“Comunità”, termine inflazionato?

08 APR - Gentile Direttore,
“In quel paese che sorge in qualche angolo dell’Italia… nella pianura del Po… ciascuno lotta a suo modo per costruire un mondo migliore… e qui accadono cose che non accadono in nessuna altra parte del mondo…”. Si diceva così nel film (1952) tratto dal romanzo di Giovannino Guareschi, “Don Camillo”.
Il termine “comunità” diventa dominante, in particolare nelle alte amministrazioni e nelle alte dirigenze, (salvo realtà germogliate nel volontariato in tempi non sospetti dopo lunga meditazione e condivisione) dopo i suggerimenti contenuti nel PNRR. Risente di contingenze e di modifiche interpretative e, per questo, è poco autorevole: non ha avuto il tempo di generare una narrazione veritiera. Non crea coraggio. E’ disfunzionale. Non crea comunità e viene percepita come un surrogato intellettuale che offre un finto senso di identità a buon mercato.

Non è il modello di cure primarie del Brasile o quello Portoghese (sic!) pur tuttavia emerge, nel “mondo piccolo”, qualche esperienza sanitaria di base o territoriale, ben “stagionata”, che potrebbe ottenere miglior fortuna a fronte di ipotesi di tendenza ma alquanto salottiera.

Purtroppo non sono gli appelli o le petizioni che modificheranno la brutta china scivolosa nella quale si trova il nostro sistema sanitario (in particolare quello territoriale). Le cause sono note. La presenza, tra i firmatari delle istanze, di persone che meritano un indiscutibile rispetto non nasconde il fatto che vi siano responsabilità storiche perfettamente identificabili.

La criticità relativa al finanziamento è certamente un argomento serio. La globalizzazione e l’egemonia finanziaria alimenta un consumismo che tende all’infinito. Di conseguenza i fondi non saranno mai sufficienti se oltre all’aspetto economico/finanziario non si associa una solida riforma compossibile previo ampio dibattito pubblico con i professionisti e i cittadini o almeno parlamentare. In questi anni la Conferenza Stato Regioni ha esercitato un ruolo decisionale quasi egemonico con la propria Commissione Sanità continuamente presieduta dai rappresentanti di una o due regioni: la sola questione danarosa quindi potrebbe apparire come un ineccepibile alibi piagnucoloso al fine di oscurare i pregressi processi decisionali controriformisti o esigenze di apparato.

Il mondo della sanità si sta orientando in senso opposto alla 833? Il nostro paese non ha una sovranità tale da potersi opporre, a livello sanitario, al consumismo neo-liberale? Lo si dica chiaramente e forse la società civile, stanca di gestioni consociativistiche e deludenti, troverà una soluzione già sperimentata nella sua storia di associazionismo e di auto-aiuto.

Se invece si considera la sanità una delle più importanti opere pubbliche della nostra nazione occorre trovare il modo di non abbandonare questo bene comune ricorrendo, con responsabilità bipartisan, a modelli come il Welfare di Comunità (vero!) elaborato da Stefano Zamagni e al medico autonomo/autore di Ivan Cavicchi.
La riforma 833/1978 è stata crivellata, dalla sua promulgazione ad oggi, da una infinità di controriforme (nazionali e locali) che l’hanno sostanzialmente annullata.

Attualmente l’asfissiante chiacchiericcio sulle Case della Comunità, Ospedali di Comunità, Distretti, dipendenza dei mmg ecc. sembra voler nascondere la mancanza di una cultura sanitaria pubblica.

La comunità, secondo Aristotele, non è definita da un luogo, da un ambito geografico o da una struttura (CdC) ma dal fatto che un gruppo di cittadini siano in grado di garantire una buona vita alle persone di un territorio affinché possano sviluppare una esistenza indipendente e autonoma pur all’interno di una reciproca solidarietà così che concretizzi una vita degna di essere vissuta. La comunità (contenuta nei numeri) è prioritaria rispetto ad un individuo anche se, proprio grazie alla solidarietà degli altri, lo stesso soggetto singolo può sviluppare la propria individualità.

