La colata piroclastica inarrestabile
16 GIU - Gentile Direttore,
le comunità sono “sistemi complessi che manifestano proprietà emergenti” e come tali dovrebbero essere considerate. L’anonimato e la frenesia del vivere quotidiano hanno però indebolito la trama che legava quelle realtà complesse. Alcuni storici valori (le relazioni, le identità, il mutuo sostegno…) possono, forse, ancora essere ritrovati solo nei piccoli centri o nei quartieri/rioni.
La così detta “pro-attività “delle comunità è svilita da una forte istituzionalizzazione se non da una ossessiva attività amministrativa che disancora ancor di più le componenti territoriali dagli organismi ufficiali. Numerosi sono gli esempi di formazioni culturali o di volontariato studiate a tavolino nei corridoi che contano mascherate poi da iniziative originate dalla collettività da utilizzare come produttori di opinione pubblica (opinion makers o influencer). Anche in questo campo è molto difficile riuscire a liberarsi dell’economicismo e dal business.
Sorprende ancora di più come alcuni distretti si siano ossessivamente impegnati, nella loro pur legittima funzione politica-amministrativa, a distruggere negli anni ogni forma innovativa di partecipazione faticosamente realizzata da professionisti e cittadini.
Sono recenti le nuove trovate (furbacchione) di accorpamento funzionale di AFT al fine di poter dichiarare di avere una Casa della Comunità hub per ogni AFT (riducendone di fatto il numero da attivare). Gli accorpamenti diventano ambiti eccessivi, funzionali all’amministrazione ma antitetici alle comunità.
Si realizza così una situazione molto particolare dove diventa obbligatorio, per i mmg singoli o di CdC spoke, “interfacciarsi”, “rimodularsi”, “partecipare alle turnazioni”.
Si prefigurano ipotesi di Case della Comunità inserite addirittura all’interno degli ospedali dove le recenti ristrutturazioni nosocomiali hanno liberato numerosi “padiglioni” che gli assessorati vorrebbero riutilizzare. Esempio plastico di assistenza territoriale di prossimità!
È verosimile che tutto questo disastro intellettuale/culturale derivi “ab origine” dall’errata interpretazione del concetto di “prossimità” suggerito dal documento “Nex generation UE” e tradotto in un pensiero uniformato, unico, tenace ed ostinato (Case della Comunità). Le CdC sono state accreditate di una aspettativa tale, rigida ed indiscutibile, da divenire foriera di facili profezie avverse auto avverantesi. Ma non sarebbe più comprensibile chiamarle Case della Salute delle comunità?
Dietro alla fascinazione di ciò che viene venduto come innovazione sanitaria-sociale si possono inoltre intravvedere logiche tipicamente tecnocratiche e di iper-istituzionalizzazione del concetto salute dove le elaborazioni , soprattutto di ausl e distretti, non risentono mai gli effetti di un effettivo confronto (indipendente) con ciò che già esiste nei territori: esperienze di bene-vivere o di bene-essere e di co-operazione tra operatori e cittadini in grado, nel tempo, di riparare il disastroso disegno progettuale territoriale in atto che sembra inarrestabile.
Per argomentare ulteriormente il tema si potrebbe dire che la letteratura di settore sembra bocciare completamente le attuali amministrazioni sanitarie regionali e locali anche sul piano prettamente culturale. Non solo il termine con cui vengono definite le così dette innovazioni territoriali (CdC) ma anche le idee architettoniche risultano completamente fuori tempo, contro ogni concetto di cura intesa come bene-esistere e di partecipazione delle comunità.
Sia sufficiente ricordare alcuni esempi di Case della Salute di comunità: CdS di Comunità di Ballarat, a Vittoria, in Australia; la CdS di Comunità a Gravesend nei pressi di Londra chiamato Waldron Health Centre; la CdS di comunità di Orense in Spagna; la CdS di comunità chiamato Kentish Town Health Center di Londra; la CdS di Matta Sur a Santiago nel Cile chiamato Centro Comunitario de Salud Familiar; la CdS di comunità di Vézalay in Francia; la CdS di comunità a Rauma in Norvegia chiamata Holistic Heatlhcare; la CdS di comunità di Gibraleon in Spagna; la CdS di comunità di tipo educativo ad Amburgo detta “Tor zur welf” cioè “porta sul mondo”…
È una policroma carrellata su idee e realizzazioni relative alle strutture sanitarie territoriali che hanno tutte la specifica caratteristica di essere molto belle. Anche moderne e funzionali ma soprattutto belle.
In questi edifici il personale che vi lavora e i pazienti ma anche i semplici cittadini di passaggio o che si trovano a prendere un caffè o a seguire una conferenza, si trovano molto bene e a loro agio. A volte guarire non è così importante come lo è in effetti l’essere perfettamente curati. L’ambiente, l’arte, il bello è già una cura (Film: Lo scafandro e la farfalla, miglior regia al Festival di Cannes, 2007).
Il paradosso è che “…del bel paese là dove 'l sì suona…” cioè nella patria del bello pare essersi proprio smarrita la consapevolezza di una sua caratteristica riconosciuta a livello universale anche a causa del tormento di un pensiero uniformato che non ha concesso nessuno spazio ad ideazioni armoniose ed attraenti. Basterebbe una realizzazione similare a quelle ricordate nell’elenco per rendere inutili norme cogenti o forzose (ad es.: per i mmg).
È come se un senso di mediocrità e di ricerca del massimo ribasso si sia impossessato anche delle menti e delle anime delle persone tanto che viene dato per scontato che le cose debbano andare così.
E la colata piroclastica è talmente potente nella sua progressione inerziale che nessuno (cittadini, associazioni, comunità, professionisti…) è in grado di modificare la sua evoluzione nefasta. Soprattutto si assiste ad una comunicazione completamente sbagliata ai cittadini cui si tende a far credere che gli asini volino pubblicizzando “un po’ di prestazioni, (s)vendute come meglio di niente,” distraendoli rispetto al loro diritto di presa in carico e di essere perfettamente curati (mdr da C.M. Maffei, Il DM77 è già in svendita…, QdS 13 giugno 2025).
Al fine, quando qualcuno finalmente riuscirà a tirare le somme di quanto capitato negli ultimi decenni al nostro sistema sanitario territoriale… a chi verranno attribuite le responsabilità?
