I prossimi Air, in un contesto in frenetico e velocissimo cambiamento, preparano alla de-pubblicizzazione dell’assistenza territoriale?

17 OTT - Gentile Direttore,
si racconta (ma lo ricorda lui stesso in una delle sue ultime pubblicazioni “Chiudo la porta e urlo” del 2024), che un giorno fu chiesto a Paolo Nori, il noto scrittore parmigiano esperto in letteratura russa, di argomentare sul tema “amore”. Lo scrittore espresse qualche titubanza iniziale e poi cercò di spiegare come nella sua cultura popolare di origine, soprattutto dialettale, non esistesse nessun termine che potesse essere sovrapponibile al termine “amore” inteso come lemma ideale e, nello stesso tempo, utilizzabile anche nella vita quotidiana quasi come un intercalare. La massima espressione emozionale nella cultura rurale, in questo senso, è sempre stata “At voi ben” cioè “Ti voglio bene.” In effetti in dialetto parmigiano “amor” pronunciato in modo allargato “a-mor” significa “sto morendo” e quindi diventa comprensibile l’horror vacui che può generare.

Lo stesso concetto è espresso da Luigi Malerba nel suo libro intitolato “Le parole abbandonate” del 1977.
Nori e Malerba, condividono inoltre un altro pensiero. Secondo i due autori la motivazione che porta un soggetto a scrivere serve proprio a chi scrive per auto-comprendersi con più chiarezza.

Il collegamento diretto che il nostro Centro Studi fortunatamente sperimenta con i professionisti delle cure primarie di quartiere ci ha permesso di poter ragionare sulle bozze di quello che diverrà l’Accordo Integrativo Regionale (AIR) della regione E-R. L’obiettivo è stato quello di riuscire a comprendere quale possa essere la visione di questo documento normativo che regolerà l’assistenza territoriale locale nei prossimi anni essendo tema che, per statuto, coinvolge la nostra associazione.

Le bozze documentali dell’AIR, verosimilmente stilate da qualche agenzia, verranno indubitatamente considerate, a livello istituzionale, molto buone. Come già ricordato nel contributo sul ragionamento abduttivo del 10 ottobre su QdS, ai potentati piace vincere facile grazie alle blindature controriformiste contenute nelle normative ufficiali. Tuttavia i testi presentano un notevole ostacolo alla fluida comprensione. Si notano profonde carenze culturali come il mancato riferimento essenziale ai principi internazionali Wonca per la medicina generale territoriale e alla teoria dei sistemi complessi che può funzionare da supporto paradigmatico fondamentale per l’attività assistenziale.

I medici territoriali non si chiameranno più medici di medicina generale ma medici del Ruolo Unico di Assistenza Primaria cioè “medici RUAP” e saranno suddivisi in “medici RUAP a ciclo di scelte” e “medici RUAP a rapporto orario”. I primi, a livello spannometrico, corrispondono ai “vecchi” medici di base. I secondi, sempre in modo molto approssimativo, sembrano ricordare i medici un tempo chiamati di Guardia Medica o di Continuità Assistenziale a cui verrebbero affidate numerose funzioni sia storiche che inconsuete.

Nell’AIR la professione medica viene definita “ruolo” anche se è una professione intellettuale, intrinsecamente irriducibile nella sua complessità. Ogni modello che comporta una separazione di una parte dal resto (cioè dal contesto) non riuscirà mai a raggiungere qualche obiettivo in quanto manca l’interpretazione corretta dei continui fenomeni emergenti tipici di questa professione. Così come una raccolta enorme di dati senza un progetto concreto pregresso (es.: disegno progettuale di Casa della Salute ora CdC) dimostrerà la completa inutilità delle informazioni. Pare invece che nelle bozze vi sia celata la ricerca ostinata di un profitto o di un consumismo tipicamente neoliberale.

C’è chi individua nella definizione di “ruolo” una depersonalizzazione occupazionale di un’attività libero professionale tale da rappresentare una profezia autoavverantesi di burnout come già ravvisato da Christina Maslach nei suoi studi (1976).

Altri percepiscono una pura azione performativa aziendale (di produzione e consumo).

Le contingenze portano altresì a pensare ad una solerte strutturazione organizzativa territoriale in favore di una strisciante privatizzazione dell’assistenza (vedi accordo Fimmg e lega Coop del 2024).

Anche l’organizzazione che pare emergere dalle bozze dell’AIR non sembra per nulla adeguata ai tempi. Il Distretto, che in molte nostre elaborazioni abbiamo definito perfettamente inutile, ritorna ad essere plenipotenziario gestionale soprattutto nei confronti dei medici RUAP a rapporto orario in barba alla necessità, non ideologistica, di incrementare l’autonomia decisionale e gestionale degli attuali medici di base e delle loro comunità di assistiti.

La stessa istituzione dell’ONU quando deve ipotizzare un nuovo modello urbano o territoriale che debba garantire la dimensione “giustizia” in quell’area (es.: la fruizione dei servizi), ragiona su cellule/quartieri completamente autonomi (20-30.000 abitanti) pur interconnessi tra di loro (vedi progetto dell’UNDP - United Nations Development Programme - del Regional Bureau for Arab States e dell’Università IUAV di Venezia per ricostruire Gaza 2024).

Nell’AIR si tende invece a eliminare l’autonomia e le diversità con una omologazione in nome di un presunto primato di modello assistenziale territoriale che nega in partenza le basi del processo decisionale autogestito, dell’imprevedibilità, della fantasia, della ricchezza tipiche dei comportamenti sperimentali delle comunità che necessitano di tempo, di durata, di ripetizione, di pausa, di ritualità. Tutte caratteristiche alternative alle prestazionalità aziendali mascherate da obiettivi incentivati e monetizzabili.

