Medicina Territoriale

Altri indizi della privatizzazione della sanità

Quotidiano on line di informazione sanitaria

Giovedì 07 LUGLIO 2022

 

 

 

 

 

Bruno Agnetti

 

Gentile Direttore,

vorrei lanciare ai colleghi un messaggio positivo relativo alle così dette “riforme” che interessano le cure primarie (PNRR, ACN, DM 77, documenti ministeriali e di agenzie varie, interventi di opinionisti “solerti apologeti” dello status quo…ante). Purtroppo non ho nessun comunicazione positiva.

Di conseguenza però si crea un aumento del numero di indizi a riprova di una deriva verso una privatizzazione della sanità anche a livello territoriale. La stessa trasmissione Rai “Report” del 20 giugno 2022 ha ampiamente dimostrato come ci si stia orientando verso la collaborazione con professionisti in “affitto” e come le regioni non siano state in grado di utilizzare i considerevoli fondi (certi) del Decreto Ministeriale del 2020 per la verità destinati alle terapie intensive, ai letti di sub-intensiva, alle autoambulanze e ai Pronti Soccorsi.

Tuttavia una visione non manichea caratteristica di alcune elaborazioni culturali specifiche relative al riordino delle Cure Primarie (Welfare di Comunità) non distingue territorio ed ospedale in quanto il territorio ha un suo ospedale di riferimento e lo stesso ospedale è all’interno di un territorio e le due entità si influenzano continuamente e reciprocamente.

C’è poi da sperare che il PNRR non faccia la fine del Finanziamento Ministeriale del 2020 o peggio e che non venga prosciugato delle continue e ripetute emergenze che richiedono comunque aiuti economici.

I fenomeni contemporanei che hanno modificato il mondo non permettono ancora di poter intravedere cosa ne sarà della nostra società. Tuttavia gli obiettivi aziendali, anche durante la prima fase covid, hanno ricercato con un impegno straordinario il così detto “accorpamento o fusione” aziendale (es.: AUSL con Azienda Ospedaliera-Universitaria) con molta probabilità considerata come la soluzione (politica ed economica) dei problemi della Sanità Italiana e del SSN.

Alcune teorizzazioni relative a queste unioni aziendali partono dagli anni 80 (USA) o 90 (Inghilterra e Italia) e trovano la loro realizzazione nel 2022. Ciò potrebbe rappresentare una criticità in quanto queste iniziative potrebbero essere vissute come estranee al contesto o apparire superate ancora prima di nascere.

A supporto degli indizi del Prof. Ivan Cavicchi va evidenziato che le dichiarazioni rilasciate in favore di questa “innovazione” fanno frequentemente riferimento alla necessità di una stretta collaborazione con il privato accreditato.

Più che una novità sembra un tentativo di dare senso ai modelli amministrativi calati dall’alto (controriforme?) che potrebbero apparire ai cittadini come elementi separati dalla loro vita quotidiana. Le suddette vie di politica sanitaria adottate per si basano, per altro, su assunzioni teoriche riguardo agli specifici effetti delle “fusioni aziendali” che non sono ancora state completamente confermate o smentite dall’evidenza empirica.

Altro fenomeno che potrebbe andare ad arricchire il numero di indizi riguarda la sensazione che (sempre in conseguenza delle politiche straordinarie come il PNRR), improvvisamente gli assessorati o le deleghe alla sanità delle Amministrazioni Comunali, le Alte Dirigenze delle aziende “Uniche” e gli Assessorati Regionali stiano diventando cariche amministrative ancora più importanti. In passato il ruolo dell’Assessore alla Sanità e al Welfare di una Amministrazione Comunale era di gran lunga superato, come importanza, dall’Assessorato all’urbanistica o similari.

Oggi la situazione appare capovolta. Chissà che un ruolo così particolare ed “impareggiabile” non riesca a fare emergere l’interesse per il bene comune e per le comunità all’interno di un consesso politico-amministrativo.

Il tempo, che come si sa è galantuomo, permetterà di valutare se alcune iniziative in atto saranno riforme o si dimostreranno rovinose controriforme. E’ di tutta evidenza che il merito e il metodo di alcuni di questi processi tradiscano possibili pregiudizi contro i medici e manifestino simpatie preferenziali per altre professioni.

