solo se si compie un’autocritica da parte dei decisori   e se si individua una personalità che possa
svolgere un ruolo di mediatore culturale tra aziende e operatori sessi che
appaiono molto sfiduciati.

Riprendendo il discorso iniziale
per poter investire è necessario avere progetti e prima di questi avere idee
che possano generare processi decisionali autonomi, innovativi e
contestualizzati e la sussidiarietà circolare è per sua natura orizzontale e
non verticale.

Le aziende Ausl e Ao tutt’ora
molto concentrate all’obiettivo principale della costruzione dell’azienda unica
dovrebbero svolgere un compito di salvaguardia dell’universalismo delegando il
processo decisionale e l’operatività ai professionisti e alle loro comunità.

Lo strumento che potrebbe
permettere quel veloce campo di passo ormai diventato irrinunciabile per essere
innovativi nell’assistenza sanitaria territoriale è la sperimentazione.

La sperimentazione è definita
nello spazio e nel tempo e può avvalersi, soprattutto in periodi emergenziali o
pandemici, di deroghe o normative speciali che possano facilitare la
sperimentazione stessa affrancandola da alcuni limiti già ampiamente superati
dalla rapida evoluzione sociale (basti pensare che l’ACN Accordo Collettivo
Nazionale che norma la medicina di base attuale si richiama sostanzialmente ad
una regolamentazione del 2005). Concetti già considerati dal dibattito
culturale da decine di anni presentati come appena nati, carente creatività,
comunicazioni autoreferenziali e ascoltate per troppo tempo  non aiutano la sperimentazione.

E’ possibile a questo punto, con
l’intento di semplificare, elencare, in modo senza dubbio incompleto, alcune
situazioni pratiche che richiederebbero percorsi sperimentali più che
solleciti:

  1. Può
    essere giunto il momento di rivedere e riconsiderare i concetti di capillarità
    e di prossimità nel senso di un potenziamento di questi stessi principi
    collegandoli all’offerta di servizi e all’orario di fruibilità.
  2. Da
    questo punto di vista diventa quindi  
    fondamentale la promozione dell’istituto modulare nodale conosciuto come
    “Medicina di Gruppo” prevedendo gruppi costituiti da un numero consistente di
    medici e personale.
  3. I
    gruppi devono potersi scegliere al fine di comporre squadre affiatate ed in
    grado cosi di produrre iniziative innovative assistenziali
  4. Le
    “medicine di gruppo” così costituite possono entrare in concorrenza tra loro
    per quanto riguarda la qualità del servizio
  5. Per
    generare servizi di eccellenza i professionisti devono poter recuperare
    completamente un ruolo centrale e autonomo nel processo decisionale così da
    poter rappresentare reali punti di riferimento le loro rispettive comunità
  6. Team
    e squadre di professionisti efficienti ed efficaci si possono ottenere se si
    supera il concetto normato dall’ACN del 2005 di “ambito territoriale”
    rappresentando un territorio oggi superato; l’abolizione di questi feudi
    agevola la creazione di quel capitale umano e professionale in grado di
    progettare e innovare l’organizzazione senza desertificare le aree oggetto di
    assistenza sanitaria
  7. La
    medicina generale territoriale sta vivendo in questi anni un completo viraggio
    di genere; quasi tutti i medici di base che si diplomano/specializzano in
    questi anni sono donne che presentano necessità e bisogni organizzativi legati
    ad una nuova modalità del prendersi cura che differenzia questa professione
    oggi dalle generazioni precedenti. Questa modificazione sociale che sta
    avvenendo proprio sotto inostri occhi depone a favore della formazione di
    medicine di gruppo composte da molti/e professionisti/e
  8. L’investimento
    e la fiducia che questi gruppi devono poter percepire nettamente da parte delle
    comunità e delle istituzioni si deve manifestare anche con il  sostegno economico che per queste
    organizzazioni si realizza con il sistema incentivante che attualmente non  favorisce o non incoraggia la progettazione
    di innovazioni assistenziali nonostante vi siano schemi e studi  che possano indicare chiaramente quante
    potrebbero essere le risorse necessarie per ogni singolo componente  del team o della squadra.

Bruno Agnetti


Mascherina

Le potenzialità di un Mmg realmente libero

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità - 09 Giugno 2020

09 GIU - Gentile Direttore,
sarebbe interessante studiare, tra i tanti dati illeggibili di questa pandemia Covid, l’operatività di quei mmg che sono riusciti a fare diagnosi o almeno ipotesi diagnostiche oggettivabili precocissime; a mantenere al domicilio i propri assistiti seguendoli con contatti ripetuti nella giornata portandoli così alla “guarigione”.

Poi, ma dopo, sono arrivate le circolari e le linee guida ufficiali, modificate di settimana in settimana, a complicare ulteriormente ciò che già era difficile. Finché è stato possibile si è assistito ad una piccola innovazione “autonoma” del lavoro medico creata cosi, su due piedi, dai mmg a partire dai primissimi momenti.

Non sono certo esperienze operative circoscritte che possono consolidare un riordino delle Cure Primarie ma in questo periodo molti mmg, silenziosamente, non solo hanno saltato il fosso ma hanno eseguito un balzo in lungo degno di un record mondiale.

Quando i mmg hanno l’occasione di agire in autonomia e riescono a governare il processo decisionale automaticamente creano valore aggiunto, indotto e ricchezza. Modificano necessariamente i paradigmi e i valori di riferimento (empatia, solidarietà, reciprocazione, meritorietà, comunità, welfare) e decretano un patto d’onore tra professionisti e assistiti a sostegno del nuovo sistema valoriale di quella comunità.