Se l’ONU, quando affronta temi come quelli della riorganizzazione ambientale, considera contendibile l’ipotesi di un “ritorno al futuro” cioè di recuperare modelli pregressi di socialità e sostenibilità ( compossibilità) perché non è possibile progettare di ritornare, in ambito sanitario, ad un Servizio Sanitario Nazionale Unico, all’abolizione dei Sistemi Sanitari Regionali, all’abolizione dei Distretti e delle AUSL, alla costituzione dei comitati di salute pubblica, alla riattivazione delle USL, alla cooperazione tra consorzi comunali, a responsabilità politiche diretta di soggetti appartenenti alla comunità stessa ed inseriti nei territori ecc. ? In caso contrario sarà lo stesso neoliberalismo che, purtroppo, spazzerà via, in favore di una privatizzazione, tutta la polvere accumulata sotto il tappeto da apparati e sistemi burocratici. Purtroppo, perché, dal punto di vista professionale, un conto è essere convenzionato con un Servizio Sanitario Nazionale Unico che comporta una posizione economico-sociale, un altro è essere dipendente di una cooperativa che potrebbe portare all’ulteriore impoverimento (proletarizzazione) del cosiddetto ceto medio rappresentato, in quota parte, dai medici.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

17 ottobre 2025
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L’estetica e il ragionamento abduttivo possono educare alla categoria etica della possibilità

03 OTT - Gentile Direttore,
da alcuni mesi, attraverso gli articoli e le conferenze, il prof. Ivan Cavicchi ha sollecitato la descrizione di idee relativa all’ “exit strategy” da ciò che, più volte, lo stesso professore ha definito incapacità e tradimenti. Con alcuni componenti del nostro Centro Studi abbiamo partecipato al Convegno di Verona del 27 settembre 2025 che aveva come titolo generale “La riforma della sanità territoriale: guardare al futuro con consapevolezza”. Al Centro Studi di Comunità Solidale Parma ODV è stata affidata la relazione “Diritto alla salute o diritto al vivere: un impegno morale verso i cittadini” che ci ha impegnati a lungo nella preparazione perché si desiderava presentare un “pensiero pensato” (Plotino) con la malcelata ambizione di poter offrire un moto di cambiamento pur nella sintesi necessaria ad un evento di questo tipo.

Non si può negare che il semplice cittadino già immerso in un mondo in rapido cambiamento venga ulteriormente sfibrato da un linguaggio forzatamente settoriale (AFT; UCCP; Ospedali di Comunità; CdS; CdC; HUB; SPOKE; MMG a ciclo di scelta ; MMG ad attività oraria; COT; CAU; Ospedalieri che fuggono dalle strutture per diventare medici di base – come da concorso regionale per il Corso di Formazione in medicina generale della E-R e Medici di base che aspirano a diventare dipendenti; l’incredibile interpretazione del termine “prossimità” contenuto nel documento europeo NextGenerationEU con il concetto modaiolo e speculativo di Casa della Comunità ecc.).

La “Dissonanza Cognitiva”, a fronte di una normativa definita “riforma” (DM77 e dagli Accordi Regionali conseguenti) è assicurata così come è inevitabile il malessere generalizzato.

In effetti è labirintico trovare un sentiero strategico innovativo in grado di orientare le nostre comunità sanitarie territoriali di quartiere insieme ai Medici di Base di riferimento quando le istituzioni, il Servizio-Sistema Sanitario Nazionale (Ssn) e il Servizio-Sistema Sanitario Regionale (Ssr) contengono vincoli normativi assoluti ( inseriti anche in Costituzione) che blindano lo status quo in associazione con le incapacità, l’impeccabile mediocrità e i tradimenti che impediscono qualsiasi innovazione sostanziale (es.: regionalizzazione, aziendalizzazione, welfare aziendale, neoliberalismo …).

Significativa è stata la pubblicazione di un articolo da parte del prestigioso Istituto Bruno Leoni (11 agosto 2025) nel quale si sosteneva che nel Ssn e nel Ssr non ci siano più cittadini ma sudditi … questo termine però viene utilizzato per descrivere regimi di potere! Non appare nemmeno corretta la comparazione con esperienze estere che avvengono in organizzazioni globali e dove non esiste una insopportabile regionalizzazione e quindi una differenziazione della giustizia sanitaria.

La Conferenza Stato Regioni è una istituzione potentissima che guida agenzie e atti di indirizzo. Il Ministero della Salute, molto fragile, svolge quasi esclusivamente un ruolo di salvaguardia dell’universalismo. Contrariamente a ciò che si sostiene il consumismo sanitario pare originare proprio nelle stesse istituzioni sanitarie regionali e locali e non dai cittadini o dai professionisti delle cure primarie proprio per la pervasiva cultura neoliberale che è ormai connaturata con ogni iniziativa amministrativa. La conseguenza è che la cultura della complessità, che dovrebbe essere il nuovo paradigma di riferimento in sostituzione della teoria neoliberale, pare non essere mai pervenuto lungo gli infinti e asettici corridoi delle direzioni gestionali ed organizzative regionali e aziendali. Anche la meritorietà dovrebbe essere il criterio qualificante in sostituzione della trapassata meritocrazia che consegna il potere a chi già lo ha senza nessun ricambio generazionale (è sufficiente controllare gli organigrammi aziendali).

Piani strategici sono stati elencati numerose volte nelle pubblicazioni dello stesso Prof. Ivan Cavicchi. Da parte nostra, a suo tempo, era stata ipotizzata addirittura una azione bipartisan per salvare il salvabile ma la polarizzazione politica, impegnata su altro, impedisce di riflettere sulla salute che pare interessare proprio a pochi.

In questo contributo preferiamo pertanto argomentare una estensione della teoria della complessità che, come è noto, si occupa dei sistemi formati da un grandissimo numero di elementi interagenti che si autoregolano e che possono evolvere in esiti completamente imprevedibili ed inattesi. Tutto ciò comporta l’assenza di un'unica verità o di un pensiero unico o della presenza di un solo percorso (es.: il concetto di prossimità tradotto dal PNRR con il pensiero unico delle Case della Comunità è palesemente una contraddizione in termini).

La cultura dei sistemi complessi aiuta le persone di buona volontà a comprendere come si dovrebbe convivere invece con i molti fenomeni inaspettati e l’assenza di pensieri unici o rigidi. Sia che si tratti di una persona, di una comunità o di una galassia o dell’intero universo. Da questo punto di vista diventano elementi valoriali le piccole comunità (mai più di 30.000 persone come da decreto Balduzzi), l’autonomia organizzativa e gestionale della medicina di base, l’abolizione delle Aziende e del potere regionale, la cancellazione delle leggi delega in sanità…

La vera prossimità non è una struttura muraria in conto capitale ma una organizzazione intellettuale perché, nel momento del bisogno, non è tanto la logistica del servizio a portata di mano che conta, è molto più importante essere curati molto bene ed essere presi in carico addirittura benissimo. Creatività, capacità di sorprendere, una visione olistica del sapere, la co-operazione, le abilità computazionali, l’immaginazione, le programmazioni avveniristiche saranno abilità che verosimilmente apparterranno alle nuove generazioni competenti nella teoria complessità.

