Dente di leone

Dona salute al tuo quartiere: nuove proposte per il San Leonardo

7 OTT- Gentile Direttore,

I recenti interventi in tema sanitario apparsi sulla Gazzetta di Parma (Piergiorgio Serventi e Fabio Vanni) hanno dato l’occasione al nostro Centro Studi di Programmazione Sanitaria di esprimere alcune opinioni e punti di vista rivolte al quartiere dove Comunità Solidale Parma (CSP) opera da anni.

L’associazione, secondo statuto, nasce proprio per svolgere riflessioni ed approfondimenti socio sanitari, autonomi ed indipendenti, in base allo studio delle criticità presenti in questa parte della città (da sempre priva di strutture sanitarie pubbliche importanti) e all’analisi delle opportunità disponibili.

CSP ha elaborato  quasi 10 anni fa un disegno progettuale denominato “Dona salute al tuo quartiere: la casa della salute “grande” e l’Ospedale di Comunità” (accogliendo più di 1000 firme tra gli abitanti del quartiere). Oggi l’associazione, i professionisti ed i cittadini si confrontano con un progetto ufficiale di Casa della Comunità (CdC) per il quartiere San Leonardo che sta seguendo un suo percorso detto di “accompagnamento”.

Si desidera con il presente intervento condividere una ipotesi operativa in considerazione della situazione attuale che è comunque condizionata dalle norme PNRR e dal contesto economico generale.

Le normative collegate al processo decisionale istituzionale (Delibera della Giunta Comunale n. GC 2021-465 del 29/12/2021; deliberazione cc-2024-22 del 25/03/2024 … dove tuttavia si nomina “un ampliamento della Casa della Salute…”) hanno disposto la realizzazione di una CdC  per il San Leonardo. Dovrebbe essere edificata c/o il polo socio-sanitario di Via Verona (detto anche Parco dei vecchi mulini) proprio dove oggi le persone possono osservare il profondo scavo nel terreno vicino parete sud dello stabile del polo socio-sanitario.

Dall’inizio lavori  si evince tuttavia che la struttura della CdC potrebbe non essere adeguata ai bisogni sanitari del quartiere già ben rappresentati dal disegno progettuale di CSP del 2014-2015.

E’ altresì paradossale che in questa periferia dove insistono molti “servizi”  per l’intera città (stazione, ferrovie, autostrada, inceneritore, industrie, ipermercati…) che possono procurare disagi anche sanitari  (es. inquinamento ambientale) sia carente di strutture sanitarie adeguate ai bisogni . Anche storiche medicine di gruppo presenti in San Leonardo (tra le prime ad essere attivate in città) sembrano accusare difficoltà logistiche e non solo tali da  essere costrette a prendere in considerazione  l’ipotesi  di un trasferimento.

Queste ultime affermazioni ci consentono di presentare una nuova ipotesi di riordino del sistema socio-sanitario e assistenziale nel quartiere sempre  che sia possibile immaginare  un  cambio di destinazione d’uso della CdC di San Leonardo ( fondi PNRR permettendo).

L’ipotizzata CdC potrebbe essere affidata alle associazioni di volontariato del quartiere (sollevando il datato ex-Comune di Cortile San Martino dalla numerosa presenza di organizzazioni del terzo settore). Tuttavia è probabile che  le organizzazioni no profit del San Leonardo non potranno tutte trovare una nuova sede nella CdC di Via Verona così come è evidente che nella stessa CdC non troverebbero posto tutti i medici di medicina generale  del quartiere che vorrebbero operare in una struttura di questo tipo. L’ipotesi proposta da CSP permette di realizzare un punto di riferimento per iniziative relazionali con la popolazione (riunioni, conferenze, dibattiti…), con l’associazionismo medico (le due medicine di gruppo di San Leonardo si trovano equidistanti da Via Verona ), con gli  ambulatori singoli e con le istituzioni sociali già presenti nel polo socio sanitario Wilma Preti realizzando così un'unica “casa della Salute/Comunità| di Quartiere su più sedi.  La tesi naturalmente richiede innovazione e riorganizzazione condivisa che possa vedere i professionisti socio-sanitari e le associazioni del quartiere protagonisti di un processo decisionale snello, rapido e fruibile da chiunque. Va da se che il Parco dei vecchi mulini (Deliberazione n. gc-2022-223 della giunta comunale in data 18/05/2022) dovrebbe essere integrato completamente in questo nuovo disegno socio-sanitario ed assistenziale creato dalla rete tra medicina di base, volontariato e il sociale. Il parco può essere messo a disposizione dei cittadini ma essere anche dedicato alla prevenzione, alla riabilitazione neuro-motoria e cognitiva, ad eventi educativi, ricreativi, culturali e diventare un centro di riferimento, in sicurezza, per tutto il quartiere.

Direttivo di Comunità Solidale Parma

www.comunitasolidale-parma.it

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

7 ottobre 2024
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L’insostenibile fragilità dell’Atto di indirizzo sulle Case di Comunità

20 MAG - Gentile Direttore,

da circa due mesi si è conclusa la “consultazione pubblica” sull’Atto di Indirizzo Agenas (tramite compilazione di un questionario) sul tema della partecipazione/co-produzione nell’ambito delle Case della Comunità. Il documento è stato redatto da un gruppo di studio composto da rappresentanti delle Regioni e da professionisti definiti esperti sul tema della partecipazione di pazienti e cittadini alle questioni sanitarie.

Storicamente gli Atti di Indirizzo indicano, in modo piuttosto potestativo, il comportamento normativo desiderato dalle istituzioni. L’elaborato articola quali debbano essere i passaggi di partecipazione e co-produzione che Regioni, Aziende e Distretti metteranno in atto. A dispetto delle intenzioni quindi nulla di nuovo. La piramide gerarchica sanitaria resta saldamente inalterata così come sarà la valutazione finale della potentissima Conferenza Stato-Regioni.