In questo caso i “pazienti esigenti” diventano co-operanti perché possono “dire la loro” e ritengono, insieme ai loro medici e a chi pratica quotidianamente l’assistenza territoriale, che la salute è un bene comune e che il rispetto e la considerazione reciproca vanno considerati “beni relazionali” al pari dei servizi assistenziali e di prevenzione.

I mmg hanno quindi sperimentato modalità e luoghi dove poter espletare una innovazione radicale e produrre beni impossibili da realizzare con normative calate dall’alto. La medicina di base (se non sarà condotta alla dipendenza come da normative tutt’ora vigenti) dovrà strutturarsi culturalmente come una impresa che oltre ad offrire professionalità possa garantire continuità nella produzione della qualità dei servizi, dell’efficienza e dell’innovazione basata sull’esperienza.

La Medicina basata sull’Evidenza è utilissima ma deve mescolarsi con la tradizione culturale della medicina altrimenti rischia lo stesso distacco autarchico dalla realtà tipica di alcune istituzioni ed esporsi a svarioni imbarazzanti.

Una società, una comunità che non fosse in grado ora (dopo l’esperienza pandemica, tutt’ora presente) di assicurare una riforma dell’attività lavorativa del medico dove i valori relazionali ritornino ad essere identitari dei territori diverrebbe inevitabilmente una società destinata ad un livello di benessere ancora più incerto di quello che abbiamo sperimentato e tutto ciò indipendentemente da protocolli, algoritmi, statistiche, normative e posti di lavoro che le istituzioni potrebbero riuscire ad assicurare.

Forse uno degli elementi sottesi alla dotta elaborazione inerente la riforma del lavoro medico auspica che l’era covid possa rappresentare l’occasione per poter abbandonare la filosofia del pensiero unico o dei tagli per finalizzato al risparmio aziendale e regionale.

E’ diventato improvvisamente evidente a tutti il motivo della chiusura dei presidi sanitari territoriali che a volte, dal punto di vista medico-assistenziale e sociale erano considerati veramente dei piccoli e preziosi gioielli per le comunità.

Finalmente è apparso chiaro che il nesso che c’è tra economia e salute è indissolubile e una impostazione gestionale orientata al risparmio o a tagli conduce a disastri di cui siamo diretti testimoni. Il momento può favorire una riprogettazione della vita sanitaria territoriale, dell’attività lavorativa ma anche delle competenze gestionali.

Le USL (Unità Sanitarie Locali) potrebbero ritornare ad una nuova vita essendo state più a contatto con i cittadini di un territorio ben definito anche politicamente così da sostituire le AUSL cioè le aziende diventate eccessivamente elefantiache e burocratiche per la loro diretta dipendenza regionale.

A fronte dell’ennesima promessa di ridimensionamento della burocrazia molte professioni o impieghi degli assessorati o delle aziende potrebbero trovarsi in situazioni di lavoro libero e spontaneamente diventare di grande aiuto se inserite nelle aggregazioni mediche territoriali: basti pensare al ruolo del farmacista che potrebbe co-operare con i medici di Assistenza Primaria per un aggiornamento in tempo reale (di team e di briefing) su farmaci e terapie ma avere un ulteriore ruolo fondamentale epistemologico e statistico nella nuova enorme area di ricerca scientifica rappresentata proprio dalla medicina territoriale che potrebbe basare le proprie analisi non su studi di coorte ma live.

Il lavoro del mmg e in generale degli attori coinvolti nell’assistenza territoriale è strettamente collegato alla domanda di qualità della vita, di attenzione, di cura, di servizio, di partecipazione, di relazionalità.

La qualità di questo “lavoro” è pesato non tanto dai prodotti, dai beni o dai servizi offerti per il “consumo” quanto piuttosto per la qualità delle relazioni umane e per l’abilità di comprendere la matrice della società o della comunità di riferimento che a sua volta esprime bisogni diretti o indiretti di stili di vita che dipendono dalla cultura e dalle tradizioni di quel territorio cioè la personalizzazione delle cure come indice di qualità dell’assistenza.

Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria) FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti)
Regione Emilia-Romagna

09 giugno 2020
©️ Riproduzione riservata


La medicina generale alla prova del Coronavirus

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità il 27 Febbraio 2020

27 FEB - Gentile Direttore,

tutti i protocolli inerenti il Covid-19 evidenziano che i percorsi dedicati a questa “nuova” virosi partono a livello territoriale dal mmg (paziente-mmg-igiene pubblica-118-repato infettivi-tampone-osservazione/quarantena) anche se criteri per accedere all’esecuzione del tampone ed i n. telefonici di riferimento dedicati ai sanitari di riferimento a volte cambiano.  
 
Questo primo step del processo protocollare resta il più fragile, meno attrezzato, scarsamente o per nulla protetto, storicamente dedicato al front office diretto e alle problematiche relazionali con gli assistiti. Di fronte all’emergenza nessun mmg ha abdicato alle proprie responsabilità professionali assistenziali. Anzi è proprio durante le criticità, quando l’assistenza primaria può muoversi con una certa autonomia creata dalle urgenze e dalla necessità di trovare soluzioni nell’immediato, che la medicina generale dimostra tutto il suo valore e la sua indispensabilità (libero accesso, orario 8:00-20:00, gratuità) nonostante la scarsa considerazione raccolta dalla politica e dai decisori in questi anni.
Le drammatiche circostanze che sperimentiamo in questi giorni manifestano inoltre cosa significa non avere riformato l’Assistenza Primaria.         

Una medicina generale indipendente nel formulare i propri obiettivi, che possa usufruire di un numero di colleghi   ottimale per orientamenti organizzativi e motivazioni, adeguatamente organizzati in strutture logistiche funzionali avrebbe probabilmente trovato soluzioni per l’epidemia pronte, in grado di garantire sorveglianza, ipotesi diagnostiche e attivazione corretta dei percorsi ufficiali senza intasare i servizi di secondo livello.  