La loro più importante inclinazione sarà quella di passare dal cotesto “conosciuto” all’antecedente sconosciuto (ragionamento logico dell’abduzione che contiene anche la deduzione e l’induzione) avranno l’ardire di fare ipotesi sorprendenti, impreviste, creative, contestuali, senza il giogo dato da certezze e verità stantie, protocollari o normative.

Questa nuova stagione di exit strategy mostrerà la vera ricerca scientifica/antropologica, non di coorte, che inizierà proprio dalla medicina generale territoriale dove la prassi quotidiana sosterrà la messa in discussione delle certezze. “Sorprendentemente” gli orizzonti e le esperienze diverranno enormi e saranno rese solide dall’alleanza professionisti/assistiti/volontariato. L’appropriatezza di per sé non esiste è sempre stata una esigenza aziendale/neoliberale. Un MMG leader e autorevole, con la conoscenza diretta delle persone, può invece nel tempo raggiungere una sostenibilità economica impensabile tanto da essere re-investita. Finalmente i dati raccolti nel tempo dai mmg (e non dalle aziende) dimostreranno che le cure primarie saranno perfettamente sostenibili, che vi saranno fondi aggiuntivi derivanti dalla consapevolezza diffusa nel quartiere e dalla economia reale.
Gli assistiti considereranno i loro MMG punti di riferimento anche etici ed estetici consapevoli che la vita rappresenta la massima complessità immaginabile perché gratuitamente appare e gratuitamente scompare.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

03 ottobre 2025
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Diritto alla salute o diritto al vivere

Sabato 27 settembre 2025 il Dott. Bruno Agnetti ha preso parte al convegno “La riforma della sanità territoriale: guardare al futuro con consapevolezza”, svoltosi presso la Sala Salieri di Veronafiere, con un intervento dal titolo “Diritto alla salute o diritto al vivere”, riportato di seguito.

DIRITTO ALLA SALUTE O DIRITTO AL VIVERE - Bruno Agnetti


La colata piroclastica inarrestabile

16 GIU - Gentile Direttore,

le comunità sono “sistemi complessi che manifestano proprietà emergenti” e come tali dovrebbero essere considerate. L’anonimato e la frenesia del vivere quotidiano hanno però indebolito la trama che legava quelle realtà complesse. Alcuni storici valori (le relazioni, le identità, il mutuo sostegno…) possono, forse, ancora essere ritrovati solo nei piccoli centri o nei quartieri/rioni.

La così detta “pro-attività “delle comunità è svilita da una forte istituzionalizzazione se non da una ossessiva attività amministrativa che disancora ancor di più le componenti territoriali dagli organismi ufficiali. Numerosi sono gli esempi di formazioni culturali o di volontariato studiate a tavolino nei corridoi che contano mascherate poi da iniziative originate dalla collettività da utilizzare come produttori di opinione pubblica (opinion makers o influencer). Anche in questo campo è molto difficile riuscire a liberarsi dell’economicismo e dal business.

Sorprende ancora di più come alcuni distretti si siano ossessivamente impegnati, nella loro pur legittima funzione politica-amministrativa, a distruggere negli anni ogni forma innovativa di partecipazione faticosamente realizzata da professionisti e cittadini.

Sono recenti le nuove trovate (furbacchione) di accorpamento funzionale di AFT al fine di poter dichiarare di avere una Casa della Comunità hub per ogni AFT (riducendone di fatto il numero da attivare). Gli accorpamenti diventano ambiti eccessivi, funzionali all’amministrazione ma antitetici alle comunità.
Si realizza così una situazione molto particolare dove diventa obbligatorio, per i mmg singoli o di CdC spoke, “interfacciarsi”, “rimodularsi”, “partecipare alle turnazioni”.

Si prefigurano ipotesi di Case della Comunità inserite addirittura all’interno degli ospedali dove le recenti ristrutturazioni nosocomiali hanno liberato numerosi “padiglioni” che gli assessorati vorrebbero riutilizzare. Esempio plastico di assistenza territoriale di prossimità!

È verosimile che tutto questo disastro intellettuale/culturale derivi “ab origine” dall’errata interpretazione del concetto di “prossimità” suggerito dal documento “Nex generation UE” e tradotto in un pensiero uniformato, unico, tenace ed ostinato (Case della Comunità). Le CdC sono state accreditate di una aspettativa tale, rigida ed indiscutibile, da divenire foriera di facili profezie avverse auto avverantesi. Ma non sarebbe più comprensibile chiamarle Case della Salute delle comunità?

Dietro alla fascinazione di ciò che viene venduto come innovazione sanitaria-sociale si possono inoltre intravvedere logiche tipicamente tecnocratiche e di iper-istituzionalizzazione del concetto salute dove le elaborazioni , soprattutto di ausl e distretti, non risentono mai gli effetti di un effettivo confronto (indipendente) con ciò che già esiste nei territori: esperienze di bene-vivere o di bene-essere e di co-operazione tra operatori e cittadini in grado, nel tempo, di riparare il disastroso disegno progettuale territoriale in atto che sembra inarrestabile.

Per argomentare ulteriormente il tema si potrebbe dire che la letteratura di settore sembra bocciare completamente le attuali amministrazioni sanitarie regionali e locali anche sul piano prettamente culturale. Non solo il termine con cui vengono definite le così dette innovazioni territoriali (CdC) ma anche le idee architettoniche risultano completamente fuori tempo, contro ogni concetto di cura intesa come bene-esistere e di partecipazione delle comunità.

Sia sufficiente ricordare alcuni esempi di Case della Salute di comunità: CdS di Comunità di Ballarat, a Vittoria, in Australia; la CdS di Comunità a Gravesend nei pressi di Londra chiamato Waldron Health Centre; la CdS di comunità di Orense in Spagna; la CdS di comunità chiamato Kentish Town Health Center di Londra; la CdS di Matta Sur a Santiago nel Cile chiamato Centro Comunitario de Salud Familiar; la CdS di comunità di Vézalay in Francia; la CdS di comunità a Rauma in Norvegia chiamata Holistic Heatlhcare; la CdS di comunità di Gibraleon in Spagna; la CdS di comunità di tipo educativo ad Amburgo detta “Tor zur welf” cioè “porta sul mondo”…

È una policroma carrellata su idee e realizzazioni relative alle strutture sanitarie territoriali che hanno tutte la specifica caratteristica di essere molto belle. Anche moderne e funzionali ma soprattutto belle.

