E pensare che c’era il pensiero
Gentile Direttore,
un personaggio un po’ poeta ed un po’ filosofo nel 1996 ha registrato dal vivo un suo spettacolo nel Teatro Regio di Parma. Da questo recital poi è stato prodotto un album che aveva questo titolo: “E pensare che c’era il pensiero”. In una successiva intervista Giorgio Gaber sostenne come fosse più importante dire la verità ad una persona che molte mezze verità a tantissima gente. Oggi pare che il diffondere mezze verità sia diventato pandemico.
Nelle cure primarie territoriali la questione del pensiero e della sua complessità è strettamente connesso con quello della cura e del prendersi cura (funzione ontologica). Desta meraviglia come sia le istituzioni che le associazioni culturali che tentano di affrontare argomenti complessi decadano nel culto della raccolta dati (dataismo) e dell’autoreferenzialità. Le soluzioni lineari rivelano un conformismo amministrativo destinato inevitabilmente ad un precocissimo invecchiamento.
Cos’è un territorio assistenziale e come percepisce, una specifica popolazione, il bene comune?
In un periodo non sospetto (2010-2014) una associazione di volontariato che opera in un quartiere periferico di una città (Comunità Solidale Parma www.comunitasolidale-parma.it) aveva cercato di analizzare la situazione sociale/antropologica degli abitanti di quell’area dal punto di vista assistenziale. Nel 2015 ha pubblicato sulla stampa locale la conclusione di quelle riflessioni che propugnavano la necessità che, in quel quartiere, dovesse sorgere una Casa della Salute “grande” contenente tutti i servizi e le funzioni previste dalla normativa allora vigente. E’ stato quindi realizzato un disegno progettuale da offrire alle istituzioni locali e regionali. Sono state anche raccolte le firme dei cittadini in favore della Casa della Salute “grande” prevedendo la logistica, l’impatto ambientale, geologico e l’utilizzo di materiali ecologici.
Non vi è mai stato un confronto con le istituzioni su questo tema.
“… il sistema assume oggi una forma affabile, smart, rendendosi invisibile ed inattaccabile … questa tecnica di dominio neutralizza la resistenza in maniera efficacissima” (Byung-Chul Han, Perché oggi non è possibile una rivoluzione, Nottetempo, 2022).
Comunità Solidale Parma è una delle poche associazioni di volontariato in Italia che ha come missione statutaria la promozione e il supporto alla medicina generale territoriale considerata bene comune tanto che l’associazione ha la sede proprio nella sala d’aspetto nella Medicina di Gruppo “Ambulatorio San Moderanno”.
Il mancato confronto può procurare contraddizioni che si sommano ad altre contraddizioni che alla fine producono errori e dimostrano come alcune argomentazioni ufficiali non siano adeguata al contesto sociale in cui vorrebbero calarsi creando così un peggioramento della regressività tra società e sanità ( es.: nel DM77 la parola “cura” viene riportata due volte e sempre in funzione di situazioni organizzative e non come essenza valoriale fondamentale e distintiva).
La macchina in conto capitale delle CdC, OdC, COT pare sia comunque partita con il rischio di fallire.
Chi da anni studia queste tematiche e propone una organizzazione sanitaria territoriale generativa (salute non come costo ma fonte di benessere, ricchezza, economia) sa bene come siano veramente necessari nuovi spazi di pensiero e nuovi modi di vivere la salute, di curare e di prendersi cura. Spazi fortemente alternativi alla violenta tendenza che mira alla cancellazione della complessità.
Nuovi spazi di pensiero e anche ambientali logistici che siano però belli e piacevoli, percepiti come appartenenti alla comunità dei cittadini e dei professionisti perché il burnout non va considerato una malattia occupazionale ma una conseguenza del fanatismo riguardante la prestazione cumulativa/additiva. La prassi della salute pensata e applicata a livello territoriale richiede una solida autostima dei professionisti e dei loro assistiti nelle competenze o abilità cognitive, spirituali ed economiche.
Le capacità professionali territoriali forse potrebbero co-operare se si individuassero idee o progetti, anche sperimentali, in grado di mettere insieme situazioni contrattuali diverse per almeno un medio periodo affinché nuove strategie volte alla salute possano efficacemente ed economicamente affiancarsi agli storici determinanti la salute e alle modalità assistenziali più diffuse.
