“Roba minima”
Gentile Direttore,
il presente contributo vorrebbe essere una micro-analisi relativa ad alcuni processi decisionali derivati dalle norme sulla regionalizzazione e sull’aziendalizzazione del servizio/sistema sanitario nazionale. Secondo alcuni autori la modifica del titolo V della Costituzione ha prodotto vere e proprie “contro-riforme”, che a loro volta hanno condizionato negativamente le piccole comunità assistenziali territoriali e i loro mmg di riferimento.
Come volontariato dedicato all’ambito delle cure primarie di quartiere, crediamo che l’osservazione e la considerazione della semplice vita quotidiana, delle opinioni, dei pensieri dei pazienti e dei medici di base, delle narrazioni, anche se basate su percezioni soggettive, possano diventare strumenti potenti per far emergere le vulnerabilità di una organizzazione o di un sistema. Come direbbe il poeta è “roba minima” ma in grado di evidenziare possibili debolezze strutturali.
Le continue modificazioni sociali superano costantemente le normative sanitarie. Gli ACN e gli AIR e gli AIL prospettano organizzazioni povere in lungimiranza culturale e già ampiamente superate al momento della applicazione degli accordi. È proprio di questi giorni la notizia che la società della vecchiaia si stia trasformando in quella della longevità (Nic Palmarini, Direttore del National Innovation Centre for Ageing NICA) tanto che per la pima volta nella storia dell’umanità, si può assistere alla compresenza di cinque generazioni che si trovano a condividere il pianeta nello stesso momento. Che risposte sanitarie e professionali si possono dare a questa evidenza per altro segnalata anche dai recenti dati dell’Istat?
Resta tutt’ora incomprensibile come sia stato possibile tradurre il concetto di “prossimità” (Next Generation EU) con quello di Casa della Comunità (PNRR). Destano meraviglia i giochi pirotecnici per inserire le CdC in strutture ospedaliere. Si resta poi senza parole quando sono gli Ospedali di Comunità ad essere situati in complessi nosocomiali. Non male per strutture che si definiscono “di comunità”… I processi decisionali elitari che stabiliscono la distribuzione delle CdC hub e spoke non sono mai neutri perché le assegnazioni crea discriminazioni assistenziali e professionali. Si sostiene che la politica sanitaria ricerchi, senza sosta, la quadratura dei conti “di giornata” e che le esigenze neoliberali contabili prevalgano sui bisogni dei mmg e delle comunità. Sarebbe quindi molto più trasparente esplicitare questa ineluttabilità senza cercare di vendere logiche prettamente finanziarie come straordinarie innovazioni sanitarie, sociali e culturali.
Altre narrazioni si interrogano su alcune abilità o competenze dei mmg in grado di offrire soluzioni alle criticità territoriali attraverso l’istituto del “parere o del suggerimento di primo livello”. La prassi professionale quotidiana ha innumerevoli situazioni in cui il medico agisce con questa modalità senza la necessità di una attestazione obbligatoria che non sia l’iscrizione all’ordine dei medici. Anche nelle cure palliative territoriale il medico di fiducia rappresenta il primo palliativista di riferimento per il proprio assistito. Sovrapponibile è la situazione dell’ecografia generalista in quanto la responsabilità è professionale e non è attribuibile all’attestato formale (art. 3 del Codice Deontologico). Da questo punto di vista, nel passato alcuni assetti, equilibri o spartizioni funzionali potrebbero aver limitato normativamente questa attività ai professionisti che avrebbero voluto praticarla, liberamente o come prestazione aggiuntiva di particolare impegno, proprio a causa di imposizioni di criteri operativi esclusivi e difficili da razionalizzare.
La normativa che formalizza la presenza dei mmg con incarichi di consulenza organizzativa/istituzionale all’interno delle Azienda (medici in staff) è, a sua volta, oggetto di un movimentato scambio di idee. Teoricamente potrebbero essere posizioni preziose. Tuttavia l’esperienza pluri-decennale suggerirebbe di evitare questi ruoli che potrebbero creare forti conflittualità con altri compiti in essere oppure generare incomprensioni a causa della messa in atto di meccanismi opachi, poco formalizzati e in grado di alimentare percezioni di vicinanza più che di selezione meritoria trasparente.
Estremamente delicato è l’ambito dei corsi di formazione in medicina generale in quanto sembra che i coordinamenti, le docenze o gli organi di governo non sempre siano stati selezionati in modo competitivo, con criteri oggettivi, secondo curriculum e abilità esperienziali didattiche.
Anche la formazione ECM è oggetto di rumors in quanto può apparire vetusta ed inadeguata rispetto alle possibilità offerte dalla tecnologia (ogni professionista ogni giorno può accedere in tempo reale ad aggiornamenti o informative operando scelte a vantaggio della propria attività professionale). Il sistema aziendale/regionale tende a valutare più la quantità e la frequenza (cioè misura la burocrazia) che la qualità degli apprendimenti (cioè la competenza). I mmg (adulti in continua formazione e aggiornamento) utilizzano un apprendimento esperienziale all’interno di sistemi complessi dove le competenze professionali, relazionali e l’integrazione dei saperi in team rende obsoleta la rincorsa alle “firme di presenza”. La medicina di prossimità è soprattutto cultura, creatività e responsabilità. L’ECM è, invece, soprattutto ospedalo-centrica.
Conclusione. Le considerazioni su riportate si riferiscono a scelte gestionali completamente lecite e normate che tuttavia richiedono di delineare orizzonti di opportunità politica e soprattutto culturale. Da questo punto di vista non appare convincente l’idea, a volte evocata in dibattiti e confronti, che un semplice cambio di fase, di governance o di priorità possa “azzerare” ciò che è stato. Non è neppure realistico affermare che tutto possa ripartire come se nulla fosse accaduto: eventuali squilibri generati da assetti poco trasparenti, se mai si fossero verificati, lascerebbero comunque tracce nei territori, nei professionisti e nelle relazioni. Un sistema maturo e coerente dovrebbe essere in grado di riconoscere le opacità e di intervenire con la massima trasparenza immaginabile. Le autoreferenzialità sovrastimate e trascinate nel tempo non richiedono “partenze simboliche” o propagande di prossimità ( es.: CdC hub destinate ai soliti noti e CdC spoke riservate ai medici di serie B, verosimilmente inutili e che non superano, nei servizi, non tanto le Case della Salute “grandi” ma nemmeno le storiche medicine di gruppo ben organizzate e che certo non necessitano di fare riferimento a imbarazzanti e lontane strutture hub) ma drastici cambi dirotta, autonomia territoriale, un unico SSN e nuovi patti bipartisan (riforme costituzionali?).