E’ noto che i documenti ufficiali europei (es.: Piano di ripresa NextGenerationEU ) disegnano strumenti finanziari (in buona parte prestiti pluriennali). Ogni nazione ha poi concepito propri Piani Nazionali (PNRR) con i quali definisce l’utilizzo dei contributi straordinari europei (post-covid) per il periodo che va dal 2021 al 2026. Nessun documento europeo specifica che una azione di ammodernamento sanitario (es.: territoriale) debba realizzarsi con le Case della Comunità. Lo stesso Piano Nazionale (PNRR) indica la necessità di attivare iniziative in grado di promuovere “strutture di prossimità” per quanto riguarda le cure primarie e cita, solo come esempio, le Case di Comunità ma non esclude nessun’altra formalità.

Successivamente al Piano di ripresa NextGenerationEU e al PNRR sono sati pubblicati il DM77/2022 (regolamento recante la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell'assistenza territoriale nel SSN), il Metaprogetto, documentazioni varie di gruppi e di istituzioni locali. Per quanto riguarda il così detto territorio, le argomentazioni si sono polarizzate sul concetto di comunità (es.: Case della Comunità, Ospedali di Comunità). I criteri, “sui generis”, dettati dal “regolamento”, sono rigorosamente aderenti alle necessità Regionali, Aziendali e Distrettuali e potrebbero non coincidere con bisogni professionali o assistenziali. Questi parametri sono di difficile comprensione culturale se si considera la liquidità delle collettività e il desiderio, espresso dalle persone di buona volontà, di ripensare alla complessa preparazione del terreno per favorire nuove germinazioni comunitarie. Se la comunità non c’è più, così come non esistono le collettività, come è possibile seguire una programmazione che manca di solidi presupposti? Nel recente passato qualche timido tentativo di ricostruire, faticosamente, un delicato tessuto comunitario è stato misconosciuto dai rappresentanti istituzionali. Come è possibile che ora le stesse Alte Dirigenze, per normativa, diventino sensibili ad aspetti sociali/sanitari complessi quando le culture dominanti amministrative sono neoliberali, economicistiche, aziendalistiche e lineari?

In una società riconosciuta da molti studiosi come liquida occorre molta preparazione per riconoscere e valorizzare piccole formazioni comunitarie che sono riuscite, miracolosamente, a sopravvivere alla globalizzazione. Taluni rappresentanti istituzionali hanno dimostrato inadeguatezza verso questi riconoscimenti mentre le mappe e i profili territoriali (non solo relativi all’appropriatezza/risparmio prescrittivo) avrebbero dovuto essere un patrimonio fondamentale per le Aziende. Alcune preziose progettualità e risorse sono state bellamente ignorate determinando così l’esaurimento di esperienze di co-operazioni volontariato/cittadini/professionisti storiche. Se fosse capitato qualche cosa di simile nelle aziende condotte da Olivetti o da Mattei o da Ford avrebbero comportato parecchi licenziamenti.

Un concreto processo di partecipazione (e/o di co-produzione) avrebbe dovuto comprendere il principio di un completo coinvolgimento nel processo decisionale dall’inizio alla fine. Tuttavia la cascata normativa burocratica non ha contemplato questa ipotesi così che, ora, occorre rincorrere determinazioni già decretate up-down.

Infatti, nel testo dell’Atto di Indirizzo, si nomina "l’utilizzabilità” (disponibilità?) delle così dette modalità di partecipazione che verosimilmente saranno poste al giudizio delle stesse Alte Dirigenze Regionali, Aziendali, Distrettuali. La programmazione e il governo della “produzione” Aziendale presenta una certa “complicazione” lineare che richiama suggestioni relative alla globalizzazione, ad orientamenti neoliberali, al consumismo sanitario di origine aziendale (consuetudini conosciativistiche?) causa di differenziazioni (discriminazioni?) professionali e assistenziali. Ogni argomentazione sulla partecipazione non può esimersi dal considerare queste criticità. E’ necessaria, come l’aria, una assoluta trasparenza e la capacità di riconoscere ruoli non tanto di partenariato ma di leadership. In caso contrario tutto diventerà ancora più confuso ed ambiguo. Meraviglia come nel testo non si nomini mai la libera scelta fiduciaria del mmg come strumento fondamentale (sovrapponibile ad una elezione politica/apartitica) per tentare di ricostruire una identità condivisa territoriale e si preferisca citare il consenso informato che è un dispositivo di credito informativo, più attinente alla specialistica/dirigenza/dipendenza, per nulla commensurabile con la libera scelta fiduciaria. All’interno di questo rapporto ci si relaziona, (es.: in team) più con persone e problemi che con malattie o patologie specifiche come invece può avvenire a livello ospedaliero ( es.: équipe chirurgica).

Nell’interessante e lungo elenco bibliografico, riportato alla fine del documento, si richiamano pubblicazioni del periodo pre-covid, che ragionano da Case della Salute (le Case della Comunità sono effettivamente una miglioria nei confronti dei contenuti relativi alle Case della Salute?). Si può altresì notare una ostinata ricerca di modelli esteri senza che vi sia una validata sovrapponibilità operativa di quegli esempi con la nostra eterogenea realtà nazionale già considerata, a suo tempo, una delle migliori organizzazioni sanitarie al mondo.

Bruno Agnetti

Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV-Runts

20 maggio 2024

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La narrazione favoleggiante sulle Case di Comunità

29 APR - Gentile Direttore,
sul tema “comunità”, che per estensione potrebbe inglobare anche il termine “Case della Comunità”, sembra proprio che Bauman e altri pensatori insieme a lui (Zamagni, Cavicchi, Benasayag, Byung-Chul Hann, Benanti, Floridi, Mortari, Morin…) abbiano scritto inutilmente le loro opere. Se le varie forme di “comunità” si sono liquefatte sotto i colpi della globalizzazione, dovrebbe apparire paradossale, una vera contraddizione in termini, imporre, oggi, per normativa, strutture edilizie in conto capitale definite “Case della Comunità” (CdC). Forse sarebbe stato più lineare continuare a definirle “Case della Salute” (CdS).

