Livia avrà un diritto pieno?

24 APR - Gentile Direttore,
abbiamo letto con molto interesse l’ultima fatica del Prof. Ivan Cavicchi (Articolo 32, un diritto dimezzato, Castevecchi, 2025) indossando gli occhiali dei comuni cittadini, degli assistiti e dei volontari della unica associazione nazionale (Runts) che ha come compito statutario il supporto e il sostegno alla Medicina Generale territoriale considerata un bene comune per la comunità. Osservare gli avvenimenti dalla periferia del regno ci permette di cogliere elementi o particolari che potrebbero sfuggire ai più. Qui si percepisce nettamente la coesistenza di “vero e falso, giusto ed ingiusto, vantaggioso e svantaggioso, diritto e non diritto”.

A Livia (la nipotina di Ivan Cavicchi, da lui citata) potremmo dire che, ora, l’area non è agibile e anche nei prossimi anni, molto probabilmente, non potrà beneficiare di un diritto pieno “di salute”. Tuttavia, crediamo che proprio la quarta generazione, quella di Livia, forte di una competenza nella scienza dei numeri, nella complessità dei sistemi, nell’interdisciplinarietà dei saperi sarà in grado di recuperare validità oggettive computazionali sovraordinate alle attuali oligarchie sanitarie composta da soffocanti apparati, aziende, assessorati, distretti, economisti, accordi professionali e ipotesi organizzative che palesano un oscurantismo culturale indescrivibile. Da questo punto di vista è evidente che l’assunto cardine non sia il ri-finanziamento del SSN. Pur questione non secondaria, ciò che merita la massima considerazione è il debito intellettuale dell’intero sistema. Altro che ECM obbligatorio!

Oggi si pongono i seguenti quesiti in relazione all’articolo 32 della Costituzione: cosa si intende per diritto alla salute? È un diritto dell’individuo come sostiene l’art.32 o è una petizione di principio di interesse collettivo? È assenza di malattia ed erogazione di servizi? È una visione deterministica e lineare oppure fa parte di un sistema complesso?

Secondo il parere del Prof. Enrico Larghero (pag. 67) il “diritto alla salute” non esiste come prerogativa assoluta individuale/universale. Per la verità si tratta di un obiettivo che va costruito, progettato, inventato. Essendo quindi una “condizione” ha caratteristiche prettamente politiche, collettive. Inoltre, essendo “compatibile” (cioè può stare insieme) con l’economia, quando ci si dovesse trovare in una eventuale negoziazione la parte più debole (la salute) è costretta ad adattarsi sempre a quella più forte (l’economia).

Il concetto di “compossibilità”, al contrario, rimuove le contraddizioni, le autoreferenzialità o le prove muscolari e crea relazioni tra valori o beni (es.: salute, economia, ambiente, società…) senza che nessuno di questi venga sminuito nei confronti di altri.

Una lettura moderna ed innovativa della parola “salus” di norma tradotta come “salute” viene resa secondo il prof. I. Cavicchi (e la Treccani) come “vita o vivere”. Di conseguenza si dovrebbe predicare il diritto al “vivere” al posto del diritto alla “salute”.

Il termine “salute” è relativamente semplice, debole ed è legato prevalentemente al mondo della medicina, alla sanità e alla prevenzione. Il concetto di “vita” invece può essere inteso in modo più ampio, come un “meta diritto”, una ragione di secondo livello in grado di includere tanti altri principi come la nozione di salvezza, di integrità, di sicurezza, di bene-essere, di prosperità, di coesistenza sociale e ambientale…
Se l’art. 32 della Costituzione tutelasse il vivere (meta diritto) sarebbe necessario, per dettato costituzionale, “prendersi cura” del vivere tramite progetti che interrelazionino i parametri sociali, economici ed ambientali. Non si tratta più solo di essere curati (il diritto alla salute è spesso vissuto come slogan retorico) ma di trovare effettivamente un equilibrio normativo atto a tutelare i valori del vivere bene annullando qualsiasi predominio autoreferenziale. Il “diritto al vivere” ha una evidente valore morale proprio perché il vivere non può mai essere subordinato o negoziabile con altri beni come invece avviene regolarmente per “la salute”.

Tuttavia l’elaborazione culturale epistemica è circondata da riformatori incapaci di riformare e da bagnini che non sanno nuotare. Gli interessi singolari o i vantaggi di apparato prevalgono. È noto che il debito pubblico italiano è schizzato a livelli stellari dopo la promulgazione del decreto-legge del Titolo V (Istituzione delle Regioni) da cui non è derivato un vantaggio corrispondente a livello sanitario (circa l’80% del bilancio regionale è legato al sistema sanitario).

Inoltre non sarà superfluo rammentare che tutte le più importanti modifiche sanitarie nel nostro paese (controriforme) sono avvenute senza ricorrere al parere popolare.
Sono state quindi frantumate, negli anni, credibilità e fiducia.

Si dice che “la democrazia è la peggior forma di governo… eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora”… ed è pessima soprattutto quando i processi decisionali, anche locali, sono subiti (parafrasando una nota affermazione di Winston Churchill).

Nessuno è esente da colpe nei confronti delle catastrofi che si sono succedute proprio perché nei sistemi complessi (come è quello sanitario) sono sufficienti variazioni iniziali minime per provocare squilibri irrimediabili (es. accordi, intese, delibere neoliberiste aziendali o regionali, circolari o richiami distrettuali ecc.). Bisognerebbe saperlo.

La quarta generazione, quella di Livia, può costruire le condizioni giuste per avere ciò che serve. Può fare ipotesi, immaginare il futuro e programmare un certo “uso del tempo in tempo senza perdere tempo… “. Può, volendo, già oggi simulare e predire mondi sostenibili per il vivere e compossibili (youtube: La favola della Casa della Salute Grande e dell'ospedale della Comunità del Quartiere San Leonardo). Il coordinamento di ogni procedura logica operativa che emerga dai gruppi di studio ristretti interdisciplinari o dai comitati di salute pubblica o dai collegi di quartiere sarà esclusivamente centrale. I gruppi di lavoro saranno autonomi e indipendenti da oligarchie sanitarie autoreferenziali regionali o aziendali e l’afferenza sarà solo governativa.