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV
Bruno Agnetti
05 Dicembre 2025
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Obiettivi incompatibili e alternativi
Gentile Direttore,
nel Suo recente articolo (Manovra e Sanità, QS,7 novembre 2025) si ipotizzava, per il SSN, il rischio di una mancanza di visione. Dal nostro punto di osservazione, periferico, la mancanza di visione non sembra una idea lontana ma una palese evidenza, verosimilmente, immodificabile.
La regionalizzazione della sanità e l’aziendalizzazione, rigidamente ordinate ed inserite in Costituzione, non permettono sostanziali modifiche. Lo “status quo” resta solido in sella in funzione di “ottenere qualche briciola per il proprio silos”. Solo una utopistica procedura parlamentare molto simile, nelle tecnicalità, ad un patto bipartisan potrebbe restituire alla sanità ciò che da tempo invoca. Il contesto, ed in particolare l’assistenza territoriale di base, dovrà però aspettare molto; le normative vigenti ancorate a logiche novecentesche difficilmente riusciranno a rimettere il latte versato nel suo contenitore.
E’ lecito chiedersi oggi se gli esiti delle così dette “riforme” sanitarie Costituzionali abbiano creato, a livello territoriale, un’organizzazione assistenziale di servizio o di sistema. Un servizio sanitario pubblico dovrebbe prestare la massima attenzione alla persona adattandosi agli ambiti professionali e comunitari dei territori, delle aree interne e delle periferie.
Un sistema può essere, invece, molto burocratico dove gli apparati prevalgono sulle persone e l’autoreferenzialità relega in secondo piano i bisogni di cittadini e professionisti. Le gestioni oligarchiche/piramidali difettano in trasparenza e le responsabilità sono labirintiche. Le comunità assistenziali si sentono completamente estromesse dai processi decisionali sanitari che riguardano i loro territori; il “sistema” diventa quindi l’emblema di ciò che impedisce al “servizio” di essere davvero tale.
Le conseguenze bio-psico-sociali sulle operatività comunitarie, gravate dalle asimmetrie relazionali, colpiscono sia operatori che cittadini e sono state studiate, nella seconda metà del secolo scorso, da Christina Maslach. Oggi queste analisi si sono allargate a ulteriori fenomeni, in considerazione dell’imponente influenza determinata dalle nuove tecnologie.
Nell’ultimo ACN (2024) inerente il triennio 2019-2021 (orribilmente confuso e ampiamente superato ma che, tuttavia, ha dato vita ai numerosi Accordi Integrativi Regionali AIR del 2025) non viene menzionata nemmeno una volta la possibilità di una qualche iniziativa “sperimentale” che avrebbe permesso almeno di riconoscere quella minima condizione di autonomia di cui la sanità nazionale necessiterebbe come l’aria che si respira. Nel testo dell’AIR della Regione E-R (2025) il concetto di sperimentazione viene citato 3 volte: due volte per obiettivi meramente funzionali e una volta per promuovere gli incarichi a tempo determinato del ruolo unico, senza però nessuna specifica ulteriore. Risposte minime, quasi insignificanti, che alla fine spostano il peso delle problematiche disfunzionali sanitarie su operatori e assistiti. Le alte dirigenze hanno un “obiettivo non obbiettivo” aziendale (interessato, pre-concettuale e ribadito negli anni): fare cambiare le abitudini sanitarie ai professionisti della prima linea e alle comunità (erogazione e fruizione).
Può essere interessante, dal punto di vista culturale, notare come le strutture burocratiche, pur essendo rigide e per nulla flessibili, siano sempre in grado di ammortizzare e diluire le proprie criticità anche se deplorevoli. Ogni proposta alternativa viene immancabilmente lasciata macerare, controllata nel tempo e nello spazio e infine rielaborata, per poi essere reclamizzata come un nuovo, originale “servizio/offerta” aziendale in grado di generare un bisogno e poi un nuovo consumo. Questo processo, avendo una struttura esperienziale ed intellettuale fragile, il più delle volte condanna il “prodotto” ad un fallimento rapidissimo e all’oblio.
Quanto dureranno, nella sanità reale delle comunità e delle periferie, gli arzigogolati acronimi (MRUAPCS e MRUAPQO) che definiscono i Medici del Ruolo Unico di Assistenza Primaria a Ciclo di Scelta e/o a Quota Oraria?
L’assenza di creatività sperimentale espone la competenza “iper-complessa” del medico di base pubblico e della sua comunità di riferimento a un destino funesto; un sistema che perde la sua coerenza interna si sfalda, annulla tradizioni e cultura, non riesce più a rigenerarsi, mentre il bisogno di una figura di riferimento territoriale autorevole, convenzionato ma autonomo dagli apparati, aumenta sempre più (invecchiamento, polipatologie, ansia, overload informativo…).
Di contro monta un altro fenomeno sociale particolare nei confronti della professione del mmg: le organizzazioni dell’imprenditorialità privata mostrano interesse verso questa figura. Alcune simulazioni, che circolano sulla rete, descrivono programmi di inserimento di una figura esperta, definita “medico della persona” (con funzioni similari a quelle del mmg) all’interno di poliambulatori specialistici. Non desta nessuna meraviglia tutto ciò, in quanto sono anni che le propensioni verso il privato nascono proprio all’interno delle istituzioni pubbliche. Molti alti dirigenti aziendali o regionali, una volta terminati i loro mandati, trasferiscono conoscenze normative ed esperienze pluriennali al settore privato. Anche il welfare aziendale è fondato su relazioni economiche private agevolate, a livello statale, da benefit fiscali ed è normato da accordi tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori e le associazioni dei datori di lavoro.
