Medicina di base, aggregazioni territoriali e sistema vaccinale in 3° ondata
Il Covid ha palesato come il confronto pluriennale culturale in merito ad una necessaria revisione del sistema assistenziale sociale e sanitario territoriale a favore del decentramento di servizi sanitarie sociali in strutture che siano in grado di poter offrire tutte le risposte ai bisogni territoriali, non sia servito proprio a nulla. La prima ondata della pandemia ci ha colti di sorpresa ma comunque qualcuno ha sostenuto che siamo stati i migliori (…a tutt’oggi circa 99.000 morti come se una città come Ancona o Novara venisse cancellata dall’atlante … e il numero di medici deceduti sul campo -260- resta quello più grande d’Europa). Purtroppo c’è stata anche la seconda ondata ed ora siamo in piena terza ondata.
Una legge di
riforma del SSN con particolari indicazioni per il territorio, pur disattesa,
c’è (2012), non è stata abrogata anche se, oramai, dopo il Covid potrebbe
mostrare tutta la sua vetustà. Nel frattempo la società ha cavalcato
velocemente il tempo e la politica
sanitaria non è stata in grado di garantire una progressione corrispondente ai
professionisti “tutori della salute delle persone” e di conseguenza ai servizi.
Più o meno palesemente la visione ospedalocentrica (non loderemo mai abbastanza la prova di straordinaria professionalità che è stata offerta alla cittadinanza da parte di tutti i lavoratori coinvolti ad ogni livello) resiste con forza. L’ospedale dovrebbe svolgere il ruolo di punto di riferimento per il proprio territorio in merito alle acuzie e per gli approfondimenti di 2° e 3° livello ma per forza di cose (mancato riordino delle cure primarie) l’ospedale continua ad occuparsi di patologie croniche e la co-operazione con la medicina di base e i servizi sociali risulta ancora complessa (salvo rare eccezioni). L’esternalizzazione al privato o alle società di servizi accreditate ha permesso di allargare l’offerta e l’opportunità di poter rispondere ai bisogni di salute sulle patologie non trasmissibili (es.: tumori, patologie cardiovascolari) ma nello stesso tempo ha consentito sostanziali tagli di posti letto nel pubblico improvvisamente resi evidenti dalla pandemia covid: in Italia nel 2012 vi erano 12,5 posti letto in terapia intensiva per 100.000 abitanti mentre la Germania aveva 29,2 posti letto per 100.000 abitanti. Non dovrebbe più capitare che scellerate scelte etiche debbano sottostare alla scarsità di risorse causate da pregresse dissennate abolizioni di presidi territoriali che rappresentavano, anche nei nostri territori, punti di riferimento eccellenti per prestazioni e gradimento. Una recente indagine relativa ai primi 8 mesi del 2020 ha evidenziato come ad ogni posto letto in meno per 1000 abitanti è associato un 2% in più di aumento della mortalità generale (il dato comprende sia la riduzione dei posti letto in terapia intensiva che negli altri reparti ospedalieri coinvolti o meno nella pandemia covid. Anaao Assomed 2021).
Bisognerebbe ripartire da qui, cambiare passo da subito, modificare
radicalmente ciò che deve essere cambiato. Ripensare
a percorsi di cura assistenziali territoriali periferici che in tempi celeri possano essere sperimentati effettivamente
nei quartieri della città e nelle zone rurali/montane superando monotoni e
retorici modelli autoreferenziali sconfitti dai cambiamenti sociali o addirittura paralizzati da se stessi cioè dalle stesse delibere che li proponevano come innovazione in risposta ai bisogni dei
cittadini e alle deliberazioni delle Conferenze socio-santarie provinciali (es.:
Del Reg. n. 2128 del 5 dicembre
2016). A volte
paradossalmente le iniziative così dette di innovazione del territorio vengono
dalle stesse voci che hanno partecipato a ridurre quei presidi territoriali
molto apprezzati dalla popolazione.