Per prendersi cura del diritto al vivere servono gli algoritmi ed esperti computazionali non i distretti.
“Guarda come mi apro” direbbe un noto psicoterapeuta: la sostenibilità del diritto al vivere non è più un problema medico ma essenzialmente computazionale/politico.

Per curare invece sono essenziali i ragionamenti, agli approcci, le metodologie, le competenze, le cooperazioni, lo scambio di esperienze e delle conoscenze: tutto questo non può essere calcolato da nessun algoritmo e la professione impareggiabile finalmente può ritornare in mano ai professionisti del prendersi cura.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV
24 aprile 2025
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Medicina Territoriale

La complessità e la necessità

07 APR - Gentile Direttore,
è evidente che il tema del riordino delle Cure Primarie continui a palesare numerose difficoltà di sostanza e pesanti antinomie da pensiero unico così come è innegabile che il sistema sanitario abbia una sua coerenza (rovinosa). Qualche lettore ricorderà il periodo covid: si sosteneva allora (sembra sia passato un secolo!) che l’assistenza di base non sarebbe mai più stata la stessa. Poi è andata peggio.

Ora, dopo la pandemia, ci sono le sofferenze geopolitiche. I cambiamenti, anche in questo caso, saranno inevitabili ma ancora insondabili.

Immodificabile, inossidabile resta invece la regolamentazione sanitaria nazionale. Iniziando da una mala interpretazione delle intenzioni (prossimità) del Next Generation EU, il PNRR, il Metaprogetto, il DM77 e altri documenti di varia provenienza si sono irrigiditi entro modelli teorici tanto “sacri” quanto, alla fine, impraticabili nella prassi quotidiana (generatrici di ulteriori discriminazioni assistenziali e professionali). Anche l’ACN e gli accordi regionali manifestano incertezza e assenza di idee innovative. La Conferenza Stato-Regioni, le agenzie e la Commissione Sanità (un tempo potentissima) sembrano impacciate e attorcigliate in una insolita polemica con il Ministero della Sanità: un tempo il ministero sarebbe stato coinvolto solo al termine dell’intero processo decisionale (gestito interamente dalla Conferenza) per le firme di rito.

La recente ipotesi di unificare le Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT) dette anche Nuclei di Cure Primarie (NCP) calza perfettamente con la cultura neoliberalista o globalista che trova nelle AUSL una propria nicchia imperturbabile vetero-dogmatica.

Come già ricordato più volte, nessuna riflessione o commento riuscirà ad incidere minimamente su processi decisionali ostinatamente gestiti burocraticamente. Può essere in ogni modo curioso ricercare quante volte le normative nazionali riportano, nel proprio significato specifico, il concetto dei sistemi complessi, la teoria della complessità (I. Cavicchi, La complessità in medicina è un fatto, QS, 14 maggio 2014) oppure i valori (wonca) che dovrebbero guidare i professionisti territoriali.

In questo periodo inoltre numerose narrazioni hanno popolato e forse complicato i confronti di opinione (dipendenza/non dipendenza dei mmg, tutele professionali, forse negoziabili con una idea di prossimità innovativa basata sulle AFT, specializzazione universitaria/corso regionale gravata di sospetti consociativistici, attività professionale dei mmg da svolgere un po’ qua e un po’ là…).

E’ tuttavia rilevante come oggi sia completamente assente una teoria di riferimento o una filosofia o un paradigma che sappia dare un senso ed un valore ad una situazione professionale ed assistenziale di base.

La teoria della complessità dovrebbe essere lo stile, l’approccio alla realtà adeguato per indicare un concreto/compossibile percorso ed un metodo operativo diverso da quello del pensiero unico e dalle sue strategie fallimentari.

In particolare le piccole comunità, considerate come sistemi complessi, potrebbero dare origine a visoni antropologiche ed etiche in grado di integrarsi con gli elementi del sempre valido paradigma bio-psico-sociale. La sperimentazione, da parte degli assistiti e dei professionisti, di sistemi valoriali verso la salute, il benessere ma anche la terza e quarta età e “l’orizzonte degli eventi” potrebbe essere in grado di dare un senso di serena consapevolezza alla quotidianità delle persone.

Per la medicina è fondamentale riorganizzare i saperi, che oggi sono incarcerati nelle singole discipline, affinché si possa, con disegni più umanistici e meno fideistici, contrastare una idea di salute virtuale, eterna, indefinita e “assicurata” senza più umanità (postumanesimo). Da questo punto di vista il mmg potrebbe svolgere un importantissimo ruolo di riferimento professionale e culturale per i suoi assistiti.

Alcuni esempi di complessità riportati in letteratura (stormi di uccelli, branco di pesci, formicai, sciami, eserciti, squadre di calcio, Ausl, istituzioni, orchestre…) possono essere riproposti anche per descrivere le piccole comunità. I più svariati contributi individuali si intrecciano con quelli collettivi tanto da innovare e trasformare in modo creativo (e compossibile) gli stessi sistemi in cui sono immersi (es.: AFT). Pur non esistendo condizioni ideali per sempre e isolate dal contesto è necessario oggi, almeno culturalmente, porre fondamenta etiche ben individuabili per ogni strategia organizzativa dove ogni singolo assistito e professionista venga considerato “fonte di conoscenza” : si potranno così affrontare provvedimenti più ampi, collettivi e condivisi (alcune scelte meno scontate potrebbero garantire risultati e successi infinitamente superiori all’economicismo farmaco-diagnostico aziendale predicato da anni e figlio di una cultura riduzionistica).