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV
16 giugno 2025
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L’arte e il bello nell’architettura sanitaria soprattutto in periferia?
Nel quarto incontro del ciclo “prendersi cura con l’arte”, prima della pausa estiva, verrà trattato il tema “L’arte e il bello nell’architettura sanitaria soprattutto in periferia? Le Case della Salute delle comunità come occasioni di rigenerazione sociale, urbana e architettonica dove coltivare la salute nei quartieri.”
La conversazione è promossa dall’Organizzazione di Volontariato Comunità Solidale Parma (CSP), da FIDAPA (Federazione Italiana Donne Arti Professioni e Affari) e ADMI (Associazione Donne Medico Italiane). Si cercherà di dare una risposta al quesito iniziale venerdì 13 giugno, dalle 17:00 alle 17:40, nella sala d’aspetto dell’Ambulatorio San Moderanno in via Trieste 108/A. Relatore sarà il Prof. Michele Ugolini del Politecnico di Milano (Dipartimento di architettura e studi urbani) da anni impegnato nella progettazione delle “Case della Salute delle comunità” (Coltivare_Salute.com).
La logistica e l’orario favoriscono una completa commistione tra attività assistenziale-curativa, il bello e l’arte: fenomeni che secondo la letteratura di settore possono coesistere, anzi possono diventare una prescrizione medica abitudinaria ( es.: in alcuni paesi come il Regno Unito e il Canada il medico può prescrive, su ricettario, con indicazione diagnostica-terapeutica, la visita ad un museo specifico, la partecipazione ad un concerto o la visione di un film oppure una escursione per trarre beneficio da bellezze naturali. Tale prescrizione darebbe accesso, per il paziente, ad un sistema di agevolazioni o ad ingressi gratuiti…). Il bello e l’arte possono quindi diventare, a pieno titolo, parte del percorso terapeutico. Si parla, infatti, sempre più spesso, di “prescrizioni culturali”. La bellezza viene riscoperta (è la storica "Kalos kai agathos" degli antichi greci) come un fattore del benessere capace di incidere sullo stato psicofisico della persona.
Da più di 10 anni Comunità Solidale Parma coltiva un sogno per il quartiere San Leonardo: l’idea di poter veder sorgere una struttura sanitaria grande e d’avanguardia, edificata con materiali ecocompatibili, accessibile in 15 minuti da ogni angolo del territorio (prossimità), aperta 24 su 24 ore (es.: ospedale di comunità), in grado di accogliere funzioni di educazione, prevenzione, formazione, partecipazione… Un punto di riferimento territoriale per la comunità pensato con una attenzione particolare all’estetica architettonica e alla multifunzionalità degli spazi: ambulatori, stanze per i servizi, aule per la formazione dei professionisti e per gli incontri culturali, ambienti riservati al volontariato, zone verdi accessibili. Un edificio ben riconoscibile dai cittadini, non solo meta occasionale per i bisogni sanitari ma parte della vita quotidiana per gli abitanti (vedi YouTube: La favola della Casa della Salute Grande e dell’Ospedale di Comunità del Quartiere San Leonardo).
A volte può capitare che, quando si entra in un luogo suggestivo, si sente qualcosa, un sollievo capace di annullare l’ansia (della malattia). Un sospiro distensivo che permette di fantasticare lasciando così in disparte i pensieri preoccupanti e le angosce quotidiane. In quel momento, quel luogo si prende cura di noi, ci fa sentire nel posto giusto e ci fa sentire bene (Mortari-Paoletti, La Cura, Il melangolo 2021).
È innegabile che un sogno come questo incontri numerosi limiti: sensibilità diverse, risorse critiche, complessità burocratiche e politiche. Tuttavia il tempo resta un denominatore che condiziona profondamente bisogni ed aspettative. Sarebbe stata verosimilmente utile un’ottica pianificatoria di lungo-medio periodo e una maggiore attenzione culturale-architettonica ma, ora, le dinamiche e le contingenze collegate al PNRR (es.: Case della Comunità) difficilmente possono concedere spazio alle elaborazioni su ricordate.
Direttivo di Comunità Solidale Parma
Prendersi cura con l'aiuto dell'arte - 4° incontro
Comunità Solidale Parma (CSP), FIDAPA Parma e Associazione Italiana Donne Medico - sezione di Parma organizzano l'incontro/conversazione:
4° Incontro sul prendersi cura con l'auto dell'arte
Giovedì 13 giugno dalle ore 17:00 alle 17:40 c/o la sede di Comunità Solidale Parma in via Trieste 108/A (sala d’attesa dell’Ambulatorio san Moderanno) il Prof. Michele Ugolini del Dipartimento di Architettura e Studi Urbani dell’ Università Politecnico di Milano condurrà la conversazione sul tema:
L’ARTE E IL BELLO DELL’ARCHITETTURA SANITARIA SOPRATTUTTO IN PERIFERIA?
Le Case della Salute delle comunità come occasioni di rigenerazione sociale, urbana e architettonica dove coltivare salute nei quartieri.
Centro Comunitario de Salud Familiar Matta Sur a Santiago del Cile.
Progettisti: Luis Vidal + Architectos.
Con l’approvazione e il favore delle attività produttive e commerciali del crocevia tra via Trieste e via Venezia.
(Si dichiara che Comunità Solidale Parma non ha richiesto e non ha ricevuto, per questo evento, contributi pubblici o privati in osservanza del dettato statutario che fissa il principio e il valore della gratuità nella progettazione e realizzazione degli eventi promossi dall’ ODV- CSP)
Frammentazione del pensiero
08 MAG - Gentile Direttore,
i recenti contributi di A. Giustini (… come navigare nel vuoto spaziale, QdS, 5 maggio 2025) e di G.Pizza (… rimuovere le contraddizioni del SSN, QdS, 6 maggio 2025) hanno aiutato a riflettere sulle criticità organizzative “superficiali” e sulla confusione esistente tra una idea di riforma (I. Cavicchi) e una tecnicità pareggiabile o comparabile detta problem solving.
In alcune regioni considerate “modello” si sono verificate nell’arco di 15 anni talmente tante revisioni organizzative-assistenziali da portare inevitabilmente ad uno stato di profondo disorientamento i professionisti e gli assistiti.
Nel 2010 vede la luce un primo documento regionale sull’organizzazioni delle Case della Salute che risente delle considerazioni in atto, in quel momento, tra Conferenza Stato-Regioni (commissione sanità), Agenzie e Ministero.