In questi edifici il personale che vi lavora e i pazienti ma anche i semplici cittadini di passaggio o che si trovano a prendere un caffè o a seguire una conferenza, si trovano molto bene e a loro agio. A volte guarire non è così importante come lo è in effetti l’essere perfettamente curati. L’ambiente, l’arte, il bello è già una cura (Film: Lo scafandro e la farfalla, miglior regia al Festival di Cannes, 2007).

Il paradosso è che “…del bel paese là dove 'l sì suona…” cioè nella patria del bello pare essersi proprio smarrita la consapevolezza di una sua caratteristica riconosciuta a livello universale anche a causa del tormento di un pensiero uniformato che non ha concesso nessuno spazio ad ideazioni armoniose ed attraenti. Basterebbe una realizzazione similare a quelle ricordate nell’elenco per rendere inutili norme cogenti o forzose (ad es.: per i mmg).

È come se un senso di mediocrità e di ricerca del massimo ribasso si sia impossessato anche delle menti e delle anime delle persone tanto che viene dato per scontato che le cose debbano andare così.

E la colata piroclastica è talmente potente nella sua progressione inerziale che nessuno (cittadini, associazioni, comunità, professionisti…) è in grado di modificare la sua evoluzione nefasta. Soprattutto si assiste ad una comunicazione completamente sbagliata ai cittadini cui si tende a far credere che gli asini volino pubblicizzando “un po’ di prestazioni, (s)vendute come meglio di niente,” distraendoli rispetto al loro diritto di presa in carico e di essere perfettamente curati (mdr da C.M. Maffei, Il DM77 è già in svendita…, QdS 13 giugno 2025).

Al fine, quando qualcuno finalmente riuscirà a tirare le somme di quanto capitato negli ultimi decenni al nostro sistema sanitario territoriale… a chi verranno attribuite le responsabilità?

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

16 giugno 2025
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Servizi territoriali post-covid

L’arte e il bello nell’architettura sanitaria soprattutto in periferia?

Nel quarto incontro del ciclo “prendersi cura con l’arte”, prima della pausa estiva, verrà trattato il tema “L’arte e il bello nell’architettura sanitaria soprattutto in periferia? Le Case della Salute delle comunità come occasioni di rigenerazione sociale, urbana e architettonica dove coltivare la salute nei quartieri.”

La conversazione è promossa dall’Organizzazione di Volontariato Comunità Solidale Parma (CSP), da FIDAPA (Federazione Italiana Donne Arti Professioni e Affari) e ADMI (Associazione Donne Medico Italiane). Si cercherà di dare una risposta al quesito iniziale venerdì 13 giugno, dalle 17:00 alle 17:40, nella sala d’aspetto dell’Ambulatorio San Moderanno in via Trieste 108/A.  Relatore sarà il Prof. Michele Ugolini del Politecnico di Milano (Dipartimento di architettura e studi urbani) da anni impegnato nella progettazione delle  “Case della Salute delle comunità” (Coltivare_Salute.com).

La logistica e l’orario favoriscono una completa commistione tra attività assistenziale-curativa, il bello e l’arte: fenomeni  che secondo la letteratura di settore  possono  coesistere, anzi possono  diventare  una  prescrizione medica abitudinaria ( es.:  in alcuni paesi come il Regno Unito e il Canada  il medico può prescrive, su ricettario,  con indicazione diagnostica-terapeutica,  la visita ad un museo specifico, la partecipazione ad  un concerto  o la visione di un film oppure una escursione per trarre beneficio da bellezze naturali. Tale prescrizione darebbe accesso, per il paziente, ad un sistema di agevolazioni o ad ingressi gratuiti…).    Il bello e l’arte possono quindi diventare, a pieno titolo, parte del percorso terapeutico.  Si parla, infatti, sempre più spesso, di “prescrizioni culturali”. La bellezza viene riscoperta (è la storica "Kalos kai agathos" degli antichi greci) come un fattore del benessere capace di incidere sullo stato psicofisico della persona.

Da più di 10 anni Comunità Solidale Parma coltiva un sogno per il quartiere San Leonardo: l’idea di poter veder sorgere una struttura sanitaria grande e d’avanguardia, edificata con materiali ecocompatibili, accessibile in 15 minuti da ogni angolo del territorio (prossimità), aperta 24 su 24 ore (es.: ospedale di comunità), in grado di accogliere funzioni di educazione, prevenzione, formazione, partecipazione…  Un punto di riferimento territoriale per la comunità pensato con una attenzione particolare all’estetica architettonica e alla multifunzionalità degli spazi: ambulatori, stanze per i servizi, aule per la formazione dei professionisti e per gli incontri culturali, ambienti riservati al volontariato, zone verdi accessibili.  Un edificio ben riconoscibile dai cittadini, non solo meta occasionale per i bisogni sanitari ma parte della vita quotidiana per gli abitanti (vedi YouTube: La favola della Casa della Salute Grande e dell’Ospedale di Comunità del Quartiere San Leonardo).

A volte può capitare che, quando si entra in un luogo suggestivo, si sente qualcosa, un sollievo capace di annullare l’ansia (della malattia).  Un sospiro distensivo che permette di fantasticare lasciando così in disparte i pensieri preoccupanti e le angosce quotidiane.  In quel momento, quel luogo si prende cura di noi, ci fa sentire nel posto giusto e ci fa sentire bene (Mortari-Paoletti, La Cura, Il melangolo 2021).

È innegabile che un sogno come questo incontri numerosi limiti: sensibilità diverse, risorse critiche, complessità burocratiche e politiche. Tuttavia il tempo resta un denominatore che condiziona profondamente bisogni ed aspettative.  Sarebbe stata verosimilmente utile un’ottica pianificatoria di lungo-medio periodo e una maggiore attenzione culturale-architettonica ma, ora, le dinamiche e le contingenze collegate al PNRR (es.: Case della Comunità) difficilmente possono concedere spazio alle elaborazioni su ricordate.

Direttivo di Comunità Solidale Parma

www.comunitasolidaleparma.it

 


Prendersi cura con l'aiuto dell'arte - 4° incontro

Comunità Solidale Parma (CSP), FIDAPA Parma e Associazione Italiana Donne Medico - sezione di Parma organizzano l'incontro/conversazione:

4° Incontro sul prendersi cura con l'auto dell'arte

Giovedì 13 giugno dalle ore 17:00 alle 17:40 c/o la sede di Comunità Solidale Parma in via Trieste 108/A (sala d’attesa dell’Ambulatorio san Moderanno) il Prof. Michele Ugolini  del Dipartimento di Architettura e Studi Urbani dell’ Università  Politecnico di Milano condurrà  la conversazione sul tema:

L’ARTE E IL BELLO DELL’ARCHITETTURA SANITARIA SOPRATTUTTO IN PERIFERIA?
Le Case della Salute delle comunità come occasioni di rigenerazione sociale, urbana e architettonica dove coltivare salute nei quartieri.

