DM71: sarà vera riforma?

DM71: sarà vera riforma?

di G.Campo, A.D’Ercole, A.Chiari, B.Bersellini, B.Agnetti

26 APR -

Gentile Direttore,

premessa impone di porre il testo del caro Prof. Cavicchi “La scienza Impareggiabile”, senza discussioni, caposaldo di ogni argomentazione che voglia affrontare ontologicamente la questione medica. Poi c’è la quotidianità (un recente esempio tra gli innumerevoli possibili è dato dall’articolo del collega Enzo Bozza: Ancora i peones?, arguto e tuttavia affranto). E’ la consuetudine di trascinare le “scarpe grosse” nei meandri limacciosi ed indecifrabili delle Aziende USL. Questi presidi “prefettizi” degli assessorati regionali, producono, ogni giorno, incremento dei compiti, piccole e apparentemente trascurabili disuguaglianze, differenziazioni assistenziali e professionali. Quando si addizionano gli avvenimenti apparentemente irrilevanti, azienda per azienda, la somma delinea una vera e propria calamità. Il paradosso è che comunque sono disparità operative assolutamente legali perché ogni azienda ed ogni assessorato bada molto bene a proteggersi con delibere e circolari votate a maggioranza schiacciante. Alcune aziende hanno attivato negli anni progetti assistenziali finanziati, formalmente ineccepibili ma inopportuni dal punto di vista politico sanitario, che hanno coinvolto un numero di colleghi rappresentati da meno delle 5 dita di una mano.  Altre aziende hanno dimostrato di non avere contezza dei diversi contratti stipulati negli anni, (variabili significative dal punto di vista economico), con le varie aggregazioni di mmg (es.: Case della Salute ora Case delle Comunità… ma quest’ultime non ancora entrate in produzione).

“Cosa è successo? Niente” racconta Jannacci nella canzone “il bonzo”.

Evidentemente è velleitario ipotizzare l’abolizione delle Ausl con un ritorno alle Usl e affidare a queste istituzioni compresi gli assessorati alla sanità (80% circa del bilancio di ogni regione) solo ruoli di garanzia e di salvaguardia dell’universalismo. Insieme dovrebbero essere cancellate tutte quelle occasioni sospette per pratiche consociativistiche che hanno alla fine sfigurato la professione. Occorrerebbe ritornare a riconoscere massimo valore alla meritorietà virtuosa abbandonando la tradizionale meritocrazia spesso autoreferenziale. Già solo questo rappresenterebbe una riforma minima ma indispensabile. Così come può essere considerata una parte di questa innovazione vitale il fatto che i colleghi medici e sanitari che desiderassero entrare a far parte di una aggregazione territoriale organizzata in team condividano preventivamente e in autonomia processi e progetti.

In caso contrario l’inevitabile sfacelo a cui forse assistiamo esige urgentemente una “quarta riforma” ma forse anche una quinta o una sesta e “po se sa no” direbbero a Milano. Sbalorditiva la recente accelerazione del Governo che ha dato il via libera al cosiddetto DM 71 pur senza l’intesa con le Regioni. Peccato che il nuovo Decreto trascinerà con sé tutte le contraddizioni che da anni porta i professionisti ad appellarsi ad una riforma che sia tale.

Ad esempio: una riforma reale dovrebbe sancire autonomia dal sistema  regionale e dalle AUSL;  riconoscere un trattamento  economico  adeguato; programmare una pianta organica corrispondente alla riduzione dei posti letto ospedalieri e alle sempre più precoci dimissioni;  ricercare una responsabilizzazione di impresa convenzionata con il SSN; garantire la libertà di aggregazione tra professionisti motivati;  offrire le tutele; garantire  libera scelta e rapporti fiduciari; abolire gli ambiti territoriali; inserire l’istituto dell’affiancamento paritario;  esortare le aggregazioni e i singoli, eventualmente collegati funzionalmente,   ad una sana concorrenza virtuosa nella sfera della qualità assistenziale in co-operazione con tutti gli attori  del territorio; dare un senso concreto alle Case della Salute (se diventeranno Case della Comunità) e offrire una logica a quelle strutture  che vengono definite “Ospedali di Comunità” che rischiano per davvero  di diventare un clamoroso ossimoro realizzativo in quanto l’OSCO, da quanto si legge, potrebbe non essere logisticamente posto all’interno del perimetro della comunità di riferimento.