Le progettualità e le innovazioni che i mmg hanno argomentato per anni sono state purtroppo bellamente ignorate. Come esempio è possibile evidenziare come  i criteri di valutazione della performance dei medici di base siano  rimasti per troppo tempo, nella completa indifferenza politica, strettamente collegati all’efficientamento e alla razionalizzazione (pensiero unico); nessun decisore ne academico ha mai tentato di individuare criteri relativi della meritorietà vs la meritocrazia smaccatamente autoreferenziale; l’educazione sanitaria, eterna incompiuta, diventa efficace quando il mmg (o il gruppo) rappresenta effettivamente un punto di riferimento per la propria comunità e quindi acquista quell’autorevolezza che permette di condividere con gli assistiti le responsabilità di programmi e obiettivi di salute; le motivazioni “altruistiche o di aiuto” testimoniali  che si trovano alla base di una assistenza primaria autonoma ed indipendente si scontra continuamente con le disuguaglianze professionali e assistenziali amministrate che, a loro volta, hanno creato cambiamenti virtuali, inutili, costosi, non condivisi e senza nessuna varianza significativa nella fornitura dei servizi, nel clima organizzativo e nei modelli organizzativi.

Questi ultimi, per essere validi, devono poter essere trasmissibili e lasciare eredità consolidate al cambio generazionale (proprio ora in atto) composte da molte strategie utili agli operatori per porre le persone al centro dei progetti. L’impressione è che i giovani colleghi mmg siano completamente abbandonati, in balia di variabili normative imprevedibili, senza progettazione e programmazioni (affiancamento).   

Una riforma dell’assistenza primaria non può non affrancarsi da certe onnipotenze e obbliga a posare una pietra angolare che sorregga un solenne patto d’onore tra cittadini e medici/operatori del territorio in grado di edificare l’innovazione sul principio che la salute e le cure primarie rappresentano un irrinunciabile bene comune. Questo fortifica le alleanze, le considerazioni reciproche, le relazioni e le responsabilità di tutti gli attori finalizzate a creare modelli sperimentali innovativi di “scambio altruistico” e di forte reciprocità.

Più di strumentazione specialistica negli ambulatori  sarebbe necessario completare, con giustizia, il sistema informatico (non si capisce perché non si dovrebbero fornire computer e stampanti ad infermiere e a segretarie). Nell’ACN in discussione da anni non compaiono facilitazioni e semplificazioni relative all’assunzione di personale di segreteria e/o infermieristico per chi opera in gruppo o singolarmente.

Nessun accenno viene fatto alla detassazione delle attività sanitarie di base. Resta irrisolta ed ambigua la questione delle cooperative di medici che danno servizi ai medici stessi, spesso con costi vivi di entrata ed uscita, in perenne conflitto di interessi a fronte di una più confacente collaborazione con le  società di servizi che non  comportano costi aggiuntivi, conflitti (essendo clienti dei mmg  come l’idraulico o il servizio di pulizie)  e che potrebbero risolvere tutte quelle situazioni burocratiche  che opprimono quotidianamente  l’attività clinica (legge sicurezza, malattie del personale, competenze infermieristiche sugli obiettivi incentivati, TFR, buste paga, materiale di consumo,  manutenzione, attività commercialistiche e di fatturazione…).

La sfavillante legge Balduzzi del 2012 e il Patto della Salute del 2014 hanno indicato come dovessero essere disponibili strutture moderne ed adeguate per tutti i medici che lo avessero desiderato (in grado di proporre programmi, progetti e modelli condivisi tra tutti i colleghi).  

Purtroppo, documento dopo documento, in modo sinuoso, la medicina amministrata riesce a modificare a suo vantaggio (?) ipotesi in origine addirittura auspicabili ma poi burocraticamente e impercettibilmente mutate negli scritti  tanto da arrivare a smarrire anche il senso di alcuni concetti: gli Ospedali di Comunità hanno senso se inseriti appunto nelle comunità ed in aree geografiche di prossimità in caso contrario non sono più Ospedali di Comunità.  

Infine è  la cooperazione tra medici, infermieri/operatori territoriali in team autonomi ed indipendenti in grado di gestire i  processi decisionali e il  governo clinico (i microteam sono assolutamente incomprensibili)  che costruiscono il vero strumento (da valorizzare) in grado di rispondere ai nuovi bisogni e alle persone che desiderano fortemente partecipare e responsabilizzarsi in favore delle proprie comunità (collegio del territorio).

Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria)
FISMU (Federazione Italiana Sindacale dei Medici Uniti )
Regione Emilia-Romagna

27 febbraio 2020
© Riproduzione riservata


Servizi territoriali post-covid

Medico di famiglia o specialista?

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità il 10 Novembre 2019


10 NOV
 - Gentile Direttore,
il Prof. Ivan Cavicchi  ha affrontato la problematica  scaturita  dall’ipotesi di  affidare al mmg  una parte della “piccola” diagnostica. Questa pensata “Uovo di Colombo … incredibilmente banale”  risulterebbe  finanziata   con 235,834 milioni di euro derivanti però  dal maxi fondo  per l’edilizia sanitaria oggi accreditata di 32 miliardi di euro.
 