Da questo punto di vista potrebbero svolgere un ruolo fondamentale i leader professionali (es.: mmg autori) e i leader spontanei delle comunità ristrette e contenute (es.: associazioni di volontariato che si pongano veramente a servizio della comunità avendo però accumulato un curriculum significativo in campo delle cure primarie territoriali). Il fondamentale rapporto tra cittadini e professionisti del territorio, non essendo prestazionale ma fondato sul rapporto fiduciario, sul curare e sulla presa in carico non è riducibile ad una performance facilmente dimensionabile e quindi è meno appetibile dal privato: da questa pietra angolare si può far ripartire una “nuova” sanità che genera salute e capacità economica completamente e genuinamente pubblica a fronte di PNRR e DM77 ammuffiti prima ancora di essere attivati.
Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS)
In collaborazione con Comunità Solidale Parma
29 maggio 2023
© Riproduzione riservata
Case della Salute e Case della Comunità. Uguali o diverse?
Purtroppo occorre constatare che, al momento, le comunità sono smarrite, frantumate, frullate dalla globalizzazione e dai recenti avvenimenti sanitari ed economici. In questo senso il termine “Casa della Comunità” appare quindi ancor più fuori contesto, instabile e senza reali punti o radici di riferimento.
10 APR -
Il termine “Casa della Salute” (CdS) contiene la specificazione di una funzione o di una attività che, si intuisce, possa essere svolta in quella struttura. Quando invece si parla di “Casa della Comunità” (CdC) il contenuto comunicativo supera l’indicazione logistica e tende a dare come acquisita la presenza di una maggiore complessità.
Bauman ci ricorda come il desiderio di comunità sia molto forte ma richieda una carica generativa naturale e “tacita” proprio per una sua intima problematicità relazionale. Di contro le “comunità” che devono farsi sentire o valere o fanno sfoggio delle loro iniziative si autoeliminano come “comunità” in quanto contraddittorie. Possono essere imprese, gruppi di studio, progetti di scopo, portatori di interessi ma non comunità.
Il DM 77 (2022 e GU n.144) definisce la CdC come struttura socio-sanitaria che entrerà a far parte del SSN: per il momento, quindi, è ancora tutto da vedere...
Il Dgr n.291 del 2010 (78 pagine) della Regione Emilia-Romagna (documento antesignano sulle Case della Salute) definisce la CdS come punto di riferimento certo per i cittadini al quale ci si può rivolgere per trovare una risposta ai propri problemi di salute. E’ un presidio distrettuale a complessità diversificata (CdS piccola-media-grande) e ogni quartiere o territorio avrebbe dovuto avere la propria CdS anche se la vera innovazione era costituita “solo” dalla CdS grande.
SCHEDA RIASSUNTIVA DEI SERVIZI E DELLE FUNZIONI DI UNA CASA DELLA SALUTE GRANDE
Nel 2013 la delibera Regionale della Regione E-R n.117 completava il pregresso DGR n.291/2010 (Modello organizzativo territoriale regionale fondato sulla CdS) prevedendo, almeno nelle CdS “Grandi”, strumentazioni specialistiche e diagnostiche complesse ma anche la presenza di strutture intermedie e di letti osservazionali (termine più corretto del più “discorsivo” ed ambiguo Ospedale di Comunità o OSCO).
Nel 2015 infine le linee di indirizzo regionali sancivano la partecipazione delle comunità e delle associazioni di cittadini che venivano definite “indispensabili” per il funzionamento delle Case della Salute.
Si completava così un percorso culturale teorico ed innovativo per riordinare l’assistenza di base territoriale.
Ciò nonostante si iniziavano a percepire da subito alcuni movimenti contro-riformisti al fine di recuperare un controllo burocratico-prescrittivo forse sfuggito inavvertitamente con i documenti emanati dal 2010 al 2015. Ad esempio tra il 2013 al 2015 compaiono le prime bozze finalizzate alla “prefabbricazione” dall’alto di associazioni di volontariato ingegnerizzate a tavolino mettendo così a rischio idee e intuizioni innovative caratteristiche di un volontariato libero ed autonomo e alla fine hanno consegnato alla mano paternalistica e rassicurante del potere amministrativo “controllante” almeno la parte sovra-ordinata del così detto terzo settore.
Nel 2016 con la delibera n. 388 del 2016 viene poi, improvvisamente, (a conferma delle avvisaglie percepite nel periodo 2013-2015), varata la contro-riforma di tutta la pregressa sistematizzazione innovativa sulle CdS. Il revisionismo burocratico riprende il sopravvento ed inserisce, nei documenti relativi alle CdS, normative rigide e protocolli “a silos” difficilmente conciliabili con la cultura dell’integrazione o della co-produzione multiprofessionale, multidisciplinare e multisettoriale sviluppatasi intorno al fervore creatosi con la delibera del 2010 sulle CdS.
