Medicina Territoriale

Le case della comunità nei quartieri, una scelta in ritardo di anni

22 FEB - Gentile Direttore,

Sul filo di lana del traguardo della consiliatura posso manifestare una malcelata soddisfazione per il fatto che almeno è emersa "ufficialmente" una qualche "sensibilità" su temi direttamente coinvolti all’assistenza sanitaria territoriale avvenuta con la presentazione della delibera della Giunta comunale nella quale si esprime parere favorevole sul sistema strutturale delle così dette Case della Salute (oggi più propriamente definite Case della Comunità) di via XXIV Maggio (quartiere Lubiana) e di via Verona (quartiere San Leonardo).

Null’altro che una "sensibilità" forse nemmeno genuina ma dettata dalla necessità di presentare qualche progetto al fine di racimolare in fretta e furia quel che resterà del Pnrr.

Attualmente le due denominazioni (Case della Salute/Case della Comunità) possono essere considerate concettualmente sovrapponibili come funzioni e obiettivi professionali e assistenziali anche se è probabile che nei prossimi anni possano essere declinate operatività e integrazioni diversificate in relazione agli sviluppi culturali e normativi in atto (Pnrr, contratti nazionali, accordi regionali e locali, approfondimenti e interpretazioni pubblicati da numerosi commentatori nazionali e locali).

Credo a questo punto di poter dare un significato parzialmente positivo al mio mandato amministrativo, considerato che l’obiettivo principale , quello di portare all’interno dell’Amministrazione comunale una attenzione politica alla situazione locale sanitaria periferica, ha causato tuttavia indirettamente una reazione.

Non sono sicuro ma senz’altro la delibera, che arriva con un ritardo di numerosi anni tanto da rendere già obsolete le disposizioni assunte,  sarà scaturita da una approfondita analisi dei bisogni e delle necessità assistenziali e professionali dei quartieri e che saranno stati evasi i necessari confronti e dibattimenti con le comunità e con i professionisti interessati.

Grazie a questi numerosi scambi di vedute saranno stati presi in considerazione gli effettivi bisogni logistico/architettonici, assistenziali e professionali valutando anche quanto elaborato dalla letteratura di settore in questi anni che considera la multifunzionalità e la gradevolezza degli ambienti metafora della guarigione e del benessere.

Come emerge da numerosi resoconti, la vita della singole comunità non richiede la collocazione nei quartieri di poliambulatori ma di strutture in grado di rispondere alle necessità di una società moderna, attiva, con specificità identitarie e la peculiarità diffusa all’incremento delle cronicità ma anche di soggetti appartenenti alla così detta terza e quarta età tuttavia in buona salute, età che non può però essere risolta dal paradigma della città in 15 minuti.

Diversi commentatori hanno evidenziato come siano fondamentali le cooperazioni tra il sociale (inteso come servizi istituzionali ma anche come società civile organizzata) e il sanitario e come l’attività riabilitativa "continuativa" neuro-motorio e cognitivo-psicologico possa essere indispensabile anche per fasce di popolazione più giovane.

A tempo scaduto emerge l’urgente necessità di realizzare gli ospedali di comunità con mansioni anche di hospice (secondo quanto ricordato dal British Medical Journal) che, come dice la parola, per essere tale, cioè per essere Ospedale di Comunità, deve essere inserito proprio nella comunità stessa e nella struttura (Casa della Salute/Casa della Comunità) nella quale si realizza l’integrazione multiprofessionale (medicina generale, 118, continuità assistenziale), multidisciplinare (sanitaria, specialistica, diagnostica), multisettoriale (amministrativo, di volontariato e di terzo settore), relazionale (partecipazione della comunità di riferimento).

Tuttavia la lettura della delibera lascia numerose questioni in sospeso e non affrontate tanto da apparire inadeguata alle finalità che apparentemente sembra indicare.

Già sono passati molti anni dalla formulazione dei propositi contenuti nel testo del provvedimento e forse ne trascorreranno molti altri che potrebbero cambiare visioni, missioni e amministrazioni.

Al momento sembrano affiorare alcune criticità in merito alla condivisione con la popolazione, al confronto con la letteratura di settore, alla realizzazione degli spazi e delle funzioni tra le due Case della Salute/Case della Comunità citate nella delibera.

La mancanza di una visione ambiziosa, contestuale e allacciata alla realtà attuale continua la tradizione dell’opinione tendente al massimo ribasso (conto capitale e organizzazione corrente) inversamente a quello che dovrebbe essere il massimo rialzo (della qualità professionale e assistenziale).