Il finanziamento verrebbe  trasferito alle Regioni che decideranno come  applicare norme e incentivi. Il canovaccio rappresenta purtroppo  una profezia auto-avverantesi “deja vu” in quanto la mancanza di una riforma complessiva  e l’inconsistenza della cifra (circa 11 milioni per regione)   non può che esitare in bilanci per nulla edificanti: esperienze locali  imbarazzanti di diagnostica generalista; informatizzazione incompleta delle aggregazioni dove infermiere e segretarie non vengono rifornite di strumentazione e programmi; edilizia  sanitaria tipo “Case della Salute”  che creano gravi  differenziazioni/disuguaglianze  professionali e assistenziali sconcertanti;  paletti e limitazioni  di accesso a fondi con criteri detti “meritocratici” che alla fine   favoriscono  i soliti auto referenziati  pochi noti;  semplificazione  grossolane atte ad offrire opportunità di business  a qualche organizzazione cooperativistica  non priva di conflitti di interessi.

La  Medicina di Base di questi anni ha vissuto numerosi episodi sconfortanti collegati ad iniziative incentivanti che hanno mortificato dedizione e meritorietà. Se si frequenta  una sala d’aspetto  di un mmg ci si  rende conto  di come sia enorme l’afflusso di assistiti, la maggior parte anziani, con poli-patologie croniche e  problematiche socio-sanitarie sempre più complesse,  che considerano  il medico di famiglia uno degli ultimi   servizi  di welfare sanitario gratuito e di libero accesso. 

I dati  dimostrano una attività professionale oltre  al limite delle possibilità. In media  possono essere servite circa 35 persone al giorno per medico:   se  il professionista  opera in una medicina di gruppo, es.: composta da 5 medici,    gli assistiti che accedono alla consultazione  diventano  in totale 175 al giorno, 875 la settimana e 3.500 in un mese ( 42.000 all’anno!). 

Ha  comunque ragioni da vendere  il Prof. Cavicchi quando sostiene  che una vera riforma, anche nella diagnostica generalista,  deve prevedere alla base il concetto dell’integrazione/cooperazione multiprofessionale ma anche multidisciplinare e multisettoriale, unica modalità operativa che permette di affrontare  seriamente  le necessità  assistenziali territoriali.

Con organizzazione in team di  mmg di AP e di CA, specialisti territoriali ed ospedalieri,  servizi, infermieri, assistenti sociali, società civile e volontariato, imprese generative … il processo diagnostico sarà veramente valido e “refertato”, produrrà appropriatezza prescrittiva e  assistenziale, risparmio, riduzione dei ricoveri impropri e formazione/apprendimento radicato.  

Ogni attore farà  la propria parte senza inutili sovrapposizioni ed invasioni di campo. Più volte  sono state indicate le road     map   da percorrere per affrontare  in modo più strutturale ( paradigmi post-moderni e nuovi modelli di welfare con caratteristiche distintive a favore delle comunità) le note  criticità   diventate   emergenze  che si sommano quotidianamente ad  ulteriori emergenze.

Sembrano però  insormontabili  le gravi impreparazioni istituzionali  nell’ interpretare le vertiginose  modifiche sociali e sanitarie in atto. Il Golem della medicina   “amministrata” è un   “iper-oggetto” che  condiziona  in modo unilaterale e stucchevole   una gran  parte  delle  scelte  che sono  sempre  più  scollegate (es.: conferenze socio sanitarie territoriali) dal bene comune e dalla complessità delle collettività. La contrazione spazio-temporale e la società in forte  modificazione  oltrepassa in velocità le istituzioni   e  genera  “sua sponte”  sperimentazioni  autonome ed indipendenti dalle incertezze  regressive  delle istituzioni  pubbliche :  in alcune città come Milano, Brescia e  nella  stessa Bologna  sono  già nate forme di servizi di medicina generale o di base privatizzati !   

Woncaè l'organizzazione internazionale dei medici di famiglia  e ha titolo per definire  cosa sia e cosa debba essere la  medicina di base ( caratteristiche, competenze costitutive, aree di attività ed elementi fondanti). La medicina basata sull’esperienza, peculiarità del mmg,  e sulle evidenze utilizza ovviamente la   tecnologia ma anche storici metodi per formulare diagnosi e  suggerire cure. 

Queste modalità situazionali  diventano fondamentali  per favorire una copertura universale, per affrontare i rischi per la salute e per  rafforzare i SSN  soprattutto se si opera in team  (G 20, Okayama, 2019) in quanto l’attività territoriale dei mmg è sempre più complessa.

E’ per questo che  non servono  approcci dilettantistici ma modelli (investimenti) veramente in grado di  disegnare un riordino delle cure primarie (team)   capace di sostituire vantaggiosamente  il defunto welfare state.

Altri disegni pregressi annunciati come rivoluzionari per  l’intera   assistenza  primaria  hanno  dato luogo a fallimenti professionali e assistenziali.  In alcune regioni definite “esempi di eccellenza”  la medicina  generale di base è praticamente evaporata. 

Maldestre e continue  imitazioni (welfare aziendali)   dell’originale (welfare di comunità) alla fine  portano   disuguaglianze, inappropriatezze  ed    incrementato della percezione di assenza del  SSN e  di inutilità delle istituzioni sanitarie  regionali e locali.   

Le strumentazioni tecnologicamente  avanzate possono certamente permettere anche ai mmg  di porre ipotesi  diagnostiche  (a volta generati  anche automaticamente da sistemi esperti) e di formulare  “pareri di primo livello” ma  non referti specialistici! 

Sarebbe oltremodo opportuno  che tutto ciò venga  regolato,  secondo il principio del processo decisionale  completamente affidato ai mmg,  all’interno delle  aggregazione (es.: AFT/NCP-UCCP ) in  “favore dei colleghi” che richiedono questo tipo di aiuto in  spirito di colleganza  e reciprocazione garantendo così  efficacia assistenziale di prossimità ed eliminazione di   derive orientate alla creazione di ruoli/incarichi aziendali  remunerati  per i  soliti  pochi noti ben auto-referenziati.  