Nel 2021 viene approvato il piano detto PNRR per rilanciare l’economia italiana dopo la pandemia. Al nostro paese vengono assegnati 191,5 miliardi: il 36,5% a fondo perduto e il 63,5% (121 miliardi) in prestito. Con la così detta Missione 6 del PNRR vengono elencati gli obiettivi di tipo sanitario relativi al piano e al finanziamento specifico.
Il DM 77 ( decreto 23 maggio 2022 del Ministero della salute) è il documento che contiene il regolamento attuativo per lo sviluppo nazionale della stessa Missione 6.
Tra le numerose indicazioni alcune disposizioni meritano forse qualche argomentazione.
L’assistenza domiciliare dovrà raggiungere percentuali richieste dalle nuove normative ma questo richiederà il superamento di qualche contraddizione operativa in quanto pare che i Distretti (benedetti come “perni” del riordino delle cure primarie dal DM77) possano paradossalmente essere la causa principale della riduzione del numero delle Assistenze Domiciliari.
Gli Infermieri di comunità in molte realtà sono una attività preziosa e perfettamente operativa da anni (NCP Nuclei di Cure Primarie infermieristiche di quartiere).
Le USCA (Unità Speciali di Continuità Assistenziali) utilissimi sostegni per la medicina di base, soprattutto nelle pandemie, inserite nei territori nel periodo covid per DPCM, sono state poi abolite, successivamente riattivate, ri-annullate di nuovo, infine, come si dice quando si vogliono tagliare i servizi, razionalizzate…
Le Cure Palliative si trascinano da anni snervanti incoerenze. Pur essendo un tipo di assistenza fondamentale e “ontologica” per la medicina generale da qualche parte si asseconda l’insano dubbio che il mmg possa “non” rappresentare il primo palliativista di riferimento per il paziente che ha esercitato la scelta fiduciaria per quello specifico medico (forse pensando proprio ad una eventuale propria terminalità). Se invece la “palliazione” deve essere istituzionalizzata come attività specialistica a se stante, con strutture riservate, con direttori, responsabili e coordinatori… bisognerebbe almeno immediatamente, seduta stante, abolire le vergognose (forse eccessivamente confidenziali) liste d’attesa (sic!).
SCHEDA RIASSUNTIVA DELLE CARATTERISTICHE DISTINTIVE TRA CdS e CdC
Il confronto “a colonne” tra le caratteristiche delle CdS con quelle delle CdC non danno l’impressione di palesare “differenze epocali” e pare che il culmine del divario stia solo nelle denominazioni (da CdS a CdC) e di conseguenza nella cartellonistica. Se poi si desidera soppesare il valore relativo all’efficacia, all’efficienza, all’organizzazione, al gradimento dei cittadini verso i servizi offerti, alla comprensione della struttura da parte della popolazione l’ago della bilancia potrebbe pendere pesantemente a favore della “Casa della Salute Grande” quando questa può beneficiare di una completa autonomia (abolizione delle aziende sanitarie e delle mega aziende e ripristino dei consorzi territoriali) nel processo decisionale e nel governo clinico.
SCHEDA RIASSUNTIVA DEL PROCESSO DECISIONALE NELL’AMBITO DELLE CURE PRIMARIE (es.: EDIFICAZIONE O RISTRUTTURAZIONE DI UNA CASA DELLA COMUNITA’ E DEL SISTEMA ASSISTENZIALE TERRITORIALE)
(Welfare di Comunità, QdS, 7 maggio 2021)
SCHEDA RIASSUNTIVA DELLE CARATTERISTICHE DISTINTIVE DEL GOVERNO CLINICO (GC)
GC AUTONOMO DELLE CURE PRIMARIE VS GC AZIENDALE ISTITUZIONALE
Come già menzionato una “comunità” si considera tale quando è composta da un gruppo di individui che vivono in un territorio limitato con caratteri comuni e reciproca dipendenza (appartenenza, solidarietà, legami sociali paritari non rigidamente gerarchizzati, senso di libertà con potestà di partecipazione alla vita collettiva). La comunità non è sovrapponibile ad una popolazione o ad una società perché in questi casi le relazioni sono più complesse, le dimensioni più vaste, meno controllabili e quindi restano più sconosciute.
Il termine “comunità” associato a gruppi, associazioni, portatori di interessi è esploso dopo la pubblicazione del PNRR. E’ diventata una parola molto diffusa, inflazionata, utopistica. Infatti la contemporaneità è caratterizzata da un individualismo economicistico e da relazioni “contrattuali” che non lasciano tanto spazio alle “comunità” tradizionali, contenute nelle loro dimensioni e accumunate da saperi, tradizioni e scale valoriali consolidate nel tempo.