Infatti la persona non solo è un vivente politico-sociale-comunitario ma è anche l’unico essere che ha il logos cioè il linguaggio-ragionamento “prudente/calcolante” ed è in grado, con la ragione e il dialogo, di stabilire, ad esempio, forme di assistenza misurata (es.: da parte dei mmg) e proporzionata per quella comunità affinché non prevalgono logiche individualistiche dannose (es.: un consumismo amministrativo).
Ciò che dà valore “unico” ad una comunità raccolta intorno ai propri mmg di riferimento sta nel fatto che, in questo modo, è possibile soddisfare i bisogni dei suoi componenti seguendo il criterio di “finitezza” a sua volta sostenuto dal tessuto solidale. Da questo punto di vista potrebbe apparire irragionevole e solo economicistico mettere in campo un costoso meccanismo di appropriatezza prescrittiva. Chi se non il mmg può aiutare le persone, che lo hanno scelto fiduciariamente, ad inserire nel loro bagaglio culturale il concetto del limite, della misura, financo che la vita ha un termine? Non saranno certo le istituzioni o le alte dirigenze o le amministrazioni o i protocolli o gli algoritmi a poter comunicare empaticamente tali riflessioni.

Contrariamente alcuni recenti movimenti filosofici, immersi in una realtà neoliberista, tendono a promuovere una vita illimitata e senza termine (trans umanesimo e post umanesimo). Così la società consumistica opterà per un soddisfacimento dei desideri individuali con quella smania di illimitatezza che corrisponde alla massima distanza dalla ragione. Questa cultura che penetra anche le istituzioni e i gruppi culturali satelliti porta alla disgregazione del tessuto comunitario e della sua tenuta etica. La mancanza di limite riproduce sempre lo stesso ciclo di produzione consumistica tanto da arrivare ad utilizzare i cittadini (volontari, professionisti, assistiti) come semplici strumenti operativi.

La comunità giusta è quella che non è troppo grande né troppo piccola, non ha troppi abitanti né troppo pochi, non conta persone troppo ricche né troppo povere. E’ una popolazione che necessita quindi di un auto-controllo autonomo interno grazie ad individualità specifiche solidali (es.: mmg fiduciari) e all’alternanza tra il governare e l’essere governati perché, questo, è il vero abitare la democrazia.

Tommaso (che avrebbe volentieri voluto battezzare Aristotele), sostiene che, nel caso vi fosse pericolo per la comunità e il bene comune, sarebbe lecita la “perturbatio” cioè la ribellione in quanto significherebbe disubbidire ad una tirannide e obbedire a Dio.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

08 aprile 2024
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Medicina Territoriale

Le case della comunità nei quartieri, una scelta in ritardo di anni

22 FEB - Gentile Direttore,

Sul filo di lana del traguardo della consiliatura posso manifestare una malcelata soddisfazione per il fatto che almeno è emersa "ufficialmente" una qualche "sensibilità" su temi direttamente coinvolti all’assistenza sanitaria territoriale avvenuta con la presentazione della delibera della Giunta comunale nella quale si esprime parere favorevole sul sistema strutturale delle così dette Case della Salute (oggi più propriamente definite Case della Comunità) di via XXIV Maggio (quartiere Lubiana) e di via Verona (quartiere San Leonardo).

Null’altro che una "sensibilità" forse nemmeno genuina ma dettata dalla necessità di presentare qualche progetto al fine di racimolare in fretta e furia quel che resterà del Pnrr.

Attualmente le due denominazioni (Case della Salute/Case della Comunità) possono essere considerate concettualmente sovrapponibili come funzioni e obiettivi professionali e assistenziali anche se è probabile che nei prossimi anni possano essere declinate operatività e integrazioni diversificate in relazione agli sviluppi culturali e normativi in atto (Pnrr, contratti nazionali, accordi regionali e locali, approfondimenti e interpretazioni pubblicati da numerosi commentatori nazionali e locali).

Credo a questo punto di poter dare un significato parzialmente positivo al mio mandato amministrativo, considerato che l’obiettivo principale , quello di portare all’interno dell’Amministrazione comunale una attenzione politica alla situazione locale sanitaria periferica, ha causato tuttavia indirettamente una reazione.

Non sono sicuro ma senz’altro la delibera, che arriva con un ritardo di numerosi anni tanto da rendere già obsolete le disposizioni assunte,  sarà scaturita da una approfondita analisi dei bisogni e delle necessità assistenziali e professionali dei quartieri e che saranno stati evasi i necessari confronti e dibattimenti con le comunità e con i professionisti interessati.