Nel 2012 infatti, anche per quanto in discussione in ambito della Conferenza Stato-Regione, viene emanato il Decreto Balduzzi che formalizza i concetti di UCCP (Unità Complesse di Cure Primarie individuate per un ambito di circa 30.000 assistiti) e di AFT (Aggregazioni Funzionali Territoriali). Ogni regione poi darà interpretazioni proprie a questo decreto modificando il significato di UCCP in Case della Salute e di AFT in NCP (Nuclei di Cure Primarie).
Nel 2013 Deliberazioni Assembleari Regionali inseriscono la possibilità di considerare nelle UCCP o Case della Salute anche “letti territoriali “da cui poi si svilupperà l’idea degli Ospedali di Comunità.
Nel 2015 documenti inerenti le linee di indirizzo per l’assetto organizzativo delle Case della Salute regolarizzano la partecipazione delle comunità e delle associazioni dei cittadini alla vita della Case della salute (nulla a che vedere con un vero coinvolgimento ai vari livelli dei processi decisionali di professionisti e assistiti).
Nel 2016 vengono diffuse le indicazioni regionali per il coordinamento professionale all’interno delle Case della Salute con una suddivisione “a silos” delle aree professionali come se fossero reparti nosocomiali (vera e propria controriforma).
Nel 2017 partono alcuni programmi regionali formativi che vorrebbero promuovere l’integrazione multiprofessionale nelle case della salute ma che rinforzano le posizioni gerarchiche.
Nel 2018 gli Assessorati Regionali della Sanità di alcune regioni “esempio” ribadiscono che la popolazione di riferimento per una casa della salute grande deve contare circa 30.000 assistiti.
Nel 2020 il Next generation EU evidenzia come sia urgente la necessità di addivenire ad un rinnovamento dei sistemi sanitari nazionali indicando l’obiettivo della “prossimità” come intento principale.
Nel 2021 si approva il PNRR che, per quanto riguarda la sanità, nella missione 6, interpreta il concetto di “prossimità” uniformandosi, senza flessibilità, alla tesi, improvvisamente di moda, delle “Case della Comunità” cancellando con un colpo di spugna tutta l’elaborazione intellettuale e culturale sulle Case della Salute valutate negli anni precedenti da professionisti, intellettuali, comunità e società civile. Per inciso non sarà superfluo ricordare che tra servizi raccomandati, facoltativi ed obbligatori nessuna Casa della Comunità (hub o spoke) può superare il modello Casa della Salute detta “grande”.
Nel 2022 il DM 77 definisce un modello di assistenza sanitaria territoriale confermando il pensiero unico (Case della Comunità, Ospedali di Comunità, COT) e dimostrando di fatto l’incapacità di trovare una vera idea innovativa e riformatrice. A suo tempo non era stato possibile rifornire tutte le AFT di una Casa della Salute e così, oggi, non vi saranno Case della Comunità per tutti i territori e, di nuovo, si creeranno discriminazioni assistenziali e professionali.
Nel 2025 alcune voci, che originano dai corridoi dei palazzi che contano, sembrano annunciare iniziative di accorpamento tra AFT al fine di costituire nuovi ambiti territoriali più ampi dove vi sia, almeno, una Casa della Salute o una Casa della Comunità al fine di attuare le indicazioni del DM77. Tuttavia in questo modo si alterano le norme inerenti il numero di assistiti massimo per AFT e dei relativi professionisti. Paradossalmente questi eventi, considerati trascurabili tecnicismi per le alte dirigenze, confermerebbero la “legge” tipica dei sistemi complessi nei quali, anche variazioni iniziali minime possono però provocare risultati finali completamene inattesi, irrimediabili, catastrofici. Degno di nota, a riconferma di assenza di “pensieri pensati”, è il fatto che, nelle regioni considerate “modello”, proprio in quest’anno 2025, siano riapparsi e menzionati concetti come AFT e UCCP che si rifanno al decreto Balduzzi del 2012.
In tema di “accorpamenti” la ricerca di M. Mariani, A. Acampora e G. Damiani, pur datata (2017), aiuta a considerare come, partendo da alcune evidenze, i benefici attesi dagli accorpamenti sanitari, di vario tipo, sono stati disattesi generando ulteriore distanza tra le autocrazie regionali e professionisti/cittadini/assistiti. Le motivazioni che muovono le “fusioni” sarebbero di tipo economico e politico mentre l’aspetto assistenziale resta relegato nell’ombra. Non emergono risultati statisticamente significativi sull’efficacia clinica, preventiva, assistenziale, sull’accessibilità e sul coinvolgimento dei professionisti. C’è la percezione di un peggioramento nell’erogazione dei servizi. Non vi sarebbero quindi automatismi tra aumento delle dimensioni dei bacini di utenza ( es.: AFT o Aziende Uniche) e il miglioramento delle performance sanitarie.
Come volevasi dimostrare la macchina del così detto controriformismo e del neoliberalismo aziendale continua la sua folle corsa sostenuta da una selva di normative emanate dalla piramide gerarchica (accordi, intese, delibere, circolari, patti, norme transitorie, deroghe, interpretazioni, contraddizioni, sovrapposizioni normative…). Non c’è il minimo spazio per autocritiche, ripensamenti, confronti. Non ci sono speranze a breve. Forse saranno le nuove generazioni (Livia avrà un diritto pieno?, QdS, 24 aprile 2025) che troveranno modalità sostanziali (modifiche costituzionali?) al fine di sostituire califfati e mandarinati con comitati di salute pubblica, collegi territoriali, comunità, AFT e competenze computazionali autonome. Nel frattempo però il vassoio d’argento sembra già preparato per offrire una favorevole entrata in campo delle aziende private nei servizi sanitari territoriali e, in particolare, nella medicina generale di base.
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV
08 maggio 2025
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Livia avrà un diritto pieno?
24 APR - Gentile Direttore,
abbiamo letto con molto interesse l’ultima fatica del Prof. Ivan Cavicchi (Articolo 32, un diritto dimezzato, Castevecchi, 2025) indossando gli occhiali dei comuni cittadini, degli assistiti e dei volontari della unica associazione nazionale (Runts) che ha come compito statutario il supporto e il sostegno alla Medicina Generale territoriale considerata un bene comune per la comunità. Osservare gli avvenimenti dalla periferia del regno ci permette di cogliere elementi o particolari che potrebbero sfuggire ai più. Qui si percepisce nettamente la coesistenza di “vero e falso, giusto ed ingiusto, vantaggioso e svantaggioso, diritto e non diritto”.