Purtroppo occorre constatare che, al momento, le comunità sono smarrite, frantumate, frullate dalla globalizzazione e dai recenti avvenimenti sanitari ed economici. In questo senso il termine “Casa della Comunità” appare quindi ancor più fuori contesto, instabile e senza reali punti o radici di riferimento.
Il tema delle cure palliative, già ricordato, evidenzia l’importanza che può avere un punto di riferimento (non per forza tecnologicamente avanzato) alla fine di una esistenza umana di un assistito che sceglie fiduciariamente un dato mmg proprio per esigenze o bisogni molto riservati. La struttura sociale e le istituzioni (che dovrebbero essere modelli guida) non sono più in grado di conservare le loro funzioni tradizionali perché si sciolgono prima ancora di avere stabilizzato qualche cosa ( es.: la decennale questione delle liste d’attesa, il fallimento del progetto sulle Case della Salute, la mancanza di autocritica e di un radicale cambiamento delle élite Dirigenziali perpetue, l’impossibilità di addivenire ad una riforma radicale del SSN, l’abolizione delle Aziende, Distretti e Assessorati, l’assenza della politica e la vistosa preponderanza della finanza…).
Il risultato è la paralisi di ogni possibile azione collettiva e l’esclusione degli individui, che credono di appartenere ad una comunità, dalla partecipazione attiva alla stessa vita comunitaria.
Chi ha scritto il DM77? Perché è stato redatto in modo che potesse dare la sensazione di essere stato confezionato in favore di piccoli gruppi di élite staminali (totipotenti e onnipresenti)?
Lo sfrenato individualismo elitario è riuscito a danneggiare anche il senso stesso del bene comune.
Le comunità, quelle tradizionali a cui spesso si fa riferimento nella narrazione quotidiana, non ci sono più ed è venuta meno la loro funzione di “organo di mediazione”.
La realtà appare più popolata da gruppi individualistici ed elitari e le inevitabili eccezioni non sono in grado di cambiare la situazione attuale.
Il termine “comunità” ha perso il suo senso anche perché le istituzioni stesse testimoniano un valore unico, quello della “competizione” che diventa poi modello di conflittualità tra individui e istituzioni.
Le divergenze portano, a loro volta, alla difesa dell’interesse egoistico, all’incertezza, all’ansia, al senso di fallimento.
Emblematico da questo punto di vista è la corsa agitata per accaparrarsi un posto sul carro del “progetto Case della Comunita’” dove i gruppi di lavoro o organizzazioni sgomitano per restare a bordo subito pronti però a scendere non appena si comprenderà che non vi saranno vantaggi in solido.
La comunità non è più una finalità filogenetica ma un “mezzo” per raggiungere un fine più prosaico e per questo obiettivo non si esita a rinunciare all’originalità innovativa, spesso non allineata alle disposizioni ufficiali, per adattarsi remissivamente al mito burocratico (es.: DM 77), anche se incomprensibile, perché alla fine resta la via più facile che comunque non riuscirà mai ad attenuare contraddizioni, disuguaglianze e discriminazioni.
Le comunità potranno essere ricomposte?
In parte, se saremo in grado di essere saggi. Se saremo prudenti e in grado di generare idee innovative valide.
Per trovare delle soluzioni occorre ricominciare radicalmente da capo (riforma) con leader territoriali credibili e accreditati dal consenso (libera scelta). Nel film “Invictus” il Presidente Mandela, leader emblematico, si trova, suo malgrado, a riprendere i suoi sostenitori più faziosi dicendo “Voi mi avete scelto ed ora lasciativi guidare da me”.
I servizi (che potrebbero essere anche sovrapponibili ai diritti) vanno riportati nei quartieri e nei territori, le risorse devono ritornare paritarie, occorre restituire il maltolto, abbandonare la logica dell’economicismo statistico/numerico, quindi abolire la strutturazione attuale, i relativi documenti normativi e gli oracoli del pensiero unico. E’ determinante, promuovere la salute che può concretamente diventare ricchezza per una comunità e dare vita ad ulteriori sperimentazioni valorizzanti e a convinti stili di vita provvidenziali perché effettivamente preventivi.
Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria).
La Casa della Comunità di San Leonardo e la riqualificazione del parco dei Vecchi mulini
(Delibere dell’Amministrazione Comunale: n. GC-2021-465 del 29 dicembre 2021 che definisce la superficie da dedicare alla così detta Casa della Comunità di San Leonardo e n. GC-2022-203 del 18/05/2022 che reca in oggetto il piano di riqualificazione del Parco dei Vecchi Mulini cioè di Via Verona).