Nel periodo covid, alcune piccole realtà insieme ai propri professionisti, il giorno stesso dalla dichiarazione del lockdown, sono state in grado di sfruttare l’inatteso, l’incertezza, le indicazioni contraddittorie, il disorientamento delle istituzioni sanitarie mettendo in atto, in autonomia, nel giro di poco tempo, terapie e comportamenti assistenziali che alla fine si sono dimostrati molto efficaci, senza mai chiudere i servizi.

La comunità intesa come pazienti e professionisti (di una AFT) quando può crescere in autonomia, al fine di considerare i vari aspetti emergenti dalle relazioni complesse del proprio sistema collettivo, può diventare una potenza, un riferimento, un nodo, uno stimolo ed una creatività per tutta la rete assistenziale.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma

07 aprile 2025
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Davvero con le Case e gli Ospedali di Comunità per realizzare una sanità di prossimità?

18 MAR - Gentile Direttore,
il termine “comunità” rischia di diventare un oggetto inflazionato, démodé, di pronto consumo, un slogan automatico e spesso autoreferenziale appiccicato a qualunque cosa (case, ospedali, quartieri, situazioni…).

È noto che il Documento Next Generation UE ha raccomandato un riordino (a causa dell’esperienza covid) delle cure primarie territoriali orientandole al massimo della prossimità. Questa indicazione generale della UE è stata (da chi?) forzatamente incanalata in una direzione rigida, statica, protocollare, normata dalle agenzie (sistema delle Case della Comunità & degli Ospedali di Comunità & delle COT, ecc.) orientate ad azioni in conto capitale (una tantum). Attualmente la parte della gestione (conto) corrente secondo quanto riportato da Maragò e Rodriquez (QS del 13 marzo 2025) per le CdC è del 3%!

Eppure vi sarebbe stata a disposizione una corposa letteratura che indica possibili altre direzioni da percorrere probabilmente più aderenti ad una visione contemporanea della prossimità dove la teoria dei sistemi complessi viene opportunamente integrata con il paradigma bio-psico-sociale. Alcune strategie avrebbero potuto dimostrare molta più efficacia ed efficienza nell’assistenza territoriale di vicinanza e meno impegno dal punto di vista economico: ci si riferisce ad una revisione operativa delle Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT della Riforma Balduzzi 2012) dette anche dei Nuclei di Cure Primarie (NCP). Il prestito PNRR deve essere comunque restituito in quanto pur avendo ricevuto 68,9 miliardi a fondo perduto, 122,6 miliari dovranno essere rimborsati entro il 2058.

Il sistema Case della Comunità (poche spoke e pochissime hub), Ospedali di Comunità (rarefatti), le COT (l’estrosa infografica prodotta dell’agenzia difetta un po’ in comprensibilità) mostrano tutt’ora affanno, tuttavia la recente notizia del possibile commissariamento dell’Agenas non inficerà certamente il lavoro svolto dalla sua istituzionalizzazione ad oggi (QS L. Fassari, 14 marzo 2025). Con le numerose situazioni di commissariamento all’interno del servizio sanitario nazionale si potrebbe pensare anche di fare un campionato di eccellenza in aggiunta a quello esistente.

Nel frattempo sbucano, qua e là, informative su possibili accorpamenti delle AFT.

Non si tratta solo di dare forma a “superaziende” uniche (Ospedaliere-Universitarie-Territoriali) ma di operare anche su scale inferiori riducendo ambiti che in teoria avrebbero dovuto risentire positivamente, dopo tanto tempo, delle indicazioni del PNRR e di una sanità più equa. Accorpando un certo numero di AFT o NCP se ne riduce di fatto il loro numero totale, in opposizione a quanto sostenuto dalla stagionata Legge Balduzzi (non abrogata). La nuova ingegnerizzazione territoriale permette di offrire quindi a queste AFT accorpate una CdC Hub, forse anche un Ospedale di Comunità, potrebbe scapparci anche una COT ecc. Sembra una operazione opposta a quella definita economia di scala. Sarebbe una “distribuzione concentrata” che ancora una volta va a scapito dell’eticità e della capillarità. Oppure può sembrare una “esclusività forzata”: quando le risorse destinate ad un territorio vengono distribuite su due settori si creano vantaggi di prossimità ad alcuni e svantaggi professionali e assistenziali ai molti che hanno subito l’accorpamento. Il riordino del PNRR potrebbe tendere ad incrementare quindi le discriminazioni quando in teoria dovrebbe ridurle. Il vento controriformista è riuscito a trovare un nuovo ambito di influenza.

La tormentata opera di riordino delle cure primarie, così impegnata nella sua govenamentalità, è incline a dimenticare la tradizione culturale della professione medica, la sua deontologia, i principi operativi distintivi sintetizzati dall’albero Wonca. Tralascia, in particolare, il fatto che la medicina generale territoriale ha contribuito a costruire nel tempo, in osservanza ai determinanti di salute, reali piccole “comunità solidali”. Le aggregazioni comunitarie solidali non possono essere paragonate al sistema delle Case della Comunità o agli Ospedali di Comunità che, per il momento, possono vantare solo nomi evocativi.

Non sarà certo sfuggito ai più che numerosi servizi ipotizzati nelle Case della Comunità, Hub e Spoke, sono classificati come non obbligatori, facoltativi o raccomandati a fronte di una ostentata completa prossimità. Se lo standard per una CdC hub è di 50.000 abitanti di che prossimità si parla? E quando si prevede un Ospedale di Comunità ogni 100.000 assistiti perché ci si ostina a definirlo di comunità? Le comunità solidali sono invece preesistenti ad ogni sovrastruttura e hanno soprattutto caratteristiche di tipo etico e solidaristico. Queste comunità che, come riporta anche la Legge Balduzzi, non dovrebbero superare mai le 30.000 persone, non entrano mai in concorrenza sulla salute e cercheranno un benessere intelligente e percorribile che non crei disgregazione di tradizioni e costumi (patrimonio di emancipazione).

