L’insostenibile fragilità dell’Atto di indirizzo sulle Case di Comunità
20 MAG - Gentile Direttore,
da circa due mesi si è conclusa la “consultazione pubblica” sull’Atto di Indirizzo Agenas (tramite compilazione di un questionario) sul tema della partecipazione/co-produzione nell’ambito delle Case della Comunità. Il documento è stato redatto da un gruppo di studio composto da rappresentanti delle Regioni e da professionisti definiti esperti sul tema della partecipazione di pazienti e cittadini alle questioni sanitarie.
Storicamente gli Atti di Indirizzo indicano, in modo piuttosto potestativo, il comportamento normativo desiderato dalle istituzioni. L’elaborato articola quali debbano essere i passaggi di partecipazione e co-produzione che Regioni, Aziende e Distretti metteranno in atto. A dispetto delle intenzioni quindi nulla di nuovo. La piramide gerarchica sanitaria resta saldamente inalterata così come sarà la valutazione finale della potentissima Conferenza Stato-Regioni.
E’ noto che i documenti ufficiali europei (es.: Piano di ripresa NextGenerationEU ) disegnano strumenti finanziari (in buona parte prestiti pluriennali). Ogni nazione ha poi concepito propri Piani Nazionali (PNRR) con i quali definisce l’utilizzo dei contributi straordinari europei (post-covid) per il periodo che va dal 2021 al 2026. Nessun documento europeo specifica che una azione di ammodernamento sanitario (es.: territoriale) debba realizzarsi con le Case della Comunità. Lo stesso Piano Nazionale (PNRR) indica la necessità di attivare iniziative in grado di promuovere “strutture di prossimità” per quanto riguarda le cure primarie e cita, solo come esempio, le Case di Comunità ma non esclude nessun’altra formalità.
Successivamente al Piano di ripresa NextGenerationEU e al PNRR sono sati pubblicati il DM77/2022 (regolamento recante la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell'assistenza territoriale nel SSN), il Metaprogetto, documentazioni varie di gruppi e di istituzioni locali. Per quanto riguarda il così detto territorio, le argomentazioni si sono polarizzate sul concetto di comunità (es.: Case della Comunità, Ospedali di Comunità). I criteri, “sui generis”, dettati dal “regolamento”, sono rigorosamente aderenti alle necessità Regionali, Aziendali e Distrettuali e potrebbero non coincidere con bisogni professionali o assistenziali. Questi parametri sono di difficile comprensione culturale se si considera la liquidità delle collettività e il desiderio, espresso dalle persone di buona volontà, di ripensare alla complessa preparazione del terreno per favorire nuove germinazioni comunitarie. Se la comunità non c’è più, così come non esistono le collettività, come è possibile seguire una programmazione che manca di solidi presupposti? Nel recente passato qualche timido tentativo di ricostruire, faticosamente, un delicato tessuto comunitario è stato misconosciuto dai rappresentanti istituzionali. Come è possibile che ora le stesse Alte Dirigenze, per normativa, diventino sensibili ad aspetti sociali/sanitari complessi quando le culture dominanti amministrative sono neoliberali, economicistiche, aziendalistiche e lineari?
In una società riconosciuta da molti studiosi come liquida occorre molta preparazione per riconoscere e valorizzare piccole formazioni comunitarie che sono riuscite, miracolosamente, a sopravvivere alla globalizzazione. Taluni rappresentanti istituzionali hanno dimostrato inadeguatezza verso questi riconoscimenti mentre le mappe e i profili territoriali (non solo relativi all’appropriatezza/risparmio prescrittivo) avrebbero dovuto essere un patrimonio fondamentale per le Aziende. Alcune preziose progettualità e risorse sono state bellamente ignorate determinando così l’esaurimento di esperienze di co-operazioni volontariato/cittadini/professionisti storiche. Se fosse capitato qualche cosa di simile nelle aziende condotte da Olivetti o da Mattei o da Ford avrebbero comportato parecchi licenziamenti.
Un concreto processo di partecipazione (e/o di co-produzione) avrebbe dovuto comprendere il principio di un completo coinvolgimento nel processo decisionale dall’inizio alla fine. Tuttavia la cascata normativa burocratica non ha contemplato questa ipotesi così che, ora, occorre rincorrere determinazioni già decretate up-down.
Infatti, nel testo dell’Atto di Indirizzo, si nomina "l’utilizzabilità” (disponibilità?) delle così dette modalità di partecipazione che verosimilmente saranno poste al giudizio delle stesse Alte Dirigenze Regionali, Aziendali, Distrettuali. La programmazione e il governo della “produzione” Aziendale presenta una certa “complicazione” lineare che richiama suggestioni relative alla globalizzazione, ad orientamenti neoliberali, al consumismo sanitario di origine aziendale (consuetudini conosciativistiche?) causa di differenziazioni (discriminazioni?) professionali e assistenziali. Ogni argomentazione sulla partecipazione non può esimersi dal considerare queste criticità. E’ necessaria, come l’aria, una assoluta trasparenza e la capacità di riconoscere ruoli non tanto di partenariato ma di leadership. In caso contrario tutto diventerà ancora più confuso ed ambiguo. Meraviglia come nel testo non si nomini mai la libera scelta fiduciaria del mmg come strumento fondamentale (sovrapponibile ad una elezione politica/apartitica) per tentare di ricostruire una identità condivisa territoriale e si preferisca citare il consenso informato che è un dispositivo di credito informativo, più attinente alla specialistica/dirigenza/dipendenza, per nulla commensurabile con la libera scelta fiduciaria. All’interno di questo rapporto ci si relaziona, (es.: in team) più con persone e problemi che con malattie o patologie specifiche come invece può avvenire a livello ospedaliero ( es.: équipe chirurgica).
Nell’interessante e lungo elenco bibliografico, riportato alla fine del documento, si richiamano pubblicazioni del periodo pre-covid, che ragionano da Case della Salute (le Case della Comunità sono effettivamente una miglioria nei confronti dei contenuti relativi alle Case della Salute?). Si può altresì notare una ostinata ricerca di modelli esteri senza che vi sia una validata sovrapponibilità operativa di quegli esempi con la nostra eterogenea realtà nazionale già considerata, a suo tempo, una delle migliori organizzazioni sanitarie al mondo.