I prototipi privati ipotizzano un “medico della persona” con maggior disponibilità di tempo-visita, esperto nella presa in carico e nella comunicazione, capace di esporre riepiloghi riordinati di esami e referti, di programmare follow-up e di strutturare la prevenzione. I contatti verrebbero semplificati e deburocratizzati. I vantaggi per l’imprenditoria derivano sia da calcoli economici (si immagina 1,5 prestazioni specialistiche annuali generate dal “medico della persona” per ogni assistito ed erogato dal poliambulatorio stesso), che dall’immagine procurata da questa offerta (servizi affidabili, duraturi, di qualità relazionale, attrattivi, di facile accesso…).
Si prospetta, quindi, un annullamento del principio dell’universalità e un incremento delle disuguaglianze (e della conflittualità).
Da una parte si intravede un profitto, mentre dall’altra, cioè nel sistema pubblico, si avverte un continuo impoverimento relazionale e culturale. La stagione delle CdC ha palesato, una volta di più, dove può arrivare la mancanza di rispetto nei confronti delle comunità. I rari coinvolgimenti per i “finti” processi decisionali sono stati rivolti a circoli chiusi, supponenti e nepotistici che non sono mai riusciti a coinvolgere le comunità reali; la considerazione dovrebbe essere la base per la capacitazione dei territori (sostenibilità e compossibilità), vera alternativa al prestazionalismo e al tecnicismo. Non ci sono spiegazioni al fatto che in tanti anni non si sia mai percorso il sentiero delle piccole comunità ristrette. Nemmeno il covid è riuscito ad illuminare le menti.
L’obiettivo delle comunità e dei loro medici di riferimento non sono le strutture in conto capitale (a debito), ma è quello di ridurre al massimo le malattie e di curare/assistere bene le cronicità. Per il privato sono necessarie più malattie. Le aziende e gli apparati producono una infinità di percorsi e norme per giustificare il loro potere burocratico. Sono tre fini tra loro completamente alternativi.
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV
19 novembre 2025
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Frida Kalho e Tamara Lempicka: il rimedio dell'arte
In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, in prossimità del 25 novembre, l’Associazione Comunità Solidale Parma e l’Ambulatorio San Moderanno rinnovano il loro impegno a riflettere, attraverso l’arte, sul tema della cura di sé e della dignità femminile.
Il 5° incontro del ciclo “Prendersi cura con l’aiuto dell’arte” si terrà venerdì 21 novembre 2025, alle ore 17:30, presso la Sala d’attesa dell’Ambulatorio San Moderanno (Via Trieste 108/A – Parma). L’appuntamento sarà dedicato a due grandi protagoniste dell’arte del Novecento, Frida Kahlo e Tamara de Lempicka: due donne che, attraverso il loro talento, hanno trasformato la sofferenza, la malattia e le ferite della violenza in un linguaggio creativo di rinascita e libertà.
A guidare la riflessione sarà l’Ing. Bruna Giordano, esperta d’arte e relatrice di riconosciuta sensibilità, che condurrà il pubblico in un viaggio tra arte, resilienza e forza femminile, offrendo uno sguardo profondo sul legame tra cura, bellezza e consapevolezza di sé.
Come di consueto, l’incontro si svolgerà all’interno della normale attività assistenziale dell’ambulatorio, un contesto unico che unisce la pratica clinica all’esperienza estetica, valorizzando il potere dell’arte come strumento di benessere e guarigione.
L’evento è organizzato da Comunità Solidale Parma, FIDAPA (Federazione Italiana Donne Arti Professioni Affari) e AIDM (Associazione Italiana Donne Medico).
I prossimi Air, in un contesto in frenetico e velocissimo cambiamento, preparano alla de-pubblicizzazione dell’assistenza territoriale?
17 OTT - Gentile Direttore,
si racconta (ma lo ricorda lui stesso in una delle sue ultime pubblicazioni “Chiudo la porta e urlo” del 2024), che un giorno fu chiesto a Paolo Nori, il noto scrittore parmigiano esperto in letteratura russa, di argomentare sul tema “amore”. Lo scrittore espresse qualche titubanza iniziale e poi cercò di spiegare come nella sua cultura popolare di origine, soprattutto dialettale, non esistesse nessun termine che potesse essere sovrapponibile al termine “amore” inteso come lemma ideale e, nello stesso tempo, utilizzabile anche nella vita quotidiana quasi come un intercalare. La massima espressione emozionale nella cultura rurale, in questo senso, è sempre stata “At voi ben” cioè “Ti voglio bene.” In effetti in dialetto parmigiano “amor” pronunciato in modo allargato “a-mor” significa “sto morendo” e quindi diventa comprensibile l’horror vacui che può generare.
Lo stesso concetto è espresso da Luigi Malerba nel suo libro intitolato “Le parole abbandonate” del 1977.
Nori e Malerba, condividono inoltre un altro pensiero. Secondo i due autori la motivazione che porta un soggetto a scrivere serve proprio a chi scrive per auto-comprendersi con più chiarezza.
Il collegamento diretto che il nostro Centro Studi fortunatamente sperimenta con i professionisti delle cure primarie di quartiere ci ha permesso di poter ragionare sulle bozze di quello che diverrà l’Accordo Integrativo Regionale (AIR) della regione E-R. L’obiettivo è stato quello di riuscire a comprendere quale possa essere la visione di questo documento normativo che regolerà l’assistenza territoriale locale nei prossimi anni essendo tema che, per statuto, coinvolge la nostra associazione.
Le bozze documentali dell’AIR, verosimilmente stilate da qualche agenzia, verranno indubitatamente considerate, a livello istituzionale, molto buone. Come già ricordato nel contributo sul ragionamento abduttivo del 10 ottobre su QdS, ai potentati piace vincere facile grazie alle blindature controriformiste contenute nelle normative ufficiali. Tuttavia i testi presentano un notevole ostacolo alla fluida comprensione. Si notano profonde carenze culturali come il mancato riferimento essenziale ai principi internazionali Wonca per la medicina generale territoriale e alla teoria dei sistemi complessi che può funzionare da supporto paradigmatico fondamentale per l’attività assistenziale.