Il concetto di visione ambiziosa (se non ora quando?) viene assimilata da alcuni come un pensiero puerile indegno di essere preso in considerazione e per questo manipolato in senso denigratorio. Manca la cultura del bene comune.

Tutto ciò non ha permesso un cambio di passo e trascina con sé le note criticità sanitarie (l’Ausl è commissariata da quasi due anni senza che nessun dirigente sanitario o responsabile amministrativo comunale abbia spiegato alla popolazione il perché) che continuano a condizionare questa città dando origine a quartieri e cittadini di serie A e serie B così come vi sono professionisti sanitari di serie A e B (manca una programmazione sanitaria territoriale locale efficace per le giovani generazioni di professionisti) e così tra gli stessi dirigenti sembrano esserci quelli di serie A e quelli di serie B.

Sembra proprio che Parma debba giocare "così così" sempre in serie B. Infatti, quale beneficio è arrivato in città grazie al commissariamento misterioso dell’azienda sanitaria locale?

Oggi le malattie improvvise incidono di meno sul complesso assistenziale e professionale delle patologie di lunga durata, quelle che rientrano nel termine cronicità.

Già è stato detto che molte persone della terza e quarta sono senili ma fondamentalmente sane. Quelli che si ammalano spesso non guariscono, si cronicizzano e quindi è assolutamente necessario pianificare con abilità e intelligenza una innovazione del territorio affinché riesca ad affrontare la presa in carico della fragilità (termine generale che contiene numerose forme di malattie o disagi) nella piena consapevolezza che affrontare le problematiche non significa trovare risposte universali.

Occorre ripensare e abolire gli ambiti territoriale e permettere ai giovani medici del territorio di formare gruppi omogenei, affiatati, numerosi e con uno specifico progetto assistenziale autogenerato che siano in grado di assumersi in carico un territorio di riferimento.

Una medicina basata solo sulle evidenze scientifiche non è in grado di affrontare la complessità sociale e sanitaria che non è mai lineare, protocollare, algoritmica, normativa, economicistica.

Occorre innovare e costruire un nuovo sapere fondato sui valori, sulla cultura, sull’esperienza, sull’etica, sul bello e sull’arte. Questo sapere deve essere autonomo, solido, costruito dalla comunità e realmente trasmissibile alle nuove generazioni di professionisti. Per molto tempo abbiamo pensato che la scienza potesse dare risposte appaganti ma ora comprendiamo che occorre tornare all’umanesimo. Covid docet.

Le comunità, insieme ai loro professionisti di riferimento, possono modificare il rapporto con la cura, la salute e il benessere. L’emergenza, lo scientismo, il vitalismo hanno rischiato di trasformare la cura il un oggetto di mercato.

Nella realtà il prendersi cura è un processo, un susseguirsi di momenti che si seguono nel tempo l’uno dopo l’altro e che si fondano non sulla guarigione (cosa significa guarire?) ma sulla relazione tra professionisti e persone che chiedono l’aiuto, familiari, colleghi, comunità…questi interessi uniti e basati sull’umanesimo possono, forse, incidere sull’attuale cultura regressiva delle istituzioni sanitarie e delle amministrazioni politiche.

Bruno Agnetti

Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

22 febbraio 2022
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Cure primarie

La sanità cambierà nel segno dei sindaci?

29 MAR - Gentile Direttore,
il collega e professore Ivan Cavicchi, come tutti i pensatori che si rispettano, ci sorprende di nuovo con un “pamphlet” che forse si potrebbe anche considerare un “divertissement” per evidenziare come questo testo possa essere anche divertente tanto che, forse anche solo per un momento, può allontanare dai colleghi le inquietudini e le contraddizioni generatrici probabilmente di pensionamenti precoci, sfiducia, disinteresse generale, burnout, depressioni come se non restasse altro che piangere per citare un noto film di Massimo Troisi.
 
Analisi e commenti al Forum di QS “lanciato” dagli stessi Ivan Cavicchi e Cesare Fassari sono già stati estesamente illustrati ed approfonditi da tanti autori. Ogni pezzo trascinerebbe poi ulteriori commenti ma in questo modo si rischia di non raggiungere mai una visione compossibile.
 
Saremo comunque in grado di sciupare l’occasione della pandemia, occasione storica irripetibile, per non cambiare nulla? Certamente sì. Alcune formalità sono state messe in atto in campo nazionale e quindi potenzialmente potrebbero raggiungere gli obiettivi (Usca, Piano Vaccini, Generale Figliuolo… ) manca però la materia regionale e locale per costruire le funzioni e i processi riformatori, i passaggi da formalità ad un'altra formalità creando così un movimento che riesca sempre ad adattarsi alle contingenze così da concretizzare possibilità concettuali e relativi modelli.