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV-Runts
20 maggio 2024
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Un attimo, per riprendere fiato dal soffocante pensiero unico
Gentile Direttore,
le note controriforme e le ingarbugliate innovazioni, pur consacrate dal soffocante pensiero unico, mostrano già l’inconsistenza a causa di fondamenta costruite sulla sabbia. Alcuni ricorderanno i contenuti del art. 1 della legge Balduzzi (2012) dove si declinavano le funzioni delle AFT (Aggregazioni Funzionali Territoriali). Le regioni hanno poi generato caos inventando numerosi acronimi per marcare il loro territorio. Il DM 77 è una legge che sembra fatta su misura per creare confusione. Fa eco il recente ACN.
Il PNRR sollecita espressamente l’attuazione dell’assistenza di prossimità ma considera le CdC e gli Ospedali di Comunità (tutt’altro che di Comunità) come esempi e non come modelli unici. Ex cathedra si ammette infatti che le CdC (prevalentemente “spoke”) non siano adeguate ai reali bisogni delle popolazioni e dei professionisti.
Nonostante l’inesorabile penetrazione del privato nel SSN, le alte dirigenze (Regionali e Aziendali) si sono cullate nella certezza della loro perenne esistenza e del fatto che alcuni servizi non sarebbero mai stati appetibili al privato-privato e il ruolo di dominio istituzionale, in quei settori, non sarebbe mai stato conteso. In pochi mesi si sono moltiplicati PS, Sert, pronti interventi di base h/24, rianimazioni… il tutto rigorosamente privato-privato!
Alcuni commentatori hanno osservato che le gerarchie di potere (“sappiamo cosa è meglio” per voi) potrebbero essere le prime a non volere mai nessuna vera innovazione proprio perché sarebbe più conveniente, per loro, un orientamento sulla malattia piuttosto che sul cittadino. Così appaiono come “grande finzione” anche le CdC conformi alle contraddizioni contro-riformistiche e ai consociativismi. Questi ultimi probabilmente non più attribuibili a convergenze storiche (es.: istituzioni e sindacato) ma a solide collaborazioni tra istituzioni e/o gruppi che condividono interessi particolari e comuni.
L’urgenza riformatrice desiderata da cittadini e professionisti è contrastata dalla smisurata quantità di tempo gestionale a disposizione delle alte amministrazioni dove il neoliberalismo ed il consumismo sembrano essere proprio di casa.
Il potere di Regioni e Aziende è talmente possente che non c’è spazio per elaborazioni che non siano più che allineate in quanto ciò che una regione delibera, in ambito sanitario, diventa legge. Le Aziende Locali, poi, applicano il mandato avendo come principali o unici referenti politici e datori di lavoro gli Assessorati Regionali.
Si ricorderà l’enorme pressione comunicativa messa in atto nel periodo in cui gli apparati avevano deciso di chiudere i piccoli ospedali territoriali spesso presidi “gioiello” e vere scuole di integrazione con il territorio. Anche allora (USL) i referenti erano politici ma facilmente raggiungibili ed individuabili. I piccoli ospedali sono stati chiusi con la promessa di istituire presidi territoriali “equivalenti”. Ciò poteva sembrare, in un primo momento, accettabile per professionisti e cittadini ma poi è stata varata la controriforma sulle CdS del 2016.
Il Covid ha ricordato tutto ciò ma, al momento, il sistema è immodificabile a causa della legislazione vigente.
Una riflessione a parte merita la questione “comunità”. Non vi sono dubbi che il senso di appartenenza e i legami sociali siano stati fortemente provati dalla globalizzazione finanziaria. Dal punto di vista sociologico-sanitario, per la prima volta, si verifica un elemento inedito. Si può osservare la compresenza, in ambito occupazionale, di nette stratificazioni generazionali che manifestano dirompenti differenze culturali.
Nello specifico i giovani colleghi che intraprendono, oggi, la professione di mmg si trovano a confrontarsi in modo nuovo con istituzioni a struttura medioevale e con le comunità di riferimento (assistiti coetanei ma anche “silenti” o “boomer” che li hanno scelti fiduciariamente). Cosa ricercheranno nei giovani medici questi cittadini? Come considereranno i mmg il loro inquadramento professionale-giuridico, la loro autonomia, l’essere all’interno di una sempre più diffusa complessità, l’aumento delle tensioni sociali e le smisurate ansie individuali di molti assistiti?
Forse la generazione precedente dei medici di famiglia non si è preoccupata di organizzare una adeguata trasmissibilità esperienziale ai giovani colleghi così, è possibile, che gli stessi nuovi mmg non si siano particolarmente interessati a questo aspetto. Non di meno la professione sarà coinvolta nel far fronte ad alcuni strati della popolazione che manifesterà sindromi da sradicamento culturale e che frequenteranno l’ambulatorio del medico di base.
Considerato questo stato di cose i giovani colleghi potrebbero rappresentare un valore aggiunto in grado di comporre una sintesi tra professione e società. Dal punto di vista antropologico si può sostenere che i giovani professionisti abbiano un “cervello” nuovo, una professionalità e una intellettualità immersa nella marea tecnologica in grado di far fronte alle criticità sanitarie burocratiche-amministrative e di affermare una autonomia professionale coerente con il paradigma della complessità.
Questa potrebbe essere la vera “casa” abitata da giovani dottoresse (maggioranza in ambito delle cure primarie) e dottori abili nel costruire i principi per una riforma strutturale nazionale che necessita, per forza di cose, di una partecipazione bipartisan se si desidera finalmente superare tutte le assunzioni controriformiste. Tra queste vanno ricomprese anche gli improbabili modelli esteri o esotici molto pubblicizzati (come nella più classica delle promozioni neo-liberali) dimenticando, colpevolmente, la presenza, nel nostro paese, di questa nuova generazione di medici, inimmaginabile fino a poco tempo fa.