Da quando Comunità Solidale Parma, una piccola Associazione di Volontariato autonoma ed indipendente che opera essenzialmente nel quartiere San Leonardo, ha promosso dagli anni 2013-2014 una riflessione relativa ai bisogni espressi e non espressi della popolazione inerente la situazione socio-sanitaria di quello specifico territorio è emerso preponderante l’interesse sul tema delle Case della Salute ora definite di Comunità.
L’elenco delle problematiche è stato sottoposto al parere delle persone grazie ad un manifesto esposto nella sede dell’associazione (situata nella sala d’aspetto dell’Ambulatorio-Medicina di Gruppo San Moderanno).
Lo studio ha poi dato origine ad uno slogan (Dona salute al tuo Quartiere: La casa della salute grande e l’ospedale di comunità) e ad un disegno progettuale di una “Casa della Salute grande” da inserire nel quartiere San Leonardo che ha raccolto 1000 firme a sostegno.
La bozza di questo disegno progettuale, sostenuto da altre associazioni di volontariato, è stata poi presentata alle Istituzioni del settore, alle imprese più importanti della città, all’Amministrazione Comunale (sia nel primo mandato che nel secondo mandato della Giunta Pizzarotti) e più volte è apparsa sulla stampa cittadina.
A seguito di questo intervento propositivo la superficie pubblica di via Verona è stata poi oggetto di molte attenzioni da cui sono scaturite altre idee progettuali o modificazioni dell’idea originale che potrebbero, forse, essere viste come azioni al ribasso a fronte del disegno progettuale iniziale.
Da questo punto di vista una delle due recentissime delibere citate in apertura riportano una particolare e scrupolosa attenzione proprio nei confronti della riqualificazione del Parco dei Vecchi Mulini di Via Verona (che alla fine rappresenta un ridotto appezzamento di terreno), come se non vi fossero priorità o emergenze in altri parchi ben più vasti e frequentati, nello stesso quartiere, che versano in condizioni certamente peggiori (il Parco Nord resta tutt’ora diviso in due a causa dell’inagibilità delle due passerelle/ponti di legno sul Naviglio ).
In Consiglio Comunale, il 14 febbraio sono state chiaramente esposte le criticità contenute nella delibera relativa alla Casa della Comunità la quale propone una soluzione strutturale per il quartiere San Leonardo assolutamente inadeguata al contesto e alle necessità tanto da contraddire le finalità stesse che vorrebbe rappresentare (prendersi cura del bene comune).
E’ assodato che le periferie siano tali ma è doveroso non dimenticare che possiedono una loro dignità che non dovrebbe essere elusa.
Una visione traboccante di ottimismo avrebbe potuto ipotizzare che fosse percorribile, eventualmente da una nuova amministrazione, una modifica della delibera stessa in grado di dare considerazione e rispetto a questa parte del territorio che quotidianamente è a servizio di tutta la città progettando finalmente una Casa della Comunità detta “hub” cioè grande e un Ospedale di Comunità che per logistica e funzionalità fossero confacenti ai bisogni del quartiere che nel suo complesso ( dal quartiere Colombo, Cortile San Martino, quartiere San Leonardo fino ad arrivare alla fine del ponte Nord) può contare circa da 30.000-40.000 residenti ed oltre.
Il 18 maggio 2022 però la Giunta delibera un altro provvedimento relativo alla riqualificazione del parco di via Verona (Parco dei Vecchi Mulini) riducendo così di fatto la possibilità di poter addivenire ad una ipotetica rivisitazione del progetto Casa della Comunità classificata, nonostante la densità abitativa, come “spoke” cioè piccola.
Dal testo della recente delibera inoltre non emerge alcuna considerazione culturale relativa ad una integrazione delle “Casa della Comunità” con il parco stesso al fine di inglobare la Casa della Comunità insieme al parco riqualificato nella vita di tutto il quartiere realizzando concretamente quella co-operazione tra servizi, contemplata in tutta la più recente letteratura, che possa influire sul bene comune più importante per le persone: la promozione della salute.
E’ quindi auspicabile la necessità di rimettere mano all’elaborazione di queste due delibere rivedendo alcuni elementi fondanti.
Non si intende tuttavia avviare nessuna polemica in quanto l’atto del curare, per sua natura, si basa non sulle parole ma sulla testimonianza che porta gli attori (ad es.: del territorio) a trovare soluzioni estemporanee agli ostacoli presentati da decisioni burocratiche o da modelli precostituiti calati dall’alto nonostante i timidi tentativi di processi partecipativi messi in atto.