Grazie a questi numerosi scambi di vedute saranno stati presi in considerazione gli effettivi bisogni logistico/architettonici, assistenziali e professionali valutando anche quanto elaborato dalla letteratura di settore in questi anni che considera la multifunzionalità e la gradevolezza degli ambienti metafora della guarigione e del benessere.

Come emerge da numerosi resoconti, la vita della singole comunità non richiede la collocazione nei quartieri di poliambulatori ma di strutture in grado di rispondere alle necessità di una società moderna, attiva, con specificità identitarie e la peculiarità diffusa all’incremento delle cronicità ma anche di soggetti appartenenti alla così detta terza e quarta età tuttavia in buona salute, età che non può però essere risolta dal paradigma della città in 15 minuti.

Diversi commentatori hanno evidenziato come siano fondamentali le cooperazioni tra il sociale (inteso come servizi istituzionali ma anche come società civile organizzata) e il sanitario e come l’attività riabilitativa "continuativa" neuro-motorio e cognitivo-psicologico possa essere indispensabile anche per fasce di popolazione più giovane.

A tempo scaduto emerge l’urgente necessità di realizzare gli ospedali di comunità con mansioni anche di hospice (secondo quanto ricordato dal British Medical Journal) che, come dice la parola, per essere tale, cioè per essere Ospedale di Comunità, deve essere inserito proprio nella comunità stessa e nella struttura (Casa della Salute/Casa della Comunità) nella quale si realizza l’integrazione multiprofessionale (medicina generale, 118, continuità assistenziale), multidisciplinare (sanitaria, specialistica, diagnostica), multisettoriale (amministrativo, di volontariato e di terzo settore), relazionale (partecipazione della comunità di riferimento).

Tuttavia la lettura della delibera lascia numerose questioni in sospeso e non affrontate tanto da apparire inadeguata alle finalità che apparentemente sembra indicare.

Già sono passati molti anni dalla formulazione dei propositi contenuti nel testo del provvedimento e forse ne trascorreranno molti altri che potrebbero cambiare visioni, missioni e amministrazioni.

Al momento sembrano affiorare alcune criticità in merito alla condivisione con la popolazione, al confronto con la letteratura di settore, alla realizzazione degli spazi e delle funzioni tra le due Case della Salute/Case della Comunità citate nella delibera.

La mancanza di una visione ambiziosa, contestuale e allacciata alla realtà attuale continua la tradizione dell’opinione tendente al massimo ribasso (conto capitale e organizzazione corrente) inversamente a quello che dovrebbe essere il massimo rialzo (della qualità professionale e assistenziale).

Il concetto di visione ambiziosa (se non ora quando?) viene assimilata da alcuni come un pensiero puerile indegno di essere preso in considerazione e per questo manipolato in senso denigratorio. Manca la cultura del bene comune.

Tutto ciò non ha permesso un cambio di passo e trascina con sé le note criticità sanitarie (l’Ausl è commissariata da quasi due anni senza che nessun dirigente sanitario o responsabile amministrativo comunale abbia spiegato alla popolazione il perché) che continuano a condizionare questa città dando origine a quartieri e cittadini di serie A e serie B così come vi sono professionisti sanitari di serie A e B (manca una programmazione sanitaria territoriale locale efficace per le giovani generazioni di professionisti) e così tra gli stessi dirigenti sembrano esserci quelli di serie A e quelli di serie B.

Sembra proprio che Parma debba giocare "così così" sempre in serie B. Infatti, quale beneficio è arrivato in città grazie al commissariamento misterioso dell’azienda sanitaria locale?

Oggi le malattie improvvise incidono di meno sul complesso assistenziale e professionale delle patologie di lunga durata, quelle che rientrano nel termine cronicità.

Già è stato detto che molte persone della terza e quarta sono senili ma fondamentalmente sane. Quelli che si ammalano spesso non guariscono, si cronicizzano e quindi è assolutamente necessario pianificare con abilità e intelligenza una innovazione del territorio affinché riesca ad affrontare la presa in carico della fragilità (termine generale che contiene numerose forme di malattie o disagi) nella piena consapevolezza che affrontare le problematiche non significa trovare risposte universali.

Occorre ripensare e abolire gli ambiti territoriale e permettere ai giovani medici del territorio di formare gruppi omogenei, affiatati, numerosi e con uno specifico progetto assistenziale autogenerato che siano in grado di assumersi in carico un territorio di riferimento.