Il paradosso sommo della questione DM71 sta poi nel fatto che il recente ACN, già a suo tempo firmato dalle OOSS, non è ancora stato pubblicato sulla GU così che ci si trova nella situazione incredibile di avere una normativa o un documento applicativo (DM) senza il testo ufficiale di riferimento (ACN).

La qualità assistenziale delle nostre comunità, sempre più complesse, richiede beni comuni accessibili universalmente “non rivali e non escludibili” senza l’inarrestabile incremento burocratico di ulteriori compiti. Le piccole comunità sono terreno fertile per possibili sperimentazioni riformatrici.  L’atteggiamento di certe istituzioni sovraordinate alle persone e ai professionisti richiama apertamente il concetto, (se consideriamo anche gli enti pubblici delle unità), dell’individualismo se non quello del singolarismo. Quando la gestione viene orientata da questi atteggiamenti si assiste ad una riduzione dei beni comuni fruibili (V. Pelligra, il Sole24Ore, 24 aprile 2022) e dello spirito di co-operazione con esiti sociali pessimi perché i beni pubblici/comuni vengono distrutti.

Così in una improbabile riforma che avversasse gli attuali decisori (Assessorati e Aziende) dovrebbe progettare da capo istituzioni e organizzazioni più rispettose e fiduciose dei professionisti e degli attori di tutte le assistenze primarie di per sé già in grado, da sole, di creare opportunità di co-operazione ed interazioni non gerarchiche tali da produrre ed arricchire il bene pubblico.

Anche una adeguata rivisitazione e relativa semplificazione della remunerazione è auspicabile prendendo atto che il “vecchio” sistema incentivante confuso e generatore di gravi differenziazioni, non più accettabili, ha completamente dimenticato che oltre agli incentivi economici relativi agli obiettivi regionali e aziendali esistono anche le incentivazioni immateriali fortemente originate dall’autonomia organizzativa e gestionale (equità, qualità, trasparenza, trasmissibilità, consenso, gradimento, apprendimento, complessità ecc.).

Se nel recente intervento del Presidente Nazionale della FNOMCeO è stato evidenziato come sia allarmante la volontà di molti colleghi di lasciare al più presto la professione, (in particolare nella medicina generale territoriale), è possibile che queste convinzioni siano avvalorate da una o due giustificazioni e, secondo quanto già elencato, alcune di quelle motivazioni che spingono i professionisti alla resa potrebbero superare di molto le problematiche (pur allarmanti) economiche.

Giuseppe Campo, Alessandro D’Ercole, Alessandro Chiari, Bruno Bersellini, Bruno Agnetti

CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria)

FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti), Regione Emilia-Romagna

26 aprile 2022
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Medicina Territoriale

Nessuna riforma della medicina generale se non si capisce la sua complessità

di Bruno Agnetti

10 NOV - Gentile Direttore,
non vi sono dubbi che il momento è estremamente favorevole al germogliare (tardivo) di numerose trattazioni sulle questioni relative alla medicina generale territoriale e alla sua organizzazione (scatenate dai contenuti del PNRR e da altri documenti di regioni, conferenze, agenzie e gruppi apparentemente spontanei/indipendenti ma con pregresse precise bollinature) a seguito della globale deturpazione pandemica.

Per anni illustri e apprezzati commentatori hanno perorato, inascoltati, la necessità di addivenire a una riforma in grado di affrontare la questione medica nelle sue molteplici fenomenologie al fine di rendere la categoria abile a contrastare le sfide organizzative ed assistenziali che inevitabilmente sono determinate da strutturazioni sociali globalizzate e multiformi.