A Livia (la nipotina di Ivan Cavicchi, da lui citata) potremmo dire che, ora, l’area non è agibile e anche nei prossimi anni, molto probabilmente, non potrà beneficiare di un diritto pieno “di salute”. Tuttavia, crediamo che proprio la quarta generazione, quella di Livia, forte di una competenza nella scienza dei numeri, nella complessità dei sistemi, nell’interdisciplinarietà dei saperi sarà in grado di recuperare validità oggettive computazionali sovraordinate alle attuali oligarchie sanitarie composta da soffocanti apparati, aziende, assessorati, distretti, economisti, accordi professionali e ipotesi organizzative che palesano un oscurantismo culturale indescrivibile. Da questo punto di vista è evidente che l’assunto cardine non sia il ri-finanziamento del SSN. Pur questione non secondaria, ciò che merita la massima considerazione è il debito intellettuale dell’intero sistema. Altro che ECM obbligatorio!
Oggi si pongono i seguenti quesiti in relazione all’articolo 32 della Costituzione: cosa si intende per diritto alla salute? È un diritto dell’individuo come sostiene l’art.32 o è una petizione di principio di interesse collettivo? È assenza di malattia ed erogazione di servizi? È una visione deterministica e lineare oppure fa parte di un sistema complesso?
Secondo il parere del Prof. Enrico Larghero (pag. 67) il “diritto alla salute” non esiste come prerogativa assoluta individuale/universale. Per la verità si tratta di un obiettivo che va costruito, progettato, inventato. Essendo quindi una “condizione” ha caratteristiche prettamente politiche, collettive. Inoltre, essendo “compatibile” (cioè può stare insieme) con l’economia, quando ci si dovesse trovare in una eventuale negoziazione la parte più debole (la salute) è costretta ad adattarsi sempre a quella più forte (l’economia).
Il concetto di “compossibilità”, al contrario, rimuove le contraddizioni, le autoreferenzialità o le prove muscolari e crea relazioni tra valori o beni (es.: salute, economia, ambiente, società…) senza che nessuno di questi venga sminuito nei confronti di altri.
Una lettura moderna ed innovativa della parola “salus” di norma tradotta come “salute” viene resa secondo il prof. I. Cavicchi (e la Treccani) come “vita o vivere”. Di conseguenza si dovrebbe predicare il diritto al “vivere” al posto del diritto alla “salute”.
Il termine “salute” è relativamente semplice, debole ed è legato prevalentemente al mondo della medicina, alla sanità e alla prevenzione. Il concetto di “vita” invece può essere inteso in modo più ampio, come un “meta diritto”, una ragione di secondo livello in grado di includere tanti altri principi come la nozione di salvezza, di integrità, di sicurezza, di bene-essere, di prosperità, di coesistenza sociale e ambientale…
Se l’art. 32 della Costituzione tutelasse il vivere (meta diritto) sarebbe necessario, per dettato costituzionale, “prendersi cura” del vivere tramite progetti che interrelazionino i parametri sociali, economici ed ambientali. Non si tratta più solo di essere curati (il diritto alla salute è spesso vissuto come slogan retorico) ma di trovare effettivamente un equilibrio normativo atto a tutelare i valori del vivere bene annullando qualsiasi predominio autoreferenziale. Il “diritto al vivere” ha una evidente valore morale proprio perché il vivere non può mai essere subordinato o negoziabile con altri beni come invece avviene regolarmente per “la salute”.
Tuttavia l’elaborazione culturale epistemica è circondata da riformatori incapaci di riformare e da bagnini che non sanno nuotare. Gli interessi singolari o i vantaggi di apparato prevalgono. È noto che il debito pubblico italiano è schizzato a livelli stellari dopo la promulgazione del decreto-legge del Titolo V (Istituzione delle Regioni) da cui non è derivato un vantaggio corrispondente a livello sanitario (circa l’80% del bilancio regionale è legato al sistema sanitario).
Inoltre non sarà superfluo rammentare che tutte le più importanti modifiche sanitarie nel nostro paese (controriforme) sono avvenute senza ricorrere al parere popolare.
Sono state quindi frantumate, negli anni, credibilità e fiducia.
Si dice che “la democrazia è la peggior forma di governo… eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora”… ed è pessima soprattutto quando i processi decisionali, anche locali, sono subiti (parafrasando una nota affermazione di Winston Churchill).
Nessuno è esente da colpe nei confronti delle catastrofi che si sono succedute proprio perché nei sistemi complessi (come è quello sanitario) sono sufficienti variazioni iniziali minime per provocare squilibri irrimediabili (es. accordi, intese, delibere neoliberiste aziendali o regionali, circolari o richiami distrettuali ecc.). Bisognerebbe saperlo.
La quarta generazione, quella di Livia, può costruire le condizioni giuste per avere ciò che serve. Può fare ipotesi, immaginare il futuro e programmare un certo “uso del tempo in tempo senza perdere tempo… “. Può, volendo, già oggi simulare e predire mondi sostenibili per il vivere e compossibili (youtube: La favola della Casa della Salute Grande e dell'ospedale della Comunità del Quartiere San Leonardo). Il coordinamento di ogni procedura logica operativa che emerga dai gruppi di studio ristretti interdisciplinari o dai comitati di salute pubblica o dai collegi di quartiere sarà esclusivamente centrale. I gruppi di lavoro saranno autonomi e indipendenti da oligarchie sanitarie autoreferenziali regionali o aziendali e l’afferenza sarà solo governativa.
Per prendersi cura del diritto al vivere servono gli algoritmi ed esperti computazionali non i distretti.
“Guarda come mi apro” direbbe un noto psicoterapeuta: la sostenibilità del diritto al vivere non è più un problema medico ma essenzialmente computazionale/politico.
Per curare invece sono essenziali i ragionamenti, agli approcci, le metodologie, le competenze, le cooperazioni, lo scambio di esperienze e delle conoscenze: tutto questo non può essere calcolato da nessun algoritmo e la professione impareggiabile finalmente può ritornare in mano ai professionisti del prendersi cura.