Una medicina basata solo sulle evidenze scientifiche non è in grado di affrontare la complessità sociale e sanitaria che non è mai lineare, protocollare, algoritmica, normativa, economicistica.

Occorre innovare e costruire un nuovo sapere fondato sui valori, sulla cultura, sull’esperienza, sull’etica, sul bello e sull’arte. Questo sapere deve essere autonomo, solido, costruito dalla comunità e realmente trasmissibile alle nuove generazioni di professionisti. Per molto tempo abbiamo pensato che la scienza potesse dare risposte appaganti ma ora comprendiamo che occorre tornare all’umanesimo. Covid docet.

Le comunità, insieme ai loro professionisti di riferimento, possono modificare il rapporto con la cura, la salute e il benessere. L’emergenza, lo scientismo, il vitalismo hanno rischiato di trasformare la cura il un oggetto di mercato.

Nella realtà il prendersi cura è un processo, un susseguirsi di momenti che si seguono nel tempo l’uno dopo l’altro e che si fondano non sulla guarigione (cosa significa guarire?) ma sulla relazione tra professionisti e persone che chiedono l’aiuto, familiari, colleghi, comunità…questi interessi uniti e basati sull’umanesimo possono, forse, incidere sull’attuale cultura regressiva delle istituzioni sanitarie e delle amministrazioni politiche.

Bruno Agnetti

Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

22 febbraio 2022
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Mascherina

Le potenzialità di un Mmg realmente libero

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità - 09 Giugno 2020

09 GIU - Gentile Direttore,
sarebbe interessante studiare, tra i tanti dati illeggibili di questa pandemia Covid, l’operatività di quei mmg che sono riusciti a fare diagnosi o almeno ipotesi diagnostiche oggettivabili precocissime; a mantenere al domicilio i propri assistiti seguendoli con contatti ripetuti nella giornata portandoli così alla “guarigione”.

Poi, ma dopo, sono arrivate le circolari e le linee guida ufficiali, modificate di settimana in settimana, a complicare ulteriormente ciò che già era difficile. Finché è stato possibile si è assistito ad una piccola innovazione “autonoma” del lavoro medico creata cosi, su due piedi, dai mmg a partire dai primissimi momenti.

Non sono certo esperienze operative circoscritte che possono consolidare un riordino delle Cure Primarie ma in questo periodo molti mmg, silenziosamente, non solo hanno saltato il fosso ma hanno eseguito un balzo in lungo degno di un record mondiale.

Quando i mmg hanno l’occasione di agire in autonomia e riescono a governare il processo decisionale automaticamente creano valore aggiunto, indotto e ricchezza. Modificano necessariamente i paradigmi e i valori di riferimento (empatia, solidarietà, reciprocazione, meritorietà, comunità, welfare) e decretano un patto d’onore tra professionisti e assistiti a sostegno del nuovo sistema valoriale di quella comunità.

In questo caso i “pazienti esigenti” diventano co-operanti perché possono “dire la loro” e ritengono, insieme ai loro medici e a chi pratica quotidianamente l’assistenza territoriale, che la salute è un bene comune e che il rispetto e la considerazione reciproca vanno considerati “beni relazionali” al pari dei servizi assistenziali e di prevenzione.

I mmg hanno quindi sperimentato modalità e luoghi dove poter espletare una innovazione radicale e produrre beni impossibili da realizzare con normative calate dall’alto. La medicina di base (se non sarà condotta alla dipendenza come da normative tutt’ora vigenti) dovrà strutturarsi culturalmente come una impresa che oltre ad offrire professionalità possa garantire continuità nella produzione della qualità dei servizi, dell’efficienza e dell’innovazione basata sull’esperienza.

La Medicina basata sull’Evidenza è utilissima ma deve mescolarsi con la tradizione culturale della medicina altrimenti rischia lo stesso distacco autarchico dalla realtà tipica di alcune istituzioni ed esporsi a svarioni imbarazzanti.

Una società, una comunità che non fosse in grado ora (dopo l’esperienza pandemica, tutt’ora presente) di assicurare una riforma dell’attività lavorativa del medico dove i valori relazionali ritornino ad essere identitari dei territori diverrebbe inevitabilmente una società destinata ad un livello di benessere ancora più incerto di quello che abbiamo sperimentato e tutto ciò indipendentemente da protocolli, algoritmi, statistiche, normative e posti di lavoro che le istituzioni potrebbero riuscire ad assicurare.