La sanità territoriale autonoma può moderare le conflittualità temperando i vari particolarismi egoistici compresi quelli aziendali. Secondo Hegel l’idea di solidarietà passa attraverso il riconoscimento reciproco e l’integrazione all’interno di un sistema valoriale che, pur se rappresentato da comunità piccole, viene accettato e rispettato anche dalle istituzioni.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

QdS 18 marzo 2025


Bisogni, diritti e democrazia

24 FEB - Gentile Direttore,
sia concesso esprimere, in estrema sintesi, una riflessione sul tema dei bisogni e dei diritti in occasione della annunciata modifica dell’assetto organizzativo delle cure primarie. Il bisogno dovrebbe riguardare una necessità essenziale, naturale, ontologica per l’essere umano. Vi sono numerose situazioni definibili come bisogni. In questa sede si vorrebbe fare riferimento al bisogno “salute”.

Il diritto è un bisogno formalizzato. Il sistema sociale/giuridico (es.: il diritto alla salute) dovrebbe garantire il soddisfacimento di quel bisogno e assicurare che il suo godimento si realizzi in modo equo ed universale. I diritti, anch’essi numerosi, si possono modificare nel tempo perché strettamente collegati al contesto culturale e sociale.

La globalizzazione, il consumismo, il neoliberismo, la finanziarizzazione dell’economia, il secolarismo, gli scenari geopolitici conflittuali sono macrofenomeni “furiosi”, manifestatisi in poche decadi e precipitati come una tempesta perfetta sul diritto alla salute. Nondimeno hanno condizionato negativamente l’efficienza e l’efficacia del nostro SSN le numerose controriforme inserite nella normativa generale a dimostrazione dell’assenza di un’analisi della complessità. L’allontanamento centrifugo (l’assistito/cittadino è al centro!) da quanto sancito dal diritto tradizionale e culturale a protezione della salute è sempre più veloce in quanto i dettami economicistici portano a considerare la salute come se fosse una cosa, un prodotto da consumarsi al momento.

Il super store sanitario promuove in continuazione un turbinio di prodotti alla moda: preliste, Cau, mega aziende uniche, distretti, comitati consultivi misti, conferenze socio sanitarie territoriali, commissari e sub commissari, offerta ambulatoriale dei mmg ad orario pieno, CdC, dipendenza dei mmg, ruolo unico, liste d’attesa e risoluzioni delle liste d’attesa grazie ad interventi mediatici, community lab… Ogni costoso lancio pubblicitario comporta la nascita di tifoserie opposte. Eppure, come dimostrano le recenti dichiarazioni relative alle “voragini” nei bilanci sanitari regionali, ci si trova all’interno di un sistema di mercato molto instabile. Una sanità mercantesca non potrà mai essere per tutti.

Alcuni filosofi moderni ma anche contemporanei avrebbero asserito che l’individuo oggi sarebbe addirittura disposto a rinunciare, in parte, ad alcuni storici diritti (es.: la libertà) in cambio di una più stabile condizione di salute (migliore economia/benessere o più sicurezza come determinanti). La libertà, considerato un bene fondamentale, potrebbe essere quindi in parte sacrificata pur di far fronte alla sensazione di un servizio sanitario sempre più precario e impoverito. A conferma del fatto che una cattiva gestione della salute possa coincidere con una riduzione significativa della democrazia.

A baluardo di questa tossica gestione sanitaria le piccole comunità sembrano ambiti unici dove può essere possibile rigenerare diritti e democrazia, dove la tradizione di salute presenta ancora radici profonde e dove, nonostante tutto, continua a generarsi una solida cultura identitaria.

Le piccole comunità sono alternative ai supermercati sanitari, agli apparati e alle alte dirigenze aziendali: rimangono pietre d’angolo su cui è lecito tentare di ricostruire il diritto alla salute. Per sua natura il neoliberismo non considera le piccole realtà. È portato a globalizzare. A riunire consumatori intorno alle CdC. Ad incrementare regole su regole (es.: ipotizzata dipendenza dei mmg). A ricercare un economicismo esasperato che non verrà mai raggiunto nemmeno con “ulteriori finanziamenti”.

Una politica sanitaria solida si crea solo a contatto con le persone, in un territorio limitato. Quando i fatti massificati vengono imposti dall’alto si manifesta la mancanza di rispetto per le comunità e per le loro tradizioni, la democrazia si indebolisce, si svuotano le ricchezze intellettuali, si impoveriscono le persone.

Emblematico è l’episodio della controriforma sulle Case della Salute della regione Emilia-Romagna del 2016: un improvviso eccesso di governamentalità e di norme, per lo più incomprensibili, ha avuto l’effetto di bloccare (per quale motivo?) in toto lo sviluppo di un programma sulle Case della Salute “grandi” che avrebbe potuto portare, le piccole comunità, a sviluppi interessanti. Similmente nulla vieta che possa diventare più conveniente affrontare sanzioni o perdere finanziamenti europei che edificare strutture (CdC) che poi necessiterebbero di impegnativi interventi in conto corrente attualmente insostenibili e probabilmente inutili.

L’esagerazione regolamentale è funzionale solo all’apparato burocratico economicistico ma ostacola le comunità, il bene comune, la libertà e anche la democrazia (il processo decisionale aziendale/regionale è monocratico con l’obiettivo del pareggio di bilancio).

Pare che nei prossimi Accordi Regionali si tenti di riattivare le storiche AFT (Riforma Balduzzi 2012) più confacenti ai territori (non superiori alle 30.000 anime.) L’acronimo AFT è poi stato modificato in molte regioni. Nella regione Emilia-Romagna una circolare, emanata a suo tempo, ha certificato la sostanziale sovrapposizione tra Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT) con i Nuclei di Cure Primarie (NCP), cioè i quartieri.