I medici territoriali non si chiameranno più medici di medicina generale ma medici del Ruolo Unico di Assistenza Primaria cioè “medici RUAP” e saranno suddivisi in “medici RUAP a ciclo di scelte” e “medici RUAP a rapporto orario”. I primi, a livello spannometrico, corrispondono ai “vecchi” medici di base. I secondi, sempre in modo molto approssimativo, sembrano ricordare i medici un tempo chiamati di Guardia Medica o di Continuità Assistenziale a cui verrebbero affidate numerose funzioni sia storiche che inconsuete.
Nell’AIR la professione medica viene definita “ruolo” anche se è una professione intellettuale, intrinsecamente irriducibile nella sua complessità. Ogni modello che comporta una separazione di una parte dal resto (cioè dal contesto) non riuscirà mai a raggiungere qualche obiettivo in quanto manca l’interpretazione corretta dei continui fenomeni emergenti tipici di questa professione. Così come una raccolta enorme di dati senza un progetto concreto pregresso (es.: disegno progettuale di Casa della Salute ora CdC) dimostrerà la completa inutilità delle informazioni. Pare invece che nelle bozze vi sia celata la ricerca ostinata di un profitto o di un consumismo tipicamente neoliberale.
C’è chi individua nella definizione di “ruolo” una depersonalizzazione occupazionale di un’attività libero professionale tale da rappresentare una profezia autoavverantesi di burnout come già ravvisato da Christina Maslach nei suoi studi (1976).
Altri percepiscono una pura azione performativa aziendale (di produzione e consumo).
Le contingenze portano altresì a pensare ad una solerte strutturazione organizzativa territoriale in favore di una strisciante privatizzazione dell’assistenza (vedi accordo Fimmg e lega Coop del 2024).
Anche l’organizzazione che pare emergere dalle bozze dell’AIR non sembra per nulla adeguata ai tempi. Il Distretto, che in molte nostre elaborazioni abbiamo definito perfettamente inutile, ritorna ad essere plenipotenziario gestionale soprattutto nei confronti dei medici RUAP a rapporto orario in barba alla necessità, non ideologistica, di incrementare l’autonomia decisionale e gestionale degli attuali medici di base e delle loro comunità di assistiti.
La stessa istituzione dell’ONU quando deve ipotizzare un nuovo modello urbano o territoriale che debba garantire la dimensione “giustizia” in quell’area (es.: la fruizione dei servizi), ragiona su cellule/quartieri completamente autonomi (20-30.000 abitanti) pur interconnessi tra di loro (vedi progetto dell’UNDP - United Nations Development Programme - del Regional Bureau for Arab States e dell’Università IUAV di Venezia per ricostruire Gaza 2024).
Nell’AIR si tende invece a eliminare l’autonomia e le diversità con una omologazione in nome di un presunto primato di modello assistenziale territoriale che nega in partenza le basi del processo decisionale autogestito, dell’imprevedibilità, della fantasia, della ricchezza tipiche dei comportamenti sperimentali delle comunità che necessitano di tempo, di durata, di ripetizione, di pausa, di ritualità. Tutte caratteristiche alternative alle prestazionalità aziendali mascherate da obiettivi incentivati e monetizzabili.
Se l’ONU, quando affronta temi come quelli della riorganizzazione ambientale, considera contendibile l’ipotesi di un “ritorno al futuro” cioè di recuperare modelli pregressi di socialità e sostenibilità ( compossibilità) perché non è possibile progettare di ritornare, in ambito sanitario, ad un Servizio Sanitario Nazionale Unico, all’abolizione dei Sistemi Sanitari Regionali, all’abolizione dei Distretti e delle AUSL, alla costituzione dei comitati di salute pubblica, alla riattivazione delle USL, alla cooperazione tra consorzi comunali, a responsabilità politiche diretta di soggetti appartenenti alla comunità stessa ed inseriti nei territori ecc. ? In caso contrario sarà lo stesso neoliberalismo che, purtroppo, spazzerà via, in favore di una privatizzazione, tutta la polvere accumulata sotto il tappeto da apparati e sistemi burocratici. Purtroppo, perché, dal punto di vista professionale, un conto è essere convenzionato con un Servizio Sanitario Nazionale Unico che comporta una posizione economico-sociale, un altro è essere dipendente di una cooperativa che potrebbe portare all’ulteriore impoverimento (proletarizzazione) del cosiddetto ceto medio rappresentato, in quota parte, dai medici.
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV
17 ottobre 2025
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L’estetica e il ragionamento abduttivo possono educare alla categoria etica della possibilità
03 OTT - Gentile Direttore,
da alcuni mesi, attraverso gli articoli e le conferenze, il prof. Ivan Cavicchi ha sollecitato la descrizione di idee relativa all’ “exit strategy” da ciò che, più volte, lo stesso professore ha definito incapacità e tradimenti. Con alcuni componenti del nostro Centro Studi abbiamo partecipato al Convegno di Verona del 27 settembre 2025 che aveva come titolo generale “La riforma della sanità territoriale: guardare al futuro con consapevolezza”. Al Centro Studi di Comunità Solidale Parma ODV è stata affidata la relazione “Diritto alla salute o diritto al vivere: un impegno morale verso i cittadini” che ci ha impegnati a lungo nella preparazione perché si desiderava presentare un “pensiero pensato” (Plotino) con la malcelata ambizione di poter offrire un moto di cambiamento pur nella sintesi necessaria ad un evento di questo tipo.
Non si può negare che il semplice cittadino già immerso in un mondo in rapido cambiamento venga ulteriormente sfibrato da un linguaggio forzatamente settoriale (AFT; UCCP; Ospedali di Comunità; CdS; CdC; HUB; SPOKE; MMG a ciclo di scelta ; MMG ad attività oraria; COT; CAU; Ospedalieri che fuggono dalle strutture per diventare medici di base – come da concorso regionale per il Corso di Formazione in medicina generale della E-R e Medici di base che aspirano a diventare dipendenti; l’incredibile interpretazione del termine “prossimità” contenuto nel documento europeo NextGenerationEU con il concetto modaiolo e speculativo di Casa della Comunità ecc.).
La “Dissonanza Cognitiva”, a fronte di una normativa definita “riforma” (DM77 e dagli Accordi Regionali conseguenti) è assicurata così come è inevitabile il malessere generalizzato.