Le
aziende Ausl e Ao, tutt’ora concentrate verso l’obiettivo principale della
costruzione dell’azienda unica (progetto iniziato molti anni fa desueto anche
dal punto di vista economico), avrebbero un compito superiore se si dedicassero
alla salvaguardia dell’universalismo delegando il completo processo decisionale
e l’operatività ai professionisti e alle loro comunità. Il territorio in
autonomia può già da ora assumersi il compito di sorvegliare i processi di
screening, di prevenzione, di diagnosi, cura, la domiciliarità, l’attività ambulatoriale
di attesa e/o attiva, l’organizzazione operativa in team e riabilitazione così
come può governare eventuali ospedalizzazioni che considerino, per la maggior
parte dei casi, il reinserimento nel territorio.
In
periodo covid la medicina generale meglio conosciuta come medicina di base
sarebbe di gande aiuto e servizio alla popolazione (partecipazione dei Medici
di Base al processo vaccinale)
se potesse svolgere il proprio
ruolo e la propria funzione ambulatoriale e domiciliare di routine.
I
centri vaccinali aziendali che hanno
dimostrato efficienza ed efficacia
dovrebbero senz’altro essere potenziati
ed affidati non ai medici di
base ma ad altri settori della medicina generale (
medici di medicina generale di continuità assistenziale o guardia medica,
medici di medicina generale USCA, medici di medicina generale Corsisti, medici
di medicina generale della Medicina dei
Servizi, medici di medicina generale con
Contratti ad Hoc, medici di medicina
generale della Medicina Penitenziaria,
medici di medicina generale della
Emergenza Territoriale, medici di medicina generale Volontari ).
La
platea dei medici vaccinatori potrebbe quindi essere vastissima e più che
sufficiente per raggiungere gli obiettivi che il Ministero della Sanità e gli
Assessorati alla Sanità hanno dichiarato. In caso di necessità le prefetture
potrebbero concordare con le AUSL il reclutamento di medici pensionati
specialisti o di medicina generale.
Tutto
ciò potrebbe limitare la pratica degli annunci dissonanti e la confusione che può
rischiare di generare conflitti tra professionisti e
assistititi.
La
retorica può nascondersi nelle pieghe dei così detti documenti ufficiali (anche
nei protocolli di intesa nazionali che stabiliscono il coinvolgimento dei
medici di medicina generale nella campagna vaccinale). I ricercati elenchi di
dichiarazioni di intenti delle premesse
burocratiche dei vari accordi possono
avallare disegni molto più prosaici di
quelli annunciati così che, invece di semplificare o risolvere effettivamente
le problematiche che vorrebbero
eliminare, nella pratica, complicano orrendamente il fluire naturale delle operatività tipiche
del medico di base che potrebbe occuparsi di quelle innumerevoli forme di patologie
che tutt’ora esistono e che il covid pare aver fatto evaporare.
Infatti
le liste d’attesa relative ai controlli periodici delle patologie croniche sono
significativamente aumentate. Se il medico di base viene distolto dalle sue
funzioni per occuparsi di vaccinazioni chi curerà le persone?
I
dati derivati dalle rilevazioni sulla pandemia (guariti, vaccinati, contagi,
ricoverati e decessi) da più di un anno, quotidianamente, mostrano come la
fragilità conviva con noi e come stia crescendo il fenomeno dell’indifferenza
(involontaria) nei confronti dei problemi degli altri causata a sua volta da un
timore generalizzato (di morire).
E’
certamente vero che tutte le categorie esigono per se stesse (in quanto si
ritengono fondamentali per il funzionamento sociale) il vaccino con una
prelazione nei confronti di altri gruppi.
Pare che durante la campagna vaccinale vi siano stati anche condotte di privilegio.
Quel pezzo di paese che pensa di dove
rimanere ancora per molto tempo nell’isolamento a causa della paura potrebbe
vedere la parte di persone vaccinate, senza che ne avessero necessità
prioritarie, come usurpatori di un diritto. Tutto ciò potrebbe scatenare solchi
e rabbie profondissime se i principi di solidarietà sociale e di empatia venissero
travolti.