Quando un’amministrazione politica della città o un’azienda sanitaria non sono convinte di dover affrontare certi problemi in modo efficace non saranno certo le parole o gli scritti a far cambiare convincimenti radicati e sovraordinati.
Inoltre non si può escludere che la mancanza di avvicendamenti o alternanze nel processo politico-amministrativo-decisionale possa causare quello che James Reason, in campo clinico, ha definito la “teoria del formaggio svizzero”. Reason, con la sua ipotesi, ha tentato di rappresentare come nei sistemi complessi (e non solo in quelli sanitari) la consuetudine all’egemonia sui processi decisionali possa causare situazioni tali da determinare errori successivi o seriali talmente importanti da poter portare alla fine anche a vere e proprie catastrofi.
Sarà solo il tempo che riuscirà a dare ragione al senso politico della cura.
La modernità a volte si dimentica di questo aspetto fino a considerare che il cittadino ideale debba tendere alla massima autonomia, libertà, compattezza tendendo a tralasciare gli interessi della collettività o meglio delle persone che vivono in comunità.
In effetti la cura ed il prendersi cura (in particolare la prossimità e le strutture intermedie \dell’assistenza socio-sanitaria territoriale (senza dimenticare la missione 5 del PNRR) tanto che si considera che le attività a vantaggio della salute e del benessere debbano diventare punto di riferimento logistico, funzionale e culturale per un territorio.
Soprattutto oggi, dopo la pandemia, la cura e il prendersi cura acquistano un significato politico molto particolare, forse essenziale e decisivo.
La teoria di Reason consiglia, a protezione da possibili errori determinanti per le nostre comunità, scelte di modifiche, cambiamenti, soluzioni di continuità nei ruoli nei quali si esercita il potere di incidere sui processi decisionali che influenzano profondamente i cittadini e la polis.
Cons. Bruno Agnetti
Pubblicato da Gazzetta di Parma, 2 giugno 2022
Casa della Salute/Casa della Comunità: una guida ad hoc
Un piccolo vademecum redatto da Bruno Agnetti medico di medicina generale, Parma, sulle strutture organizzative prossime venture su cui vertono ancora numerose incertezze e perplessità. Un racconto, ovvero la narrazione delle vicende che partono dall'ACN 2005 ed arrivano fino ai nostri giorni strettamente confinati al campo dell'organizzazione e delle relazioni tra Mg e istituzioni.
Come organizzare una Casa della Salute/Casa della Comunità senza massacrarsi la vita". Questo è il sottotitolo 'esaustivo' della "Guida alla Casa della Salute/Casa della Comunità da Pnrr 2021" redatto dal medico di medicina generale Bruno Agnetti di Parma e membro del Centro Studi Programmazione Sanitaria della Fismu dell'Emilia-Romagna.
Un vademecum sulle strutture organizzative che si potrebbe collocare alla fine della cascata epistemologica (paradigma, dottrina, disciplina) ispirandosi ad autorevoli
Autori tra cui il Prof. Ivan Cavicchi e alle sue argomentazioni sui problemi sanitari. Forse proprio all'interno dell'apprendimento applicato (disciplina) può essere inserito l'aspetto organizzativo dell'ambito medico-sanitario che oggi vede come "tendenza del momento"la questione delle Case di Comunità con le sue numerose incertezze, contraddizioni, affermazioni, ripensamenti, dilazioni e quant'altro.
Il Centro Studi di Programmazione Sanitaria della Fismu-Emilia Romagna ha raccolto un sintetico insieme di dati, esperienze e relazioni inerenti i temi delle aggregazioni monoprofessionali, pluriprofessionali e multisettoriali territoriali.
Si tratta in pratica di un racconto, della narrazione, delle vicende che partono dal ACN 2005 ed arrivano fino ai nostri giorni strettamente confinati al campo dell'organizzazione e delle relazioni Mmg/istituzioni. Tutta l'esposizione contenuta nella "Guida" è un resoconto dell'abitudine quotidiana "dello zappare la vigna" che è data ai Mmg (fino ad oggi).
L'argomento non viene sviscerato nella sua complessità, ma presenta, volutamente, qualche suggerimento schematico per chi si dovesse trovare ad intraprendere una simile avventura all'interno della ridda di documenti, a volte contrastanti, che intendono disegnare il futuro dell'assistenza socio-sanitaria territoriale. Raccontare la storia di alcuni colleghi che hanno operato in Emilia Romagna, in un arco temporale che copre circa 20-30 anni, può essere una modalità per conoscere l'ambiente lavorativo del medico di medicina generale che oggi si trova di fronte alla necessità (per la sua sopravvivenza) di affrontare un enorme trasformazione ontologica per riconquistare una propria impareggiabilità istituzionale considerato che il gradimento nei suoi confronti da parte dei cittadini rimane sempre molto alto.