La vulgata che le CdC siano una innovazione nei confronti delle CdS in quanto nelle CdC verrebbero inseriti, in modo tutt’ora incomprensibile, il terzo settore e il sociale non corrisponde al vero: basta leggere i documenti riferibili alle CdS (2010) ed eseguire una banale ricerca per parole chiave. Così come potrebbe essere sorprendente scoprire che i temi dell’ambiente e del contesto (oggi è di tendenza il temine “one health”) sono già ricompresi addirittura nella legge 833 del 1978. 

La narrazione favoleggiante sulle CdC è quindi triste ed infelice dall’inizio, manca di trasparenza, è informativamente asimmetrica. Non risolverà i gravi problemi che discriminano assistiti e professionisti in quanto differenziati nella fruizione dei servizi. Pare ancora una volta che la visione individualistica e consumistica aziendale abbia il sopravvento e manifesti l’incapacità di sperimentare nuovi assetti comunitari immersi nella molteplicità della complessità e che rifiutano la gerarchizzazione proprio perché gli assistiti ed i professionisti non sono riducibili ad una rigida dimensione.

In ogni caso l’istinto ontologico volto a creare piccole comunità potrebbe trovare, in ambito sanitario, un estremo appiglio proprio nella relazione fiduciaria (rito collettivo?) che contiene in sé aspetti pattizi ed etici.

Le situazioni di commissariamento e sub-commissariamento che perdurano, anche in realtà unanimemente considerate modelli per il paese, non aiutano né a cogliere il significato di siffatte precarietà gestionali/organizzative né a limitare le problematiche che tendono a deteriorarsi di mese in mese. Il caos non permette mai di conoscere una strada da seguire ma abbandona le persone e i professionisti di buona volontà ad un orizzonte impenetrabile.

E’ commovente come, ancora una volta, nelle regioni dove le Ausl si reputano, in modo autoreferenziale, le più avanzate, siano state organizzate, dalle Aziende Sanitarie insieme alle Amministrazioni Comunali, all’Università e ad alcune Associazioni estranee ai territori di interesse, percorsi formativi per i soggetti che direttamente o indirettamente dovranno, secondo gli intenti, popolare le CdC. I percorsi dovrebbero servire ad accompagnare la così detta “partecipazione dal basso”. Fotocopia di quanto è già capitato all’inizio della stagione consociativista per le Case della Salute con i risultati che sono di fronte agli occhi di tutti.

Secondo la letteratura, l’attività di condivisione delle scelte sanitarie pubbliche che interessano i cittadini di un quartiere dovrebbero seguire le regole della co-operazione e riguardare l’intero processo decisionale. Significa che bisognerebbe partire insieme, allineati e parificati, nel rispetto delle specificità non gerarchiche ma curriculari. Il primo step è quello dell’ideazione. Poi si passa alla progettazione, di seguito alla realizzazione per poi terminare con la sperimentazione e la stabilizzazione. Il compendio è dato dalla rendicontazione rivolta ad es.: alla popolazione di un quartiere da parte dei professionisti fiduciari di riferimento che sovraintendono l’intero processo. Quando invece le istituzioni sovraordinate (es.: DM77, Metaprogetto, Regione, Ausl, Amministrazioni locali, Associazioni nazionali…) cercano di convincere i diretti interessati “ad integrarsi” alla fine del processo, cioè dalla coda, allora la trasparenza fa difetto e si crea quella che si definisce una asimmetria informativa. Ed è qui che casca l’asino.

Desta oltremodo meraviglia che le istituzioni (e di conseguenza i processi di formazione da loro attivati) non siano nemmeno in grado di conoscere e di valorizzare esperienze che negli anni si sono dispiegate sotto il loro naso. Oltre alla cronicità e alle fragilità esistono anche persone della 3° e 4° età ancora in buona salute che avrebbero un grande vantaggio nel poter usufruire di servizi sociosanitari completi in una struttura di quartiere raggiungibile in 15 minuti dalla propria abitazione. Si dovrebbe considerare che numerosi pensionati e anziani, ormai mediamente alfabetizzati in ambito sanitario se non addirittura intellettuali del settore, sono in grado di avvalorare ancor di più la stratificazione generazionale professionale, i quartieri e il volontariato. Soprattutto non gradiscono essere considerati manovali prestazionali finalizzati all’efficientamento di disservizi di competenza pubblica.

Le notevoli risorse utilizzate per dare vita a Comitati di Indirizzo, Gruppi di Progetto, Patti Sociali, Percorsi Formativi hanno ignorato il contesto specifico, hanno coinvolto associazioni esterne ai quartieri o ingaggiato soggetti privi di curriculum coerente. Si è arrivati perfino a sostenere modelli amazzonici (sic!) per i “nostri” territori.

Dalla stagione delle “Case della Salute” ciò che non è mai stato effettivamente risolto è la necessaria parità di risorse di partenza per cittadini e professionisti (strutturali, organizzative, gestionali ed economiche). Molti pazienti, di fatto ma non di diritto, e i loro professionisti sono quindi diventati, da numerosi anni, di serie B. Tuttavia, i mmg, ancora punti di riferimento per una popolazione, anche se discriminati, tentano di risolvere i bisogni dei loro assistiti nel miglior modo possibile. Non si può però pretendere da questi medici più di quello che fanno anche perché, se il SSN sta ancora in piedi, molto è dovuto al loro silenzioso e quotidiano lavoro di prossimità. Il pensiero unico, che si auto assolve sempre da ogni responsabilità, non si è mai interessato fattivamente delle competenze delle piccole comunità forse irritato da una loro, ormai esigua, autonomia (che verrebbe eliminata completamente dalla dipendenza). Spesso ne hanno ostacolato l’operatività tanto che, nelle inevitabili difficoltà, prontamente puntano il dito su un presunto insufficiente volontarismo di professionisti e cittadini.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

29 aprile 2024
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Medicina Territoriale

Innegabili sovrapposizioni tra casa della Comunità e Casa della Salute

Gentile Direttore,
la meccanica quantistica, si sa, è una fra le teorie più controintuitive. E’ strano che una particella possa comparire in due posti contemporaneamente anche a distanze siderali oppure che un fenomeno come l’entropia possa contraddire il tempo potendosi sviluppare in due direzioni opposte: in avanti rispettando il fenomeno dell’incremento del disordine (invecchiamento) ma anche, paradossalmente per il tempo che scorre, indietro o quasi.