E’ doveroso a questo punto avviare sperimentazioni coraggiose perchè nella sanità, oggi, se queste prove sono reali e sollecite, possono rappresentare la base o il denominatore per progettare una città completamente diversa che si rialza dalle proprie macerie e che, come negli anni 50 e 60, è in grado di generare un nuovo miracolo economico e sociale.
Un
sistema assistenziale periferico di riferimento (e quindi autorevole) di
quartiere o di territorio così come è stato proposto innumerevoli volte cioè
completo, “grande”, bello, adatto per l’attività ambulatoriale ma anche
residenziale per le patologie della senilità e con letti osservazioni (Ospedale
di Comunità) anche in pandemia covid avrebbe
potuto fare la differenza.
In questo momento di Covid, dove la vaccinazione delle persone è l’obiettivo principale, mancano strutture autonome ed adeguate al compito (salvo rare singolarità) ma la medicina di base può attualmente svolgere un importante compito di prossimità accogliendo la sensazione di allontanamento dal SSN manifestato da numerosi assistiti convinti che il loro problema non interessi a nessuno. I medici di base punti di riferimento delle loro comunità sono in grado di pretendere dalle istituzioni informazioni precise e dettagliate. In virtù delle indicazioni possono poi proporre, come “tutori della salute delle persone”, aggiustamenti e modifiche delle comunicazioni affinche’ i cittadini possano percepire che il “loro” problema è stato preso in carico e che il professionista si adopererà con responsabilità decisionale affinchè ogni assistito possa conoscere in quando potra’ essere vaccinato, in che luogo, da chi e come. Inoltre il rapporto fiduciario che lega assistito e medico di base permette di rassicurare l’assistito che la platea dei vaccinatori è tale che i vari gruppi target verranno vaccinati a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro. In un momento dove molti sono costretti a rinunciare a qualche cosa sviluppando timore o rabbia repressa poter contare su un medico di base di riferimento significa essere incoraggiato e rincuorato che i comportamenti di protezione individuale ben noti saranno più che sufficienti a proteggerli fino al momento della vaccinazione.
Questa condotta professionale, allo stato attuale della pandemia in 3° fase, può rappresentare una effettiva partica del farsi carico e del prendersi cura dell’assistito. Da questo punto di vista vanno abolite tutte quelle comunicazioni o quegli annunci che non spiegano nulla di quello che le persone desiderano sapere o pensare. Occorre che anche la politica locale consideri necessario trovare soluzioni ai problemi delle persone che attendono di essere vaccinate. Compresi quelli emotivi e psicologici. Se mancano i vaccini occorre dichiararlo apertamente e garantire la data in cui saranno disponibili perchè la politica è l’arte di fare accadere le cose e queste accadono se le intelligenze e le competenze si uniscono. In questo momento nessuno puo’ dirsi estraneo e mai come ora la scialuppa è una sola e deve contenere tutti.
Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria) FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti)
Regione Emilia-Romagna 07 marzo 2021
Assistenza. L’importanza del servizio sanitario territoriale periferico. Ricominciamo?
Articolo a cura di Bruno Agnetti
Pubblicato su Gazzetta di Parma il 17 Aprile 2020

Questa epidemia (gia’
ampiamente prevista nel 2017) ha colto il nostro sistema sanitario impreparato
per quanto riguarda gli ospedali e il territorio
( screening, monitoraggi, mascherine). Una organizzazione periferica
adeguata avrebbe forse rallentato l’infezione lasciando più tempo per la ricerca
di efficaci strategie terapeutiche. Come Comunità Solidale Parma da anni
proponiamo soluzioni innovative per il territorio (Casa della Salute o Casa del
Quartiere) dirette ad assolvere e ad affrontare le nuove sfide “imposte dalla
globalizzazione”. Abbiamo ribadito come
fosse necessaria una ideazione ed una progettazione che veda dall’inizio coinvolti i diretti
interessati e gli attori dell’assistenza territoriale ( innovazione del
processo decisionale). A Parma c’è un eccellente modello di come possono essere
stabilite alcune ipotesi di disegno progettuale e di come si possano realizzare
(l’Ospedale dei Bambini). Le
problematiche relative all’organizzazione territoriale palesate durante questa
epidemia richiedono un apprendimento veloce che superi tutte le esitazioni passate
al fine di costruire un futuro assistenziale periferico che abbia il maggior senso
possibile. Si è inoltre capito che nessun sistema economico (che vedrà una
profonda innovazione e riconversione) può sopravvivere senza una sanità
pubblica forte e saldamente ancorata al territorio (welfare di comunità-sussidiarietà
circolare-collegio del territorio-partecipazione non dominante delle imprese
generatrici). Questo virus non fa
differenze e colpisce il cittadino semplice,
l’anziano, lo sportivo, il ministro o l’industriale famoso. Non c’è
“buen retiro” che possa proteggere. La
salute di tutti dipende quindi dalla salute di ciascuno, siamo interdipendenti
e solo insieme potremo affrontare i prossimi problemi o altre pandemie o altre
modificazioni globali che condizioneranno il nostro benessere.