Questa riabilitazione, in ritardo colpevole, conferma che le piccole comunità possono rimediare ai gravi errori aziendali e offrire una originalità innovativa, presente nel loro spirito, grazie alla tradizione e alla cultura identitaria. L’autonomia dei territori risulta quindi fondamentale. Se questa non verrà formalizzata l’AFT/NCP sarà comunque invasa dalla burocrazia aziendale che tornerà a riprendersi i propri spazi e riproporrà gli stessi arcaici e superati metodi gestionali (“cadaveri concettuali”).

Nel tempo molte alte dirigenze sono passate davanti agli occhi di professionisti e pazienti più come comitati aziendali in gita premio che come persone preoccupate dei bisogni dei cittadini affidati alla loro gestione. Folle è stata la mancanza di autocritica.

Il fallimento dell’aziendalizzazione (Ausl) da tempo sostenuto da I. Cavicchi ora è finalmente riconosciuto da numerosi altri commentatori (es.: Jorio QS 19 febbraio 2025). Ne deriva che anche altri elementi funzionali alla piramide sovrastrutturale aziendale come i distretti palesino la loro inutilità. Tuttavia aziende e distretti, paradossalmente, costituiscano tutt’oggi l’elemento portante della c.d. riforma che intende riorganizzare le cure primarie sul “mantra” della prossimità edificata sulle insignificanti CdC spoke. Per trovare ipotesi innovative ed alternative di riordino delle cure primarie basterebbe essere in grado di guardare fuori dalle finestre (sigillate?) degli apparati e delle agenzie.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

24 febbraio 2025
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COMUNITA’ SOLIDALE PARMA (CSP)

Sabato 1 marzo dalle 17.00 La comunità solidale di Parma (CSP) organizza il secondo incontro sul tema del prendersi cura con l'aiuto dell'arte, dal titolo "DONNE PER L'ARTE: Musei ed artiste"(allegato 1).

L'incontro si terrà presso la sede di Comunità solidale di Parma in via Trieste 108/A.

L'iniziativa fa parte degli eventi per la giornata internazionale della donna e la relatrice dell'incontro sarà l'Ingegnere Bruna Giordano.

ALLEGATI:

CSP EVENTO SABATO 1 MARZO 2025


I convitati invisibili

07 FEB - Gentile Direttore,
i recenti interventi sul tema della “riduzione” a dipendenza del mmg hanno permesso di leggere argomentazioni a favore ed elementi di criticità molto interessanti. Sono numerosi i portatori di interessi (stakeolders) che insistono sulla questione: i mmg, le aziende, le imprese (con i loro welfare aziendali che risultano essere più benefit consumistici come l’auto o il telefonino che veri processi di salute), le agenzie, le regioni, il Ministero, l’Enpam, i sindacati, la Fnomceo… Rimane poco analizzato invece il punto di vista dei cittadini/assistititi pur frequentemente citati come “centrali” nelle numerose dichiarazioni di intenti (convitati invisibili).

Ci sono in discussione la proposta di riforma/disegno di legge di Foza Italia e il Documento di Riforma/Atto di indirizzo del Ministero della Salute fortemente sostenuto dalle Regioni. Constatato che l’egemonia della Conferenza Stato-Regioni dura da numerose decadi si potrebbe profetizzare che molto difficilmente si verificheranno modifiche sostanziali allo stesso atto di indirizzo.

E’ singolare inoltre che le elaborazioni vedano la luce, quasi in contemporanea, nell’ambito della maggioranza parlamentare e di governo. L’opposizione, fortemente impegnata ad indicare la sanità come una priorità, non è stata in grado di formulare una proposta concorrenziale o alternativa. Verosimilmente perché prigioniera delle numerose controriforme emanate nel lungo periodo dove si è trovata a gestire il SSN? Vi sono altresì posizioni contradditorie e imbarazzanti a sostegno (di rendite di posizione) o in contrapposizione (culturali, professionali ma anche ideologiche o inerziali).

Il dibattito pare non consegnare però nulla di veramente nuovo. Se il Documento di Riforma/Atto di indirizzo dovesse in qualche modo arrivare in Parlamento verrebbe comunque approvato e probabilmente applicato. La legge/riforma Balduzzi (2012) è stata approvata dal Parlamento, poi non è stata applicata ma nemmeno abrogata.

L’importanza del tema potrebbe quindi suggerire un ulteriore approfondimento o meglio un patto trasversale e bipartisan per non rischiare bizzarre antinomie o rigide intransigenze avulse dal paradigma culturale fondamentale che, per la nostra epoca, è quello della complessità.

Attenendosi al metodo aristotelico è opportuno prendere visione di quanto la letteratura esistente mette a disposizione degli studiosi sul tema in questione. Non esistono moltissime ricerche o approfondimenti:

  • Criteri valoriali Wonca per la medicina generale territoriale;
  • la Quarta Riforma (I. Cavicchi) in particolare nel cap. 15;
  • Medici vs Cittadini un conflitto da risolvere (I. Cavicchi) in particolare nel cap. 7
  • La scienza impareggiabile (I. Cavicchi);
  • Salviamo la sanità ( I. Cavicchi);
  • Nuovo patto-contratto tra medici professionisti della sanità territoriale e il SSN: un tentativo innovativo di comporre un ACN per le cure primarie subito dopo la promulgazione della legge Balduzzi, reperibile sul web;
  • L'integrazione multiprofessionale e multidisciplinare vs epidemia della cronicità reperibile su youtube.

    Il questionario somministrato agli assistiti di una medicina di gruppo (QS 4 marzo 2024) permette al nostro Centro Studi di contribuire allo scambio di pareri in atto (dipendenza o non dipendenza dei medici di fiducia) esponendo il pensiero degli assistiti/cittadini.

    Gli abitanti delle piccole comunità considerano il medico di fiducia il depositario di una dottrina altamente complessa che nella quotidianità assistenziale segue metodologie raffinate (connesse con l’etica, la cultura e la competenza professionale). Il paradigma della complessità implica, anche nell’assistenza territoriale, un adeguato collegamento con il contesto sociale. L’introduzione di rigide variazioni logistiche, tabelle orarie, regole amministrative e cultura governamentale potrebbe risultare altamente inadeguata all’archetipo di riferimento.