Centro Comunitario de Salud Familiar Matta Sur a Santiago del Cile.

Progettisti: Luis Vidal + Architectos.

Con l’approvazione e il favore delle attività produttive e commerciali del crocevia tra via Trieste e via Venezia.
(Si dichiara che Comunità Solidale Parma non ha richiesto e non ha ricevuto, per questo evento,  contributi pubblici o privati in osservanza del dettato statutario che fissa  il principio e il valore della gratuità nella progettazione e realizzazione degli eventi promossi dall’ ODV- CSP)

Frammentazione del pensiero

08 MAG - Gentile Direttore,
i recenti contributi di A. Giustini (… come navigare nel vuoto spaziale, QdS, 5 maggio 2025) e di G.Pizza (… rimuovere le contraddizioni del SSN, QdS, 6 maggio 2025) hanno aiutato a riflettere sulle criticità organizzative “superficiali” e sulla confusione esistente tra una idea di riforma (I. Cavicchi) e una tecnicità pareggiabile o comparabile detta problem solving.

In alcune regioni considerate “modello” si sono verificate nell’arco di 15 anni talmente tante revisioni organizzative-assistenziali da portare inevitabilmente ad uno stato di profondo disorientamento i professionisti e gli assistiti.

Nel 2010 vede la luce un primo documento regionale sull’organizzazioni delle Case della Salute che risente delle considerazioni in atto, in quel momento, tra Conferenza Stato-Regioni (commissione sanità), Agenzie e Ministero.

Nel 2012 infatti, anche per quanto in discussione in ambito della Conferenza Stato-Regione, viene emanato il Decreto Balduzzi che formalizza i concetti di UCCP (Unità Complesse di Cure Primarie individuate per un ambito di circa 30.000 assistiti) e di AFT (Aggregazioni Funzionali Territoriali). Ogni regione poi darà interpretazioni proprie a questo decreto modificando il significato di UCCP in Case della Salute e di AFT in NCP (Nuclei di Cure Primarie).

Nel 2013 Deliberazioni Assembleari Regionali inseriscono la possibilità di considerare nelle UCCP o Case della Salute anche “letti territoriali “da cui poi si svilupperà l’idea degli Ospedali di Comunità.

Nel 2015 documenti inerenti le linee di indirizzo per l’assetto organizzativo delle Case della Salute regolarizzano la partecipazione delle comunità e delle associazioni dei cittadini alla vita della Case della salute (nulla a che vedere con un vero coinvolgimento ai vari livelli dei processi decisionali di professionisti e assistiti).

Nel 2016 vengono diffuse le indicazioni regionali per il coordinamento professionale all’interno delle Case della Salute con una suddivisione “a silos” delle aree professionali come se fossero reparti nosocomiali (vera e propria controriforma).

Nel 2017 partono alcuni programmi regionali formativi che vorrebbero promuovere l’integrazione multiprofessionale nelle case della salute ma che rinforzano le posizioni gerarchiche.

Nel 2018 gli Assessorati Regionali della Sanità di alcune regioni “esempio” ribadiscono che la popolazione di riferimento per una casa della salute grande deve contare circa 30.000 assistiti.

Nel 2020 il Next generation EU evidenzia come sia urgente la necessità di addivenire ad un rinnovamento dei sistemi sanitari nazionali indicando l’obiettivo della “prossimità” come intento principale.

Nel 2021 si approva il PNRR che, per quanto riguarda la sanità, nella missione 6, interpreta il concetto di “prossimità” uniformandosi, senza flessibilità, alla tesi, improvvisamente di moda, delle “Case della Comunità” cancellando con un colpo di spugna tutta l’elaborazione intellettuale e culturale sulle Case della Salute valutate negli anni precedenti da professionisti, intellettuali, comunità e società civile. Per inciso non sarà superfluo ricordare che tra servizi raccomandati, facoltativi ed obbligatori nessuna Casa della Comunità (hub o spoke) può superare il modello Casa della Salute detta “grande”.

Nel 2022 il DM 77 definisce un modello di assistenza sanitaria territoriale confermando il pensiero unico (Case della Comunità, Ospedali di Comunità, COT) e dimostrando di fatto l’incapacità di trovare una vera idea innovativa e riformatrice. A suo tempo non era stato possibile rifornire tutte le AFT di una Casa della Salute e così, oggi, non vi saranno Case della Comunità per tutti i territori e, di nuovo, si creeranno discriminazioni assistenziali e professionali.

Nel 2025 alcune voci, che originano dai corridoi dei palazzi che contano, sembrano annunciare iniziative di accorpamento tra AFT al fine di costituire nuovi ambiti territoriali più ampi dove vi sia, almeno, una Casa della Salute o una Casa della Comunità al fine di attuare le indicazioni del DM77. Tuttavia in questo modo si alterano le norme inerenti il numero di assistiti massimo per AFT e dei relativi professionisti. Paradossalmente questi eventi, considerati trascurabili tecnicismi per le alte dirigenze, confermerebbero la “legge” tipica dei sistemi complessi nei quali, anche variazioni iniziali minime possono però provocare risultati finali completamene inattesi, irrimediabili, catastrofici. Degno di nota, a riconferma di assenza di “pensieri pensati”, è il fatto che, nelle regioni considerate “modello”, proprio in quest’anno 2025, siano riapparsi e menzionati concetti come AFT e UCCP che si rifanno al decreto Balduzzi del 2012.

In tema di “accorpamenti” la ricerca di M. Mariani, A. Acampora e G. Damiani, pur datata (2017), aiuta a considerare come, partendo da alcune evidenze, i benefici attesi dagli accorpamenti sanitari, di vario tipo, sono stati disattesi generando ulteriore distanza tra le autocrazie regionali e professionisti/cittadini/assistiti. Le motivazioni che muovono le “fusioni” sarebbero di tipo economico e politico mentre l’aspetto assistenziale resta relegato nell’ombra. Non emergono risultati statisticamente significativi sull’efficacia clinica, preventiva, assistenziale, sull’accessibilità e sul coinvolgimento dei professionisti. C’è la percezione di un peggioramento nell’erogazione dei servizi. Non vi sarebbero quindi automatismi tra aumento delle dimensioni dei bacini di utenza ( es.: AFT o Aziende Uniche) e il miglioramento delle performance sanitarie.