Occorre comunque   operare con molta prudenza considerati i dati relativi al carico di lavoro dei mmg e   il pericolo  che ulteriori  incombenze riducano  il tempo  da dedicare  ad attività  olistiche e generalistiche  (wonca)  creando così   paradossalmente  liste d’attesa …  in medicina  generale !

Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria)
FISMU (Federazione Italiana Sindacale dei Medici Uniti )
Regione Emilia-Romagna

10 novembre 2019
© Riproduzione riservata


Carenza medica

Sulla carenza medica...

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità il 20 maggio 2019

11 OTT - Gentile direttore,
il vorticoso cambiamento sociale coinvolge strutturalmente la nostra professione. La velocità con cui avvengono tali cambiamenti erano già stati preconizzati nel 1989 da D. Harvey con la teoria della compressione spazio-temporale sia a livello globalizzato che glocalizzato.
 
Tra i numerosi temi evidenziati, nonostante le numerose inevitabili contraddizioni interne, vi è la questione della carenza medica ( nella specialistica ma anche nella medicina di base). Senz’altro c’è stata una predizione dilettantistica generale nell’errata dimensionalibilità dei pensionamenti e dei pre-pensionamenti ma non può essere passata sotto silenzio la manifestazione dell’estrema fragilità psico-fisica degli stessi professionisti delle cure primarie che negli ultimi anni hanno sopportato l’incremento esponenziale dell’attività ambulatoriale rimasta, nel percepito degli assistiti, uno degli ultimi servizi di vero welfare gratuito e di libero accesso.
 
L’ACN per la medicina generale, tutt’ora in discussione, dimostra tutta la sua inadeguatezza a fronte della necessità vitale di una radicale riforma delle cure primarie. Anche in questo settore i paradigmi sono profondamente mutati e non sono più accettabili “influencer” che hanno condotto la medicina territoriale al punto criticissimo in cui si trova ora. C’è inoltre la legge Balduzzi, in vigore, non abrogata, tuttavia inapplicata che non può essere ignorata a meno che non venga promulgata un’ altra legge/riforma.

Dalle numerose elaborazioni si evince l’urgenza di individuare un nuovo modello di riordino delle cure primarie adeguato alle necessità (es.: welfare di comunità e processo decisionale affidato al territorio e al suo collegio del territorio nel rispetto delle indicazioni Wonca) da sperimentare secondo una progettazione consequenziale ( es.: AFT e UCCP).

Occorre ri-argomentare la “complessità” dell’agire medico scrollandosi di dosso gli errori/orrori “normativistici” accumulati dal 2005 a tutt’oggi.
La sfida lanciata dai cambiamenti in atto ( ad es.: la medicina di base quasi tutta al femminile) costringe l’assistenza territoriale e le cure primarie a trovare nuovi assetti in grado di continuare a garantire quella deontologia, equità e l’universalità che possa rispondere all’estrema e crescente problematicità delle persone e del contesto ( es.: relazioni con i diversi livelli istituzionali e le infinite diramazioni dell’attuale potere decisionale).

Sarà sempre più importante comporre squadre autonome ( territori o AFT o Nuclei di Cure Primarie) di colleghi in grado o disposti a lavorare in team ( il micro team può essere uno slogan congressuale o pubblicitario; l’équipe applicata operativamente in medicina generale è culturalmente errata ). Cambiare il modo di lavorare è imperativo ma questo richiede una profonda modifica dell’intero processo decisionale a livello territoriale. Solo una autonomia organizzativa professionale può migliorare la qualità. Ogni gruppo di mmg appartenenti ad un territorio ( quartiere, zona, AFT, NCP …) deve poter elegge, con modalità scelte dal gruppo stesso, un proprio referente che abbia essenzialmente funzioni di servizio per tutti i colleghi senza nessun altro ruolo gerarchico. Solo il referente liberamente eletto rientra in un disegno progettuale considerato adatto per le cure primarie e non possono essere individuate altre figure o modalità elettive ( contrariamente a quanto attualmente in discussione relativamente all’articolato dell’ACN) per il pericolo di creare, ancora una volta, anacronistici e destruenti conflitti di interesse.

Se l’attività del mmg non diventa inoltre attrattiva anche dal punto di vista occupazionale, organizzativo e remunerativo si continuerà a formare professionisti ( che costano allo stato circa 250.000-300.000 euro ciascuno) che svilupperanno una gran voglia di volare all’ estero ( ai test di medicina in inglese nel 2018 si sono presentati 7660 studenti; quest’anno 2019 si sono presentati 10450 aspiranti).

A fronte dell’emergenza dettata dalla carenza medica, nell’ambito delle cure primarie, è possibile recuperare una ipotesi di progetto organizzativo territoriale definito affiancamento pubblicato in epoca pre-Balduzzi (web 2011: Nuovo patto-contratto tra i medici professionisti della sanità territoriale e il SSN).

Percorso tradizionale per ottenere la convenzione in medicina generale:
- Graduatoria Regionale provvisoria ( prevista nel mese di settembre)
- Graduatoria Regionale definitiva ( prevista per il mese di dicembre)
- Pubblicazioni delle zone carenti ( prevista per il mese di marzo azienda per azienda)
- Graduatoria degli aventi diritto aziendale ( prevista per luglio con assegnazioni delle zone carenti per preferenza, accettazione o rifiuto). In caso di rifiuto di una zona carente il medico
avente diritto rientra nella graduatoria regionale con il punteggio già ottenuto al quale possono eventualmente essere aggiunti ulteriori aggiornamenti.
- Attivazione della convenzione con apertura dell’ambulatorio ( prevista entro l’autunno).
6 - Obbligo per il medico neo-convenzionato di rimanere c/o l’ambulatorio oggetto della convenzione per almeno 2 anni . Scaduti i due anni può richiedere trasferimento in una nuova zona
carente avendo priorità di scelta.