    La dipendenza crea inoltre una “piena disponibilità” di un esercito di professionisti che verrebbe affidato a generali che hanno già gestito la stagione delle controriforme dando prova di una cultura della complessità miserrima. Infatti la concezione neoliberista ed economicistica, imperante nelle alte dirigenze, ha portato l’assistenza territoriale al livello critico in cui si trova ora.

    Il mito dell’ “oggettivazione” aziendale analizza la pratica dell’assistenza realizzata dai mmg nei confronti dei loro assistiti in modo strettamente quantitativo, matematizzato, economicizzato. Quindi frantumato. E’ inevitabile che una cultura così parziale e “chiusa” diventi anche isolata e causi un impoverimento delle conoscenze e delle capacità creative (per la soluzione dei problemi). L’esperienza dimostra che più il clima intellettuale immiserisce più emerge il fenomeno della manipolazione e della scarsa trasparenza: le alte dirigenze sono portate a concentrarsi sulla regolarità, sulla monotonia, sulla staticità, sulla semplificazione tralasciando completamente l’evento singolo che potrebbe avere invece un ruolo molto rilevante.

    Le persone, soprattutto i pazienti difficili o esigenti, non sono mai spazi ordinati ma rappresentano una continua interazione tra ordine e disordine, catabolismo ed anabolismo, entropia ed entalpia, piena vita e terminalità.

    Le conoscenze, quindi, non possono essere sminuzzate. L’organizzazione assistenziale territoriale richiede molta autonomia e ampi spazi di relazione per esercitare quotidianamente una visione complessa.

    E’ forse mancato un produttivo dialogo ex-ante. Se ci fosse stato un fruttuoso scambio di idee i testi si sarebbero nutriti di fertili logiche diversificate. Sarebbe stato condiviso ed accettato che, proprio a livello territoriale, un processo non possa mai essere considerato risolto una volta per tutte. Probabilmente una certa rigidità avrebbe lasciato spazio a numerose sperimentazioni per le comunità locali di quartiere in grado di creare sistemi auto-organizzati ed autoregolati.

    La complessità infatti valorizza l’incertezza della conoscenza ma crea, paradossalmente, un progresso innovativo che porta all’optimum e non al maximum utilitaristico (R. Panikkar 2009). Più c’è autonomia, più si favorisce la relazione e la consapevolezza dei limiti tanto che si potrebbe essere spinti ad elaborare approcci innovativi condivisi per affrontare insieme alle comunità le problematiche quotidiane (es.: appropriatezza comportamentale e prescrittiva).

    Bruno Agnetti
    Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

    07 febbraio 2025
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Dialogo di tipo socratico e la narrazione fiabesca sulla sanità

20 GEN - Gentile Direttore,
dopo aver letto con piacevole interesse il recente contributo di Ivan Cavicchi (La privatizzazione della sanità, QS del 9 gennaio 2025) che ha presentato un focus sulla virtù teologale della carità e sul cinismo (in caso venisse meno la carità), il nostro Centro Studi è stato sollecitato ad elaborare una riflessione su temi valoriali adottando strumenti narrativi meno convenzionali ma ritenuti, proprio dai non addetti ai lavori, altrettanto significativi se non addirittura più comprensibili.

Si è ritenuto quindi di proporre alcune figure retoriche come il “Dialogo” di tipo socratico e la “narrazione fiabesca” utilizzata come metafora continuativa (in allegato) per approfondire il già ricordato tema della virtù teologale della “carità” considerato che sulla “speranza” come bisogno assoluto ed immediato si era già argomentato su QS dell’11 ottobre 2024.

Queste esposizioni, per quanto inusuali e forse inaspettate, potrebbero fare emergere significati sociali e culturali in grado di stimolare riflessioni inesplorate. Nulla più di questo. Ma almeno questo.
La favola e il dialogo vorrebbero offrire chiavi di lettura in grado di decodificare alcune contraddizioni pesantemente persistenti nel nostro sistema sanitario difficilmente eliminabili. Un tema particolarmente critico riguarda il conflitto, in ambito assistenziale, tra l’autonomia caritatevole e la compresenza di protocolli burocratici aziendali molto secolarizzati.

L’impiego di figure retoriche particolari desidera inoltre tentare di affrontare, in modo innovativo, la straordinarietà dei tempi che stiamo vivendo al fine di affrontare la complessità delle sfide intellettuali in campo.

La creatività narrativa potrebbe anche suggerire sperimentazioni o nuovi approcci operativi proprio nell’ambito delle argomentazioni sulla organizzazione assistenziale territoriale più recenti (Case della Comunità, Dipendenza dei mmg, doppio binario tra i mmg dipendenti e inseriti nelle case della comunità e mmg liberi professionisti operanti nelle campagne o in zone difficili).

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

20 gennaio 2025
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Allegati:

DIALOGO SOCRATICO


La favola della Casa della Salute Grande e dell'ospedale della Comunità del Quartiere San Leonardo

09 GEN

Dona Salute al tuo quartiere Il progetto originale di Casa della Salute e Casa della Comunità elaborato dalla Associazione di Volontariato "Comunità Solidale Parma", associazione regolarmente iscritta al RUNTS.

Buona visione!

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

15 gennaio 2025
© Riproduzione riservata


Informazione/comunicazione nella medicina generale territoriale

09 GEN - Gentile Direttore,
il processo informativo dovrebbe arricchire le conoscenze (in formazione) e la comunicazione essere uno scambio di pareri, idee, emozioni tra persone (cum unum). E’ verosimile che le normative in ambito sanitario non abbiano mai raggiunto questi obiettivi.

Leggi controriformiste, ACN, AIR, AIL, Delibere, Intese, Circolari, Documenti di Agenzie per i servizi regionali, Determinazioni della Conferenza Stato-Regioni, elaborati di organizzazioni e gruppi… per anni hanno incrementato la pinguedine morbosissima del mondo della medicina di base creando la situazione che, ora, è sotto gli occhi di tutti ammorbata da una sindrome metabolica cronica evolutiva incurabile.
Infatti, il più delle volte, i decreti potestativi, unilaterali ed obbligatori sono sostanzialmente non opponibili.