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV
24 aprile 2025
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La complessità e la necessità
07 APR - Gentile Direttore,
è evidente che il tema del riordino delle Cure Primarie continui a palesare numerose difficoltà di sostanza e pesanti antinomie da pensiero unico così come è innegabile che il sistema sanitario abbia una sua coerenza (rovinosa). Qualche lettore ricorderà il periodo covid: si sosteneva allora (sembra sia passato un secolo!) che l’assistenza di base non sarebbe mai più stata la stessa. Poi è andata peggio.
Ora, dopo la pandemia, ci sono le sofferenze geopolitiche. I cambiamenti, anche in questo caso, saranno inevitabili ma ancora insondabili.
Immodificabile, inossidabile resta invece la regolamentazione sanitaria nazionale. Iniziando da una mala interpretazione delle intenzioni (prossimità) del Next Generation EU, il PNRR, il Metaprogetto, il DM77 e altri documenti di varia provenienza si sono irrigiditi entro modelli teorici tanto “sacri” quanto, alla fine, impraticabili nella prassi quotidiana (generatrici di ulteriori discriminazioni assistenziali e professionali). Anche l’ACN e gli accordi regionali manifestano incertezza e assenza di idee innovative. La Conferenza Stato-Regioni, le agenzie e la Commissione Sanità (un tempo potentissima) sembrano impacciate e attorcigliate in una insolita polemica con il Ministero della Sanità: un tempo il ministero sarebbe stato coinvolto solo al termine dell’intero processo decisionale (gestito interamente dalla Conferenza) per le firme di rito.
La recente ipotesi di unificare le Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT) dette anche Nuclei di Cure Primarie (NCP) calza perfettamente con la cultura neoliberalista o globalista che trova nelle AUSL una propria nicchia imperturbabile vetero-dogmatica.
Come già ricordato più volte, nessuna riflessione o commento riuscirà ad incidere minimamente su processi decisionali ostinatamente gestiti burocraticamente. Può essere in ogni modo curioso ricercare quante volte le normative nazionali riportano, nel proprio significato specifico, il concetto dei sistemi complessi, la teoria della complessità (I. Cavicchi, La complessità in medicina è un fatto, QS, 14 maggio 2014) oppure i valori (wonca) che dovrebbero guidare i professionisti territoriali.
In questo periodo inoltre numerose narrazioni hanno popolato e forse complicato i confronti di opinione (dipendenza/non dipendenza dei mmg, tutele professionali, forse negoziabili con una idea di prossimità innovativa basata sulle AFT, specializzazione universitaria/corso regionale gravata di sospetti consociativistici, attività professionale dei mmg da svolgere un po’ qua e un po’ là…).
E’ tuttavia rilevante come oggi sia completamente assente una teoria di riferimento o una filosofia o un paradigma che sappia dare un senso ed un valore ad una situazione professionale ed assistenziale di base.
La teoria della complessità dovrebbe essere lo stile, l’approccio alla realtà adeguato per indicare un concreto/compossibile percorso ed un metodo operativo diverso da quello del pensiero unico e dalle sue strategie fallimentari.
In particolare le piccole comunità, considerate come sistemi complessi, potrebbero dare origine a visoni antropologiche ed etiche in grado di integrarsi con gli elementi del sempre valido paradigma bio-psico-sociale. La sperimentazione, da parte degli assistiti e dei professionisti, di sistemi valoriali verso la salute, il benessere ma anche la terza e quarta età e “l’orizzonte degli eventi” potrebbe essere in grado di dare un senso di serena consapevolezza alla quotidianità delle persone.
Per la medicina è fondamentale riorganizzare i saperi, che oggi sono incarcerati nelle singole discipline, affinché si possa, con disegni più umanistici e meno fideistici, contrastare una idea di salute virtuale, eterna, indefinita e “assicurata” senza più umanità (postumanesimo). Da questo punto di vista il mmg potrebbe svolgere un importantissimo ruolo di riferimento professionale e culturale per i suoi assistiti.
Alcuni esempi di complessità riportati in letteratura (stormi di uccelli, branco di pesci, formicai, sciami, eserciti, squadre di calcio, Ausl, istituzioni, orchestre…) possono essere riproposti anche per descrivere le piccole comunità. I più svariati contributi individuali si intrecciano con quelli collettivi tanto da innovare e trasformare in modo creativo (e compossibile) gli stessi sistemi in cui sono immersi (es.: AFT). Pur non esistendo condizioni ideali per sempre e isolate dal contesto è necessario oggi, almeno culturalmente, porre fondamenta etiche ben individuabili per ogni strategia organizzativa dove ogni singolo assistito e professionista venga considerato “fonte di conoscenza” : si potranno così affrontare provvedimenti più ampi, collettivi e condivisi (alcune scelte meno scontate potrebbero garantire risultati e successi infinitamente superiori all’economicismo farmaco-diagnostico aziendale predicato da anni e figlio di una cultura riduzionistica).
Nel periodo covid, alcune piccole realtà insieme ai propri professionisti, il giorno stesso dalla dichiarazione del lockdown, sono state in grado di sfruttare l’inatteso, l’incertezza, le indicazioni contraddittorie, il disorientamento delle istituzioni sanitarie mettendo in atto, in autonomia, nel giro di poco tempo, terapie e comportamenti assistenziali che alla fine si sono dimostrati molto efficaci, senza mai chiudere i servizi.
La comunità intesa come pazienti e professionisti (di una AFT) quando può crescere in autonomia, al fine di considerare i vari aspetti emergenti dalle relazioni complesse del proprio sistema collettivo, può diventare una potenza, un riferimento, un nodo, uno stimolo ed una creatività per tutta la rete assistenziale.
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma
07 aprile 2025
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Davvero con le Case e gli Ospedali di Comunità per realizzare una sanità di prossimità?
18 MAR - Gentile Direttore,
il termine “comunità” rischia di diventare un oggetto inflazionato, démodé, di pronto consumo, un slogan automatico e spesso autoreferenziale appiccicato a qualunque cosa (case, ospedali, quartieri, situazioni…).
È noto che il Documento Next Generation UE ha raccomandato un riordino (a causa dell’esperienza covid) delle cure primarie territoriali orientandole al massimo della prossimità. Questa indicazione generale della UE è stata (da chi?) forzatamente incanalata in una direzione rigida, statica, protocollare, normata dalle agenzie (sistema delle Case della Comunità & degli Ospedali di Comunità & delle COT, ecc.) orientate ad azioni in conto capitale (una tantum). Attualmente la parte della gestione (conto) corrente secondo quanto riportato da Maragò e Rodriquez (QS del 13 marzo 2025) per le CdC è del 3%!