Si sostiene che tutto questo dipenda dalla doppia natura delle particelle sub atomiche che sono nello stesso tempo porzioni di materia ma anche onde di energia. Tutto ciò, assicurano i fisici, è stato ampiamente dimostrato e potrebbe valere anche per “corpi” di dimensioni maggiori (batteri, esseri umani, corpi celesti) pur comportando, in questi casi, una documentazione della “sovrapposizione” terribilmente complicata.

Restando con i piedi ben piantati nella meccanica fisica classica non si può dire, come più volte sostenuto ex cathedra, in pubblico, dai cosiddetti esperti del settore che le Case della Comunità siano un netto miglioramento del modello Casa della Salute come è intuitivamente evidente osservando la schematizzazione delle due tabelle sinottiche a fondo pagina (CdS “Grande” vs CdC “hub”).

Il PNRR ha consentito il proliferare di narrazioni normativamente corrette ma soffocanti in favore del fatto che l’innovazione sia data soprattutto dalle Case della Comunità “spoke” (programmate in grande numero) che si collegheranno/integreranno con le Case della Comunità “hub” ( progettate in numero significativamente scarso) così da riproporre un infinito frattale “piramidale” che non ha nulla a che fare con i bisogni delle comunità/quartieri/zone.

Evidentissimo invece il vantaggio per il Distretto inteso non come area geografica ma come apparato amministrativo per altro invocato da molti come modello “salvifico” probabilmente non avendo mai sperimentato i vincoli egemonici possibilmente agiti. Come già approfondito a suo tempo è una questione di potere. Di norma l’obiettivo del potere non può esimersi dall’incremento del potere stesso fino all’esaurimento delle risorse disponibili.

Si replica inoltre la tragedia (a grande richiesta) già sperimentata nella stagione delle Case della Salute. Il racconto, tutto concentrato sulle Case della Comunità “spoke”, nasconde nelle pieghe dell’affabulazione la sventura della differenziazione (alcuni la definiscono discriminazione) professionale ed assistenziale. Infatti non è equivalente o sovrapponibile essere un professionista o un paziente affiliato ad una CdC spoke o assegnato ad una CdC hub in merito a opportunità professionali, servizi o assistenza offerti. Sorge inoltre un dilemma: chi ha deciso dove collocare una CdC hub o spoke? I professionisti? I cittadini assistiti/le comunità? Non sembra proprio ma “Così va il mondo” (Noam Chomsky, Piemme 2017) dove si è portati a ratificare, attraverso alcune ritualità formali, decisioni già prese e comunque separate dalla “policy” del bene collettivo. I cittadini sono intimorirti e smarriti di fronte ai depositari istituzionali “della verità sulla salute” a cui delegano, a causa dello squilibrio di conoscenze e mezzi, senza indugio, le scelte assistenziali/organizzative.

Ciò nonostante, emerge, molto intimo, un singolare pensiero quasi filosofico-stoico: ma è proprio vero che quando c’è la struttura burocratica/amministrativa sanitaria c’è tutto? Si può raggiungere la salute in modo diverso per essere felici? Il benessere può essere conquistato seguendo vie o indicazioni più personalizzate, orientate a stili di vita molto corretti e a sistemi riabilitativi bio-psico-sociali? Per vivere con passione e gusto l’esistenza forse occorre che ci sia qualcosa di grande, un ideale, un bene che renda la vita degna e piena. Paradossalmente per questo ideale spirituale una persona potrebbe essere disposta anche a ridurre la medicalizzazione, sempre più indiscreta, della vita stessa (C. Sanguineti 2021) ed accettare lo scorrere della vita o, se si vuole, la volontà di Dio.

Nel complesso l’impianto normativo sanitario attuale (ACN, DM77, Documenti di Agenzie e di Gruppi portatori di interessi ecc.) appare estremamente fragile, senza fondamenta culturali solide e condivise.

Di tutto ciò è stato appuntato già numerose volte e verosimilmente può non rappresentare nemmeno, dal punto di vista intellettuale, la “questione medica” attualmente più pregnante. Ipotesi e modelli alternativi di organizzazione territoriale sono stati presentati nel tempo da molti commentatori ( il medico “autore”, il vero “welfare di comunità” e l’autonomia territoriale, la dipendenza, rapporto fiduciario e libera scelta, la discrepanza tra la qualità formale, percepita, risultante…).

Mette comunque ora apprensione il destino delle persone che vivono in una comunità che si relaziona, per le questioni di salute, con i propri medici curanti di base. Nondimeno vi è una scarsa consapevolezza, tra gli assistiti, di quello che le normative istituzionali stanno prospettando per il territorio. Il contatto tra cittadini e istituzioni, quando esiste, è sempre estremamente sbilanciato. Le ricchezze esperienziali delle comunità non vengono considerate e si preferisce proseguire con liturgie autoreferenziali addirittura bocciate dalla globalizzazione neoliberalista che tenta di ricostruire un nuovo equilibrio mondiale dopo l’esperienza della pandemia, della fragilità energetica e della guerra. Il coraggio di confrontarsi con i cittadini non si esaurisce in una o due riunioni assembleari annuali. Non implicano nemmeno autorevolezza quelle figure che si autoproclamano rappresentanti dei cittadini o che vengono calate dall’alto dalle onnipotenti aziende sanitarie. Eppure il sapere all’interno dei sistemi complessi come quello sanitario ed assistenziale si crea anche dall’esperienza consapevole degli individui che costruiscono singolarmente più tipi di intelligenze (H. Gardner, Formae mentis, Feltrinelli 1988).