E’ possibile fare politica sanitaria con i pregiudizi?

Non credo che una complessità simile alla sanità e l’organizzazione territoriale delle Cure Primarie possa meritare conduzioni pregiudiziali pena il completo fallimento dell’assistenza di primo livello.

Fondamentale, necessario, vitale, una vera ultima spiaggia per la medicina generale è una crescita tangibile di fiducia e rispetto reciproco tra Alte Dirigenze completamente rinnovate e Professionisti/Operatori al fine di agevolare le visioni derivanti da maggiori e diverse complessità che richiedono forte autonomia.

La necessità che qualche cosa debba cambiare strutturalmente e radicalmente è indubbio.

Sulla carenza di visioni etiche sono stati versati fiumi di inchiostro ma oggi si può aggiungere che nei decisori della politica sanitaria sembra alquanto carente la presenza di una poetica ingegnosa capace di creare dal nulla utopie e quindi idee e concetti. Magari si potesse ascoltare un concerto di concetti esaltanti, concerti di concetti innovativi, rivoluzionari, straordinari.

Se alcuni noti commentatori esperti sulla valutazione degli indizi dichiarano di avere le prove di una deriva del SSN verso la privatizzazione e di non farsi più illusioni sulla sanità pubblica in Italia c’è molto da meditare. Ogni giorno di più e ad ogni documento ufficiale che viene pubblicato diventa sempre più faticoso intellettualmente e operativamente salvare la sanità territoriale che evidentemente non vuol dire “salva con nome” sul computer.

Bruno Agnetti

Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) FISMU, Emilia Romagna

07 luglio 2022 © Riproduzione riservata


Medicina Territoriale

Nessuna riforma della medicina generale se non si capisce la sua complessità

di Bruno Agnetti

10 NOV - Gentile Direttore,
non vi sono dubbi che il momento è estremamente favorevole al germogliare (tardivo) di numerose trattazioni sulle questioni relative alla medicina generale territoriale e alla sua organizzazione (scatenate dai contenuti del PNRR e da altri documenti di regioni, conferenze, agenzie e gruppi apparentemente spontanei/indipendenti ma con pregresse precise bollinature) a seguito della globale deturpazione pandemica.

Per anni illustri e apprezzati commentatori hanno perorato, inascoltati, la necessità di addivenire a una riforma in grado di affrontare la questione medica nelle sue molteplici fenomenologie al fine di rendere la categoria abile a contrastare le sfide organizzative ed assistenziali che inevitabilmente sono determinate da strutturazioni sociali globalizzate e multiformi.

Tuttavia molti di questi recenti elaborati non riescono a superare il nucleo critico (complesssità) che dovrebbe essere a denominatore di ogni argomentazione perseverando in una sostanziale estrema debolezza culturale e scientifica. In particolare sono i documenti istituzionali a trascinare nel baratro delle panzane anche coloro che sventolano la bandiera dell’indipendenza intellettuale in ambito delle cure primarie.

Giuseppe Giusti affermava che “Il fare un libro (o un documento, aggiungo io) è meno che niente, se il libro fatto non rifà la gente”.
Il tema della complessità di questa “impareggiabile” professione non può essere più tralasciato (nella 833/78 il termine “complessità” non compare mai una volta) nelle analisi e nelle ipotesi progettuali attuali sulla medicina generale territoriale pena il pericolo di stratificare interminabili banalizzazioni ben rappresentate dall’espressione “bla, bla, bla”.

Occorre essere consapevoli come la teoria della complessità (Giorgio Parisi, premio Nobel per la Fisica 2021) manifesti l’essenza della medicina generale territoriale e della sua funzione “incomparabile” per non rischiare l’incuneamento verso opinioni insignificanti.