Non a caso l’ultima fatica del Prof. Ivan Cavicchi (“Medici vs Cittadini”, Castelvecchi, 2024) affronta il tema della ridefinizione giuridica del medico ma immette anche, all’interno del dibattito e della riflessione, la questione della complessità come nuovo “archè” che non può più essere tralasciato (Byung-Chul Han, “La crisi della narrazione”, Einaudi, 2024) se si desidera rappresentare la “questione medica” e una cultura assistenziale coerente con l’attualità post-moderna.
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV
25 marzo 2024
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Il Dm 71 e il pensiero “pre logico”
di Ivan Cavicchi
Ovvero come credere di cambiare l’assistenza territoriale semplicemente facendo la festa ai MMG. E come credere che basta obbligare i MMG a lavorare nelle case di comunità per far funzionare le case di comunità
13 GIU -
Nel mio ultimo articolo (QS 6 giugno 2022) ho sostenuto sostanzialmente la seguente tesi “politica”: la burocrazia regionale quella più aggressiva (Mantoan) sta usando la politica, quella più sprovveduta (Speranza), per ridimensionare il ruolo del MMG con lo scopo di contro-riformare l’assistenza territoriale (Dm 71).
Le intenzioni di questo articolo
In questo terzo articolo vorrei completare l’analisi politica dimostrando che il “medico dimezzato”, non è la proposta della solita stupida tecnocrazia sanitaria, come potrebbe sembrare, ma al contrario è una proposta ben soppesata che rientra in un disegno più ampio del quale non mi pare si abbia coscienza.
Dopo di che vorrei tentare di comprendere meglio il pensiero del “contro-riformatore” di turno al servizio di una certa ideologia politica.
Infine vorrei discutere le contraddizioni che oggi vive il sindacato maggioritario che rappresenta i MMG quindi la Fimmg perché non c’è alcun dubbio sul fatto che se la Fimmg non fosse in difficoltà l’ipotesi di una controriforma non avrebbe nessun spazio politico.
La strana dipendenza
La proposta del “medico dimezzato” a ben guardarla alla fine non è null’altro che una forma neanche tanto dissimulata di deregulation. Essa propone un genere di dipendenza insolita e anomala: i MMG anche se non sono giuridicamente dipendenti pubblici diventano dipendenti pubblici perché indipendentemente dalla loro convenzione essi lavorano presso certi servizi pubblici.
Il nuovo principio è l’uso che si fa del medico che decide la sua operatività ma non lo status professionale. Il che vuol dire che se le Regioni usano il medico per battere ad esempio il marciapiede allora il medico per le Regioni è, indipendentemente dal suo status professionale, giuridicamente una “battona”.
Per Mantoan, noto giuslavorista veneto di fama internazionale, è sufficiente che un mmg lavori in una casa di comunità per essere de facto dipendente pubblico.
Qui il “principio del contesto” di cui parlavo nel mio articolo precedente diventa addirittura un inderogabile principio giuridico quindi una specie di “ius cogens”.
Deregulation
Il “medico dimezzato” ribadisco non è altro che la conseguenza di un atto di deregulation di matrice regionale che intende cambiare i vincoli legislativi e amministrativi centrali che fino ad ora hanno regolato la convenzione.
Quindi contro-riformare l’art. 48 della 833 “Personale a rapporto convenzionale.”
Il Dm 71 rientra così in un progetto di controriforma più ampio e che si chiama “regionalismo differenziato” - e che ricordo è stato oggetto recentemente di una deliberazione dalla Corte dei Conti (Deliberazione n°4 del 29 marzo 2022) - che teorizza la più ampia autonomia delle regioni in tema di convenzioni e di contratti ma anche in tema di professioni e persino di formazione.
Vorrei ricordarvi che la regione Veneto è la regione capo-fila sulla competenze avanzate (QS 24 febbraio 2020) e che la regione Lombardia ha in animo di sperimentare una non meglio precisata "supplenza organizzativa" degli inferieri nei confornti del MMG (Qs 9 giugno 2022)
Per chi non l’ avesse capito quindi il DM 71 è prima di tutto il tentativo surrettizio di modificare l’attuale assetto normativo che regola in materia di MMG gli equilibri di potere tra le norme centrali e le autonomie regionali. Non mi sembra una inezia.
Il pensiero pre logico di Mantoan
Il pensiero pre logico per alcuni è il “pensiero primitivo”, per altri è il “pensiero magico” del bambino. Per Mantoan innegabilmente è un pensiero superstizioso cioè un pensiero che crede di cambiare l’assistenza territoriale semplicemente facendo la festa ai MMG.
Dire che basta obbligare i MMG a lavorare nelle case di comunità per far funzionare le case di comunità è un altro pensiero pre logico.
Supporre, come bene ha scritto Oppes (QS 8 giugno 2022) di poter garantire la prossimità, semplicemente attraverso i servizi è un altro esempio di pensiero pre logico.
E’ ancora pre-logico credere che basti pronunciare le parole magiche per far accadere le cose: hub spoke, one health, rete, integrazione, multi-disciplinarietà, ecc.
Pensare come Moratti che i MMG siano surrogabili con gli infermieri non è un pensiero pre logico ma una autentica c…a.
Contraddizioni
Il pensiero pre logico di Mantoan, quindi del DM 71, va respinto semplicemente perché è un pensiero superstizioso quindi per definizione irrazionale. La superstizione è del tutto inadeguata a risolvere i problemi gravi della sanità.
Sarebbe come curare l’anemia verniciando di rosso il malato.
Ma chi è il soggetto politico che in sanità dovrebbe fare muro contro la superstizione? Il guaio più grosso è che chi dovrebbe respingere il pensiero pre logico, per ruolo e funzione, è il sindacato che rappresenta i MMG che però si trova, a quanto pare, coinvolto un po’ troppo nella controriforma che lo vuole ridimensionare.
