Gentile Direttore,
il presente contributo vorrebbe essere una micro-analisi relativa ad alcuni processi decisionali derivati dalle norme sulla regionalizzazione e sull’aziendalizzazione del servizio/sistema sanitario nazionale. Secondo alcuni autori la modifica del titolo V della Costituzione ha prodotto vere e proprie “contro-riforme”, che a loro volta hanno condizionato negativamente le piccole comunità assistenziali territoriali e i loro mmg di riferimento.
Come volontariato dedicato all’ambito delle cure primarie di quartiere, crediamo che l’osservazione e la considerazione della semplice vita quotidiana, delle opinioni, dei pensieri dei pazienti e dei medici di base, delle narrazioni, anche se basate su percezioni soggettive, possano diventare strumenti potenti per far emergere le vulnerabilità di una organizzazione o di un sistema. Come direbbe il poeta è “roba minima” ma in grado di evidenziare possibili debolezze strutturali.
Le continue modificazioni sociali superano costantemente le normative sanitarie. Gli ACN e gli AIR e gli AIL prospettano organizzazioni povere in lungimiranza culturale e già ampiamente superate al momento della applicazione degli accordi. È proprio di questi giorni la notizia che la società della vecchiaia si stia trasformando in quella della longevità (Nic Palmarini, Direttore del National Innovation Centre for Ageing NICA) tanto che per la pima volta nella storia dell’umanità, si può assistere alla compresenza di cinque generazioni che si trovano a condividere il pianeta nello stesso momento. Che risposte sanitarie e professionali si possono dare a questa evidenza per altro segnalata anche dai recenti dati dell’Istat?
Resta tutt’ora incomprensibile come sia stato possibile tradurre il concetto di “prossimità” (Next Generation EU) con quello di Casa della Comunità (PNRR). Destano meraviglia i giochi pirotecnici per inserire le CdC in strutture ospedaliere. Si resta poi senza parole quando sono gli Ospedali di Comunità ad essere situati in complessi nosocomiali. Non male per strutture che si definiscono “di comunità”… I processi decisionali elitari che stabiliscono la distribuzione delle CdC hub e spoke non sono mai neutri perché le assegnazioni crea discriminazioni assistenziali e professionali. Si sostiene che la politica sanitaria ricerchi, senza sosta, la quadratura dei conti “di giornata” e che le esigenze neoliberali contabili prevalgano sui bisogni dei mmg e delle comunità. Sarebbe quindi molto più trasparente esplicitare questa ineluttabilità senza cercare di vendere logiche prettamente finanziarie come straordinarie innovazioni sanitarie, sociali e culturali.
Altre narrazioni si interrogano su alcune abilità o competenze dei mmg in grado di offrire soluzioni alle criticità territoriali attraverso l’istituto del “parere o del suggerimento di primo livello”. La prassi professionale quotidiana ha innumerevoli situazioni in cui il medico agisce con questa modalità senza la necessità di una attestazione obbligatoria che non sia l’iscrizione all’ordine dei medici. Anche nelle cure palliative territoriale il medico di fiducia rappresenta il primo palliativista di riferimento per il proprio assistito. Sovrapponibile è la situazione dell’ecografia generalista in quanto la responsabilità è professionale e non è attribuibile all’attestato formale (art. 3 del Codice Deontologico). Da questo punto di vista, nel passato alcuni assetti, equilibri o spartizioni funzionali potrebbero aver limitato normativamente questa attività ai professionisti che avrebbero voluto praticarla, liberamente o come prestazione aggiuntiva di particolare impegno, proprio a causa di imposizioni di criteri operativi esclusivi e difficili da razionalizzare.
La normativa che formalizza la presenza dei mmg con incarichi di consulenza organizzativa/istituzionale all’interno delle Azienda (medici in staff) è, a sua volta, oggetto di un movimentato scambio di idee. Teoricamente potrebbero essere posizioni preziose. Tuttavia l’esperienza pluri-decennale suggerirebbe di evitare questi ruoli che potrebbero creare forti conflittualità con altri compiti in essere oppure generare incomprensioni a causa della messa in atto di meccanismi opachi, poco formalizzati e in grado di alimentare percezioni di vicinanza più che di selezione meritoria trasparente.
Estremamente delicato è l’ambito dei corsi di formazione in medicina generale in quanto sembra che i coordinamenti, le docenze o gli organi di governo non sempre siano stati selezionati in modo competitivo, con criteri oggettivi, secondo curriculum e abilità esperienziali didattiche.
Anche la formazione ECM è oggetto di rumors in quanto può apparire vetusta ed inadeguata rispetto alle possibilità offerte dalla tecnologia (ogni professionista ogni giorno può accedere in tempo reale ad aggiornamenti o informative operando scelte a vantaggio della propria attività professionale). Il sistema aziendale/regionale tende a valutare più la quantità e la frequenza (cioè misura la burocrazia) che la qualità degli apprendimenti (cioè la competenza). I mmg (adulti in continua formazione e aggiornamento) utilizzano un apprendimento esperienziale all’interno di sistemi complessi dove le competenze professionali, relazionali e l’integrazione dei saperi in team rende obsoleta la rincorsa alle “firme di presenza”. La medicina di prossimità è soprattutto cultura, creatività e responsabilità. L’ECM è, invece, soprattutto ospedalo-centrica.
Conclusione. Le considerazioni su riportate si riferiscono a scelte gestionali completamente lecite e normate che tuttavia richiedono di delineare orizzonti di opportunità politica e soprattutto culturale. Da questo punto di vista non appare convincente l’idea, a volte evocata in dibattiti e confronti, che un semplice cambio di fase, di governance o di priorità possa “azzerare” ciò che è stato. Non è neppure realistico affermare che tutto possa ripartire come se nulla fosse accaduto: eventuali squilibri generati da assetti poco trasparenti, se mai si fossero verificati, lascerebbero comunque tracce nei territori, nei professionisti e nelle relazioni. Un sistema maturo e coerente dovrebbe essere in grado di riconoscere le opacità e di intervenire con la massima trasparenza immaginabile. Le autoreferenzialità sovrastimate e trascinate nel tempo non richiedono “partenze simboliche” o propagande di prossimità ( es.: CdC hub destinate ai soliti noti e CdC spoke riservate ai medici di serie B, verosimilmente inutili e che non superano, nei servizi, non tanto le Case della Salute “grandi” ma nemmeno le storiche medicine di gruppo ben organizzate e che certo non necessitano di fare riferimento a imbarazzanti e lontane strutture hub) ma drastici cambi dirotta, autonomia territoriale, un unico SSN e nuovi patti bipartisan (riforme costituzionali?).
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV
Bruno Agnetti
05 Dicembre 2025
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