Durante il periodo Covid molti uffici collegati alla medicina generale sono stati ridotti o chiusi. Anche alcuni Distretti o funzioni (il Distretto è una articolazione territoriale fondamentale del governo aziendale, il luogo della formulazione della committenza, dove si esprime il fabbisogno di assistenza territoriale in forma residenziale, ambulatoriale, domiciliare ed ospedaliera, ricompresa nei Livelli Essenziali di Assistenza, e funzionale allo sviluppo di nuove e più incisive forme di collaborazione e di relazione tra Azienda ed Enti Locali) sono state chiuse ma pare che nessuno se ne sia accorto.

Sorge spontanea una domanda in parole poverissime: a cosa serve un Distretto?
Una comunità (“titolare del diritto alla salute”) attraverso i propri rappresentanti non può negoziare direttamente con il SSN (non con il SSR) la promozione della “sua” salute.?

Il quesito è palesemente retorico in quanto l’applicabilità del titolo V e la maestosa produzione di delibere regionali e aziendali a strenua difesa di questo “privilegio” rendono impossibile qualsivoglia modifica o una compiuta dialettica democratica partecipativa in campo sanitario.

Don Lisander (Alessandro Manzoni) sosteneva di conversare con 25 lettori. Come già ricordato più volte queste nostri modesti esercizi letterari non hanno l’ardire di andare oltre ad un ben più ristretto numero di colleghi cultori della medicina generale territoriale e del riordino delle cure primarie.
Ora il fondamento del problema (che tra le altre cose palesa anche una certa ambiguità insita nel terzo capoverso dell’art.12 del Codice Deontologico Medico 2021) è inevitabilmente dato dall’essenza della professione medica (in questa riflessione riferita in particolare alle cure primarie) che è ontologicamente “complessa” più di ogni qualsiasi altro sistema.

La contraddizione più eclatante deriva dal fatto che i sistemi complessi non hanno ancora trovato una intellegibilità determinante e la sola modalità di lettura scientificamente accettabile al momento resta quella sistemica/olistica.

Da questo punto di vista nasce l’importanza dell’idea progettuale organizzativa del welfare di comunità, della medicina basata sull’esperienza e sull’apprendimento continuo e di un sistema di verifica (rendicontazione) collegato ad esso attraverso il meccanismo della collegialità ma fatalmente fa emergere anche la riduttiva posizione del concetto di “appropriatezza”. Al di fuori di questi strumenti di lettura restano solo le teorie scientifiche relativistiche e probabilistiche ma indeterministiche.

Pensare di rappresentare sistemi complessi (spesso composti da più complessità sovrapposte e concomitanti) attraverso descrizioni di tipo lineari alle quali vengono attribuite valori di verità e di capacità previsionale senza considerare la loro insita approssimazione ( protocolli, algoritmi, linee guida, EBM su cui si basano scelte politiche programmatiche “invarianti”) significa compiere operazioni di divulgazione o semplificazione estremamente fragili che si avvicinano di molto ad affermazioni irrazionali false ( che secondo Popper andrebbero gradualmente eliminate per avvicinarsi il più possibile alla verità).

Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria) FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti), Regione Emilia-Romagna

10 novembre 2021
© Riproduzione riservata

 


Mascherina

Il Pnrr è un piano economico in conto capitale non è una riforma del Ssn o delle cure primarie

Gentile Direttore,
ogni comunità (compresa quella dei medici) tende istintivamente a porre in atto iniziative (politiche/sindacali) per indicare migliorie collettive tentando così di orientare il governo (ad es.: della sanità nazionale o regionale o locale). Inoltre ogni cittadino (o medico) può esprimere la sua aspirazione a modificare ciò che considera una inefficienza amministrativa o gestionale e può tentare di conseguenza, politicamente, di sostituire gli attuali alti dirigenti se considerati inadeguati.

Il covid ha insegnato molte cose e al netto di tutte le narrazioni giustificanti, numerose istituzioni sanitarie nazionali, regionali e aziendali hanno palesato fallimenti organizzativi.

L’attuale situazione sanitaria origina dal lontano 1978 (43 anni fa) con la legge 833 che istitutiva il Servizio Sanitario Nazionale superando il sistema assicurativo-mutualistico allora vigente con l’intenzione di costruire e strutturare una sanità pubblica universale, uguale ed etica.