• Come procurarsi la 'Guida'
La casa editrice "Lennesima" provvede alla distribuzione on line del testo cartaceo o della versione in PDF anche al di fuori dell'Emilia Romagna, con il sistema "Trainingweb" https://www.trainingweb.it/product/libro-cartaceo/
ed è contattabile al seguente indirizzo: LEN Golfo dei Poeti, 1/A, 43126 Parma; Tel.: 0521 028 455.
Le case della comunità nei quartieri, una scelta in ritardo di anni
Intervento del Consigliere Comunale Bruno Agnetti sul tema delle Case della Salute/Case della Comunità e su temi sanitari del territorio.
Sul filo di lana del traguardo della consiliatura posso forse manifestare una malcelata soddisfazione per il fatto che almeno è emersa "ufficialmente" una qualche "sensibilità" su temi direttamente implicati con l’assistenza sanitaria territoriale soprattutto quella più periferica che è stata messa in evidenza dalla presentazione della delibera di Giunta Comunale con la quale si esprime parere favorevole in merito alla realizzazione del sistema strutturale delle così dette Case della Salute (oggi più propriamente definite Case della Comunità) di via XXIV Maggio (quartiere Lubiana) e di via Verona (quartiere San Leonardo).
Null’altro che una "sensibilità" forse nemmeno genuina ma dettata dalla necessità di presentare qualche progetto al fine di racimolare in fretta e furia quel che resterà del Pnrr.
Attualmente le due denominazioni (Case della Salute/Case della Comunità) possono essere considerate concettualmente sovrapponibili come funzioni e obiettivi professionali e assistenziali anche se è probabile che nei prossimi anni possano essere declinate operatività e integrazioni diversificate in relazione agli sviluppi culturali e normativi in atto (Pnrr, contratti nazionali, accordi regionali e locali, approfondimenti e interpretazioni pubblicati da numerosi commentatori nazionali e locali).
Credo a questo punto di poter dare un significato parzialmente positivo al mio mandato amministrativo, considerato che l’obiettivo principale, quello di portare all’interno dell’Amministrazione Comunale un'attenzione politica alla situazione locale sanitaria cittadina e soprattutto periferica, ha portato a questo risultato pur se circoscritto.
Non sono sicuro, ma senz’altro la delibera, che arriva con un ritardo di numerosi anni tanto da rendere già obsolete le disposizioni assunte, sarà scaturita da una approfondita analisi dei bisogni e delle necessità assistenziali e professionali dei quartieri e saranno stati evasi i necessari confronti e dibattimenti con le comunità e con i professionisti interessati. Grazie a questi numerosi scambi di vedute saranno stati presi in considerazione gli effettivi bisogni logistico/architettonici, assistenziali e professionali valutando anche quanto elaborato dalla letteratura di settore in questi anni che considera la multifunzionalità e la gradevolezza degli ambienti metafora della guarigione e del benessere.
Come emerge da numerosi resoconti, la vita della singole comunità non richiede la collocazione nei quartieri di poliambulatori ma di strutture in grado di rispondere alle necessità di una società moderna, attiva, con specificità identitarie, dove una delle peculiarità più diffusa è l’incremento delle cronicità ma dove, anche soggetti appartenenti alla cosìdetta terza e quarta età, possono godere di buona salute. E’ bene riflettere sul fatto che problematiche sociali o sanitarie di soggetti in età avanzata, pur se in relativa buona salute, non possono essere completamente risolte dal paradigma della città in 15 minuti.
Diversi commentatori hanno evidenziato come siano fondamentali le cooperazioni tra il sociale (inteso come servizi istituzionali ma anche come società civile organizzata) ed il sanitario e come l’attività riabilitativa "continuativa" neuro-motorio e cognitivo-psicologico possa essere indispensabile anche per fasce di popolazione più giovane.
A tempo scaduto emerge l’urgente necessità di realizzare gli ospedali di comunità con mansioni anche di hospice (secondo quanto ricordato dal British Medical Journal) che, come dice la parola, per essere tali, cioè per essere Ospedali di Comunità, devono essere inseriti proprio nella comunità stessa e nella struttura (Casa della Salute/Casa della Comunità) nella quale si realizza l’integrazione multiprofessionale (medicina generale, 118, continuità assistenziale), multidisciplinare (sanitaria, specialistica, diagnostica), multisettoriale (amministrativo, di volontariato e di terzo settore), relazionale (partecipazione della comunità di riferimento).