Eppure vi sarebbe stata a disposizione una corposa letteratura che indica possibili altre direzioni da percorrere probabilmente più aderenti ad una visione contemporanea della prossimità dove la teoria dei sistemi complessi viene opportunamente integrata con il paradigma bio-psico-sociale. Alcune strategie avrebbero potuto dimostrare molta più efficacia ed efficienza nell’assistenza territoriale di vicinanza e meno impegno dal punto di vista economico: ci si riferisce ad una revisione operativa delle Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT della Riforma Balduzzi 2012) dette anche dei Nuclei di Cure Primarie (NCP). Il prestito PNRR deve essere comunque restituito in quanto pur avendo ricevuto 68,9 miliardi a fondo perduto, 122,6 miliari dovranno essere rimborsati entro il 2058.
Il sistema Case della Comunità (poche spoke e pochissime hub), Ospedali di Comunità (rarefatti), le COT (l’estrosa infografica prodotta dell’agenzia difetta un po’ in comprensibilità) mostrano tutt’ora affanno, tuttavia la recente notizia del possibile commissariamento dell’Agenas non inficerà certamente il lavoro svolto dalla sua istituzionalizzazione ad oggi (QS L. Fassari, 14 marzo 2025). Con le numerose situazioni di commissariamento all’interno del servizio sanitario nazionale si potrebbe pensare anche di fare un campionato di eccellenza in aggiunta a quello esistente.
Nel frattempo sbucano, qua e là, informative su possibili accorpamenti delle AFT.
Non si tratta solo di dare forma a “superaziende” uniche (Ospedaliere-Universitarie-Territoriali) ma di operare anche su scale inferiori riducendo ambiti che in teoria avrebbero dovuto risentire positivamente, dopo tanto tempo, delle indicazioni del PNRR e di una sanità più equa. Accorpando un certo numero di AFT o NCP se ne riduce di fatto il loro numero totale, in opposizione a quanto sostenuto dalla stagionata Legge Balduzzi (non abrogata). La nuova ingegnerizzazione territoriale permette di offrire quindi a queste AFT accorpate una CdC Hub, forse anche un Ospedale di Comunità, potrebbe scapparci anche una COT ecc. Sembra una operazione opposta a quella definita economia di scala. Sarebbe una “distribuzione concentrata” che ancora una volta va a scapito dell’eticità e della capillarità. Oppure può sembrare una “esclusività forzata”: quando le risorse destinate ad un territorio vengono distribuite su due settori si creano vantaggi di prossimità ad alcuni e svantaggi professionali e assistenziali ai molti che hanno subito l’accorpamento. Il riordino del PNRR potrebbe tendere ad incrementare quindi le discriminazioni quando in teoria dovrebbe ridurle. Il vento controriformista è riuscito a trovare un nuovo ambito di influenza.
La tormentata opera di riordino delle cure primarie, così impegnata nella sua govenamentalità, è incline a dimenticare la tradizione culturale della professione medica, la sua deontologia, i principi operativi distintivi sintetizzati dall’albero Wonca. Tralascia, in particolare, il fatto che la medicina generale territoriale ha contribuito a costruire nel tempo, in osservanza ai determinanti di salute, reali piccole “comunità solidali”. Le aggregazioni comunitarie solidali non possono essere paragonate al sistema delle Case della Comunità o agli Ospedali di Comunità che, per il momento, possono vantare solo nomi evocativi.
Non sarà certo sfuggito ai più che numerosi servizi ipotizzati nelle Case della Comunità, Hub e Spoke, sono classificati come non obbligatori, facoltativi o raccomandati a fronte di una ostentata completa prossimità. Se lo standard per una CdC hub è di 50.000 abitanti di che prossimità si parla? E quando si prevede un Ospedale di Comunità ogni 100.000 assistiti perché ci si ostina a definirlo di comunità? Le comunità solidali sono invece preesistenti ad ogni sovrastruttura e hanno soprattutto caratteristiche di tipo etico e solidaristico. Queste comunità che, come riporta anche la Legge Balduzzi, non dovrebbero superare mai le 30.000 persone, non entrano mai in concorrenza sulla salute e cercheranno un benessere intelligente e percorribile che non crei disgregazione di tradizioni e costumi (patrimonio di emancipazione).
La sanità territoriale autonoma può moderare le conflittualità temperando i vari particolarismi egoistici compresi quelli aziendali. Secondo Hegel l’idea di solidarietà passa attraverso il riconoscimento reciproco e l’integrazione all’interno di un sistema valoriale che, pur se rappresentato da comunità piccole, viene accettato e rispettato anche dalle istituzioni.
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV
QdS 18 marzo 2025
Bisogni, diritti e democrazia
24 FEB - Gentile Direttore,
sia concesso esprimere, in estrema sintesi, una riflessione sul tema dei bisogni e dei diritti in occasione della annunciata modifica dell’assetto organizzativo delle cure primarie. Il bisogno dovrebbe riguardare una necessità essenziale, naturale, ontologica per l’essere umano. Vi sono numerose situazioni definibili come bisogni. In questa sede si vorrebbe fare riferimento al bisogno “salute”.
Il diritto è un bisogno formalizzato. Il sistema sociale/giuridico (es.: il diritto alla salute) dovrebbe garantire il soddisfacimento di quel bisogno e assicurare che il suo godimento si realizzi in modo equo ed universale. I diritti, anch’essi numerosi, si possono modificare nel tempo perché strettamente collegati al contesto culturale e sociale.
La globalizzazione, il consumismo, il neoliberismo, la finanziarizzazione dell’economia, il secolarismo, gli scenari geopolitici conflittuali sono macrofenomeni “furiosi”, manifestatisi in poche decadi e precipitati come una tempesta perfetta sul diritto alla salute. Nondimeno hanno condizionato negativamente l’efficienza e l’efficacia del nostro SSN le numerose controriforme inserite nella normativa generale a dimostrazione dell’assenza di un’analisi della complessità. L’allontanamento centrifugo (l’assistito/cittadino è al centro!) da quanto sancito dal diritto tradizionale e culturale a protezione della salute è sempre più veloce in quanto i dettami economicistici portano a considerare la salute come se fosse una cosa, un prodotto da consumarsi al momento.