A scanso di equivoci vorrei dire che ho apprezzato molto l’articolo di Pier Luigi Bartoletti Vicesegretario vicario della Fimmg (QS 10 giugno 2022) un articolo al quale considerando il contesto di incertezze con il quale abbiamo a che fare attribuisco una rilevante importanza politica.
Ma nello stesso tempo credo che la Fimmg debba avere il coraggio di rimuovere certe contraddizioni che nei confronti del DM 71 rischiano di farla passare come corresponsabile.
Si tratta riprendendo un argomento del mio primo articolo sul “democristianamente” (QS 30 maggio 2022) da una parte di essere meno democristiani e dall’altra di essere più democristiani dei democristiani.
Se la barca affonda perché affondare con la barca? In altre parole se il consociativismo non paga più perché insistere con il consociativismo?
La contraddizione della Fimmg, a mio avviso, è che nonostante tutto essa ritiene che la soluzione di salvare la convenzione dando in cambio il medico dimezzato sia per i MMG comunque conveniente. E se anche questo risultasse alla fine un pensiero pre logico?
O peggio una superstizione?
Il conflitto della Fimmg
Effettivamente oggi di fatto la Fimmg, (non credo giusto dire “suo malgrado”), si trova coinvolta grazie al suo ben noto consociativismo in un pericoloso disegno contro riformatore e in pieno conflitto con i suoi scopi statutari.
Ma è così? Ebbene a leggere il suo statuto, (aggiornato solo 3 anni fa in occasione del 76° congresso ottobre 2019) il suo compromesso con regioni e governo, in realtà non sarebbe per nulla ingiustificato.
Nell’art. 3 lo statuto parla ovviamente di tutela degli interessi professionali dei propri iscritti (punto A)ma precisando subito dopo (punto B) che la tutela va garantita attraverso “la stipula di convenzioni, accordi o contratti con il SSN (omissis)”.
Cioè tre anni fa la Fimmg ha deciso di mettere la forma contrattuale della convenzione come vincolo statutario. Una scelta secondo me tutt’altro che casuale e solo apparentemente pleonastica e che ci dà l’idea della sua preoccupazione crescente circa il rischio sempre più forte di perdere, per cause diverse, la convenzione. Evidentemente la convenzione in sé è intesa come la massima espressione del principio del tornaconto di cui parlavo nel mio articolo precedente. Quindi come un baluardo da difendere con le unghie e con i denti.
Un principio, attenzione, quello del tornaconto, che non va ridotto al “compenso retributivo” ma che va allargato allo status professionale che, il rapporto libero professionale, comporta.
La convenzione a ben riflettere altro non che una sineddoche di libera professione. Il punto vero è la libera professione. La Fimmg è evidente che difende la convenzione per difendere lo status.
E che succede, come nel caso del medico dimezzato e del Dm 71, se la convenzione non garantisce più lo status?
Il senso della storia
Questo status, ricordo ai pre-logisti veneti e lombardi, nasce fin dalle origini della medicina, come libero, autonomo e indipendente, lo stesso status descritto e sancito nel giuramento attribuito ad Ippocrate.
Il primo medico vero della storia della medicina non è prelogico ma al contrario nasce dal superamento della pre logica. Lasciando da parte i paroloni, vorrei spiegare a Mantoan, quindi a coloro che intendono ridurre i MMG a “ struscia bidoni”, (QS 30 maggio 2022) che una riduzione del genere significa cancellare un certo modo di intendere la medicina cioè cancellare l’unico modo di essere medico che conviene al malato.
Perché è evidente che al malato lo “struscia bidoni” non conviene.
Alla fine di un lungo viaggio dentro i problemi della medicina e della sanità, e culminato nel mio ultimo libro “La scienza impareggiabile”, la mia conclusione, è molto semplice: per reggere il confronto con le complessità del nostro tempo non ci vuole un “medico minore” e meno che mai un suo surrogato, o peggio un “medico dimezzato”, come vuole la pre logica, quindi meno autonomo e meno libero, e meno indipendente ma, al contrario come vuole la logica ci vuole un “medico maggiore” più autonomo più libero e più indipendente. Insurrogabile e impareggiabile.
Il “medico impareggiabile” che ci servirebbe, come è scritto chiaramente nelle 100 tesi della Fnomceo, oggi ancora non c’è. Quello che c’è è alla fine un vecchio medico spompato che non vede l’ora di andare in pensione perché ha le palle piene di tutto. concepito rispetto ad un mondo che ormai non c’è più. Questo medico però possiamo ricostruirlo. La Fimmg da quello che ho visto sul campo non crede un granché alla possibilità di ridefinire il medico, essa continua a ritenere che a medico invariante basterebbe rinnovare la convenzione. Ebbene io penso che questo sia un ragionamento miope.
Dilemmi
Quando tre anni fa la Fimmg ridefinì il suo statuto non poteva immaginare che subito dopo sarebbe arrivata una pandemia e meno che mai che le regioni con la scusa della pandemia, avrebbero tentato di de-regolare cioè di mettere in discussione la libera professione.
Oggi la Fimmg dopo la pandemia ha perduto molto del suo potere negoziale e del suo potere rappresentativo, anche perché di segnali sbagliati durante la pandemia ne ha mandati molti, sciupando quella che per lei poteva essere una grande occasione per rifarsi la virginità.
Però siccome conosco la Fimmg e non posso dimenticarmi che i suoi valori di riferimento alla occorrenza possono diventare anche molto flessibili (QS 9 ottobre 2014), penso che la difesa della convenzione oggi da parte sua non sia una questione di principio e quindi un problema statutario, ma al contrario sia, almeno per me, un calcolo di convenienza sbagliato.
Cioè la critica che io faccio alla Fimmg è che oggi la difesa a priori della convenzione con il Dm 71 si configura non come una lesione al principio ma una lesione al tornaconto.
Per me oggi:
- la Fimmg semplicemente sta facendo male i suoi conti,
- la vera questione politica circa i MMG, è lo status giuridico del medico, non la difesa tout court di una convenzione,
- la classica convenzione oggi è oggettivamente indifendibile,
- la convenzione, volendo si può ripensare in mille modi diversi.