Forse uno degli elementi sottesi alla dotta elaborazione inerente la riforma del lavoro medico auspica che l’era covid possa rappresentare l’occasione per poter abbandonare la filosofia del pensiero unico o dei tagli per finalizzato al risparmio aziendale e regionale.

E’ diventato improvvisamente evidente a tutti il motivo della chiusura dei presidi sanitari territoriali che a volte, dal punto di vista medico-assistenziale e sociale erano considerati veramente dei piccoli e preziosi gioielli per le comunità.

Finalmente è apparso chiaro che il nesso che c’è tra economia e salute è indissolubile e una impostazione gestionale orientata al risparmio o a tagli conduce a disastri di cui siamo diretti testimoni. Il momento può favorire una riprogettazione della vita sanitaria territoriale, dell’attività lavorativa ma anche delle competenze gestionali.

Le USL (Unità Sanitarie Locali) potrebbero ritornare ad una nuova vita essendo state più a contatto con i cittadini di un territorio ben definito anche politicamente così da sostituire le AUSL cioè le aziende diventate eccessivamente elefantiache e burocratiche per la loro diretta dipendenza regionale.

A fronte dell’ennesima promessa di ridimensionamento della burocrazia molte professioni o impieghi degli assessorati o delle aziende potrebbero trovarsi in situazioni di lavoro libero e spontaneamente diventare di grande aiuto se inserite nelle aggregazioni mediche territoriali: basti pensare al ruolo del farmacista che potrebbe co-operare con i medici di Assistenza Primaria per un aggiornamento in tempo reale (di team e di briefing) su farmaci e terapie ma avere un ulteriore ruolo fondamentale epistemologico e statistico nella nuova enorme area di ricerca scientifica rappresentata proprio dalla medicina territoriale che potrebbe basare le proprie analisi non su studi di coorte ma live.

Il lavoro del mmg e in generale degli attori coinvolti nell’assistenza territoriale è strettamente collegato alla domanda di qualità della vita, di attenzione, di cura, di servizio, di partecipazione, di relazionalità.

La qualità di questo “lavoro” è pesato non tanto dai prodotti, dai beni o dai servizi offerti per il “consumo” quanto piuttosto per la qualità delle relazioni umane e per l’abilità di comprendere la matrice della società o della comunità di riferimento che a sua volta esprime bisogni diretti o indiretti di stili di vita che dipendono dalla cultura e dalle tradizioni di quel territorio cioè la personalizzazione delle cure come indice di qualità dell’assistenza.

Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria) FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti)
Regione Emilia-Romagna

09 giugno 2020
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L’invarianza e l’inazione in Medicina generale

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità il 16 Dicembre 2019

16 DIC - Gentile
Direttore
,
ogni essere vivente ha la tendenza bio-psico-sociale  a  perseguire
 una “certa” stabilità  che tende ad autoregolarsi in  favore
della sopravvivenza. Lo stato di equilibrio però non viene mantenuto nemmeno
per un secondo. Si ricrea quindi un nuovo disordine (entropia) che poi ricerca
immediatamente  un’ altra sua staticità.  E così via per tutta la
vita. Ogni cellula svolge questa continua “vibrazione” tra catabolismo e
anabolismo, rinnovandosi continuamente: non è più quella di qualche secondo
prima e non è ancora quella che sarà dopo. Ora è un’alta cosa.

Comparando l’aspetto biologico a quello organizzativo della medicina generale
secondo il paradigma bio-psico-sociale l’interno di questa complessità
bio-psico-sociale, pur dinamica, fenomeni come l’invarianza e l’inazione
accelerano squilibri e minano l’autoregolazione. Se, ad esempio, stili
organizzativi e gestionali non adeguati persistono per numerosi decenni si
possono generare, con molta più celerità di quanto stabilito dalla fisiologia,
rigidità, riduzione di elasticità, indurimenti tissutali che possono diventare
così diffuse da configurare un “regime” patologico generalizzato.

Purtroppo quando il microcircolo periferico (es.: assistenza primaria) viene pesantemente colpito si determina un punto di non ritorno. In ambito psico-sociale differenziazioni e squilibri imposti e mantenuti costantemente in modo unilaterale generano al fine conflitti e rancori tra coloro che considerano di subire iniquità.  Le cure primarie sono essenziali così come è ormai “rescue” una immediata riforma del SSN al fine di correggere criticità pluridecennali.
 