Percorso affiancamento:
1 - Un medico ultra 65 enne ( detto Senior) o un medico con problemi di salute documentati attiva la zona carente virtuale on line in tempo reale
2 - Secondo la graduatoria regionale e provinciale definitiva il medico avente diritto (detto Junior) può scegliere o non scegliere l’ipotesi affiancamento in regime di assegnazione di
Convenzionamento/borsa formativa
- Rinunciando all’ipotesi affiancamento il medico che si trova al primo posto della graduatoria regionale/provinciale definitiva non perde nessun diritto e resta nella stessa posizione già guadagnata
in graduatoria
- Il medico Senior può chiedere di attivare il medico ( Junior) inserito al secondo posto in graduatoria ed eventualmente, in caso di nuova rinuncia, progressivamente si scorre la graduatoria
- Il medico Junior può prendere servizio attivo istantaneamente
6 - Una volta che medico Junior sceglie la via dell’affiancamento svolge un colloquio orientativo ed esplicativo con il medico Senior al quale seguirà un periodo di prova di 6 mesi
7- Svolto il colloquio e il periodo di prova sarà il medico Junior a decidere se proseguire nell’esperienza oppure interromperla immediatamente dopo il colloquio o dopo i sei mesi o prima.
- I due professionisti conducono la gestione dell’ambulatorio in modo paritario, non esistono gerarchie se non una normale relazione deontologica tra collega esperto ed uno entrato da poco nel sistema convenzionale nello stesso modo ci si può accordare in colleganza per gli orari ( che possono essere ampliati quasi ad arrivare ad un H12 diffuso su tutto il territorio nazionale ) e per le visite domiciliari, le cronicità, la palliazione territoriale, le collaborazioni con altri colleghi e servizi ecc .
9 - Questo formula permette di poter seguire un numero maggiore di assistiti ( fino a 2000) semplificando od abolendo l’istituto del numero ottimale così come quello degli ambiti stabilendo una netta semplificazione del turnover in medicina generale di base detta “uno esce-uno entra”.
10 - La borsa formativa del medico Junior è stabilita dall’abolizione delle incompatibilità, dalla quota capitaria relativa all’aumento degli assistiti oltre i 1500 del medico Senior, dall’incremento delle
attività aggiuntive e dai programmi-obiettivo condivisi dai due medici ( Senior-Junior ) o dall’aggregazione di appartenenza
11 - Al momento del pensionamento o della cessazione dell’attività del medico Senior il medico Junior ha accumulato un punteggio tale da permettergli la prelazione relativa alla zona carente creatasi ( verosimilmente corrispondente ad un trasferimento) nello stesso ambulatorio singolo o AFT/NCP o aggregazione e può insediarsi immediatamente pur dovendo gradualmente rinunciare alla quota eccedente il massimale ( non può acquisire nuove scelte fino a che non viene raggiunto il massimale posto al momento a 1500 assistiti).
12 - Questo percorso differisce da quello tradizionale per il fatto che il medico Junior che ha esercitato la possibilità di prelazione dovrà rimanere in quell’ambulatorio/AFT/NCP o aggregazione per almeno 5 anni prima di poter chiedere un trasferimento.
13 - Il sistema dell’affiancamento può trovare un suo naturale posizionamento ottimale nelle aggregazioni ma è attuabile anche dai medici singoli. È’ applicabile su tutto il territorio nazionale e da questo punto di vista non crea differenziazioni professionali ed assistenziali come invece può capitare per altre iniziative/organizzazioni della medicina generale.

Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria)

FISMU (Federazione Italiana Sindacale dei Medici Uniti )
Regione Emilia-Romagna

11 ottobre 2019
© Riproduzione riservata


orologiaio

Se l’orologiaio non sa che ore sono, che orologiaio è?

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità l'8 luglio 2019

orologiaio

08 LUG - Gentile direttore,
in questi giorni è iniziato il vero e tanto atteso cambio generazionale nella medicina generale territoriale (Medici di Base). Il fenomeno procederà in modo clamoroso in questi anni per trovare un suo culmine (dati Enpam) nel 2022. Da qui ad allora molte cose potrebbero cambiare anche in considerazione delle serpentiformi derive nazionali, regionali ed aziendali associate ad improbabili frottole di alcune OOSS narrate quasi quotidianamente.
 
Questo show sdegnoso del dibattito professionale in atto da anni (Dentologia, Questione medica, modificazioni sociali e paziente diventato “socio di maggioranza”, riforma, nuovo paradigma e conseguenti modelli, legislazione tutt’ora vigente, orrende confusioni tra team, microteam, équipe, governo clinico, processo decisionale, welfare di comunità vs welfare aziendale, ambulatorio vs studio…) continua ad erodere la credibilità dei professionisti e delle istituzioni trasformandole in colossi dai piedi d’argilla incapaci di sfruttare la notevole produzione culturale professionale disponibile ( gratuita). Nello specifico tutto ciò coinvolge in profondità il riordino delle cure primarie. A volte un maldestro “copia ed incolla” impastato con i “generatori automatici” di piani sanitari, delibere, decreti o similari partoriscono veri mostri normativi orientati alla maggiore invariabilità possibile.

Sfiducia, sospetto, pessimismo nei confronti di possibili progetti ed innovazioni emerge dagli atteggiamenti e dalle riflessioni anche di molti giovani colleghi in procinto di affrontare l’avventura della “convenzione” tanto sospirata.