In effetti è labirintico trovare un sentiero strategico innovativo in grado di orientare le nostre comunità sanitarie territoriali di quartiere insieme ai Medici di Base di riferimento quando le istituzioni, il Servizio-Sistema Sanitario Nazionale (Ssn) e il Servizio-Sistema Sanitario Regionale (Ssr) contengono vincoli normativi assoluti ( inseriti anche in Costituzione) che blindano lo status quo in associazione con le incapacità, l’impeccabile mediocrità e i tradimenti che impediscono qualsiasi innovazione sostanziale (es.: regionalizzazione, aziendalizzazione, welfare aziendale, neoliberalismo …).
Significativa è stata la pubblicazione di un articolo da parte del prestigioso Istituto Bruno Leoni (11 agosto 2025) nel quale si sosteneva che nel Ssn e nel Ssr non ci siano più cittadini ma sudditi … questo termine però viene utilizzato per descrivere regimi di potere! Non appare nemmeno corretta la comparazione con esperienze estere che avvengono in organizzazioni globali e dove non esiste una insopportabile regionalizzazione e quindi una differenziazione della giustizia sanitaria.
La Conferenza Stato Regioni è una istituzione potentissima che guida agenzie e atti di indirizzo. Il Ministero della Salute, molto fragile, svolge quasi esclusivamente un ruolo di salvaguardia dell’universalismo. Contrariamente a ciò che si sostiene il consumismo sanitario pare originare proprio nelle stesse istituzioni sanitarie regionali e locali e non dai cittadini o dai professionisti delle cure primarie proprio per la pervasiva cultura neoliberale che è ormai connaturata con ogni iniziativa amministrativa. La conseguenza è che la cultura della complessità, che dovrebbe essere il nuovo paradigma di riferimento in sostituzione della teoria neoliberale, pare non essere mai pervenuto lungo gli infinti e asettici corridoi delle direzioni gestionali ed organizzative regionali e aziendali. Anche la meritorietà dovrebbe essere il criterio qualificante in sostituzione della trapassata meritocrazia che consegna il potere a chi già lo ha senza nessun ricambio generazionale (è sufficiente controllare gli organigrammi aziendali).
Piani strategici sono stati elencati numerose volte nelle pubblicazioni dello stesso Prof. Ivan Cavicchi. Da parte nostra, a suo tempo, era stata ipotizzata addirittura una azione bipartisan per salvare il salvabile ma la polarizzazione politica, impegnata su altro, impedisce di riflettere sulla salute che pare interessare proprio a pochi.
In questo contributo preferiamo pertanto argomentare una estensione della teoria della complessità che, come è noto, si occupa dei sistemi formati da un grandissimo numero di elementi interagenti che si autoregolano e che possono evolvere in esiti completamente imprevedibili ed inattesi. Tutto ciò comporta l’assenza di un'unica verità o di un pensiero unico o della presenza di un solo percorso (es.: il concetto di prossimità tradotto dal PNRR con il pensiero unico delle Case della Comunità è palesemente una contraddizione in termini).
La cultura dei sistemi complessi aiuta le persone di buona volontà a comprendere come si dovrebbe convivere invece con i molti fenomeni inaspettati e l’assenza di pensieri unici o rigidi. Sia che si tratti di una persona, di una comunità o di una galassia o dell’intero universo. Da questo punto di vista diventano elementi valoriali le piccole comunità (mai più di 30.000 persone come da decreto Balduzzi), l’autonomia organizzativa e gestionale della medicina di base, l’abolizione delle Aziende e del potere regionale, la cancellazione delle leggi delega in sanità…
La vera prossimità non è una struttura muraria in conto capitale ma una organizzazione intellettuale perché, nel momento del bisogno, non è tanto la logistica del servizio a portata di mano che conta, è molto più importante essere curati molto bene ed essere presi in carico addirittura benissimo. Creatività, capacità di sorprendere, una visione olistica del sapere, la co-operazione, le abilità computazionali, l’immaginazione, le programmazioni avveniristiche saranno abilità che verosimilmente apparterranno alle nuove generazioni competenti nella teoria complessità.
La loro più importante inclinazione sarà quella di passare dal cotesto “conosciuto” all’antecedente sconosciuto (ragionamento logico dell’abduzione che contiene anche la deduzione e l’induzione) avranno l’ardire di fare ipotesi sorprendenti, impreviste, creative, contestuali, senza il giogo dato da certezze e verità stantie, protocollari o normative.
Questa nuova stagione di exit strategy mostrerà la vera ricerca scientifica/antropologica, non di coorte, che inizierà proprio dalla medicina generale territoriale dove la prassi quotidiana sosterrà la messa in discussione delle certezze. “Sorprendentemente” gli orizzonti e le esperienze diverranno enormi e saranno rese solide dall’alleanza professionisti/assistiti/volontariato. L’appropriatezza di per sé non esiste è sempre stata una esigenza aziendale/neoliberale. Un MMG leader e autorevole, con la conoscenza diretta delle persone, può invece nel tempo raggiungere una sostenibilità economica impensabile tanto da essere re-investita. Finalmente i dati raccolti nel tempo dai mmg (e non dalle aziende) dimostreranno che le cure primarie saranno perfettamente sostenibili, che vi saranno fondi aggiuntivi derivanti dalla consapevolezza diffusa nel quartiere e dalla economia reale.
Gli assistiti considereranno i loro MMG punti di riferimento anche etici ed estetici consapevoli che la vita rappresenta la massima complessità immaginabile perché gratuitamente appare e gratuitamente scompare.
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV
03 ottobre 2025
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Diritto alla salute o diritto al vivere
Sabato 27 settembre 2025 il Dott. Bruno Agnetti ha preso parte al convegno “La riforma della sanità territoriale: guardare al futuro con consapevolezza”, svoltosi presso la Sala Salieri di Veronafiere, con un intervento dal titolo “Diritto alla salute o diritto al vivere”, riportato di seguito.