Numerosi sono gli esempi, anche recentissimi, millantati di pregresse condivisioni (es.: tavoli sindacali) ma incapaci di modificare di un millimetro la sostanza del potere decisionale direttoriale. Un tempo gli ACN riportavano almeno nell’incipit un chiaro richiamo culturale alle indicazioni (etiche e deontologiche) Wonca, relative alle caratteristiche valoriali della medicina generale territoriale.

Poi questi riferimenti sono misteriosamente spariti pur essendo essenziali per dare un senso a qualunque norma socio-sanitaria territoriale. Informazioni/comunicazioni d’intenti general generici non hanno valore se non sono sostenute da specifici principi culturali che dovrebbero scrupolosamente essere riportati in una bibliografia ipertestuale istantanea in quanto oggi, i valori etici, sono molto più importanti delle infinite citazioni di norme e leggi di apparato (incomprensibili e contradditorie).

In caso contrario si diventa “prigionieri del passato” (I. Cavicchi, QdS del 7 gennaio 2025).

I tempi cambiano velocissimamente. Forse la data di scadenza è giunta al termine anche per l’apparato burocratico che esprime la propria governamentalità nella debordante produzione protocollare.

L’avvento dell’Intelligenza Artificiale (IA) sempre più attrezzata, pur algoritmica cioè meccanica, potrebbe essere in grado di turlupinare, in pochi secondi, qualsiasi documento amministrativo che non sia elaborato da galantuomini e palesare il diabolico e stolido perseverare nel “tragico errore di valutazione della realtà”.
Esempio eclatante è quello dato dal documento PNRR, missione 6, dove l’analisi testuale evidenzia la sollecitazione europea al potenziamento delle cure di prossimità mentre le Case di Comunità (deteriorato surrogato delle Case della Salute) sono citate solo come esempio e non come vincolo (tuttavia le CdC sono assunte ora come lacerato vessillo del pensiero unico per celare ciò che doveva essere fatto ma che è mancato).

La bolla delle incredibili e tautologiche “interpretazioni autentiche” crollerà miseramente sotto il peso della stessa contraddizione in termini. I “ladri di diritti” hanno creato guai inenarrabili a professionisti e ad assistiti portando alla rovina un prezioso patrimonio di idee in grado di dare significato all’esperienza quotidiana…

Le comunità, tuttavia, per quel che possono, si oppongono allo sfascio misurandosi giornalmente con la critica, l’autocritica e l’interazione. In questo modo cercano di conservare un forte senso di identità (intellettuale) e una chiara direzione in favore del bene comune rappresentato da quel che resta dalla medicina generale territoriale. Per le comunità l’evoluzione sociale non è mai banale ed essere continuamente in situazioni di confronto con la complessità genera la cultura dall’arte del narrare esperienze e spiegazioni (da non confondere con lo storytelling aziendale).

Nel lontano 2012 la stessa Sisac lamentava la cattiva abitudine di redigere documenti farraginosi e zeppi di contraddizioni che li rendevano pressoché incomprensibili. Le norme in merito alle cure primarie, ancora oggi, ricorrono all’impianto strutturale dell’ACN del 2005. Il DM 77, in fase di revisione a causa di intrinseche antinomie, non ha abrogato la Legge Balduzzi del 2012. Il caos normativo permette qualsiasi interpretazione rituale senza lasciare spazio per un anelito, una idea coraggiosa, una adeguata programmazione, basata su valori etici, degna di una vera arte di governare. Viene il latte alle ginocchia nel constatare che non vi è più nemmeno il senso della vergogna (“ladri di diritti”) tanto che, persone di buona volontà, propongono oggi, come unica possibile soluzione di riforma sanitaria, una azione bipartisan (forse) in grado di aggiornare vecchie questioni deragliate dalla corretta epistemologia e capace di approcci innovativi non convenzionali creativi, spirituali, intellettuali e culturali.

Certo che ipotizzare, in epoca globalizzata e neoliberale, una valida organizzazione dell’assistenza primaria non è cosa da poco se, da quando è iniziato il dibattito e lo scambio di opinioni su cosa e come fare (dalla istituzione del SSN del 1978) a tutt’oggi, non si è riusciti ancora a trovare il bandolo della matassa. Forse perché l’incapacità o l’incompetenza di trovare una soluzione compossibile (che almeno possa riferirsi ad un capitalismo pubblico illuminato) sta proprio nelle istituzioni e nelle alte dirigenze, talmente imbevute di globalizzazione e di neoliberalismo che al confronto la regionalizzazione differenziata appare una quisquilia. L’inerzia concettuale degli apparati è pedantemente resistente alle innovazioni, intollerante, impositiva. Disprezza le alternative e le esperienze minoritarie delle comunità. Dispensa risposte acritiche e modelli (prevalentemente esotici) rassicuranti ma mai che si avventuri verso nuove e interessanti domande (L. Floridi 2024). Intanto il tempo scorre e l’uomo saggio non può che vagare nel non essere (Byung Chul Han 2024).

In questa situazione regressiva pervasiva, la riforma del SSN del 1978 può apparire come una emanazione extra-terrestre e anche l’art.32 della Costituzione può essere considerato un reperto alieno non ancora decodificato. In particolare qualche xeno-archeologo potrebbe sostenere che la parte terminale del primo comma dell’art.32 contenga la profezia autoavverantesi di una americanizzazione del SSN.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

09 gennaio 2025
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Filosofia delle cure primarie (il metodo bipartisan)

12 DIC - Gentile Direttore,
alcuni commentatori, in merito all’attuale situazione sanitaria nazionale e locale, hanno promosso una possibile strategia normativa di tipo collaborativo tra schieramenti diversi al fine di raggiungere un’intesa riformatrice della sanità considerata come bene comune (Comitato di Salute Pubblica, Cavicchi 2022).