Tuttavia molti di questi recenti elaborati non riescono a superare il nucleo critico (complesssità) che dovrebbe essere a denominatore di ogni argomentazione perseverando in una sostanziale estrema debolezza culturale e scientifica. In particolare sono i documenti istituzionali a trascinare nel baratro delle panzane anche coloro che sventolano la bandiera dell’indipendenza intellettuale in ambito delle cure primarie.

Giuseppe Giusti affermava che “Il fare un libro (o un documento, aggiungo io) è meno che niente, se il libro fatto non rifà la gente”.
Il tema della complessità di questa “impareggiabile” professione non può essere più tralasciato (nella 833/78 il termine “complessità” non compare mai una volta) nelle analisi e nelle ipotesi progettuali attuali sulla medicina generale territoriale pena il pericolo di stratificare interminabili banalizzazioni ben rappresentate dall’espressione “bla, bla, bla”.

Occorre essere consapevoli come la teoria della complessità (Giorgio Parisi, premio Nobel per la Fisica 2021) manifesti l’essenza della medicina generale territoriale e della sua funzione “incomparabile” per non rischiare l’incuneamento verso opinioni insignificanti.

Durante il periodo Covid molti uffici collegati alla medicina generale sono stati ridotti o chiusi. Anche alcuni Distretti o funzioni (il Distretto è una articolazione territoriale fondamentale del governo aziendale, il luogo della formulazione della committenza, dove si esprime il fabbisogno di assistenza territoriale in forma residenziale, ambulatoriale, domiciliare ed ospedaliera, ricompresa nei Livelli Essenziali di Assistenza, e funzionale allo sviluppo di nuove e più incisive forme di collaborazione e di relazione tra Azienda ed Enti Locali) sono state chiuse ma pare che nessuno se ne sia accorto.

Sorge spontanea una domanda in parole poverissime: a cosa serve un Distretto?
Una comunità (“titolare del diritto alla salute”) attraverso i propri rappresentanti non può negoziare direttamente con il SSN (non con il SSR) la promozione della “sua” salute.?

Il quesito è palesemente retorico in quanto l’applicabilità del titolo V e la maestosa produzione di delibere regionali e aziendali a strenua difesa di questo “privilegio” rendono impossibile qualsivoglia modifica o una compiuta dialettica democratica partecipativa in campo sanitario.

Don Lisander (Alessandro Manzoni) sosteneva di conversare con 25 lettori. Come già ricordato più volte queste nostri modesti esercizi letterari non hanno l’ardire di andare oltre ad un ben più ristretto numero di colleghi cultori della medicina generale territoriale e del riordino delle cure primarie.
Ora il fondamento del problema (che tra le altre cose palesa anche una certa ambiguità insita nel terzo capoverso dell’art.12 del Codice Deontologico Medico 2021) è inevitabilmente dato dall’essenza della professione medica (in questa riflessione riferita in particolare alle cure primarie) che è ontologicamente “complessa” più di ogni qualsiasi altro sistema.

La contraddizione più eclatante deriva dal fatto che i sistemi complessi non hanno ancora trovato una intellegibilità determinante e la sola modalità di lettura scientificamente accettabile al momento resta quella sistemica/olistica.

Da questo punto di vista nasce l’importanza dell’idea progettuale organizzativa del welfare di comunità, della medicina basata sull’esperienza e sull’apprendimento continuo e di un sistema di verifica (rendicontazione) collegato ad esso attraverso il meccanismo della collegialità ma fatalmente fa emergere anche la riduttiva posizione del concetto di “appropriatezza”. Al di fuori di questi strumenti di lettura restano solo le teorie scientifiche relativistiche e probabilistiche ma indeterministiche.

Pensare di rappresentare sistemi complessi (spesso composti da più complessità sovrapposte e concomitanti) attraverso descrizioni di tipo lineari alle quali vengono attribuite valori di verità e di capacità previsionale senza considerare la loro insita approssimazione ( protocolli, algoritmi, linee guida, EBM su cui si basano scelte politiche programmatiche “invarianti”) significa compiere operazioni di divulgazione o semplificazione estremamente fragili che si avvicinano di molto ad affermazioni irrazionali false ( che secondo Popper andrebbero gradualmente eliminate per avvicinarsi il più possibile alla verità).

Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria) FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti), Regione Emilia-Romagna

10 novembre 2021
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La medicina generale alla prova del Coronavirus

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità il 27 Febbraio 2020

27 FEB - Gentile Direttore,

tutti i protocolli inerenti il Covid-19 evidenziano che i percorsi dedicati a questa “nuova” virosi partono a livello territoriale dal mmg (paziente-mmg-igiene pubblica-118-repato infettivi-tampone-osservazione/quarantena) anche se criteri per accedere all’esecuzione del tampone ed i n. telefonici di riferimento dedicati ai sanitari di riferimento a volte cambiano.  
 
Questo primo step del processo protocollare resta il più fragile, meno attrezzato, scarsamente o per nulla protetto, storicamente dedicato al front office diretto e alle problematiche relazionali con gli assistiti. Di fronte all’emergenza nessun mmg ha abdicato alle proprie responsabilità professionali assistenziali. Anzi è proprio durante le criticità, quando l’assistenza primaria può muoversi con una certa autonomia creata dalle urgenze e dalla necessità di trovare soluzioni nell’immediato, che la medicina generale dimostra tutto il suo valore e la sua indispensabilità (libero accesso, orario 8:00-20:00, gratuità) nonostante la scarsa considerazione raccolta dalla politica e dai decisori in questi anni.
Le drammatiche circostanze che sperimentiamo in questi giorni manifestano inoltre cosa significa non avere riformato l’Assistenza Primaria.         

Una medicina generale indipendente nel formulare i propri obiettivi, che possa usufruire di un numero di colleghi   ottimale per orientamenti organizzativi e motivazioni, adeguatamente organizzati in strutture logistiche funzionali avrebbe probabilmente trovato soluzioni per l’epidemia pronte, in grado di garantire sorveglianza, ipotesi diagnostiche e attivazione corretta dei percorsi ufficiali senza intasare i servizi di secondo livello.  

Le progettualità e le innovazioni che i mmg hanno argomentato per anni sono state purtroppo bellamente ignorate. Come esempio è possibile evidenziare come  i criteri di valutazione della performance dei medici di base siano  rimasti per troppo tempo, nella completa indifferenza politica, strettamente collegati all’efficientamento e alla razionalizzazione (pensiero unico); nessun decisore ne academico ha mai tentato di individuare criteri relativi della meritorietà vs la meritocrazia smaccatamente autoreferenziale; l’educazione sanitaria, eterna incompiuta, diventa efficace quando il mmg (o il gruppo) rappresenta effettivamente un punto di riferimento per la propria comunità e quindi acquista quell’autorevolezza che permette di condividere con gli assistiti le responsabilità di programmi e obiettivi di salute; le motivazioni “altruistiche o di aiuto” testimoniali  che si trovano alla base di una assistenza primaria autonoma ed indipendente si scontra continuamente con le disuguaglianze professionali e assistenziali amministrate che, a loro volta, hanno creato cambiamenti virtuali, inutili, costosi, non condivisi e senza nessuna varianza significativa nella fornitura dei servizi, nel clima organizzativo e nei modelli organizzativi.

Questi ultimi, per essere validi, devono poter essere trasmissibili e lasciare eredità consolidate al cambio generazionale (proprio ora in atto) composte da molte strategie utili agli operatori per porre le persone al centro dei progetti. L’impressione è che i giovani colleghi mmg siano completamente abbandonati, in balia di variabili normative imprevedibili, senza progettazione e programmazioni (affiancamento).   

Una riforma dell’assistenza primaria non può non affrancarsi da certe onnipotenze e obbliga a posare una pietra angolare che sorregga un solenne patto d’onore tra cittadini e medici/operatori del territorio in grado di edificare l’innovazione sul principio che la salute e le cure primarie rappresentano un irrinunciabile bene comune. Questo fortifica le alleanze, le considerazioni reciproche, le relazioni e le responsabilità di tutti gli attori finalizzate a creare modelli sperimentali innovativi di “scambio altruistico” e di forte reciprocità.