Comunità Solidale Parma ha da sempre sostenuto l’importanza di difendere il Servizio Sanitario Pubblico ed in particolare, per suo statuto, la medicina generale territoriale in coerenza con il paradigma assistenziale bio-psico-sociale. Un servizio sanitario territoriale periferico ben organizzato e con locali adeguati puo’ aiutare a far fronte alle emergenza, offrire cure precoci per molti e di conseguenza sostenere anche il sistema produttivo di un quartiere. Pensiamo che la medicina di base sia un bene comune per i cittadini e che medici e sanitari debbano essere protetti affinchè non si ammalino continuando così a sorreggere il sistema territoriale senza rischiare il collasso. Pensiamo a tutte le persone ammalate di patologie croniche non collegate al Covid-19 e che necessitano di controlli periodici a volte essenziali. La salute è quindi considerata un bene comune e deve essere gestita come tale. E’ interesse collettivo che le comunità ( es.: i quartieri con le loro Case della Salute) possano in caso di necessità organizzarsi rapidamente con autonomia anche se poi naturalmente saranno necessari interventi dei presidi di 2 livello e strategie nazionali vincolanti. Arriveranno i farmaci efficaci. Al momento occorre però che la popolazione dimostri ancora senso di responsabilità perché il virus è tutt'ora in circolazione pronto a causare altri guai. Con le cure opportune finirà definitivamente anche il confinamento e potrà riprendere il sistema produttivo foriero a sua volta di benessere perché anche la salute richiede una società attiva. Le relazioni sociali hanno già iniziato a mutare. Sono diventate essenziali. Piano piano comprendiamo come il valore sia dato dai rapporti con gli altri e con il territorio. Ci sono naturalmente altri beni comuni interconnessi ed interdipendenti come l’ambiente, l’istruzione, la cultura, la biodiversità. La lezione di resilienza imposta da questa pandemia ci ha liberati, nell'immediato, dalla cultura consumistica del “voglio tutto e subito”. Il mondo è improvvisamente apparso come limitato e fragile non più gigantesco ed infinito. Il virus inoltre lascia purtroppo tracce profonde che resteranno per tutta la nostra vita ( disoccupazione, fallimenti, decessi in solitudine, sofferenze e difficoltà nel poter curare tutti). Usciti dall'emergenza non potremo accontentarci di posizioni marginali o burocratiche che pensino di aggiustare nell'invarianza il nostro sistema sanitario territoriale in attesa della prossima pandemia ( che ci sarà!) o della prossima catastrofe o del prossimo disastro. Senza un sistema territoriale efficace in grado di prendersi cura non può esserci salute e benessere collettivo ( ed economia). Da questo punto di vista la ripresa deve essere adeguatamente progettata, comunicata e sperimentata (democrazia deliberativa). L’integrazione socio-sanitaria, riconosciuta come bene comune, nelle sue strutture periferiche può così svolgere nel periodo della ripresa un importante ruolo di riferimento per una comunità e quindi offrire un importante strumento di ammortizzatore sociale. Già ora si prevedono tensioni, agitazioni, rancore ed insofferenza causate dal possibile incremento delle disuguaglianze e dei fenomeni di impoverimento. Una Struttura Sanitaria di quartiere ( es.: una casa della salute innovativa nel processo decisionale e nel suo sistema gestionale interno autonomo) può rappresentare una risposta valida e convincente alle nuove istanze e ai nuovi bisogni di protezione delle fasce più deboli e periferiche della società alle prese con le conseguenze della globalizzazione e delle trasformazioni radicali dell’ordine strutturale sociale. Da qualche