DIRITTO ALLA SALUTE O DIRITTO AL VIVERE - Bruno Agnetti
La colata piroclastica inarrestabile
16 GIU - Gentile Direttore,
le comunità sono “sistemi complessi che manifestano proprietà emergenti” e come tali dovrebbero essere considerate. L’anonimato e la frenesia del vivere quotidiano hanno però indebolito la trama che legava quelle realtà complesse. Alcuni storici valori (le relazioni, le identità, il mutuo sostegno…) possono, forse, ancora essere ritrovati solo nei piccoli centri o nei quartieri/rioni.
La così detta “pro-attività “delle comunità è svilita da una forte istituzionalizzazione se non da una ossessiva attività amministrativa che disancora ancor di più le componenti territoriali dagli organismi ufficiali. Numerosi sono gli esempi di formazioni culturali o di volontariato studiate a tavolino nei corridoi che contano mascherate poi da iniziative originate dalla collettività da utilizzare come produttori di opinione pubblica (opinion makers o influencer). Anche in questo campo è molto difficile riuscire a liberarsi dell’economicismo e dal business.
Sorprende ancora di più come alcuni distretti si siano ossessivamente impegnati, nella loro pur legittima funzione politica-amministrativa, a distruggere negli anni ogni forma innovativa di partecipazione faticosamente realizzata da professionisti e cittadini.
Sono recenti le nuove trovate (furbacchione) di accorpamento funzionale di AFT al fine di poter dichiarare di avere una Casa della Comunità hub per ogni AFT (riducendone di fatto il numero da attivare). Gli accorpamenti diventano ambiti eccessivi, funzionali all’amministrazione ma antitetici alle comunità.
Si realizza così una situazione molto particolare dove diventa obbligatorio, per i mmg singoli o di CdC spoke, “interfacciarsi”, “rimodularsi”, “partecipare alle turnazioni”.
Si prefigurano ipotesi di Case della Comunità inserite addirittura all’interno degli ospedali dove le recenti ristrutturazioni nosocomiali hanno liberato numerosi “padiglioni” che gli assessorati vorrebbero riutilizzare. Esempio plastico di assistenza territoriale di prossimità!
È verosimile che tutto questo disastro intellettuale/culturale derivi “ab origine” dall’errata interpretazione del concetto di “prossimità” suggerito dal documento “Nex generation UE” e tradotto in un pensiero uniformato, unico, tenace ed ostinato (Case della Comunità). Le CdC sono state accreditate di una aspettativa tale, rigida ed indiscutibile, da divenire foriera di facili profezie avverse auto avverantesi. Ma non sarebbe più comprensibile chiamarle Case della Salute delle comunità?
Dietro alla fascinazione di ciò che viene venduto come innovazione sanitaria-sociale si possono inoltre intravvedere logiche tipicamente tecnocratiche e di iper-istituzionalizzazione del concetto salute dove le elaborazioni , soprattutto di ausl e distretti, non risentono mai gli effetti di un effettivo confronto (indipendente) con ciò che già esiste nei territori: esperienze di bene-vivere o di bene-essere e di co-operazione tra operatori e cittadini in grado, nel tempo, di riparare il disastroso disegno progettuale territoriale in atto che sembra inarrestabile.
Per argomentare ulteriormente il tema si potrebbe dire che la letteratura di settore sembra bocciare completamente le attuali amministrazioni sanitarie regionali e locali anche sul piano prettamente culturale. Non solo il termine con cui vengono definite le così dette innovazioni territoriali (CdC) ma anche le idee architettoniche risultano completamente fuori tempo, contro ogni concetto di cura intesa come bene-esistere e di partecipazione delle comunità.
Sia sufficiente ricordare alcuni esempi di Case della Salute di comunità: CdS di Comunità di Ballarat, a Vittoria, in Australia; la CdS di Comunità a Gravesend nei pressi di Londra chiamato Waldron Health Centre; la CdS di comunità di Orense in Spagna; la CdS di comunità chiamato Kentish Town Health Center di Londra; la CdS di Matta Sur a Santiago nel Cile chiamato Centro Comunitario de Salud Familiar; la CdS di comunità di Vézalay in Francia; la CdS di comunità a Rauma in Norvegia chiamata Holistic Heatlhcare; la CdS di comunità di Gibraleon in Spagna; la CdS di comunità di tipo educativo ad Amburgo detta “Tor zur welf” cioè “porta sul mondo”…
È una policroma carrellata su idee e realizzazioni relative alle strutture sanitarie territoriali che hanno tutte la specifica caratteristica di essere molto belle. Anche moderne e funzionali ma soprattutto belle.
In questi edifici il personale che vi lavora e i pazienti ma anche i semplici cittadini di passaggio o che si trovano a prendere un caffè o a seguire una conferenza, si trovano molto bene e a loro agio. A volte guarire non è così importante come lo è in effetti l’essere perfettamente curati. L’ambiente, l’arte, il bello è già una cura (Film: Lo scafandro e la farfalla, miglior regia al Festival di Cannes, 2007).
Il paradosso è che “…del bel paese là dove 'l sì suona…” cioè nella patria del bello pare essersi proprio smarrita la consapevolezza di una sua caratteristica riconosciuta a livello universale anche a causa del tormento di un pensiero uniformato che non ha concesso nessuno spazio ad ideazioni armoniose ed attraenti. Basterebbe una realizzazione similare a quelle ricordate nell’elenco per rendere inutili norme cogenti o forzose (ad es.: per i mmg).
È come se un senso di mediocrità e di ricerca del massimo ribasso si sia impossessato anche delle menti e delle anime delle persone tanto che viene dato per scontato che le cose debbano andare così.
E la colata piroclastica è talmente potente nella sua progressione inerziale che nessuno (cittadini, associazioni, comunità, professionisti…) è in grado di modificare la sua evoluzione nefasta. Soprattutto si assiste ad una comunicazione completamente sbagliata ai cittadini cui si tende a far credere che gli asini volino pubblicizzando “un po’ di prestazioni, (s)vendute come meglio di niente,” distraendoli rispetto al loro diritto di presa in carico e di essere perfettamente curati (mdr da C.M. Maffei, Il DM77 è già in svendita…, QdS 13 giugno 2025).
Al fine, quando qualcuno finalmente riuscirà a tirare le somme di quanto capitato negli ultimi decenni al nostro sistema sanitario territoriale… a chi verranno attribuite le responsabilità?