Il super store sanitario promuove in continuazione un turbinio di prodotti alla moda: preliste, Cau, mega aziende uniche, distretti, comitati consultivi misti, conferenze socio sanitarie territoriali, commissari e sub commissari, offerta ambulatoriale dei mmg ad orario pieno, CdC, dipendenza dei mmg, ruolo unico, liste d’attesa e risoluzioni delle liste d’attesa grazie ad interventi mediatici, community lab… Ogni costoso lancio pubblicitario comporta la nascita di tifoserie opposte. Eppure, come dimostrano le recenti dichiarazioni relative alle “voragini” nei bilanci sanitari regionali, ci si trova all’interno di un sistema di mercato molto instabile. Una sanità mercantesca non potrà mai essere per tutti.
Alcuni filosofi moderni ma anche contemporanei avrebbero asserito che l’individuo oggi sarebbe addirittura disposto a rinunciare, in parte, ad alcuni storici diritti (es.: la libertà) in cambio di una più stabile condizione di salute (migliore economia/benessere o più sicurezza come determinanti). La libertà, considerato un bene fondamentale, potrebbe essere quindi in parte sacrificata pur di far fronte alla sensazione di un servizio sanitario sempre più precario e impoverito. A conferma del fatto che una cattiva gestione della salute possa coincidere con una riduzione significativa della democrazia.
A baluardo di questa tossica gestione sanitaria le piccole comunità sembrano ambiti unici dove può essere possibile rigenerare diritti e democrazia, dove la tradizione di salute presenta ancora radici profonde e dove, nonostante tutto, continua a generarsi una solida cultura identitaria.
Le piccole comunità sono alternative ai supermercati sanitari, agli apparati e alle alte dirigenze aziendali: rimangono pietre d’angolo su cui è lecito tentare di ricostruire il diritto alla salute. Per sua natura il neoliberismo non considera le piccole realtà. È portato a globalizzare. A riunire consumatori intorno alle CdC. Ad incrementare regole su regole (es.: ipotizzata dipendenza dei mmg). A ricercare un economicismo esasperato che non verrà mai raggiunto nemmeno con “ulteriori finanziamenti”.
Una politica sanitaria solida si crea solo a contatto con le persone, in un territorio limitato. Quando i fatti massificati vengono imposti dall’alto si manifesta la mancanza di rispetto per le comunità e per le loro tradizioni, la democrazia si indebolisce, si svuotano le ricchezze intellettuali, si impoveriscono le persone.
Emblematico è l’episodio della controriforma sulle Case della Salute della regione Emilia-Romagna del 2016: un improvviso eccesso di governamentalità e di norme, per lo più incomprensibili, ha avuto l’effetto di bloccare (per quale motivo?) in toto lo sviluppo di un programma sulle Case della Salute “grandi” che avrebbe potuto portare, le piccole comunità, a sviluppi interessanti. Similmente nulla vieta che possa diventare più conveniente affrontare sanzioni o perdere finanziamenti europei che edificare strutture (CdC) che poi necessiterebbero di impegnativi interventi in conto corrente attualmente insostenibili e probabilmente inutili.
L’esagerazione regolamentale è funzionale solo all’apparato burocratico economicistico ma ostacola le comunità, il bene comune, la libertà e anche la democrazia (il processo decisionale aziendale/regionale è monocratico con l’obiettivo del pareggio di bilancio).
Pare che nei prossimi Accordi Regionali si tenti di riattivare le storiche AFT (Riforma Balduzzi 2012) più confacenti ai territori (non superiori alle 30.000 anime.) L’acronimo AFT è poi stato modificato in molte regioni. Nella regione Emilia-Romagna una circolare, emanata a suo tempo, ha certificato la sostanziale sovrapposizione tra Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT) con i Nuclei di Cure Primarie (NCP), cioè i quartieri.
Questa riabilitazione, in ritardo colpevole, conferma che le piccole comunità possono rimediare ai gravi errori aziendali e offrire una originalità innovativa, presente nel loro spirito, grazie alla tradizione e alla cultura identitaria. L’autonomia dei territori risulta quindi fondamentale. Se questa non verrà formalizzata l’AFT/NCP sarà comunque invasa dalla burocrazia aziendale che tornerà a riprendersi i propri spazi e riproporrà gli stessi arcaici e superati metodi gestionali (“cadaveri concettuali”).
Nel tempo molte alte dirigenze sono passate davanti agli occhi di professionisti e pazienti più come comitati aziendali in gita premio che come persone preoccupate dei bisogni dei cittadini affidati alla loro gestione. Folle è stata la mancanza di autocritica.
Il fallimento dell’aziendalizzazione (Ausl) da tempo sostenuto da I. Cavicchi ora è finalmente riconosciuto da numerosi altri commentatori (es.: Jorio QS 19 febbraio 2025). Ne deriva che anche altri elementi funzionali alla piramide sovrastrutturale aziendale come i distretti palesino la loro inutilità. Tuttavia aziende e distretti, paradossalmente, costituiscano tutt’oggi l’elemento portante della c.d. riforma che intende riorganizzare le cure primarie sul “mantra” della prossimità edificata sulle insignificanti CdC spoke. Per trovare ipotesi innovative ed alternative di riordino delle cure primarie basterebbe essere in grado di guardare fuori dalle finestre (sigillate?) degli apparati e delle agenzie.
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV
24 febbraio 2025
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COMUNITA’ SOLIDALE PARMA (CSP)
Sabato 1 marzo dalle 17.00 La comunità solidale di Parma (CSP) organizza il secondo incontro sul tema del prendersi cura con l'aiuto dell'arte, dal titolo "DONNE PER L'ARTE: Musei ed artiste"(allegato 1).
L'incontro si terrà presso la sede di Comunità solidale di Parma in via Trieste 108/A.
L'iniziativa fa parte degli eventi per la giornata internazionale della donna e la relatrice dell'incontro sarà l'Ingegnere Bruna Giordano.