Come volevasi dimostrare la macchina del così detto controriformismo e del neoliberalismo aziendale continua la sua folle corsa sostenuta da una selva di normative emanate dalla piramide gerarchica (accordi, intese, delibere, circolari, patti, norme transitorie, deroghe, interpretazioni, contraddizioni, sovrapposizioni normative…). Non c’è il minimo spazio per autocritiche, ripensamenti, confronti. Non ci sono speranze a breve. Forse saranno le nuove generazioni (Livia avrà un diritto pieno?, QdS, 24 aprile 2025) che troveranno modalità sostanziali (modifiche costituzionali?) al fine di sostituire califfati e mandarinati con comitati di salute pubblica, collegi territoriali, comunità, AFT e competenze computazionali autonome. Nel frattempo però il vassoio d’argento sembra già preparato per offrire una favorevole entrata in campo delle aziende private nei servizi sanitari territoriali e, in particolare, nella medicina generale di base.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

08 maggio 2025
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Livia avrà un diritto pieno?

24 APR - Gentile Direttore,
abbiamo letto con molto interesse l’ultima fatica del Prof. Ivan Cavicchi (Articolo 32, un diritto dimezzato, Castevecchi, 2025) indossando gli occhiali dei comuni cittadini, degli assistiti e dei volontari della unica associazione nazionale (Runts) che ha come compito statutario il supporto e il sostegno alla Medicina Generale territoriale considerata un bene comune per la comunità. Osservare gli avvenimenti dalla periferia del regno ci permette di cogliere elementi o particolari che potrebbero sfuggire ai più. Qui si percepisce nettamente la coesistenza di “vero e falso, giusto ed ingiusto, vantaggioso e svantaggioso, diritto e non diritto”.

A Livia (la nipotina di Ivan Cavicchi, da lui citata) potremmo dire che, ora, l’area non è agibile e anche nei prossimi anni, molto probabilmente, non potrà beneficiare di un diritto pieno “di salute”. Tuttavia, crediamo che proprio la quarta generazione, quella di Livia, forte di una competenza nella scienza dei numeri, nella complessità dei sistemi, nell’interdisciplinarietà dei saperi sarà in grado di recuperare validità oggettive computazionali sovraordinate alle attuali oligarchie sanitarie composta da soffocanti apparati, aziende, assessorati, distretti, economisti, accordi professionali e ipotesi organizzative che palesano un oscurantismo culturale indescrivibile. Da questo punto di vista è evidente che l’assunto cardine non sia il ri-finanziamento del SSN. Pur questione non secondaria, ciò che merita la massima considerazione è il debito intellettuale dell’intero sistema. Altro che ECM obbligatorio!

Oggi si pongono i seguenti quesiti in relazione all’articolo 32 della Costituzione: cosa si intende per diritto alla salute? È un diritto dell’individuo come sostiene l’art.32 o è una petizione di principio di interesse collettivo? È assenza di malattia ed erogazione di servizi? È una visione deterministica e lineare oppure fa parte di un sistema complesso?

Secondo il parere del Prof. Enrico Larghero (pag. 67) il “diritto alla salute” non esiste come prerogativa assoluta individuale/universale. Per la verità si tratta di un obiettivo che va costruito, progettato, inventato. Essendo quindi una “condizione” ha caratteristiche prettamente politiche, collettive. Inoltre, essendo “compatibile” (cioè può stare insieme) con l’economia, quando ci si dovesse trovare in una eventuale negoziazione la parte più debole (la salute) è costretta ad adattarsi sempre a quella più forte (l’economia).

Il concetto di “compossibilità”, al contrario, rimuove le contraddizioni, le autoreferenzialità o le prove muscolari e crea relazioni tra valori o beni (es.: salute, economia, ambiente, società…) senza che nessuno di questi venga sminuito nei confronti di altri.

Una lettura moderna ed innovativa della parola “salus” di norma tradotta come “salute” viene resa secondo il prof. I. Cavicchi (e la Treccani) come “vita o vivere”. Di conseguenza si dovrebbe predicare il diritto al “vivere” al posto del diritto alla “salute”.

Il termine “salute” è relativamente semplice, debole ed è legato prevalentemente al mondo della medicina, alla sanità e alla prevenzione. Il concetto di “vita” invece può essere inteso in modo più ampio, come un “meta diritto”, una ragione di secondo livello in grado di includere tanti altri principi come la nozione di salvezza, di integrità, di sicurezza, di bene-essere, di prosperità, di coesistenza sociale e ambientale…
Se l’art. 32 della Costituzione tutelasse il vivere (meta diritto) sarebbe necessario, per dettato costituzionale, “prendersi cura” del vivere tramite progetti che interrelazionino i parametri sociali, economici ed ambientali. Non si tratta più solo di essere curati (il diritto alla salute è spesso vissuto come slogan retorico) ma di trovare effettivamente un equilibrio normativo atto a tutelare i valori del vivere bene annullando qualsiasi predominio autoreferenziale. Il “diritto al vivere” ha una evidente valore morale proprio perché il vivere non può mai essere subordinato o negoziabile con altri beni come invece avviene regolarmente per “la salute”.

Tuttavia l’elaborazione culturale epistemica è circondata da riformatori incapaci di riformare e da bagnini che non sanno nuotare. Gli interessi singolari o i vantaggi di apparato prevalgono. È noto che il debito pubblico italiano è schizzato a livelli stellari dopo la promulgazione del decreto-legge del Titolo V (Istituzione delle Regioni) da cui non è derivato un vantaggio corrispondente a livello sanitario (circa l’80% del bilancio regionale è legato al sistema sanitario).

Inoltre non sarà superfluo rammentare che tutte le più importanti modifiche sanitarie nel nostro paese (controriforme) sono avvenute senza ricorrere al parere popolare.
Sono state quindi frantumate, negli anni, credibilità e fiducia.

Si dice che “la democrazia è la peggior forma di governo… eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora”… ed è pessima soprattutto quando i processi decisionali, anche locali, sono subiti (parafrasando una nota affermazione di Winston Churchill).