L’occasione per ribadire la metodologia viene offerta da un significativo episodio avvenuto in Parlamento durante il dibattito relativo alla legge di Bilancio dove numerosi parlamentari di tutti gli schieramenti hanno proposto, unitariamente, un emendamento socio-sanitario ad un articolo della “finanziaria” (T. Petrangolini su QS del 29 novembre 2024).

Ivan Cavicchi (QS 9/12/2024) espone un impietoso elenco di contraddizioni accumulate nel tempo (controriforme) che incrementano massimamente la percezione soggettiva e collettiva di insicurezza. La fiducia nelle istituzioni sanitarie è costantemente erosa dalle incoerenze nei confronti del contesto. L’esempio emblematico è dato dalle Case della Comunità che sono state decise in tutta fretta per adeguarsi alle norme europee. Queste norme raccomandavano la realizzazione di un migliore servizio sanitario di prossimità. L’eventuale edificazione delle CdC veniva indicato solo come esempio. Forse la “prossimità” potrebbe essere concretizzata in tanti altri modi. Infatti le CdC dimostrano già la loro inadeguatezza e senescenza ancor prima di essere costruite o surrogate con il cambio dei loghix su edifici già pre-esistenti.

Il motore PNRR sbuffando e sferragliando arriverà dove le normative hanno stabilito debba arrivare. Tuttavia qualche attento osservatore avrà notato come il tema delle CdC si sia gradualmente “seccato di se stesso” a causa di una sua inconsistenza sostanziale. Molte scelte sono regressive, prive di autoanalisi critica e mescolate con elementi economicistici.

Il tornaconto per troppo pochi viene barattato come una prassi consociativistica predestinata, una verità unica che distorce la realtà e sbriciola l’autonomia e la pluralità cognitivo-comportamentale anche degli sfibrati professionisti territoriali (combattere il nepotismo all’interno degli enti locali e regionali. Congresso dei poteri locali e regionali del Consiglio d’Europa 2019). Le opportunità di poter partecipare a dibattiti pubblici chiarificanti detti di “partecipazione” mostrano una palese carenza di autenticità.

Si è passati velocissimamente da ipotesi territoriali orientate verso le Case della Salute (dove almeno sulla carta le così dette CdS grandi presupponevano concreti miglioramenti dell’organizzazione territoriale) alle inefficaci CdC troppo avulse dai reali bisogni contestuali degli assistiti e dei territori e quindi palesemente indirizzate ad un peggioramento dell’assistenza. Infatti la (futura?) diffusione territoriale di CdC spoke o hub sono dettate da criteri tutt’ora oscuri ai soggetti che animano i territori (assistiti e professionisti). Da questo punto di vista alcune alte dirigenze palesano un ottimismo completamente fuori luogo. E’ diffuso invece un evidente pessimismo che a sua volta crea ansia, depressione, paura, burnout in operatori e cittadini. Le figure barbine mostrate in tema di liste d’attesa (risposte di alcune alte dirigenze a cittadini e giornalisti ) pongono seri dubbi sulla perizia normativa quando la legislazione non è auto-protettiva delle stesse alte dirigenze.

L’aria che tira oggi viene da lontano. Ha rubato la speranza. Anche la trasparenza è stata rapita. In questa situazione non è possibile sviluppare una conoscenza intellettuale innovativa. Le comunità soffrono quindi per questa povertà concettuale. L’autonomia di professionisti e comunità (necessaria per affrontare la complessità dell’assistenza territoriale ) è stata oltremodo squalificata da movimenti di opinione che proponevano, per il riordino delle cure primarie, modelli “altri” per non dire eccentrici dimenticando, colpevolmente e forse offensivamente, le esperienza locali ( ad es.: delle medicine di gruppo che cooperano strettamente con il volontariato dedicato) meno di tendenza ma con solide narrazioni pluridecennali documentate.

Si può dire che, per alcuni autori, anche i medici di famiglia siano considerati alla stregua di “mezzadri digitali” (P. Benanti, 2024) che possono cambiare continuamente “padroni” ( es.: DG, DS, Commissari, Sub-commissari ecc.) al fine di non riuscire mai ad instaurare una qualche relazione utile. Le disuguaglianze e le discriminazioni professionali e assistenziali non sono mai scomparse. E’ altresì in atto il tentativo di scovare qualunque tipo di salvacondotto assolutorio nei confronti dei guai procurati dalle catena di comando. Il vecchio adagio “promoveatur ut amoveatur” potrebbe ancora oggi contenere alcuni ammaestramenti. Purtroppo l’immaginario professionale e degli assistiti si è assuefatto all’idea che la disuguaglianza sia intrinseca così come la marginalizzazione sociale.

E’ per questo che potrebbe essere necessario sancire un patto d’onore tra gli schieramenti in quanto nessuno, a livello decisionale nazionale, regionale e locale è esente da colpe nei confronti della situazione in cui si viene a trovare il servizio sanitario. Le differenziazioni assistenziali accatastate nel tempo da aziende e regioni hanno causato polarizzazioni e divisioni che non possono essere affrontate senza un approccio coordinato bipartisan. Il riconoscimento politico reciproco permette di superare gli interessi di parte (pluridecennale gestione del potere) e di accettare criteri e regole comportamentali condivise ai più alti livelli. Questo patto d’onore deve essere anche ritualizzato, non si crea cultura se non c’è culto (Zamagni 2015) tramite un impegno solenne assunto nei confronti dei cittadini.

Il sorprendente esempio dell’azione condivisa tra schieramenti diversi che si è verificato in Parlamento può delineare quel movimento “unitario” che potrebbe sfociare in un “nuovo” riformismo per la sanità italiana (pubblica e privata) in grado di rifondare il SSN (1978) trasformando il 2025 nell’anno della riforma.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

12 dicembre 2024
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