anno Comunità Solidale Parma promuove la realizzazione di una struttura complessa di riferimento sanitario ( Casa della Salute Grande) per un quartiere come quello di San Leonardo. Questo territorio contiene al suo interno tanti servizi per l’intera città. Conta, nel suo complesso 30.000 abitanti. Tutto ciò che avviene nel villaggio globale può portare nodi che vengono al pettine anche nelle nostre “sconosciute” periferie del “mondo piccolo” in quanto i nostri territori sono anch’essi costantemente interconnessi con tutto ciò che accade nel mondo, anche in Cina! E’ quindi opportuno un cambio sostanziale di paradigma e di processo decisionale in campo sanitario territoriale per poter affrontare con forza e comunanza le sfide del presente e del futuro con visioni alte e lungimiranti per il bene comune. La speranza non è utopia ma è creatività, intelligenza politica e pura passione civile che agisce per vincere la paralizzante apatia ( invarianza e inazione) dell’esistente.
Comunità Solidale Parma
Medico di famiglia o specialista?
Articolo a cura di Bruno Agnetti
Pubblicato su Quotidiano Sanità il 10 Novembre 2019

10 NOV - Gentile Direttore,
il Prof. Ivan Cavicchi ha affrontato la problematica scaturita dall’ipotesi di affidare al mmg una parte della “piccola” diagnostica. Questa pensata “Uovo di Colombo … incredibilmente banale” risulterebbe finanziata con 235,834 milioni di euro derivanti però dal maxi fondo per l’edilizia sanitaria oggi accreditata di 32 miliardi di euro.
Il finanziamento verrebbe trasferito alle Regioni che decideranno come applicare norme e incentivi. Il canovaccio rappresenta purtroppo una profezia auto-avverantesi “deja vu” in quanto la mancanza di una riforma complessiva e l’inconsistenza della cifra (circa 11 milioni per regione) non può che esitare in bilanci per nulla edificanti: esperienze locali imbarazzanti di diagnostica generalista; informatizzazione incompleta delle aggregazioni dove infermiere e segretarie non vengono rifornite di strumentazione e programmi; edilizia sanitaria tipo “Case della Salute” che creano gravi differenziazioni/disuguaglianze professionali e assistenziali sconcertanti; paletti e limitazioni di accesso a fondi con criteri detti “meritocratici” che alla fine favoriscono i soliti auto referenziati pochi noti; semplificazione grossolane atte ad offrire opportunità di business a qualche organizzazione cooperativistica non priva di conflitti di interessi.
La Medicina di Base di questi anni ha vissuto numerosi episodi sconfortanti collegati ad iniziative incentivanti che hanno mortificato dedizione e meritorietà. Se si frequenta una sala d’aspetto di un mmg ci si rende conto di come sia enorme l’afflusso di assistiti, la maggior parte anziani, con poli-patologie croniche e problematiche socio-sanitarie sempre più complesse, che considerano il medico di famiglia uno degli ultimi servizi di welfare sanitario gratuito e di libero accesso.
I dati dimostrano una attività professionale oltre al limite delle possibilità. In media possono essere servite circa 35 persone al giorno per medico: se il professionista opera in una medicina di gruppo, es.: composta da 5 medici, gli assistiti che accedono alla consultazione diventano in totale 175 al giorno, 875 la settimana e 3.500 in un mese ( 42.000 all’anno!).
Ha comunque ragioni da vendere il Prof. Cavicchi quando sostiene che una vera riforma, anche nella diagnostica generalista, deve prevedere alla base il concetto dell’integrazione/cooperazione multiprofessionale ma anche multidisciplinare e multisettoriale, unica modalità operativa che permette di affrontare seriamente le necessità assistenziali territoriali.