Nessuno è esente da colpe nei confronti delle catastrofi che si sono succedute proprio perché nei sistemi complessi (come è quello sanitario) sono sufficienti variazioni iniziali minime per provocare squilibri irrimediabili (es. accordi, intese, delibere neoliberiste aziendali o regionali, circolari o richiami distrettuali ecc.). Bisognerebbe saperlo.

La quarta generazione, quella di Livia, può costruire le condizioni giuste per avere ciò che serve. Può fare ipotesi, immaginare il futuro e programmare un certo “uso del tempo in tempo senza perdere tempo… “. Può, volendo, già oggi simulare e predire mondi sostenibili per il vivere e compossibili (youtube: La favola della Casa della Salute Grande e dell'ospedale della Comunità del Quartiere San Leonardo). Il coordinamento di ogni procedura logica operativa che emerga dai gruppi di studio ristretti interdisciplinari o dai comitati di salute pubblica o dai collegi di quartiere sarà esclusivamente centrale. I gruppi di lavoro saranno autonomi e indipendenti da oligarchie sanitarie autoreferenziali regionali o aziendali e l’afferenza sarà solo governativa.

Per prendersi cura del diritto al vivere servono gli algoritmi ed esperti computazionali non i distretti.
“Guarda come mi apro” direbbe un noto psicoterapeuta: la sostenibilità del diritto al vivere non è più un problema medico ma essenzialmente computazionale/politico.

Per curare invece sono essenziali i ragionamenti, agli approcci, le metodologie, le competenze, le cooperazioni, lo scambio di esperienze e delle conoscenze: tutto questo non può essere calcolato da nessun algoritmo e la professione impareggiabile finalmente può ritornare in mano ai professionisti del prendersi cura.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV
24 aprile 2025
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Medicina Territoriale

La complessità e la necessità

07 APR - Gentile Direttore,
è evidente che il tema del riordino delle Cure Primarie continui a palesare numerose difficoltà di sostanza e pesanti antinomie da pensiero unico così come è innegabile che il sistema sanitario abbia una sua coerenza (rovinosa). Qualche lettore ricorderà il periodo covid: si sosteneva allora (sembra sia passato un secolo!) che l’assistenza di base non sarebbe mai più stata la stessa. Poi è andata peggio.

Ora, dopo la pandemia, ci sono le sofferenze geopolitiche. I cambiamenti, anche in questo caso, saranno inevitabili ma ancora insondabili.

Immodificabile, inossidabile resta invece la regolamentazione sanitaria nazionale. Iniziando da una mala interpretazione delle intenzioni (prossimità) del Next Generation EU, il PNRR, il Metaprogetto, il DM77 e altri documenti di varia provenienza si sono irrigiditi entro modelli teorici tanto “sacri” quanto, alla fine, impraticabili nella prassi quotidiana (generatrici di ulteriori discriminazioni assistenziali e professionali). Anche l’ACN e gli accordi regionali manifestano incertezza e assenza di idee innovative. La Conferenza Stato-Regioni, le agenzie e la Commissione Sanità (un tempo potentissima) sembrano impacciate e attorcigliate in una insolita polemica con il Ministero della Sanità: un tempo il ministero sarebbe stato coinvolto solo al termine dell’intero processo decisionale (gestito interamente dalla Conferenza) per le firme di rito.

La recente ipotesi di unificare le Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT) dette anche Nuclei di Cure Primarie (NCP) calza perfettamente con la cultura neoliberalista o globalista che trova nelle AUSL una propria nicchia imperturbabile vetero-dogmatica.

Come già ricordato più volte, nessuna riflessione o commento riuscirà ad incidere minimamente su processi decisionali ostinatamente gestiti burocraticamente. Può essere in ogni modo curioso ricercare quante volte le normative nazionali riportano, nel proprio significato specifico, il concetto dei sistemi complessi, la teoria della complessità (I. Cavicchi, La complessità in medicina è un fatto, QS, 14 maggio 2014) oppure i valori (wonca) che dovrebbero guidare i professionisti territoriali.

In questo periodo inoltre numerose narrazioni hanno popolato e forse complicato i confronti di opinione (dipendenza/non dipendenza dei mmg, tutele professionali, forse negoziabili con una idea di prossimità innovativa basata sulle AFT, specializzazione universitaria/corso regionale gravata di sospetti consociativistici, attività professionale dei mmg da svolgere un po’ qua e un po’ là…).

E’ tuttavia rilevante come oggi sia completamente assente una teoria di riferimento o una filosofia o un paradigma che sappia dare un senso ed un valore ad una situazione professionale ed assistenziale di base.

La teoria della complessità dovrebbe essere lo stile, l’approccio alla realtà adeguato per indicare un concreto/compossibile percorso ed un metodo operativo diverso da quello del pensiero unico e dalle sue strategie fallimentari.

In particolare le piccole comunità, considerate come sistemi complessi, potrebbero dare origine a visoni antropologiche ed etiche in grado di integrarsi con gli elementi del sempre valido paradigma bio-psico-sociale. La sperimentazione, da parte degli assistiti e dei professionisti, di sistemi valoriali verso la salute, il benessere ma anche la terza e quarta età e “l’orizzonte degli eventi” potrebbe essere in grado di dare un senso di serena consapevolezza alla quotidianità delle persone.

Per la medicina è fondamentale riorganizzare i saperi, che oggi sono incarcerati nelle singole discipline, affinché si possa, con disegni più umanistici e meno fideistici, contrastare una idea di salute virtuale, eterna, indefinita e “assicurata” senza più umanità (postumanesimo). Da questo punto di vista il mmg potrebbe svolgere un importantissimo ruolo di riferimento professionale e culturale per i suoi assistiti.

Alcuni esempi di complessità riportati in letteratura (stormi di uccelli, branco di pesci, formicai, sciami, eserciti, squadre di calcio, Ausl, istituzioni, orchestre…) possono essere riproposti anche per descrivere le piccole comunità. I più svariati contributi individuali si intrecciano con quelli collettivi tanto da innovare e trasformare in modo creativo (e compossibile) gli stessi sistemi in cui sono immersi (es.: AFT). Pur non esistendo condizioni ideali per sempre e isolate dal contesto è necessario oggi, almeno culturalmente, porre fondamenta etiche ben individuabili per ogni strategia organizzativa dove ogni singolo assistito e professionista venga considerato “fonte di conoscenza” : si potranno così affrontare provvedimenti più ampi, collettivi e condivisi (alcune scelte meno scontate potrebbero garantire risultati e successi infinitamente superiori all’economicismo farmaco-diagnostico aziendale predicato da anni e figlio di una cultura riduzionistica).