Il punto politico resta un altro: se il MMG continuerà a fare il “medico minore” cioè il “passa carta” egli, come pensa la pre logica, sarà surrogabile ma se il MMG deciderà di fare il “medico maggiore” egli sarà con buona pace di Moratti e Mantoan, più che mai insurrogabile.
Conclusione
Se il Dm 71 lo consideriamo un sillogismo e se la conclusione logica di questo sillogismo è un medico “minore” o “surrogabile” o “dimezzato” mentre questa società avrebbe bisogno esattamente del contrario, allora il sillogismo è una fregatura.
Il punto debole, se non drammatico, è che la Fimmg, ma direi anche tutti gli altri sindacati, oggi non hanno un sillogismo alternativo a portata di mano. Per cui si rischia di restare “ingavinati” nel pensiero pre logico. C’è quindi solo una strada sensata da percorrere: costruire il nuovo sillogismo che ci serve e alla svelta.
Nel frattempo secondo me la Fimmg dovrebbe:
- sfilarsi pubblicamente da un accordo politico verso il quale essa per prima ha tutto da perdere e nulla da guadagnare,
- lasciare a Speranza la responsabilità storica dello sfascio dal momento che lo sfascio è più vicino che mai.
Ivan Cavicchi
Ps: Vorrei ringraziare pubblicamente G. Campo, A. Chiari, A. D’Ercole, B. Bersellini, B. Agnetti del Centro Studi Programmazione Sanitaria FISMU, per il loro bell’articolo e per il loro prezioso impegno sul campo (Per la sanità territoriale è arrivato il momento del redde rationem. Qs 7 giugno 2022).
Quello che hanno scritto ma soprattutto la loro stima mi ha ripagato di non poche incomprensioni che vi assicuro per chi come me si occupa di “medici” e di “medicina” purtroppo sono tutt’altro che infrequenti.
Ma va bene così. Nonostante “certi medici” continuo a credere che la prima vera garanzia per un malato sia un bravo medico.
13 giugno 2022
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Dopo il Covid nulla sarà come prima...sarà peggio
Dopo il Covid nulla sarà come prima...sarà peggio
28 OTT - Gentile Direttore,
il pessimismo del collega Enzo Bozza (Il Pessimismo della Ragione) può tormentare ma ricordando il breve attribuito ad Andreotti: a pensar male si fa peccato ma…All’elenco delle ragioni oggettive proposte dal collega (anamnesi e esame obiettivo) è possibile aggiungere una ipotesi diagnostica e una conseguente terapia.
L’ipotesi diagnostica coinvolge necessariamente i responsabili della situazione organizzativa in atto (abbondante consociativismo fruito negli anni, gestioni aziendali e regionali sventurate). La terapia suggerisce la produzione di una quantità massiccia di anticorpi a difesa dalla malasorte. Il prodotto amministrativo guasto di questi anni dovrebbe essere relegato in un museo storico a futura memoria di ciò che non si dovrebbe mai nemmeno ipotizzare di fare nel terreno dell’assistenza primaria.
Oculati mmg anche con minime infarinature di economia spicciola avrebbero dato per scontato che una intelligente organizzazione della medicina generale avrebbe creato rendimento e influenza concreta sul PIL in tempi medio-lunghi. Qualcuno infatti ha affermato che immaginare una efficace riforma del territorio sarebbe stato sovrapponibile alla scoperta di un nuovo efficace farmaco per os contro ogni forma tumorale (senza effetti collaterali) o ad uno sbarco sulla luna. Il riordino/riforma territoriale riveste una importanza tale che non può essere lasciata in mano alle stesse alte dirigenze, agenzie, istituzioni, assessorati che sono riusciti a ridurre questa parte del Sistema Sanitario nello stato in cui si trova. Tuttavia sono proprio questi enti che emanano un documento al giorno per spiegare ossessivamente che ci si deve tutti armare ma solo quelli in trincea partiranno e periranno. Per scaravoltare l’iceberg (Bozza) occorre agire su forze naturali enormi molto resistenti a cambiamenti di equilibrio stabiliti da leggi fisiche.
I corposi documenti “correnti” fanno molto affidamento su elementi che si sono strutturati nel tempo e con dovizia di ripetizioni spiegano ai mmg come fare per annullare le propria professione controriformando sviluppi culturali, professionali e assistenziali passati completamente nel dimenticatoio (nessun confronto). Tutto ciò evidenzia comunque una fragilità culturale indicibile che è attestata dal continuo reiterare concetti “obbligatori” finalizzati a inculcare l’inevitabile contro-riforma che è stata già messa in forno.
La superficialità e l’arroganza dell’insipiente è presa in grande considerazione e scambiata per arguto decisionismo. Così la professione è condotta per mano dai ”dotti, medici e sapienti” approssimati, impreparati, carenti di valori imprescindibili. (da una riflessione di Gianfranco Ravasi). Non si può pretendere o pensare che le cose possano cambiare se la produzione dei documenti “fondamentali” ripropongono la stessa minestra riscaldata messa in forno dagli stessi cucinieri che da 20 anni propongono lo stesso menu (da una riflessione di Albert Einstein).
C’è però anche l’ottimismo di chi è convinto di influire sui processi decisionali già confezionati (ed infornati) e che afferma che non sarà più come prima (Nulla sarà più come prima. QdS, Asiquas, 25 ottobre 2021). Basta guardarsi attorno e partecipare alla vita quotidiana dei mmg per essere certi che sarà sicuramente peggio perchè nessun apprendimento virtuoso è derivato dal covid.
Una attenta lettura dell’articolo (Nulla sarà come prima…) vorrebbe rappresentare plasticamente quello che i mmg potrebbero attendersi nel prossimo futuro ma tutto ciò richiede una trattazione a parte per lo spazio a disposizione e per le argomentazioni contenute nel testo che si presentano estremamente eloquenti (gestione “convenzionata” territoriale da parte di soggetti del Terzo Settore o della Cooperazione Sociale, ma anche di Assicurazioni e Fondazione Bancarie, intermediazioni tra il “welfare aziendale” e le reti sanitarie private, quando non gestiscono a presa diretta ospedali o strutture diagnostiche) ed insieme alla “sanità integrativa” si “aprirebbe così positivamente una nuova porta per un ingresso organizzato del privato nei SSR.