Negli anni successivi, in rapida successione, si assiste ad una florida attività legislativa minuziosamente orientata ad una perseverante limitazione degli spazi considerati eccessivamente flessibili e ampi individuati nella 833 da solerti e lungimiranti burocrati. Lentamente ma inesorabilmente i principi cardine dell’associazione di categoria allora unica (es. estremamente semplificato: orario/salario) svaniscono a fronte di una nuova organizzazione burocratica collegata ai ruoli e alle funzioni in grado di creare addirittura un nuovo ceto medio che piano piano occupa lo spazio trascurato dai professionisti della sanità.

Con il DL 502/1992 (aziendalizzazione come tributo all’idolo della globalizzazione così come le fusioni aziendali calate dai vertici ) e il DL 517 del 1993 si dà inizio alla fabbrica che costruirà l’enorme piramide del Servizio Sanitario Regionale che troverà il suo completamento con la L.3 del 2001 (riforma del titolo V della Costituzione).

La complessa produzione normativa e deliberativa delle singole Regioni e delle Ausl che seguono questi momenti topici rendono ancora più impenetrabile, inaccessibile, imponente la piramide monocratica spesso autoreferenziale.

Le premesse contengono comunque una loro fragilità celata dalle altisonanti normative che non hanno nulla a che fare con i bisogni espressi ed inespressi dai clienti interni ed esterni infatti, secondo il parere di Pietrangelo Buttafuoco, le regioni rappresenterebbero enti inutili nonché dannosi (per via dell’ingorgo burocratico e legislativo) nati per millimetrici calcoli di consociativismo. Nello stesso tempo il bilancio più importante di una regione è diventato quello sanitario che “cuba” a tutt’oggi il 70-80% dell’intero rendiconto.

Era inevitabile che qualche nodo molto ingarbugliato prima o poi arrivasse a bloccare il pettine.
La pandemia ha svelato quello che avrebbe dovuto essere e che invece è stato.

La piramide continuerà comunque ad essere solida, popolata da numerose persone, da funzionigrammi ed organigrammi. In questa situazione è praticamente impossibile riuscire ad innovare o a partecipare in modo attivo o intervenire da protagonisti nel processo decisionale (dalla ideazione, alla progettazione, alla sperimentazione, alla rendicontazione…) in quanto la protezione autoreferenziale del “monumento” lo impedisce. La Conferenza Stato-Regioni assomiglia ad un parlamento a sé stante che svolge tutte le funzioni tipiche di un consesso decisionale completo mentre pare che il Ministero della Salute e il Parlamento vengono coinvolti a processo quasi terminato.

I comitati consultivi locali, le Conferenze socio-Sanitarie territoriali hanno dimostrato un grado di partecipazione e di influenza sui processi decisionali istituzionali che sembrano praticamente inesistenti. Così come la tanto declamata governance non appare altro che un puro atto di governo monocratico grazie alla continua produzione di norme o delibere finalizzate soprattutto a rinforzare la struttura burocratica amministrativa già esistente.

Le missioni “sanitarie” (5 inclusione e coesione; 6 salute) del PNRR non comporteranno modifiche o riforme sostanziali essendo componenti di un piano con le caratteristiche dell’intervento economico classico per forza di cose orientato ad iniziative in conto capitale (una tantum) nella speranza che il possibile enorme sforzo strutturale-architettonico-ingegneristico modifichi in senso virtuoso il PIL.

Poi eventualmente si potrà pensare a innovazioni che incidano sulla spesa corrente (risorse umane o piante organiche) ma in questo caso sarebbe necessario avere in mente un modello innovativo già sperimentato nel coinvolgimento della popolazione e nei rapporti paritari (es.: welfare di comunità).

Forse in questo senso potrebbe essere interpretata la proposta del prof. Ivan Cavicchi che, nell’impossibilità di poter assistere ad una vera riforma, ipotizza almeno di “sbaraccare” le aziende e di mettere in piedi i consorzi per la salute delle comunità (vecchie Usl?) al fine di sperimentare davvero una gestione partecipata tanto dai cittadini che dagli operatori dei servizi sanitari territoriali.

Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria) FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti), Regione Emilia-Romagna

31 maggio 2021
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