Se la complessità è un dato di fatto è necessaria una pluralità di approcci per comprenderla. Non si può affrontare la complessità con un solo metodo o con un pensiero unico o con modalità lineari rigide e verticistiche/gerarchiche. Le comunità grazie alle “intelligenze multiple” possono costruire con i loro medici di fiducia “la salute dei quartieri” da diversi punti di vista e in modo flessibile. L’autonomia delle comunità nei processi decisionali è sempre più vitale per il servizio pubblico di medicina generale (di base) ed è una netta alternativa alle attuali normative legislative e ai numerosi “stakeholders” molto interessati alle opportunità utilitaristiche che possono emergere dalle normative ufficiali ma che spesso non hanno nulla a che fare con i professionisti e con le comunità territoriali.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria ( CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV


Cure primarie, c’è una alternativa?

Gentile Direttore,
l’ambito del così detto “territorio” (che considera tutti gli attori che insistono sulle cure primarie compreso il volontariato/terzo settore) da tempo vive nella certezza dell’incertezza.
Pare molto arduo poter percorre una alternativa al pensiero dominante, come fosse un pensiero unico, diffuso a livello manageriale.

Non sono comunque i documenti ufficiali ricordati più volte (ACN, DM77, Metaprogetto…) che sembrano in grado di diradare l’orizzonte. I decisori, ignari del divario istituzioni/società, sono un po’ sempre quelli e ritornano tenacemente pur avendo rivestito ruoli dirigenziali per molti decenni del secolo scorso. Dai risultati ottenuti a livello del sistema sanitario sembra non siano approdati in nessun porto sicuro a causa delle conosciute contraddizioni culturali e gestionali attribuibili ad un processo cognitivo novecentesco. Se la parte sanitaria regionale rappresenta il 70-80% del bilancio regionale sono facilmente intuibili le possibili ripercussioni prodotte dal governare un fiume di denaro pubblico e del potere che questo comporta nelle varie articolazioni regionali-locali.

È di tutta evidenza che non si possano “ignorare gli errori fatti in passato sulla sanità” così come non si può dimenticare il notevole contributo alternativo prodotto in questi anni con articoli, conferenze, analisi, colte pubblicazioni e offerto ai cultori delle questioni sanitarie dal Prof. Ivan Cavicchi.

È quindi pleonastico richiamare temi e tesi di riforma radicale già avanzate più volte, esaustivamente. Chi ha subito le conseguenze della modifica del titolo V, della regionalizzazione del SSN (percepite come già molto differenziata) considera non sia più possibile peggiorare oltre. (Lettera aperta alla sanità; Autonomia differenziata).

La stagione delle Case della Salute potrebbe addirittura e paradossalmente apparire come un momento generatore di differenziazioni (alcuni colleghi le definiscono discriminazioni) assistenziali e professionali. Cosa potrebbe capitare con le Case di Comunità o quelle strutture intermedie definite Ospedali di Comunità o con l’ipotizzata centralità dispositiva distrettuale?

Cos’è una comunità, come si crea e come si mantiene viva? Alcuni, pur addetti ai lavori, sostengono ed argomentano che le Case della Comunità siano cosa diversa dalle Case della Salute. Forse sarebbe utile leggere la delibera sulle Case della Salute della Regione Emilia Romagna (GPG/2010/228). Una Casa della Salute “grande” potrebbe apparire, almeno dal testo della delibera, molto più attrezzata per una assistenza territoriale integrata di quanto descritto dai vari documenti sulle Case della Comunità. Non solo per la cronicità e per la medicina di iniziativa ma anche per quella di attesa e per alcune tipologie di acuzie (bisogni non differibili). Pare ci sia molta confusione sotto il cielo ma la situazione non è eccellente perché se coloro che sono esperti e che vorrebbero dedicarsi alla formazione degli operatori sono così disorientati c’è da immaginare cosa possa capitare.

L’alternativa, se possibile, non può che passare dal concetto dell’impareggiabilità dei professionisti autori capaci di generare il processo decisionale nella sua completezza e di essere punti di riferimento per le proprie comunità. Da una guida nazionale del Ssn. Da territori contenuti dal punto di vista geografico e di popolazione, concetto assistenziale che si contrappone alle varie tendenze di ingegnerizzazione sanitaria orientate alle fusioni aziendali o alle mega aziende. Da un welfare che sia effettivamente di comunità (non un welfare aziendale per altro pubblicizzato anche dalle aziende sanitarie… sic!).

Sarebbe ora di lasciare lavorare gli operatori senza complicare la loro attività con regolamentazioni amministrative incomprensibili per i cittadini e inaccettabili per i professionisti.

Per le aziende e gli assessorati l’alternativa potrebbe diventare un nuovo ruolo elevato di garanzia inerente i valori fondamentali di universalità, equità e accessibilità e con una riduzione significativa di implicazioni gestionali-amministrative.
Di fatto la situazione richiede la consapevolezza della profonda trasformazione sociale in atto. Se gli operatori non saranno liberi di rimanere autonomamente al passo con le rivoluzioni culturali rischiano seriamente una regressione professionale.

Tralasciando tesi già trattati da provetti commentatori, è possibile solo accennare (parziale elenco) ad alcuni temi che in qualche modo potrebbero rientrare in una riflessione generale in senso “alternativo” per le cure primarie.