Il che potrebbe essere anche utile se le condizioni di confronto o competizione tra pubblico e privato convenzionato fossero giocate alla pari mettendo i manager pubblici nelle condizioni di gestire in modo efficiente, efficace e appropriato e soprattutto sostenibile le aziende sanitarie” (Nulla sarà come prima…).
Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria) FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti), Regione Emilia-Romagna
28 ottobre 2021
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Tutti parlano dei Mmg ma pochi sanno di cosa parlano
Tutti parlano dei Mmg ma pochi sanno di cosa parlano
19 OTT - Gentile Direttore,
vorrei soffermarmi sulla fregola diffusa in queste ultime settimane di organizzare convegni o incontri sui capisaldi contenuti nelle note documentazioni istituzionali di “successo” relative al PNRR, al DM70, al Documento della Commissione Sanità della Conferenza Stato-regioni, al famigerato Art. 8 che risorge dalle proprie ceneri di tanto in tanto, al lunare regionalismo differenziato tutt’altro che sopito.
In questi seminari numerosi relatori ex-cathedra o le varie alte dirigenze aziendali ammaestrano su chi sia il mmg, cosa faccia e cosa debba fare senza avere spesso la minima idea, essendo laici della pratica professionale, di cosa fa un medico di base tutti i giorni (pandemia compresa).
Un collega racconta che molti anni fa aspirando, ingenuamente, ad una politica sindacale partecipativa e collaborativa in favore della professionalità dei colleghi e del miglioramento delle problematiche assistenziali aveva presentato, per le regolari vie burocratiche, 10 ipotesi di progetti innovativi (quasi piccole riforme locali) avvalendosi dalle norme che avrebbero potuto facilitare iniziative sperimentali.
Essendo una proposta che appariva nel complesso non banale, l’azienda propose un percorso di valutazione da parte di una commissione composta da tanti professionisti aziendali specialisti nelle singole materie coinvolte dalle 10 proposte.
Superata con completo successo questa fase di verifica, la pratica è arrivata al Comitato Aziendale. In quella occasione un alto funzionario aziendale ha bocciato l’iniziativa sostenendo in pubblico che l’elaborato non avesse consistenza. Il funzionario o la funzionaria non sapeva però che le idee sperimentali derivavano, pur adattate al contesto locale, da 5 corsi master svolti alla Bocconi in periodo non sospetto cioè quando l’influenza economicistica non aveva ancora invaso le aziende e portato il SSN all’attuale situazione.
Qualche anno più tardi un altro collega con le stesse caratteristiche motivazionali, dopo un lungo lavoro di studio e un coinvolgimento della propria comunità di riferimento, ha presentato all’azienda un intero progetto di Casa della Salute innovativo dal punto di vista strutturale, gestionale e organizzativo in favore di un miglioramento riformativo locale professionale ed assistenziale.
La risposta proveniente dal Distretto (quella struttura che rimane come un menhir inamovibile e dogmatico in ogni progetto di riordino dell’assistenza primaria che apparentemente dovrebbe mediare tra bisogni e produzione dei servizi ma che nella pratica rappresenta l’egemonia prefettizia del mandato regionale… senza Distretto, senza Aziende, senza Assessorati pare crearsi in alcuni commentatori un horror vacui invece di incitare ad un incremento di autonomia e responsabilità professionale) è stata di questo tipo: “no, non si può, voli troppo alto”.
In una delle tante riunioni/convegni ho avuto la fortuna di assistere ad una dissertazione esegetica di un caro amico e collega che, divertendosi, ha argomentato sul tema del “volare troppo alto”. Pare che non esistano criteri e parametri oggettivi per definire in un senso o nell’altro questa dimensione tanto che alla fine la conclusione è stata addirittura imbarazzante: e se fossero, i Distretti, le Alte Dirigenze o gli Assessorati o la Conferenza Stato Regioni ed i loro prodotti documentali a volare troppo basso?
Per ultimo non si può tralasciare una caratteristica trasversale e distintiva della attività professionale del mmg: la complessità.
Nel lavoro del medico di base tutto si muove all’interno di una complessità non completamente evasa dalla medicina basata sulle evidenze, da linee guida, protocolli o algoritmi, da norme, delibere, determine o dalle immancabili circolari. La complessità ingloba la sostenibilità, l’integrazione, la trasmissibilità, la coerenza compossibile tra riforme e valori di riferimento e sancisce a priori il fallimento delle finte innovazioni contro-riformiste (regressività). E’ per questo che non è dato per scontato il saper fare il medico e che i professionisti di questo settore sono sempre disponibili a illustrare possibili soluzioni che non siano rigidamente incatenate alla dipendenza o ad una convenzione ad invarianza organizzativa che non lascia spazio a sperimentazioni di riforma (3ª via).
La prassi e la filosofia epistemologica della medicina generale territoriale contiene aspetti estremamente multiformi in quanto la complessità intrinseca non può mai essere analizzata con modalità lineari perché le numerosissime variabili influiscono costantemente l’una sull’altra in condizioni dinamiche (anabolismo, catabolismo, entropia, entalpia, infiniti feedback…).
Una cultura normativa che non consideri questi aspetti approccerà i sistemi con quella estrema semplificazione che vanificherà, renderà non intellegibile o molto fragile ogni sua possibile ipotesi predittiva sia di processo che di esito (economicismo, appropriatezza, criteri di performance, linee guida, protocolli, algoritmi). L’unico metodo di studio efficace e coerente per osservare i sistemi complessi e i suoi comportamenti emergenti è il metodo sistemico/olistico caratteristico del medico di medicina generale che professionalmente è in grado, anche in pochi attimi, di considerare tutte le possibili variabili in gioco.
Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria) FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti), Regione Emilia-Romagna
19 ottobre 2021
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Il lento ed inesorabile declino delle Cure Primarie
Articolo a cura di Bruno Agnetti
Pubblicato su Quotidiano Sanità il 6 febbraio 2017
06 FEB - Gentile Direttore,
l’ultimo intervento di Ivan Cavicchi su QS del 27 gennaio riporta una lievequasiimprecazione (… ma per quale diavolo di motivo … nulla che non produca conseguenze distruttive … regolarmente le peggiori). Risulta arduo non poter raccogliere lo spunto per la riflessione che proviene da un autorevole studioso della materia come è il Prof. Cavicchi.
Se anche il Prof. Cavicchi viene scarsamente ascoltato si conferma ancor più fortemente il concetto (sperimentato in questi tribolati anni di trattative romane e di turbinanti iniziative in libera uscita di regioni ed aziende) che sostiene come le elaborazioni propositive presentate dai professionisti operanti in prima linea per quanto riguarda ciò che viene definito “riordino delle cure primarie” restino solo esercizi letterari (Cavicchi : Il riformista che non c’è, 2013) tra quei pochi colleghi che non hanno completamente abbandonato un atteggiamento positivo e con fatica cercano di valicare bandiere e tifoserie. Intanto l’impero romano sta crollando senza nemmeno uno scricchiolio di avvertimento.
La nuova delibera della Lombardia in merito alle patologie croniche non è una sorpresa ed era ampiamente prevedibile prima perché l’esternalizzazione, la privatizzazione ed il sistema degli accreditamenti (inesistente nella medicina generale per la sua residua componente libera professionale convenzionata) è iniziato tanti anni fa con i gruppi dedicati alle cure palliative (esperienza che pare non aver prodotto particolari ripensamenti ai professionisti delle Cure Primarie), poi è continuata con i CreG anch’essi con budget a provider ed infine eccoci con l’affidamento dell’assistenza della cronicità a gestori sanitari.
Che dire? Negli anni gran parte delle stagioni contrattuali sindacali si è spesso basata sulla ricerca di benefit (e non raramente business per pochi) piuttosto che puntare su una assoluta e condivisa valorizzazione della professionalità diffusa ( giustamente da gratificare ). Ciò che avviene in Lombardia sta avvenendo in altre regioni con la diversità che non sempre, questo passaggio tra welfare state ad altro welfare, è immediatamente intellegibile ai più (es.: a Bologna ci sono più Guardie Medica privata che evidentemente, per legge di mercato, soddisfano un bisogno. Vedi web).
Come dice Pina Onotri (Segretaria Nazionale SMI su QS, 31 gennaio 2017) sarebbe necessario un fronte comune, senza unanimismi di facciata, in difesa del servizio pubblico … a meno che non sia però troppo tardi e ilcountdown sia inarrestabile visto comunque le tiepide reazioni possibiliste all’iniziativa Lombarda dichiarate dai rappresentanti di alcune sigle sindacali.
Come già altri colleghi hanno ricordato l’attuale organizzazione sanitaria comprende una attività assistenziale-erogativa e una amministrativa-gestionale-organizzativa-di controllo. Le due aree presentano diversità di origine e di fondamenta: una arcaica e plurisecolare, l’altra recente e collegata ad esigenze politiche-burocratiche-amministrative.
Nel passato la parte burocratica-amministrativa si è dimostrata più dimensionata a fronte di una componente assistenziale forte. Attualmente la situazione si è ribaltata a favore di una strutturazione aziendale gerarchica, una burocrazia amministrativa molto forte ed in grado di schiacciare e livellare ogni altra forma di pensiero che non sia unico.
Quindi queste due aree hanno consistenze numeriche e decisionali-politiche completamente sbilanciate con interessi ed obiettivi non coincidenti. La maggioranza dei mmg attualmente impegnati a garantire la sostenibilità dell’assistenza (dimissioni sempre più complesse con equilibri precari ed impossibilità di trovare soluzioni adeguate) è soggetta ad una frenetica iperattività ed iper-occupazione che supera di molto le 12 ore giornaliere tanto da poter ipotizzare due strade:
A - il passaggio alla dipendenza di tutto il comparto dell’assistenza primaria;
B - in alternativa occorre marciare verso una convinta accettazione dell’autonomia e della libera professione dell’assistenza primaria sostenuta a sua volta da una reale valenza politica.
Le istituzioni forse sceglierebbero l’opzione A ma non sembrano attualmente più in grado di sostenere il costo dell’operazione anche se perseguono tenacemente con normative e delibere la finalità della parasubordinata spinta e soffocante. Nello stesso tempo non riescono a garantire un welfare state storico perché la globalizzazione e le modifiche socio-assitenziali hanno portato ad un incremento esponenziale di nuovi bisogni ostentati dai clienti esterni.
In numerose occasioni è stata data la possibilità, su questo stesso quotidiano, al nostro Centro Studi ma anche a tanti altri professionisti, di presentare le analisi critiche relative ai testi dei documenti nazionali e regionali/locali che argomentavano di Cure Primarie così come è stato acconsentito di elencare contributi e proposte costruttive al fine di sanare eventuali defaillance nella convinzione che l’interesse verso il bene comune non fosse definitivamente esaurito e lo strumento del confronto potesse tutelare l’interesse professionale di molti (assistiti e medici) senza rischiare di incunearsi in posizioni di rendita per pochi.
Ciò nonostante i processi decisionali sono afflitti da pregiudiziali tali che da anni vengono riproposte soluzioni di tecnicismo esasperato ed inconfutabile ed in questi casi la rappresentatività resta di facciata. Questo sistema inoltre oltre tende a contrastare ogni evidenza statistica dove le competenze per stabilire le “ragioni e i torti” non dovrebbero mai appartenere ad una sola delle parti.
Non è questa l’occasione di fare un elenco (lungo) di proposte argomentate a favore di un riordino delle cure primarie già presentate più volte. Desta non poca meraviglia però non poter più ritrovare, nei numerosi documenti nazionali e regionali/locali, richiami introduttivi alle caratteristiche e alle competenze valoriali della medicina generale enunciate dalla prestigiosa World Organization of National Colleges and Academics (Wonca) sostituite, a sostegno delle scelte di politica sanitaria, da altre numerose citazioni autoreferenziali o di relativo impatto effettivo culturale /scientifico assistenziale (es.: DG SANCO 2014) con il conseguente impoverimento della credibilità dei documenti stessi.