Karl Popper sosteneva che nessuna organizzazione istituzionale può modificare sostanzialmente un uomo.  Sono le persone e i professionisti che danno origine, sostengono e migliorano una organizzazione.  Istituzioni con “clima” o “stili di vita” non adeguati possono però alla fine frustrare tutti gli sforzi di un buon professionista.

La riforma, innovazioni, sperimentazioni, adeguate remunerazioni e potere d’acquisto, autonomia del processo decisionale affidato ai mmg, equità tra colleghi non sono più surrogabili  con demagogie o slogan o incremento di compiti.  Il modello di riordino delle cure primarie definito welfare di comunità ritiene lo storico “welfare state” agonizzante e considera possibile un patto di reciprocazione   con le imprese  generative  al fine di mantenere  una medicina di base innovativa, universale, gratuita, di libero accesso,  meno costosa pur in un disegno di “convenzionamento” per la specialistica imprenditoriale accreditata (per altro modalità molto diffusa) ma che assicuri coerenza, cooperazione, condivisine dei processi decisionale anche tariffari con le esigenze assistenziali dei professionisti e degli assistiti.  
 
L’ipotesi di una tale innovazione gestionale ed organizzativa non è però stata considerata urgente così ha prevalso l’invarianza e l’inazione nonostante vi siano regioni con alti rapporti tra abitanti e convenzionamenti privati. Altro plastico esempio (tra i tanti possibili) di mancanza di visioni innovative ma anche di   clima di ostilità da parte della medicina amministrata, protocollare e algoritmica nei confronti dei mmg  è rappresentato  da quanto riportato  nell’articolo 26  dell’ACN sulla Formazione Continua  tutt’ora in discussione. Il testo insiste con assillo quasi molesto su una formazione eterodiretta, impositiva, punitiva oltre modo, completamente anacronistica e staccata dalle recenti evidenze e appropriatezze relative all’apprendimento dei professionisti adulti.
 
La presunzione è quella di definire cosa debba essere una formazione qualificante la professione quando  invece è il singolo mmg (tutt’ora considerato dal fisco  libero professionista)   che è  imprenditore  di se stesso  ed in concorrenza  anche  formativa con gli altri colleghi  per   offrire  un prodotto di qualità o di rottura. Come tutti gli studiosi sanno molto bene l’apprendimento degli adulti è un processo complesso come è multiforme tutta l’attività di frontiera del mmg. Un articolato che pretende di normare con direttive semplici e soprattutto penalizzanti questo argomento  evidenza solo animosità nei confronti della professione.
 
Non si può prescindere dal fatto che la formazione (cambiamento) del mmg è quotidiana e strettamente collegabile all’esperienza (medicina basata sull’esperienza) più volte modellata, rinforzata o eventualmente estinta nella stessa giornata di lavoro (8:00-20:00).
 
Si deve poi aggiungere il ruolo di responsabilità svolto dal professionista nella comunità dei pari e degli assistiti dove ricerca la condivisione dei significati e manifesta testimonianza.
Tutto ciò arricchisce continuamente l’apprendimento e la formazione grazie alle esperienze accumulate e condivise dal gruppo o dal team (briefing) che orientano verso soluzioni  che nella medicina  generale, nelle associazioni e nelle comunità non sono mai verità  immutabili o definitive ma processi circolari.  Il valore professionale del mmg è di grande peso perché non c’è apprendimento senza azione ne azione senza apprendimento.
 
I mmg senior attualmente operativi possiedono una risorsa  o un patrimonio  unico rappresentato  dall’esperienza  e dal  contatto quotidiano con la realtà (rappresentata dagli assistiti, dai colleghi e dalle Istituzioni)  che a sua volta crea  inevitabilmente l’esigenza di sapere, di apprendere, di comprendere la realtà che li circonda  non tanto per raggiungere  scopi od obiettivi aziendali ma per  appagare le proprie motivazioni profonde di professionisti responsabili della propria impresa  e punto di riferimento per la comunità (Maslow).

Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria)
FISMU (Federazione Italiana Sindacale dei Medici Uniti )
Regione Emilia-Romagna

16 Dicembre 2019
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Diagnosi Differenziale tra Dolore Neuropatico e Dolore Nocicettivo

9 passi eseguiti in laboratorio, dal medico di medicina generale,  per la distinzione tra dolore neuropatico e nocicettivo del paziente

 

    • 1° quesito: Il dolore è causato da una causa nota al SNC?
      ( se la risposta è si: il dolore è neuropatico con il 40% di probabilità)
    • 2° quesito: la distribuzione riferita dal paziente coincide con l’innervazione di un territorio nervoso?
      ( si: il dolore è neuropatico con il 40% di probabilità)
    • 3° quesito: la semantica riferita dal paziente si riferisce a bruciore, scossa elettrica, punture di spillo?
      ( si: neuropatico per il 20% di probabilità)
    • 4° quesito: non definizione dell’area dolorosa (non è definita un’area specifica, il dolore è percepito in più sedi, la rappresentazione non è chiara e definita ci si trova di fronte ad una incongruenza che richiede ulteriori approfondimenti diagnostici).
    • 5° quesito/EO: ispezione per valutare eventuali lesioni trofiche superficiale o profondo-massa muscolare
    • 6° quesito/EO: palpazione-descrizione-disegno-estensione dell’area: per dedurre la zona del danno neurologico
    • 7° quesito/EO: percussione per valutare l’integrità del sistema somato-sensoriale cioè delle fibre coinvolte nella trasmissione dell’impulso doloroso dalla sede al midollo spinale il materiale necessario è:
  1. un batufolo di cotone;
  2. uno spillo;
  3. una provetta di acqua calda.

Con questi strumenti si valutano le tre vie di conduzione del sistema somato-sensoriale.

Le fibre A-beta: responsabili della percezione del tatto e della vibrazione ( il cotone valuta l’integrità del tatto).

Le fibre A-delta: responsabili del dolore rapido ( lo spillo valuta la percezione del dolore rapido).

Le fibre C: responsabili della percezione termica termo-tatto caldo-freddo ( analizzate tramite la provetta).

Se il risultato del test è negativo cioè non sono presenti alterazioni della sensibilità significa che le vie di conduzione sono integre e ci si trova di fronte ad un dolore nocicettivo.

Se il risultato del test è positivo ci si trova di fronte a un dolore neuropatico.

Se il risultato è incerto vi è una incongruenza diagnostica che richiede un approfondimento specialistico.

      • 8°quesito/EO: auscultazione/attenzione-comparazione: si somministrano stimoli nell’area dove il paziente riferisce dolore e si confrontano con la parte contro laterale sana per valutare l’intensità o il valore della soglia al dolore superficiale provocato-evocato ( si utilizzano stimoli sottosoglia come lo sfioramento o stimoli sovra soglia come la puntura o il pizzicotto) o al dolore profondo provocato-evocato ( con stimoli sottosoglia come una lieve pressione o con un movimento o con stimoli sovra soglia utilizzando una pressione elevata o movimento forzato).

Il test è positivo se gli stimoli risultano dolorosi e presenti nella zona dolorosa riferita dal paziente ma non nella contro laterale sana: in questo caso se la soglia del dolore provocato-evocato è ridotta è possibile ipotizzare un processo infiammatorio e la terapia può basarsi sul farmaci che agiscono sui mediatori dell’infiammazione.

Il test è negativo se lo stimolo risulta non doloroso o doloroso in egual misura in zone simmetriche: in questo caso la soglia sembra normale e quindi il sintomo dolore non pare essere causato da una infiammazione.

      • 9°Quesito/Test dei fans: in caso di difficoltà nel valutare la soglia algica o vi siano dubbi o se si considera di non poter eseguire manovre specifiche il test dei fans può diventare una procedura accettabile ed utile nella pratica.

Si somministra fans per 3 giorni: se il controllo del sintomo dolore si mantiene per un periodo di tempo maggiore di quanto sarebbe avvenuto qualora la risposta al farmaco fosse solo di tipo strettamente antalgico ci si trova di fronte ad una possibile patologia infiammatoria.

Il sintomo dovrebbe poi migliorare progressivamente con la somministrazione di fans.

In questo caso il test è positivo e dimostra che la soglia algica di quel paziente si è ridotta a causa di un processo infiammatorio quindi si può continuare con i fans fino alla scomparsa del dolore.

Il Test è negativo quando non c’è infiammazione i fans quindi non sono più giustificati.