Tuttavia la lettura della delibera lascia numerose questioni in sospeso e non affrontate, tanto da apparire inadeguata alle finalità che apparentemente sembra indicare.
Già sono passati molti anni dalla formulazione dei propositi contenuti nel testo del provvedimento e forse ne trascorreranno molti altri che potrebbero cambiare visioni, missioni e amministrazioni.
Al momento sembrano affiorare alcune criticità in merito alla condivisione con la popolazione, al confronto con la letteratura di settore, alla realizzazione degli spazi e delle funzioni tra le due Case della Salute/Case della Comunità citate nella delibera.
La mancanza di una visione ambiziosa, contestuale e allacciata alla realtà attuale continua la tradizione dell’opinione tendente al massimo ribasso (conto capitale e organizzazione corrente) inversamente proporzionale a quello che dovrebbe essere il massimo rialzo (della qualità professionale e assistenziale).
Il concetto di visione ambiziosa (se non ora quando?) viene assimilata da alcuni ad un pensiero puerile, indegno di essere preso in considerazione e per questo manipolato in senso denigratorio.
Manca la cultura del bene comune.
Tutto ciò non ha permesso un cambio di passo e trascina con sé le note criticità sanitarie (l’Ausl è commissariata da quasi due anni senza che nessun dirigente sanitario o responsabile amministrativo comunale abbia spiegato alla popolazione il perché) che continuano a condizionare questa città dando origine a quartieri e cittadini di serie A e serie B così come vi sono professionisti sanitari di serie A e B (manca una programmazione sanitaria territoriale locale efficace per le giovani generazioni di professionisti) e così tra gli stessi dirigenti sembrano esserci quelli di serie A e quelli di serie B.
Sembra proprio che Parma debba giocare "così così" sempre in serie B. Infatti, quale beneficio è arrivato in città grazie al commissariamento misterioso dell’azienda sanitaria locale?
Oggi le malattie improvvise incidono di meno sul complesso assistenziale e professionale delle patologie di lunga durata, quelle che rientrano nel termine cronicità.
Già è stato detto che molte persone della terza e quarta età sono senili ma possono essere sostanzialmente sane. Quelli che però si ammalano spesso non guariscono, si cronicizzano e quindi è assolutamente necessario pianificare con abilità e intelligenza una innovazione del territorio affinché riesca ad affrontare la presa in carico della fragilità, della senilità, della pandemia della cronicità (termine generale che contiene numerose forme di malattie o disagi) nella piena consapevolezza che affrontare le problematiche non significa trovare risposte universali.
Occorre ripensare e abolire gli ambiti territoriale e permettere ai giovani medici del territorio di formare gruppi omogenei, affiatati, numerosi e con uno specifico progetto assistenziale autogenerato che siano in grado di assumersi una presa in carico di un territorio di riferimento.
Una medicina basata solo sulle evidenze scientifiche non è in grado di affrontare la complessità sociale e sanitaria che non è mai lineare, protocollare, algoritmica, normativa, economicistica.
Occorre innovare e costruire un nuovo sapere fondato sui valori, sulla cultura, sull’esperienza, sull’etica, sul bello e sull’arte. Questo sapere deve essere autonomo, solido, costruito dalla comunità e realmente trasmissibile alle nuove generazioni di professionisti. Per molto tempo abbiamo pensato che la scienza potesse dare risposte appaganti ma ora comprendiamo che occorre tornare all’umanesimo. Covid docet. L’emergenza, lo scientismo, il vitalismo hanno rischiato di trasformare la cura il un oggetto di mercato.
Le comunità, insieme ai loro professionisti di riferimento, possono modificare il rapporto con la cura, la salute e il benessere.
Nella realtà il prendersi cura è un processo, un susseguirsi di momenti che si seguono nel tempo l’uno dopo l’altro e che si fondano non sulla guarigione (cosa significa guarire?) ma sulla relazione tra professionisti e persone che chiedono l’aiuto, familiari, colleghi, comunità…questi interessi uniti e basati sull’umanesimo possono, forse, incidere sull’attuale cultura regressiva delle istituzioni sanitarie e delle amministrazioni politiche.
Pubblicato da Repubblica Parma 19 febbraio 2022
Nuovo modello di Assistenza primaria territoriale nella medicina di base
Articolo a cura di Bruno Agnetti
Pubblicato sulla Gazzetta di Parma il 29 dicembre 2014
Case della salute - alcune immagini
Alcune immagini relative alla progettazione di Case della Salute estratte dall'articolo "Evoluzione o crisi della medicina di gruppo?"
di Bruno Agnetti, Alessandro Chiari, Bruno Bersellini.
Panorama della Sanità n°9 Marzo 2011