Le istituzioni sembrano comunque aver esaurito la spinta propulsiva per rivoluzionare la sanità nonostante il poderoso apporto culturale accademico e delle agenzie. In questa situazione diventa difficoltoso attivare una fase di ripensamento del welfare nel quale sia possibile, grazie al ruolo essenziale dei professionisti, coniugare rigore, universalismo e scelte prioritarie riportando al centro del dibattito culturale e politico la sanità come unico luogo in cui si sostanziano uguaglianza dei cittadini e principio di solidarietà.
Dopo la riforma del 1978 si è esaurita la stagione dei dividendi derivati dagli anni del boom economico dove nel nostro paese gli imprenditori (anche con la terza elementare) superavano di gran lunga i dirigenti e il Pil correva a doppia cifra come quello cinese attuale. Ora ci sono molti più dirigenti che imprenditori (un mmg è un piccolo imprenditore ). Le difficoltà crescenti per coniugare il buon governo con i bisogni reali delle persone diviene addirittura oggetto di studio da parte delle neuroscienze (Il Sole24Ore,15 gennaio 2017). Nel complesso la Sanità Italiana è passata al 22° posto (Indagine dell’Health Consumer Powerhouse 2016 che valuta la soddisfazione dei cittadini) su 35 paesi europei analizzati.
Eppure una organizzazione adeguata della sanità (con i suoi determinanti di salute) potrebbe essere un solido fattore di sviluppo economico come dimostrato da numerose pregresse argomentazioni dove si richiama l’attenzione al rispetto delle comunità reali. Oggi è un po’ di tendenza parlare di comunità proprio perché le istituzioni si sono accorte che da sole non sono più in grado di affrontare i grossi capitoli dell’assistenza territoriale. Ancora una volta però, a causa di un ritardo culturale incredibile, i centri decisionali non si sono accorti che le comunità non esistono più.
Per dire più correttamente esistono residui di comunità intorno alle massime istituzioni morali dei nostri territori (parrocchie) e anche il mmg rappresenta, in molte realtà, un punto di riferimento fondamentale. Le comunità non si creano con i finanziamenti o le sovvenzioni. Le persone desiderano autonomamente e fortemente partecipare in modo reale e non virtuale. Il MMG e le cure primarie sono rimaste effettivamente forse tra i pochi punti di riferimento delle comunità/società locali che (anche se fortemente in crisi) grazie all’azione di empowerment dei mmg mostrano di poter esercitare un protagonismo crescente per far fronte all’incrementi dei bisogni socio-assistenziale a cui le istituzioni non riescono più a dare rispose. Inoltre la personalizzazione delel cure che solo il medico di base è in grado di assicurare è considerata dai pazienti criterio di valutazione della qualità assistenziale.
L’impegno economico consistente e necessario sul medio periodo per il riordino delle cure primarie resta un investimento non un costo ma c’è la necessità di uscire da sfere molto ampie per comunicare competenze ed abilità in modo raccolto (walled garden cioè giardino contenuto: Colletti, Il Sole24Ore, 5 febbraio 2017). Potrebbe non essere coerente con i bisogni ipotizzare quindi ambiti territoriali che superino i 30.000 abitanti. Da questo punto di vista occorre individuare con chiarezza strutture logistiche all’interno dell’ambito territoriale geografico contenuto (mai più di 30.000 assistiti/popolazione/presenti) identificabili indiscutibilmente come declinazione del distretto. La presenza stanziale dei mmg è fondamentale per offrire integrazione e gestione della complessità.
L’adesione e la partecipazione dei mmg che desiderano affrontare questa esperienza devono essere volontarie e devono comunque garantire equità anche per coloro che desiderano garantire una capillarità territoriale continuando ad operare negli ambulatori singoli pernon creare differenziazioni tra professionisti e di conseguenza diversità tra potenzialità assistenziali territoriali.
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria CSPS
Sindacato dei Medici Italiani (SMI)
Regione Emilia-Romagna
06 febbraio 2017
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IV Seminario: Progetto sobrietà
Nuove frontiere dell'addiction etilica
Sabato 20 Aprile 2013
Sede dell'evento:
Sala riunioni Via Gorizia, 2/a Parma
Prima Parte
Seconda Parte
Programma di aggiornamento NCP 2013-2014 COMPLETO
Con il consueto anticipo si trasmettono le date per l’attività di auto-formazione dei NCP per il periodo autunno 2013 – primavera 2014.
Gli incontri, come di norma, si svolgono al martedì sera nella sala per le riunioni dell’ambulatorio San Moderanno sito in via Trieste 108/A ( 0521/775886 fax 799800) cercando di rispettare gli orari che, in considerazione della sempre più gravosa attività professionale dei mmg, vanno dalle ore 20.30 precise alle ore 22.30 precise.
La lunga esperienza di programmazione dell’attività formativa e di aggiornamento di NCP ha insegnato che possono essere possibili modificazioni in itinere e quindi alcune date, argomenti, relatori e conduttori/facilitatori/moderatori potrebbero cambiare; le variazioni verrnno comunque comunicate sempre per tempo e con anticipo via mail.
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Integrazione...chi era costei?
Due medicine di gruppo si sono poste l’obiettivo di armonizzare conoscenze ed abilità acquisite e di poter comunicare in tempo reale pareri ed opinioni in merito alle problematiche quotidiane assistenziali.
L’iniziativa si avvale anche di un sito web denominato alleanzaterapeutica.it
Articolo di Bruno Agnetti e Mauro Bonomini, pubblicato su Parma Medica 2/2013
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Distress emozionale in medicina generale - 2° parte
Presentazione video voce (2° parte) di Bruno Agnetti dal titolo:
“Il paziente con distress emozionale in medicina generale”
ovvero
“I disturbi somatoformi e il MMG”