  • Purtroppo sembra che secondo il comunicato della commissione di garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali (GU n. 187 del 10 agosto 2002) sia praticamente impossibile poter indire uno sciopero a livello territoriale (Mmg) come strumento per fare pressioni innovative sui decisori. Nello stesso tempo l’esperienza insegna come i documenti emanati unilateralmente dalle istituzioni (es.: atto di indirizzo della Conferenza Stato-Regioni) non possano poi essere sostanzialmente modificati dai tavoli di confronto indetti ex post.
  • Nelle cure primarie (in particolare nella Medicina Generale detta di base) si assiste ad un parziale ma netto rivolgimento della tradizione in quanto la maggior parte dei professionisti che entrano in attività in questi anni sono donne: questione completamente dimenticata dalla documentazione istituzionale e che potrebbe preconizzare la necessità di una profonda rilettura di bisogni ed esigenze organizzative.
  • Le associazioni di ammalati o dei loro parenti, uniti insieme da una patologia, a volte hanno dimostrato di riuscire a modificare situazioni specifiche, influire sull’organizzazione sanitaria di alcuni reparti ospedalieri e addirittura finanziare ricerche, strumentazioni o immobili. Il coinvolgimento dei cittadini come massa critica in grado agire come stimolo riformatore resta in generale intrepida ma episodica. Ancora più complessa la situazione a livello territoriale dove le associazioni di volontariato o del terzo settore a sostegno e supporto delle cure primarie, come bene comune, sono rare e non ottengono attenzione da parte delle istituzioni.
  • Dopo l’annuncio della Commissione Europea e la definitiva approvazione del PNRR pare siano nate numerose aggregazioni, più o meno spontanee, orientate ad una appropriazione di competenze sul PNRR sanitario e sulle documentazioni istituzionali ed amministrative finalizzate ad ottenere accordi con le aziende sanitare per agire come formatori degli attori che opereranno nelle previste Case della Comunità. Secondo le osservazioni derivate dal principio di indeterminazione potrebbe essere molto utile considerare più punti di vista ed in particolare occorrerebbe prendere atto in modo cogente delle opinioni di chi opera quotidianamente in prima linea.

Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria)

09 febbraio 2023
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Una guida alla Casa della Salute/Casa della Comunità

di Giuseppe Campo e Alessandro Chiari

 

casadellasalute

28 MAR - Gentile Direttore,ci permettiamo di comunicare ai medici interessati l’uscita a stampa di un piccolo manuale (redatto dal collega Bruno Agnetti e pubblicato dalla casa editrice “Lennesima”) sulle strutture organizzative che potremmo collocare alla fine della cascata epistemologica (paradigma, dottrina, disciplina) riferendoci al Prof. Cavicchi e alle sue raffinate argomentazioni inserite nel suo ultimo libro presentato anche su QS. Forse all’interno dell’apprendimento applicato (disciplina) può essere inserito l’aspetto organizzativo dell’ambito medico-sanitario che oggi vede come “tendenza del momento” la questione delle Case di Comunità con le sue numerose incertezze, contraddizioni, affermazioni, ripensamenti, dilazioni… Per i colleghi della Regione Emilia Romagna il nostro Centro Studi di Programmazione Sanitaria ha voluto appunto raccogliere un sintetico insieme di dati, esperienze e relazioni inerenti i temi delle aggregazioni monoprofessionali, pluriprofessionali e multisettoriali territoriali funzionale e strutturale. Si tratta soprattutto di un racconto, della narrazione delle vicende che partono dal ACN 2005 ed arrivano fino ai nostri giorni strettamente confinati al campo dell’organizzazione e delle relazioni mmg/istituzioni.

Le argomentazioni del testo “La scienza impareggiabile” sono ad altro livello tanto che qualche collega ha auspicato che questo libro debba diventare un testo base per il corso universitario di Medicina e chirurgia. Tuttavia l’esposizione contenuta nel manuale “Guida alla Casa della Salute/Casa della Comunità: come organizzare una CdS/CdC senza massacrarsi la vita” è un resoconto dell’abitudine quotidiana di zappare la vigna che è data ai mmg (fino ad oggi). L’argomento non viene sviscerato nella sua complessità ma presenta qualche suggerimento schematico per chi si dovesse trovare ad intraprendere una simile avventura all’interno della ridda di documenti, a volte contrastanti, che intendono disegnare il futuro dell’assistenza socio-sanitaria territoriale.

La piccola e coraggiosa casa editrice “Lennesima” provvede alla distribuzione on line del testo cartaceo  o della versione in PDF, anche al di fuori della Regione E-R, con il sistema “Trainingweb” https://www.trainingweb.it/product/libro-cartaceo/ ed è contattabile al seguente indirizzo: LEN Golfo dei Poeti, 1/A, 43126 Parma; Tel.: 0521 028 455.

Raccontare la storia di alcuni colleghi che hanno operato in questa regione in un arco temporale che copre circa 20-30 anni può essere una modalità per conoscere l’ambiente lavorativo del medico di medicina generale che oggi si trova di fronte alla necessità (per la sua sopravvivenza) di affrontare un enorme trasformazione ontologica per riconquistare una propria impareggiabilità istituzionale considerato che il gradimento nei suoi confronti da parte dei cittadini rimane sempre molto alto. Giuseppe Campo e Alessandro ChiariCSPS (Centro Studi di Programmazione Sanitaria) FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti) Regione Emilia-Romagna28 marzo 2022© Riproduzione riservata


Medicina Territoriale

Le case della comunità nei quartieri, una scelta in ritardo di anni

22 FEB - Gentile Direttore,

Sul filo di lana del traguardo della consiliatura posso manifestare una malcelata soddisfazione per il fatto che almeno è emersa "ufficialmente" una qualche "sensibilità" su temi direttamente coinvolti all’assistenza sanitaria territoriale avvenuta con la presentazione della delibera della Giunta comunale nella quale si esprime parere favorevole sul sistema strutturale delle così dette Case della Salute (oggi più propriamente definite Case della Comunità) di via XXIV Maggio (quartiere Lubiana) e di via Verona (quartiere San Leonardo).

Null’altro che una "sensibilità" forse nemmeno genuina ma dettata dalla necessità di presentare qualche progetto al fine di racimolare in fretta e furia quel che resterà del Pnrr.