Recuperare potenzialità ed attività autonome, organizzate e vitali non sarà facile.
Occorre recuperare i fondamentali (equità, ascolto, co-operazione, abolizione delle difformità professionali e assistenziali, recupero di un rapporto fiduciario con i professionisti …) più volte attaccati dal desiderio irrefrenabile di spingere oltre ogni limite la para-subordinazione protocollare tanto che ogni giorno sembrano moltiplicarsi compiti incomprensibili in una ridondanza ripetitiva fredda e senz’anima.

Gli insegnamenti (Peppone e Don Camillo) che emergono dalla nebbia del “mondo piccolo” che trasforma gli elaborati dei norcini in culatelli “supremi” non pare aver prodotto apprendimenti adeguati al periodo Covid, e in prospettiva, al post Covid che ognuno di noi si augura imminente. Una regione che ha rischiato di perdere le elezioni (100.000 voti di differenza) dovrebbe preoccuparsi immediatamente di riscattare le criticità sanitarie sui fondamentali.

Una regione come questa non potrebbe permettersi comportamenti che richiamino una arroganza gestionale imponendo alla città commissari che provengono da altri territori e che hanno, in pieno periodo di prima ondata pandemica, sostituito completamente tutta l’alta dirigenza dell’AUSL senza che, non solo i cittadini, ma tutto il personale dipendente e convenzionato sappia il perchè. Qualcuno sostiene che il Covid cambierà il mondo sanitario ma questo non pare corrispondere al vero se, in piena pandemia, si annuncia che l’obiettivo principale delle alte dirigenze è l’unione tra azienda territoriale e ospedaliera per altro concetto molto datato e addirittura frantumato dai noti eventi pandemici. Non dovrebbe nemmeno accettare che i professionisti del territorio non conoscano i “loro” alti dirigenti né sappiano come sia organizzato l’organigramma-funzionigramma della “loro” azienda.

Così come non dovrebbe capitare, in un momento come questo, che manchi da tempo il titolare della Direzione del Distretto in grado immediatamente di rimediare alle forti criticità lasciate in eredità dalla pregressa gestione e dalle fasi covid.

Queste carenze creano forti difficoltà ai colleghi della medicina generale compressi dalle loro responsabilità deontologiche e professionali e dal sincero desiderio di contribuire alla campagna vaccinale resa però quasi impraticabile dall’accavallarsi di notizie sui media che precedono le informative inviate ai professionisti stessi e dalla mancanza di un accordo locale chiaro non tanto per i compensi ( in questo momento è molto più importante il concetto di ruolo/funzione a fronte dello slogan orario/salario ) ma per avere almeno un documento che funzioni anche come percorso stabile pur nella considerazione delle variabili quotidiane inevitabili.

Spesso si sostiene che il modello gestionale vincente nei sistemi complessi si dovrebbe basare su una governance vs government. Nella pratica ciò che avviene è un rafforzamento del termine storico di governance che richiama la gestione “privata” di un’azienda ed una sostanziale sovrapposizione dei due termini verso gli obiettivi dettati da rigidità protocollari. Negli anni è stata persa quasi completamente la cultura della relazione e del co-operare così che l’ansia e l’ossessione del controllo incrementa le contraddizioni e genera la negazione assoluta di una minima compossibilità.

Plastico esempio della distanza che si è creata tra professionisti ed alte dirigenze aziendali è rappresentata dalla delibera regionale del 2016 sulle Case della Salute emblema della regressione professionale e culturale che ha in pratica bloccato ogni possibile evoluzione innovativa futura. Di fatto le Case della Salute, salvo rarissime eccezioni che godono di notevole autonomia, sono sprofondate nella palude creata dalla stessa normativa che doveva riordinarle ed uniformarle.

Solo la testardaggine dei sindaci dei piccoli comuni riesce, in casi fortunati, a scardinare il garbuglio normativo “imponendo” politicamente sperimentazioni che si possono trasformare in “piccole riforme” per quei territori (gruppi, cambi generazionali, prossimità e capillarità, cambio di genere nella professione, numero dei componenti che sono in grado di progettare modelli e innovazioni stabili).

I cahiers de doléances sono, come si diceva inizialmente, solamente esercizi letterari. Proposte e progetti di riforma, soprattutto su QS, sono stati esposti innumerevole volte. Per intravedere qualche pallida luce che possa somigliare ad una riforma occorre, per il momento, affidarsi a sperimentazioni controllate da sindaci innamorati delle proprie piccole comunità.

Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria) FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti), Regione Emilia-Romagna

Articolo pubblicato sul Quotidiano della Sanità il 29 marzo 2021