ALLEGATI:
CSP EVENTO SABATO 1 MARZO 2025
I convitati invisibili
07 FEB - Gentile Direttore,
i recenti interventi sul tema della “riduzione” a dipendenza del mmg hanno permesso di leggere argomentazioni a favore ed elementi di criticità molto interessanti. Sono numerosi i portatori di interessi (stakeolders) che insistono sulla questione: i mmg, le aziende, le imprese (con i loro welfare aziendali che risultano essere più benefit consumistici come l’auto o il telefonino che veri processi di salute), le agenzie, le regioni, il Ministero, l’Enpam, i sindacati, la Fnomceo… Rimane poco analizzato invece il punto di vista dei cittadini/assistititi pur frequentemente citati come “centrali” nelle numerose dichiarazioni di intenti (convitati invisibili).
Ci sono in discussione la proposta di riforma/disegno di legge di Foza Italia e il Documento di Riforma/Atto di indirizzo del Ministero della Salute fortemente sostenuto dalle Regioni. Constatato che l’egemonia della Conferenza Stato-Regioni dura da numerose decadi si potrebbe profetizzare che molto difficilmente si verificheranno modifiche sostanziali allo stesso atto di indirizzo.
E’ singolare inoltre che le elaborazioni vedano la luce, quasi in contemporanea, nell’ambito della maggioranza parlamentare e di governo. L’opposizione, fortemente impegnata ad indicare la sanità come una priorità, non è stata in grado di formulare una proposta concorrenziale o alternativa. Verosimilmente perché prigioniera delle numerose controriforme emanate nel lungo periodo dove si è trovata a gestire il SSN? Vi sono altresì posizioni contradditorie e imbarazzanti a sostegno (di rendite di posizione) o in contrapposizione (culturali, professionali ma anche ideologiche o inerziali).
Il dibattito pare non consegnare però nulla di veramente nuovo. Se il Documento di Riforma/Atto di indirizzo dovesse in qualche modo arrivare in Parlamento verrebbe comunque approvato e probabilmente applicato. La legge/riforma Balduzzi (2012) è stata approvata dal Parlamento, poi non è stata applicata ma nemmeno abrogata.
L’importanza del tema potrebbe quindi suggerire un ulteriore approfondimento o meglio un patto trasversale e bipartisan per non rischiare bizzarre antinomie o rigide intransigenze avulse dal paradigma culturale fondamentale che, per la nostra epoca, è quello della complessità.
Attenendosi al metodo aristotelico è opportuno prendere visione di quanto la letteratura esistente mette a disposizione degli studiosi sul tema in questione. Non esistono moltissime ricerche o approfondimenti:
- Criteri valoriali Wonca per la medicina generale territoriale;
- la Quarta Riforma (I. Cavicchi) in particolare nel cap. 15;
- Medici vs Cittadini un conflitto da risolvere (I. Cavicchi) in particolare nel cap. 7
- La scienza impareggiabile (I. Cavicchi);
- Salviamo la sanità ( I. Cavicchi);
- Nuovo patto-contratto tra medici professionisti della sanità territoriale e il SSN: un tentativo innovativo di comporre un ACN per le cure primarie subito dopo la promulgazione della legge Balduzzi, reperibile sul web;
- L'integrazione multiprofessionale e multidisciplinare vs epidemia della cronicità reperibile su youtube.
Il questionario somministrato agli assistiti di una medicina di gruppo (QS 4 marzo 2024) permette al nostro Centro Studi di contribuire allo scambio di pareri in atto (dipendenza o non dipendenza dei medici di fiducia) esponendo il pensiero degli assistiti/cittadini.
Gli abitanti delle piccole comunità considerano il medico di fiducia il depositario di una dottrina altamente complessa che nella quotidianità assistenziale segue metodologie raffinate (connesse con l’etica, la cultura e la competenza professionale). Il paradigma della complessità implica, anche nell’assistenza territoriale, un adeguato collegamento con il contesto sociale. L’introduzione di rigide variazioni logistiche, tabelle orarie, regole amministrative e cultura governamentale potrebbe risultare altamente inadeguata all’archetipo di riferimento.
La dipendenza crea inoltre una “piena disponibilità” di un esercito di professionisti che verrebbe affidato a generali che hanno già gestito la stagione delle controriforme dando prova di una cultura della complessità miserrima. Infatti la concezione neoliberista ed economicistica, imperante nelle alte dirigenze, ha portato l’assistenza territoriale al livello critico in cui si trova ora.
Il mito dell’ “oggettivazione” aziendale analizza la pratica dell’assistenza realizzata dai mmg nei confronti dei loro assistiti in modo strettamente quantitativo, matematizzato, economicizzato. Quindi frantumato. E’ inevitabile che una cultura così parziale e “chiusa” diventi anche isolata e causi un impoverimento delle conoscenze e delle capacità creative (per la soluzione dei problemi). L’esperienza dimostra che più il clima intellettuale immiserisce più emerge il fenomeno della manipolazione e della scarsa trasparenza: le alte dirigenze sono portate a concentrarsi sulla regolarità, sulla monotonia, sulla staticità, sulla semplificazione tralasciando completamente l’evento singolo che potrebbe avere invece un ruolo molto rilevante.
Le persone, soprattutto i pazienti difficili o esigenti, non sono mai spazi ordinati ma rappresentano una continua interazione tra ordine e disordine, catabolismo ed anabolismo, entropia ed entalpia, piena vita e terminalità.
Le conoscenze, quindi, non possono essere sminuzzate. L’organizzazione assistenziale territoriale richiede molta autonomia e ampi spazi di relazione per esercitare quotidianamente una visione complessa.
E’ forse mancato un produttivo dialogo ex-ante. Se ci fosse stato un fruttuoso scambio di idee i testi si sarebbero nutriti di fertili logiche diversificate. Sarebbe stato condiviso ed accettato che, proprio a livello territoriale, un processo non possa mai essere considerato risolto una volta per tutte. Probabilmente una certa rigidità avrebbe lasciato spazio a numerose sperimentazioni per le comunità locali di quartiere in grado di creare sistemi auto-organizzati ed autoregolati.
La complessità infatti valorizza l’incertezza della conoscenza ma crea, paradossalmente, un progresso innovativo che porta all’optimum e non al maximum utilitaristico (R. Panikkar 2009). Più c’è autonomia, più si favorisce la relazione e la consapevolezza dei limiti tanto che si potrebbe essere spinti ad elaborare approcci innovativi condivisi per affrontare insieme alle comunità le problematiche quotidiane (es.: appropriatezza comportamentale e prescrittiva).
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV07 febbraio 2025
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