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV
16 giugno 2025
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L’arte e il bello nell’architettura sanitaria soprattutto in periferia?
Nel quarto incontro del ciclo “prendersi cura con l’arte”, prima della pausa estiva, verrà trattato il tema “L’arte e il bello nell’architettura sanitaria soprattutto in periferia? Le Case della Salute delle comunità come occasioni di rigenerazione sociale, urbana e architettonica dove coltivare la salute nei quartieri.”
La conversazione è promossa dall’Organizzazione di Volontariato Comunità Solidale Parma (CSP), da FIDAPA (Federazione Italiana Donne Arti Professioni e Affari) e ADMI (Associazione Donne Medico Italiane). Si cercherà di dare una risposta al quesito iniziale venerdì 13 giugno, dalle 17:00 alle 17:40, nella sala d’aspetto dell’Ambulatorio San Moderanno in via Trieste 108/A. Relatore sarà il Prof. Michele Ugolini del Politecnico di Milano (Dipartimento di architettura e studi urbani) da anni impegnato nella progettazione delle “Case della Salute delle comunità” (Coltivare_Salute.com).
La logistica e l’orario favoriscono una completa commistione tra attività assistenziale-curativa, il bello e l’arte: fenomeni che secondo la letteratura di settore possono coesistere, anzi possono diventare una prescrizione medica abitudinaria ( es.: in alcuni paesi come il Regno Unito e il Canada il medico può prescrive, su ricettario, con indicazione diagnostica-terapeutica, la visita ad un museo specifico, la partecipazione ad un concerto o la visione di un film oppure una escursione per trarre beneficio da bellezze naturali. Tale prescrizione darebbe accesso, per il paziente, ad un sistema di agevolazioni o ad ingressi gratuiti…). Il bello e l’arte possono quindi diventare, a pieno titolo, parte del percorso terapeutico. Si parla, infatti, sempre più spesso, di “prescrizioni culturali”. La bellezza viene riscoperta (è la storica "Kalos kai agathos" degli antichi greci) come un fattore del benessere capace di incidere sullo stato psicofisico della persona.
Da più di 10 anni Comunità Solidale Parma coltiva un sogno per il quartiere San Leonardo: l’idea di poter veder sorgere una struttura sanitaria grande e d’avanguardia, edificata con materiali ecocompatibili, accessibile in 15 minuti da ogni angolo del territorio (prossimità), aperta 24 su 24 ore (es.: ospedale di comunità), in grado di accogliere funzioni di educazione, prevenzione, formazione, partecipazione… Un punto di riferimento territoriale per la comunità pensato con una attenzione particolare all’estetica architettonica e alla multifunzionalità degli spazi: ambulatori, stanze per i servizi, aule per la formazione dei professionisti e per gli incontri culturali, ambienti riservati al volontariato, zone verdi accessibili. Un edificio ben riconoscibile dai cittadini, non solo meta occasionale per i bisogni sanitari ma parte della vita quotidiana per gli abitanti (vedi YouTube: La favola della Casa della Salute Grande e dell’Ospedale di Comunità del Quartiere San Leonardo).
A volte può capitare che, quando si entra in un luogo suggestivo, si sente qualcosa, un sollievo capace di annullare l’ansia (della malattia). Un sospiro distensivo che permette di fantasticare lasciando così in disparte i pensieri preoccupanti e le angosce quotidiane. In quel momento, quel luogo si prende cura di noi, ci fa sentire nel posto giusto e ci fa sentire bene (Mortari-Paoletti, La Cura, Il melangolo 2021).
È innegabile che un sogno come questo incontri numerosi limiti: sensibilità diverse, risorse critiche, complessità burocratiche e politiche. Tuttavia il tempo resta un denominatore che condiziona profondamente bisogni ed aspettative. Sarebbe stata verosimilmente utile un’ottica pianificatoria di lungo-medio periodo e una maggiore attenzione culturale-architettonica ma, ora, le dinamiche e le contingenze collegate al PNRR (es.: Case della Comunità) difficilmente possono concedere spazio alle elaborazioni su ricordate.
Direttivo di Comunità Solidale Parma
Prendersi cura con l'aiuto dell'arte - 4° incontro
Comunità Solidale Parma (CSP), FIDAPA Parma e Associazione Italiana Donne Medico - sezione di Parma organizzano l'incontro/conversazione:
4° Incontro sul prendersi cura con l'auto dell'arte
Giovedì 13 giugno dalle ore 17:00 alle 17:40 c/o la sede di Comunità Solidale Parma in via Trieste 108/A (sala d’attesa dell’Ambulatorio san Moderanno) il Prof. Michele Ugolini del Dipartimento di Architettura e Studi Urbani dell’ Università Politecnico di Milano condurrà la conversazione sul tema:
L’ARTE E IL BELLO DELL’ARCHITETTURA SANITARIA SOPRATTUTTO IN PERIFERIA?
Le Case della Salute delle comunità come occasioni di rigenerazione sociale, urbana e architettonica dove coltivare salute nei quartieri.
Centro Comunitario de Salud Familiar Matta Sur a Santiago del Cile.
Progettisti: Luis Vidal + Architectos.
Con l’approvazione e il favore delle attività produttive e commerciali del crocevia tra via Trieste e via Venezia.
(Si dichiara che Comunità Solidale Parma non ha richiesto e non ha ricevuto, per questo evento, contributi pubblici o privati in osservanza del dettato statutario che fissa il principio e il valore della gratuità nella progettazione e realizzazione degli eventi promossi dall’ ODV- CSP)
Frammentazione del pensiero
08 MAG - Gentile Direttore,
i recenti contributi di A. Giustini (… come navigare nel vuoto spaziale, QdS, 5 maggio 2025) e di G.Pizza (… rimuovere le contraddizioni del SSN, QdS, 6 maggio 2025) hanno aiutato a riflettere sulle criticità organizzative “superficiali” e sulla confusione esistente tra una idea di riforma (I. Cavicchi) e una tecnicità pareggiabile o comparabile detta problem solving.