Nel periodo covid, alcune piccole realtà insieme ai propri professionisti, il giorno stesso dalla dichiarazione del lockdown, sono state in grado di sfruttare l’inatteso, l’incertezza, le indicazioni contraddittorie, il disorientamento delle istituzioni sanitarie mettendo in atto, in autonomia, nel giro di poco tempo, terapie e comportamenti assistenziali che alla fine si sono dimostrati molto efficaci, senza mai chiudere i servizi.

La comunità intesa come pazienti e professionisti (di una AFT) quando può crescere in autonomia, al fine di considerare i vari aspetti emergenti dalle relazioni complesse del proprio sistema collettivo, può diventare una potenza, un riferimento, un nodo, uno stimolo ed una creatività per tutta la rete assistenziale.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma

07 aprile 2025
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Davvero con le Case e gli Ospedali di Comunità per realizzare una sanità di prossimità?

18 MAR - Gentile Direttore,
il termine “comunità” rischia di diventare un oggetto inflazionato, démodé, di pronto consumo, un slogan automatico e spesso autoreferenziale appiccicato a qualunque cosa (case, ospedali, quartieri, situazioni…).

È noto che il Documento Next Generation UE ha raccomandato un riordino (a causa dell’esperienza covid) delle cure primarie territoriali orientandole al massimo della prossimità. Questa indicazione generale della UE è stata (da chi?) forzatamente incanalata in una direzione rigida, statica, protocollare, normata dalle agenzie (sistema delle Case della Comunità & degli Ospedali di Comunità & delle COT, ecc.) orientate ad azioni in conto capitale (una tantum). Attualmente la parte della gestione (conto) corrente secondo quanto riportato da Maragò e Rodriquez (QS del 13 marzo 2025) per le CdC è del 3%!

Eppure vi sarebbe stata a disposizione una corposa letteratura che indica possibili altre direzioni da percorrere probabilmente più aderenti ad una visione contemporanea della prossimità dove la teoria dei sistemi complessi viene opportunamente integrata con il paradigma bio-psico-sociale. Alcune strategie avrebbero potuto dimostrare molta più efficacia ed efficienza nell’assistenza territoriale di vicinanza e meno impegno dal punto di vista economico: ci si riferisce ad una revisione operativa delle Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT della Riforma Balduzzi 2012) dette anche dei Nuclei di Cure Primarie (NCP). Il prestito PNRR deve essere comunque restituito in quanto pur avendo ricevuto 68,9 miliardi a fondo perduto, 122,6 miliari dovranno essere rimborsati entro il 2058.

Il sistema Case della Comunità (poche spoke e pochissime hub), Ospedali di Comunità (rarefatti), le COT (l’estrosa infografica prodotta dell’agenzia difetta un po’ in comprensibilità) mostrano tutt’ora affanno, tuttavia la recente notizia del possibile commissariamento dell’Agenas non inficerà certamente il lavoro svolto dalla sua istituzionalizzazione ad oggi (QS L. Fassari, 14 marzo 2025). Con le numerose situazioni di commissariamento all’interno del servizio sanitario nazionale si potrebbe pensare anche di fare un campionato di eccellenza in aggiunta a quello esistente.

Nel frattempo sbucano, qua e là, informative su possibili accorpamenti delle AFT.

Non si tratta solo di dare forma a “superaziende” uniche (Ospedaliere-Universitarie-Territoriali) ma di operare anche su scale inferiori riducendo ambiti che in teoria avrebbero dovuto risentire positivamente, dopo tanto tempo, delle indicazioni del PNRR e di una sanità più equa. Accorpando un certo numero di AFT o NCP se ne riduce di fatto il loro numero totale, in opposizione a quanto sostenuto dalla stagionata Legge Balduzzi (non abrogata). La nuova ingegnerizzazione territoriale permette di offrire quindi a queste AFT accorpate una CdC Hub, forse anche un Ospedale di Comunità, potrebbe scapparci anche una COT ecc. Sembra una operazione opposta a quella definita economia di scala. Sarebbe una “distribuzione concentrata” che ancora una volta va a scapito dell’eticità e della capillarità. Oppure può sembrare una “esclusività forzata”: quando le risorse destinate ad un territorio vengono distribuite su due settori si creano vantaggi di prossimità ad alcuni e svantaggi professionali e assistenziali ai molti che hanno subito l’accorpamento. Il riordino del PNRR potrebbe tendere ad incrementare quindi le discriminazioni quando in teoria dovrebbe ridurle. Il vento controriformista è riuscito a trovare un nuovo ambito di influenza.

La tormentata opera di riordino delle cure primarie, così impegnata nella sua govenamentalità, è incline a dimenticare la tradizione culturale della professione medica, la sua deontologia, i principi operativi distintivi sintetizzati dall’albero Wonca. Tralascia, in particolare, il fatto che la medicina generale territoriale ha contribuito a costruire nel tempo, in osservanza ai determinanti di salute, reali piccole “comunità solidali”. Le aggregazioni comunitarie solidali non possono essere paragonate al sistema delle Case della Comunità o agli Ospedali di Comunità che, per il momento, possono vantare solo nomi evocativi.

Non sarà certo sfuggito ai più che numerosi servizi ipotizzati nelle Case della Comunità, Hub e Spoke, sono classificati come non obbligatori, facoltativi o raccomandati a fronte di una ostentata completa prossimità. Se lo standard per una CdC hub è di 50.000 abitanti di che prossimità si parla? E quando si prevede un Ospedale di Comunità ogni 100.000 assistiti perché ci si ostina a definirlo di comunità? Le comunità solidali sono invece preesistenti ad ogni sovrastruttura e hanno soprattutto caratteristiche di tipo etico e solidaristico. Queste comunità che, come riporta anche la Legge Balduzzi, non dovrebbero superare mai le 30.000 persone, non entrano mai in concorrenza sulla salute e cercheranno un benessere intelligente e percorribile che non crei disgregazione di tradizioni e costumi (patrimonio di emancipazione).

La sanità territoriale autonoma può moderare le conflittualità temperando i vari particolarismi egoistici compresi quelli aziendali. Secondo Hegel l’idea di solidarietà passa attraverso il riconoscimento reciproco e l’integrazione all’interno di un sistema valoriale che, pur se rappresentato da comunità piccole, viene accettato e rispettato anche dalle istituzioni.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

QdS 18 marzo 2025