Più di strumentazione specialistica negli ambulatori  sarebbe necessario completare, con giustizia, il sistema informatico (non si capisce perché non si dovrebbero fornire computer e stampanti ad infermiere e a segretarie). Nell’ACN in discussione da anni non compaiono facilitazioni e semplificazioni relative all’assunzione di personale di segreteria e/o infermieristico per chi opera in gruppo o singolarmente.

Nessun accenno viene fatto alla detassazione delle attività sanitarie di base. Resta irrisolta ed ambigua la questione delle cooperative di medici che danno servizi ai medici stessi, spesso con costi vivi di entrata ed uscita, in perenne conflitto di interessi a fronte di una più confacente collaborazione con le  società di servizi che non  comportano costi aggiuntivi, conflitti (essendo clienti dei mmg  come l’idraulico o il servizio di pulizie)  e che potrebbero risolvere tutte quelle situazioni burocratiche  che opprimono quotidianamente  l’attività clinica (legge sicurezza, malattie del personale, competenze infermieristiche sugli obiettivi incentivati, TFR, buste paga, materiale di consumo,  manutenzione, attività commercialistiche e di fatturazione…).

La sfavillante legge Balduzzi del 2012 e il Patto della Salute del 2014 hanno indicato come dovessero essere disponibili strutture moderne ed adeguate per tutti i medici che lo avessero desiderato (in grado di proporre programmi, progetti e modelli condivisi tra tutti i colleghi).  

Purtroppo, documento dopo documento, in modo sinuoso, la medicina amministrata riesce a modificare a suo vantaggio (?) ipotesi in origine addirittura auspicabili ma poi burocraticamente e impercettibilmente mutate negli scritti  tanto da arrivare a smarrire anche il senso di alcuni concetti: gli Ospedali di Comunità hanno senso se inseriti appunto nelle comunità ed in aree geografiche di prossimità in caso contrario non sono più Ospedali di Comunità.  

Infine è  la cooperazione tra medici, infermieri/operatori territoriali in team autonomi ed indipendenti in grado di gestire i  processi decisionali e il  governo clinico (i microteam sono assolutamente incomprensibili)  che costruiscono il vero strumento (da valorizzare) in grado di rispondere ai nuovi bisogni e alle persone che desiderano fortemente partecipare e responsabilizzarsi in favore delle proprie comunità (collegio del territorio).

Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria)
FISMU (Federazione Italiana Sindacale dei Medici Uniti )
Regione Emilia-Romagna

27 febbraio 2020
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Distress emozionale in medicina generale - 2° parte

Presentazione video voce (2° parte) di Bruno Agnetti dal titolo:

“Il paziente con distress emozionale in medicina generale”

ovvero

“I disturbi somatoformi e il MMG”


Distress emozionale in medicina generale - 1° Parte

Presentazione video voce di Bruno Agnetti dal titolo:

"Il paziente con distress emozionale in medicina generale"

ovvero

"I disturbi somatoformi e il MMG"

 


Proposta di nuova convenzione per la medicina generale

Proposta di una nuova convenzione per la medicina generale

La necessità di ripensare un nuovo Patto/Contratto deriva dal bisogno di riportare l'attività clinica al centro del disegno programmatico e organizzativo istituzionale a causa delle emergenze sanitarie alle quali occorre far fronte.

Articolo di Bruno Agnetti pubblicato su Prospettive Mediche, n°1 gennaio/marzo 2013

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Il Volontariato e i Medici di Famiglia

Il volontariato ha avuto negli anni '80 una imprevista esplosione sia a livello nazionale che locale (a Parma si possono contare circa 457 organizzazioni di volontariato secondo quanto riportato nel sito di Forum Solidarietà).

Per comprendere il ruolo del volontario e della sua possibile integrazione con la medicina generale del territorio (mmg - medici di famiglia) è necessario che i due soggetti (volontari e medici) vengano osservati all'interno di alcuni noti macrofenomeni socio-biologici-culturali tutt'ora in piena evoluzione.

Articolo di Bruno Agnetti

Pubblicato sulla Gazzetta di Parma - 29 giugno 2009

 

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