E’ preoccupante questa delusione per altro costituita da tante piccole opacità territoriali insignificanti se prese da sole ma devastanti se sommate tra di loro e che hanno un minimo comun denominatore: l’incapacità all’ascolto mai compensata da una connessione ininterrotta ed inarrestabile. Sarà forse per questo che alcuni AA sostengono che anche le prassi più protocollari non possono esimersi dalle “relazioni” pena il loro fallimento operativo. Un Percorso (protocollo) Diagnostico Terapeutico Assistenziale PDTA non ha futuro se non prende in seria considerazione l’aspetto relazionale con il paziente-esigente, il contesto, la sua famiglia e gli operatori sanitari territoriali stessi tra loro (PDTA-R).

In questo caso solo un attività assistenziale profondamente ancorata al paradigma bio-psico-sociale può garantire le competenze olistiche (orologiaio) essenziali per una medicina contemporanea che se spezzettata in modo super-specialistico tra le varie rotelline ed ingranaggi (attenzione alle malattie e non al malato) non permettono all’ orologiaio (medico) di conoscere nemmeno che ora è spolpandolo così di ogni caratteristica distintiva (es.: di essere punto di riferimento per la propria comunità ruolo, oggi, fondamentale per un medico di base che carica di senso il suo operare).

Senza questa base etica-dentologica la medicina si trova ad affrontare un ambiente culturale molto evoluto (nel bene e nel male), competitivo, aggressivo, in grado di coltivare rivalsa e conflitto.

Soprattutto il medico di base non può cadere in questo imbuto di contrazione spazio-temporale perché è in vita essenzialmente grazie ad un rapporto di fiducia e ad una relazione basata sul rispetto e sulla grande specializzazione di “comprensione” dei diversi punti di vista delle persone in ordine all’essenza delle cose ( es.: la vita, la morte, il dolore, la malattia, la gioia, il benessere, non sentirsi mai abbandonato, l’essere preso in carica o meglio per mano, il contare e poter dire la propria opinione su questi momenti della vita …).

Il medico di famiglia insieme a tutti i suoi collaboratori attori sanitari (team) di un territorio ben definito e sostenibile (non tanto e non solo economicamente ma nella relazione) non deve garantire un risultato (prestazione) a tutti i costi (chi può vantarsi oggi di conoscere la verità?) ma offrire un ascolto, una apertura, un confronto. Da questo modello organizzativo territoriale delle cure primarie fondato ad esempio sui principi del Welfare di Comunità derivano, per quel dato territorio, crescita sociale ed economica.

Ne consegue che il trasferimento del processo decisionale e la gestione dell’intero governo clinico a livello territoriale assicurerebbero quella riforma del riordino delle cure primarie che non disperderebbe la medicina basata sull’esperienza (anche per la memoria storica di quanto avvenuto nel SSN) e che verrebbe a supporto della grande competenza clinica delle evidenze dei nostri giovani colleghi. Da questo punto di vista l’affiancamento tra medici senior e giovani medici in procinto di convenzione così come l’organizzazione dell’operatività quotidiana in team grazie a briefing di programmazione e di confronto può rappresentare una strategia a basso costo e a grande impatto di qualità assistenziale con ricadute di grande impatto sociale (es.: per ospedali, PS, cronicità, professione…).

Il team durante il briefing di programmazione quotidiana ( ma lo stesso capita nell’affiancamento) sviluppa tutte le abilità relative all’ ascolto, al confronto, alla considerazione dell’altro e all’autocritica tale da produrre anche un apprendimento sempre aggiornatissimo e difficilmente dimenticabile. Il sistema può interessare tanti colleghi ma non può essere gradito a tutti così come l’associazionismo può essere ricercato da alcuni mmg ma evitato da altri.

L’esperienza di questi anni ha forse insegnato che le aggregazioni di mmg dette “complesse” per poter funzionare esigono senz’ombra di dubbio un interesse culturale e un atteggiamento di buona volontà da parte dei colleghi interessati ma resta fondamentale che i mmg debbano poter sviluppare “in proprio” l’intero processo decisionale in modo da correggere ed affinare eventuali necessità contestuali a quel territorio e a quel gruppo di mmg (es.: chiedere la collaborazione di cooperative sociali che garantiscano prestazione di servizi ottimali secondo le necessità, gli obiettivi e la programmazione definita dai mmg).

Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria)
FISMU ( Federazione Italiana Sindacale dei Medici Uniti)
Regione Emilia-Romagna 

08 luglio 2019
© Riproduzione riservata


welfare di comunità

Welfare di comunità e riordino delle cure primarie

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità il 20 maggio 2019

welfare di comunità

20 MAG - Gentile Direttore,
il dibattito sulle modifiche dei  paradigmi storici della professione coinvolge fatalmente anche i colleghi che   si   interessano    di  ri-organizzazione della medicina generale territoriale. Negli anni sono   state  pubblicate  numerose    ipotesi/proposte  di  “riordino”  dell’attività medica  di  base  anche “pronto uso”  finalizzate  soprattutto   a  ricomporre il distacco  esistente   tra   le richieste di benessere  delle persone e il sistema  sanitario di offerta quanto mai  superato. Il tempo, che pare essere galantuomo,  ha   dimostrato (Balduzzi 2012; Patto della Salute 2014) che fino ad ora non è emerso nessun ragno dal buco dei ragionamenti  della retorica ufficiale (la struttura dell’ACN è ancora quella del 2005 !). 
 
Questo è comunque il campo  dove ci si trova a zappare: continuiamo  quindi  con ostinazione a perfezionare  di volta in volta  il “nostro” progetto  di  innovazione  assistenziale  territoriale  pur visionario.