Con organizzazione in team di mmg di AP e di CA, specialisti territoriali ed ospedalieri, servizi, infermieri, assistenti sociali, società civile e volontariato, imprese generative … il processo diagnostico sarà veramente valido e “refertato”, produrrà appropriatezza prescrittiva e assistenziale, risparmio, riduzione dei ricoveri impropri e formazione/apprendimento radicato.
Ogni attore farà la propria parte senza inutili sovrapposizioni ed invasioni di campo. Più volte sono state indicate le road map da percorrere per affrontare in modo più strutturale ( paradigmi post-moderni e nuovi modelli di welfare con caratteristiche distintive a favore delle comunità) le note criticità diventate emergenze che si sommano quotidianamente ad ulteriori emergenze.
Sembrano però insormontabili le gravi impreparazioni istituzionali nell’ interpretare le vertiginose modifiche sociali e sanitarie in atto. Il Golem della medicina “amministrata” è un “iper-oggetto” che condiziona in modo unilaterale e stucchevole una gran parte delle scelte che sono sempre più scollegate (es.: conferenze socio sanitarie territoriali) dal bene comune e dalla complessità delle collettività. La contrazione spazio-temporale e la società in forte modificazione oltrepassa in velocità le istituzioni e genera “sua sponte” sperimentazioni autonome ed indipendenti dalle incertezze regressive delle istituzioni pubbliche : in alcune città come Milano, Brescia e nella stessa Bologna sono già nate forme di servizi di medicina generale o di base privatizzati !
Woncaè l'organizzazione internazionale dei medici di famiglia e ha titolo per definire cosa sia e cosa debba essere la medicina di base ( caratteristiche, competenze costitutive, aree di attività ed elementi fondanti). La medicina basata sull’esperienza, peculiarità del mmg, e sulle evidenze utilizza ovviamente la tecnologia ma anche storici metodi per formulare diagnosi e suggerire cure.
Queste modalità situazionali diventano fondamentali per favorire una copertura universale, per affrontare i rischi per la salute e per rafforzare i SSN soprattutto se si opera in team (G 20, Okayama, 2019) in quanto l’attività territoriale dei mmg è sempre più complessa.
E’ per questo che non servono approcci dilettantistici ma modelli (investimenti) veramente in grado di disegnare un riordino delle cure primarie (team) capace di sostituire vantaggiosamente il defunto welfare state.
Altri disegni pregressi annunciati come rivoluzionari per l’intera assistenza primaria hanno dato luogo a fallimenti professionali e assistenziali. In alcune regioni definite “esempi di eccellenza” la medicina generale di base è praticamente evaporata.
Maldestre e continue imitazioni (welfare aziendali) dell’originale (welfare di comunità) alla fine portano disuguaglianze, inappropriatezze ed incrementato della percezione di assenza del SSN e di inutilità delle istituzioni sanitarie regionali e locali.
Le strumentazioni tecnologicamente avanzate possono certamente permettere anche ai mmg di porre ipotesi diagnostiche (a volta generati anche automaticamente da sistemi esperti) e di formulare “pareri di primo livello” ma non referti specialistici!
Sarebbe oltremodo opportuno che tutto ciò venga regolato, secondo il principio del processo decisionale completamente affidato ai mmg, all’interno delle aggregazione (es.: AFT/NCP-UCCP ) in “favore dei colleghi” che richiedono questo tipo di aiuto in spirito di colleganza e reciprocazione garantendo così efficacia assistenziale di prossimità ed eliminazione di derive orientate alla creazione di ruoli/incarichi aziendali remunerati per i soliti pochi noti ben auto-referenziati.
Occorre comunque operare con molta prudenza considerati i dati relativi al carico di lavoro dei mmg e il pericolo che ulteriori incombenze riducano il tempo da dedicare ad attività olistiche e generalistiche (wonca) creando così paradossalmente liste d’attesa … in medicina generale !
Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria)
FISMU (Federazione Italiana Sindacale dei Medici Uniti )
Regione Emilia-Romagna
10 novembre 2019
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