Attualmente le due denominazioni (Case della Salute/Case della Comunità) possono essere considerate concettualmente sovrapponibili come funzioni e obiettivi professionali e assistenziali anche se è probabile che nei prossimi anni possano essere declinate operatività e integrazioni diversificate in relazione agli sviluppi culturali e normativi in atto (Pnrr, contratti nazionali, accordi regionali e locali, approfondimenti e interpretazioni pubblicati da numerosi commentatori nazionali e locali).

Credo a questo punto di poter dare un significato parzialmente positivo al mio mandato amministrativo, considerato che l’obiettivo principale , quello di portare all’interno dell’Amministrazione comunale una attenzione politica alla situazione locale sanitaria periferica, ha causato tuttavia indirettamente una reazione.

Non sono sicuro ma senz’altro la delibera, che arriva con un ritardo di numerosi anni tanto da rendere già obsolete le disposizioni assunte,  sarà scaturita da una approfondita analisi dei bisogni e delle necessità assistenziali e professionali dei quartieri e che saranno stati evasi i necessari confronti e dibattimenti con le comunità e con i professionisti interessati.

Grazie a questi numerosi scambi di vedute saranno stati presi in considerazione gli effettivi bisogni logistico/architettonici, assistenziali e professionali valutando anche quanto elaborato dalla letteratura di settore in questi anni che considera la multifunzionalità e la gradevolezza degli ambienti metafora della guarigione e del benessere.

Come emerge da numerosi resoconti, la vita della singole comunità non richiede la collocazione nei quartieri di poliambulatori ma di strutture in grado di rispondere alle necessità di una società moderna, attiva, con specificità identitarie e la peculiarità diffusa all’incremento delle cronicità ma anche di soggetti appartenenti alla così detta terza e quarta età tuttavia in buona salute, età che non può però essere risolta dal paradigma della città in 15 minuti.

Diversi commentatori hanno evidenziato come siano fondamentali le cooperazioni tra il sociale (inteso come servizi istituzionali ma anche come società civile organizzata) e il sanitario e come l’attività riabilitativa "continuativa" neuro-motorio e cognitivo-psicologico possa essere indispensabile anche per fasce di popolazione più giovane.

A tempo scaduto emerge l’urgente necessità di realizzare gli ospedali di comunità con mansioni anche di hospice (secondo quanto ricordato dal British Medical Journal) che, come dice la parola, per essere tale, cioè per essere Ospedale di Comunità, deve essere inserito proprio nella comunità stessa e nella struttura (Casa della Salute/Casa della Comunità) nella quale si realizza l’integrazione multiprofessionale (medicina generale, 118, continuità assistenziale), multidisciplinare (sanitaria, specialistica, diagnostica), multisettoriale (amministrativo, di volontariato e di terzo settore), relazionale (partecipazione della comunità di riferimento).

Tuttavia la lettura della delibera lascia numerose questioni in sospeso e non affrontate tanto da apparire inadeguata alle finalità che apparentemente sembra indicare.

Già sono passati molti anni dalla formulazione dei propositi contenuti nel testo del provvedimento e forse ne trascorreranno molti altri che potrebbero cambiare visioni, missioni e amministrazioni.

Al momento sembrano affiorare alcune criticità in merito alla condivisione con la popolazione, al confronto con la letteratura di settore, alla realizzazione degli spazi e delle funzioni tra le due Case della Salute/Case della Comunità citate nella delibera.

La mancanza di una visione ambiziosa, contestuale e allacciata alla realtà attuale continua la tradizione dell’opinione tendente al massimo ribasso (conto capitale e organizzazione corrente) inversamente a quello che dovrebbe essere il massimo rialzo (della qualità professionale e assistenziale).

Il concetto di visione ambiziosa (se non ora quando?) viene assimilata da alcuni come un pensiero puerile indegno di essere preso in considerazione e per questo manipolato in senso denigratorio. Manca la cultura del bene comune.

Tutto ciò non ha permesso un cambio di passo e trascina con sé le note criticità sanitarie (l’Ausl è commissariata da quasi due anni senza che nessun dirigente sanitario o responsabile amministrativo comunale abbia spiegato alla popolazione il perché) che continuano a condizionare questa città dando origine a quartieri e cittadini di serie A e serie B così come vi sono professionisti sanitari di serie A e B (manca una programmazione sanitaria territoriale locale efficace per le giovani generazioni di professionisti) e così tra gli stessi dirigenti sembrano esserci quelli di serie A e quelli di serie B.

Sembra proprio che Parma debba giocare "così così" sempre in serie B. Infatti, quale beneficio è arrivato in città grazie al commissariamento misterioso dell’azienda sanitaria locale?

Oggi le malattie improvvise incidono di meno sul complesso assistenziale e professionale delle patologie di lunga durata, quelle che rientrano nel termine cronicità.

Già è stato detto che molte persone della terza e quarta sono senili ma fondamentalmente sane. Quelli che si ammalano spesso non guariscono, si cronicizzano e quindi è assolutamente necessario pianificare con abilità e intelligenza una innovazione del territorio affinché riesca ad affrontare la presa in carico della fragilità (termine generale che contiene numerose forme di malattie o disagi) nella piena consapevolezza che affrontare le problematiche non significa trovare risposte universali.

Occorre ripensare e abolire gli ambiti territoriale e permettere ai giovani medici del territorio di formare gruppi omogenei, affiatati, numerosi e con uno specifico progetto assistenziale autogenerato che siano in grado di assumersi in carico un territorio di riferimento.

Una medicina basata solo sulle evidenze scientifiche non è in grado di affrontare la complessità sociale e sanitaria che non è mai lineare, protocollare, algoritmica, normativa, economicistica.