E’ stato  ampiamente argomentato su come la medicina nel suo complesso sia una disciplina composita in continua evoluzioni.  
Secondo il paradigma bio-psico-sociale la qualità della vita insieme alla personalizzazione delle cure (gestione della complessità)   sono  diventati i parametri più importanti  per determinare una validità  assistenziale e la medicina generale, ancora oggi,  svolge, pur a fatica, un ruolo  fondamentale   nel gestire questi criteri  nell’ambito  della  domanda di salute   e dell’offerta di sanità. 

Per permettere al  mmg  di  ritornare  ad essere il principale attore della salute pubblica territoriale  occorre ri-ordinare l’assistenza primaria con una riforma strutturale e una completa revisione dell’ ACN, secondo i dettami dei principi Wonca e del paradigma del Welfare di Comunità .

Il  “welfare di impresa”  consente ai lavoratori di una  azienda  di beneficiare di  una assistenza sanitaria (parziale e a volte contraddittoria)  e sociale  che non ha il carattere  dell’universalità ma è limitata ai dipendenti  di quel brand con conseguenti vantaggi nella crescita, nell’efficienza e nella produttività per l’azienda. 

Il “welfare state”, termine ancora valido teoricamente, aveva inizialmente la caratteristica dell’universalità e assicurava gratuitamente a tutti i  suoi cittadini  cure mediche, scuola e assistenza sociale ma, alla fine, ha mostrato il suo limite causato dalla dipendenza finanziaria. Il welfare state pur essendo un sistema creato per garantire  una equità sociale in fede di una crescita di capitali  considerati in espansione continua  è  diventato invece  inesorabilmente sempre più povero a causa di una crisi della crescita monetaria  associata ad un incremento “esponenziale”  delle spese sociali e sanitarie e ad un aumento solo  “proporzionale” della ricchezza finanziaria (attualmente stagnante e recessiva).  

Questo divario influisce direttamente sul “valore” dell’equità sociale e può causare conflitti  ed insicurezza diffusa. Un sistema ideato per i poveri non riesce più a rispondere ai poveri.  

Il “welfare di comunità”  può arginare gli squilibri del welfare state e quelli del welfare aziendale.  Il paradigma  del welfare di comunità si basa  soprattutto sull’economia reale ed è in grado di assicurare pace sociale  e aumento  del   senso di sicurezza.   Prevede un coinvolgimento dei vari stakeholder  (portatori di interesse) di una comunità che cooperano ed intervengono direttamente e responsabilmente nel “processo decisionale”  per la progettazione di servizi  in favore di quella comunità.     

La cooperazione o “sussidiarietà” caratteristica dell’operatività del welfare di comunità  è di tipo “circolare”  ed è   finalizzata a migliorare la qualità della vita ( bene comune) dei cittadini di un determinato territorio.  Le istituzione pubbliche   non intervengono  direttamente nel sistema e nel processo  decisionale  ma   operano  affinché  i vari portatori di interesse di un territorio  possano organizzarsi e caratterizzarsi per l’appartenenza. Nel welfare di comunità il ruolo delle  istituzioni diventa esclusivamente di garanzia, tutela e  vigilanza sui valori messi in campo  e sulle finalità dichiarate. 

In una raffigurazione   che comprenda un ipotetico triangolo toccato ai suoi vertici da un cerchio  che possa rappresentare la sussidiarietà circolare dovremmo immaginare  un vertice  occupato dalle istituzioni, un vertice  rappresentato dalla società civile e l’ultimo  vertice  presidiato dalle imprese generative in grado di procurare i finanziamenti necessari ma anche concretezza.  In questo disegno organizzativo le cure primarie  occupano  il ruolo  di leadership  dell’intero sistema in grado di  gestire completamente, a livello territoriale,   il “governo clinico”.

Secondo alcuni autori  riuscire oggi a  progettare una innovazione organizzativa  dell’assistenza  primaria territoriale efficace potrebbe avere   la stessa importanza dell’invenzione di un farmaco  che sia in grado di curare l’epatite o il cancro oppure potrebbe essere un evento paragonabile allo sbarco sulla luna.

Tutta la convenzione per la medicina generale  va ripensata  come “patto per un welfare di comunità” uscendo  dall’ambiguità rappresentata  dall’organizzazione in  distretti  che continuano a proporre   di fatto una logica ospedaliera   applicata  al territorio e alla medicina generale quando bisogni  espressi e non espressi sono fondamentalmente diversi.   

Sono necessari anche luoghi  dove medici e operatori possano  ritrovare,  grazie al nuovo paradigma/modello,  le  radici del  loro mestiere  (etica, cultura, formazione, deontologia, integrazione ecc.)  e  dove gli assistiti  possano diventare protagonisti con i professionisti dei percorsi    preventivi, di educazione sanitaria, di cura  e riabilitazione. In queste strutture la tecnologia e l’antropologia possono marciare di pari passo per ritrovare il vero   senso  della clinica e dell’assistenza.

Il senso dei percorsi assistenziali  è dato soprattutto dai “valori”. Oggi gli aspetti etici e deontologici,  professionali e sociali   non  sono più barattabili  con  ambigui progetti economicistici  che, come insegna quel galantuomo del tempo, non hanno  poi negli anni  risolto un granché. Se si opera per produrre valore  si potrà pensare anche  ad una crescita professionale, sociale ed economica in caso contrario si affonda o meglio  affondano coloro  che non hanno  risorse economiche proprie  ma questo irrimediabilmente innesca insicurezza e  conflitto sociale.

Occorre  però  che tutti gli attori salgano  convintamente  sulla  barca  sicura  dei “valori”così da trasformare un mare periglioso (globalizzazione incontrollata)  in opportunità, sicurezza, convivenza civile e pace sociale (valorizzazione della democrazia?).

Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria)
FISMU (Federazione Italiana Sindacale dei Medici Uniti )
Regione Emilia-Romagna

20 maggio 2019
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