In alcune regioni considerate “modello” si sono verificate nell’arco di 15 anni talmente tante revisioni organizzative-assistenziali da portare inevitabilmente ad uno stato di profondo disorientamento i professionisti e gli assistiti.
Nel 2010 vede la luce un primo documento regionale sull’organizzazioni delle Case della Salute che risente delle considerazioni in atto, in quel momento, tra Conferenza Stato-Regioni (commissione sanità), Agenzie e Ministero.
Nel 2012 infatti, anche per quanto in discussione in ambito della Conferenza Stato-Regione, viene emanato il Decreto Balduzzi che formalizza i concetti di UCCP (Unità Complesse di Cure Primarie individuate per un ambito di circa 30.000 assistiti) e di AFT (Aggregazioni Funzionali Territoriali). Ogni regione poi darà interpretazioni proprie a questo decreto modificando il significato di UCCP in Case della Salute e di AFT in NCP (Nuclei di Cure Primarie).
Nel 2013 Deliberazioni Assembleari Regionali inseriscono la possibilità di considerare nelle UCCP o Case della Salute anche “letti territoriali “da cui poi si svilupperà l’idea degli Ospedali di Comunità.
Nel 2015 documenti inerenti le linee di indirizzo per l’assetto organizzativo delle Case della Salute regolarizzano la partecipazione delle comunità e delle associazioni dei cittadini alla vita della Case della salute (nulla a che vedere con un vero coinvolgimento ai vari livelli dei processi decisionali di professionisti e assistiti).
Nel 2016 vengono diffuse le indicazioni regionali per il coordinamento professionale all’interno delle Case della Salute con una suddivisione “a silos” delle aree professionali come se fossero reparti nosocomiali (vera e propria controriforma).
Nel 2017 partono alcuni programmi regionali formativi che vorrebbero promuovere l’integrazione multiprofessionale nelle case della salute ma che rinforzano le posizioni gerarchiche.
Nel 2018 gli Assessorati Regionali della Sanità di alcune regioni “esempio” ribadiscono che la popolazione di riferimento per una casa della salute grande deve contare circa 30.000 assistiti.
Nel 2020 il Next generation EU evidenzia come sia urgente la necessità di addivenire ad un rinnovamento dei sistemi sanitari nazionali indicando l’obiettivo della “prossimità” come intento principale.
Nel 2021 si approva il PNRR che, per quanto riguarda la sanità, nella missione 6, interpreta il concetto di “prossimità” uniformandosi, senza flessibilità, alla tesi, improvvisamente di moda, delle “Case della Comunità” cancellando con un colpo di spugna tutta l’elaborazione intellettuale e culturale sulle Case della Salute valutate negli anni precedenti da professionisti, intellettuali, comunità e società civile. Per inciso non sarà superfluo ricordare che tra servizi raccomandati, facoltativi ed obbligatori nessuna Casa della Comunità (hub o spoke) può superare il modello Casa della Salute detta “grande”.
Nel 2022 il DM 77 definisce un modello di assistenza sanitaria territoriale confermando il pensiero unico (Case della Comunità, Ospedali di Comunità, COT) e dimostrando di fatto l’incapacità di trovare una vera idea innovativa e riformatrice. A suo tempo non era stato possibile rifornire tutte le AFT di una Casa della Salute e così, oggi, non vi saranno Case della Comunità per tutti i territori e, di nuovo, si creeranno discriminazioni assistenziali e professionali.
Nel 2025 alcune voci, che originano dai corridoi dei palazzi che contano, sembrano annunciare iniziative di accorpamento tra AFT al fine di costituire nuovi ambiti territoriali più ampi dove vi sia, almeno, una Casa della Salute o una Casa della Comunità al fine di attuare le indicazioni del DM77. Tuttavia in questo modo si alterano le norme inerenti il numero di assistiti massimo per AFT e dei relativi professionisti. Paradossalmente questi eventi, considerati trascurabili tecnicismi per le alte dirigenze, confermerebbero la “legge” tipica dei sistemi complessi nei quali, anche variazioni iniziali minime possono però provocare risultati finali completamene inattesi, irrimediabili, catastrofici. Degno di nota, a riconferma di assenza di “pensieri pensati”, è il fatto che, nelle regioni considerate “modello”, proprio in quest’anno 2025, siano riapparsi e menzionati concetti come AFT e UCCP che si rifanno al decreto Balduzzi del 2012.
In tema di “accorpamenti” la ricerca di M. Mariani, A. Acampora e G. Damiani, pur datata (2017), aiuta a considerare come, partendo da alcune evidenze, i benefici attesi dagli accorpamenti sanitari, di vario tipo, sono stati disattesi generando ulteriore distanza tra le autocrazie regionali e professionisti/cittadini/assistiti. Le motivazioni che muovono le “fusioni” sarebbero di tipo economico e politico mentre l’aspetto assistenziale resta relegato nell’ombra. Non emergono risultati statisticamente significativi sull’efficacia clinica, preventiva, assistenziale, sull’accessibilità e sul coinvolgimento dei professionisti. C’è la percezione di un peggioramento nell’erogazione dei servizi. Non vi sarebbero quindi automatismi tra aumento delle dimensioni dei bacini di utenza ( es.: AFT o Aziende Uniche) e il miglioramento delle performance sanitarie.
Come volevasi dimostrare la macchina del così detto controriformismo e del neoliberalismo aziendale continua la sua folle corsa sostenuta da una selva di normative emanate dalla piramide gerarchica (accordi, intese, delibere, circolari, patti, norme transitorie, deroghe, interpretazioni, contraddizioni, sovrapposizioni normative…). Non c’è il minimo spazio per autocritiche, ripensamenti, confronti. Non ci sono speranze a breve. Forse saranno le nuove generazioni (Livia avrà un diritto pieno?, QdS, 24 aprile 2025) che troveranno modalità sostanziali (modifiche costituzionali?) al fine di sostituire califfati e mandarinati con comitati di salute pubblica, collegi territoriali, comunità, AFT e competenze computazionali autonome. Nel frattempo però il vassoio d’argento sembra già preparato per offrire una favorevole entrata in campo delle aziende private nei servizi sanitari territoriali e, in particolare, nella medicina generale di base.
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV
08 maggio 2025
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