Occorre innovare e costruire un nuovo sapere fondato sui valori, sulla cultura, sull’esperienza, sull’etica, sul bello e sull’arte. Questo sapere deve essere autonomo, solido, costruito dalla comunità e realmente trasmissibile alle nuove generazioni di professionisti. Per molto tempo abbiamo pensato che la scienza potesse dare risposte appaganti ma ora comprendiamo che occorre tornare all’umanesimo. Covid docet.

Le comunità, insieme ai loro professionisti di riferimento, possono modificare il rapporto con la cura, la salute e il benessere. L’emergenza, lo scientismo, il vitalismo hanno rischiato di trasformare la cura il un oggetto di mercato.

Nella realtà il prendersi cura è un processo, un susseguirsi di momenti che si seguono nel tempo l’uno dopo l’altro e che si fondano non sulla guarigione (cosa significa guarire?) ma sulla relazione tra professionisti e persone che chiedono l’aiuto, familiari, colleghi, comunità…questi interessi uniti e basati sull’umanesimo possono, forse, incidere sull’attuale cultura regressiva delle istituzioni sanitarie e delle amministrazioni politiche.

Bruno Agnetti

Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

22 febbraio 2022
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Casa della salute anteprima

Salute e assistenza al centro del webinar Parma 22 32

Si è svolto mercoledì sera il secondo dei tre webinar tematici dedicati al welfare di Parma 22 32, il laboratorio aperto che promuove l’elaborazione di alcuni tra i temi chiave per la Parma del futuro, coordinato da Caterina Bonetti, Chiara Bertogalli e Manuel Marsico.

Dopo il primo incontro dedicato al tema delle persone con disabilità, nella serata di mercoledì è stato affrontato l’argomento Case di quartiere – Case della salute con la partecipazione di Erika Mattarella, della rete Case di quartiere di Torino, il dottor Bruno Agnetti, medico e consigliere comunale, l’architetto Michele Ugolini, docente del Politecnico di Milano con il coordinamento di Caterina Bonetti.

Erika Mattarella ha introdotto l’argomento illustrando la case history delle case di quartiere: dalla loro nascita, in ottica di riqualificazione e attribuzione di nuove funzioni di spazi dismessi cittadini, ai servizi erogati al loro interno. Una storia di spazi aperti a tutta la cittadinanza, polifuzionali, dove trovare corsi di formazione, attività di doposcuola, appuntamenti ricreativi per tutte le età, servizi di prossimità, dove potersi incontrare per un caffè o un pranzo, ma anche per utilizzare una sala adibita ad auditorium per uno spettacolo o un incontro pubblico. Fra i servizi erogati da una di queste case anche quello delle docce pubbliche, un’esperienza fra le poche in Italia, che consente a tanti cittadini di fruire di un servizio essenziale garantito, in piena sicurezza, anche durante il periodo Covid.

L’argomento della pluralità delle funzioni è stato affrontato anche dall’intervento dell’architetto Michele Ugolini, che ha esposto alcune buone pratiche legate alla realizzazione di case della salute nel territorio emiliano, confrontando le esperienze e sottolineando come scelte improntate all’inserimento, all’interno dei "contenitori" di servizi di prossimità non solo di tipo sanitario, sia fondamentale per rendere davvero efficaci gli interventi e dare un senso a questi spazi.

"La salute è una nuova questione identitaria che tocca tutte le persone e si deve coniugare con la salubrità dell’ambiente in cui viviamo. L’obiettivo deve essere quello di ridefinire l’approccio alle Case della Salute per la comunità, in particolare quelle urbane: non più solo centri di erogazione di servizi sanitari ma nuove e importanti occasioni di rigenerazione sociale, urbana e ambientale dove coltivare salute nei quartieri in raccordo con un vasto mix funzionale di attività pubbliche. Nodi di innovazione sociale e sanitaria, nuovi spazi in città più salubri per rispondere alle tante fragilità fatte emergere dalla pandemia. Luoghi identitari, aperti ai cittadini, integrati con il volontariato e le associazioni. Potremmo definirle biblioteche di cultura della salute in cui promuovere il benessere psicofisico delle persone e corretti stili di vita. Con il Politecnico, attraverso il programma Polisocial Award, stiamo elaborando una ricerca dal titolo Coltivare_Salute.Com che vuole rispondere alle lacune e alle vulnerabilità di tipo spaziale, sociale, organizzativo e comunicativo delle Case della Salute per la Comunità al fine di rafforzare, attraverso la loro localizzazione e una ridefinizione degli spazi interni, nuove centralità urbane nelle periferie delle nostre città. Lo shock provocato dalla pandemia ne costituisce l’occasione fondamentale, anche dal punto di vista dei finanziamenti".

Il dottor Bruno Agnetti ha poi illustrato, grazie alla sua esperienza ormai di lungo corso nella progettazione di servizi sanitari di prossimità, le principali caratteristiche delle case della salute di grandi, medie e piccole dimensioni. Le attività che possono trovare spazio al loro interno, legate non solo alla cura, ma anche alla prevenzione e alla educazione ai corretti stili di vita, le opportunità che una gestione condivisa degli spazi e delle attività può offrire anche in ottica di un cambio di modalità relazionale fra medico e paziente.

"La riforma dell’assistenza territoriale di base nonostante l’importante innovazione culturale delle Case della Salute non è ancora compiuta, come anche la pandemia ha dimostrato, soprattutto per quanto riguarda la co-operazione tra le varie professionalità e l’inserimento nelle comunità di riferimento. In effetti trovare un’innovazione organizzativa territoriale della medicina di base contestuale alla comunità di riferimento corrisponderebbe a scoprire un nuovo farmaco efficace per la cura dei tumori o allo sbarco sulla luna" ha sintetizzato in chiusura  Agnetti, auspicando che un lavoro efficace, ma soprattutto di ampie vedute possa essere realizzato quanto prima, anche sulla scorta delle esperienze maturate in questo periodo pandemico.


Associazionismo medico territoriale 2013

L'associazionismo medico territoriale:

La realtà delle forme organizzative

Roma 6 ottobre 2013