Medicina Territoriale

Per la sanità serve una riforma “epocale”

Gentile Direttore,
nonostante alcune incertezze palesate nei primi momenti, il nuovo Ministro della Salute potrebbe o dovrebbe avere un solo obiettivo: passare alla storia per aver avuto il coraggio di riformare radicalmente la sanità (“quarta riforma”) polverizzando le “peggiori cose” inventate dai suoi predecessori.
E’ palese che mai e poi mai si sente la necessità di un “meccanico”, come ci ha ricordato pochi giorni fa Cavicchi, qui su QS, e ora o mai più occorre uno statista che si dedichi al SSN pubblico anima e corpo.

Il privato (autonomo o convenzionato o accreditato) è già ben radicato ed organizzato in ogni regione italiana tanto che, paradossalmente, nessuna può definirsi effettivamente tenace sostenitrice della sanità pubblica.

E’ quindi fortemente auspicabile che il Ministro della Salute possa agire autonomamente dalle contingenze politiche ed economiche nell’elaborare un nuovo modello culturale-organizzativo con un orizzonte almeno decennale. Dopo i prossimi 10 anni il contesto sociale muterà di nuovo in modo rilevante e il modello di “riforma” dovrà quindi contenere e prevedere una importante flessibilità per reinventarsi.

Nello specifico le riflessioni rivolte alle cure primarie, al territorio e all’insieme degli attori di quello che viene oggi indicato come ambito delle PHC (Primary Health Care) devono superare un dualismo H-T (Ospedale-Territorio) che concettualmente non ha senso (se non dal punto di vista normativo-contrattuale) perché l’ospedale è comunque inserito in un territorio e il territorio stesso (che anch’esso contiene professionalità, discipline e settori con differenti accordi e regolamentazioni) ha generalmente un ospedale di riferimento.

La situazione (osservata dal punto di vista degli assistiti, del terzo settore e dei professionisti) è effettivamente spaventosa e l’intolleranza sociale è in procinto di esplodere. Negare la realtà sarebbe un atteggiamento suicida.

La via di uscita obbligata è proprio un rifacimento innovativo e drastico che prima di tutto modifichi sostanzialmente i presupposti filosofici, epistemologici e paradigmatici al fine risanare il campo di lavoro dalle infinità di contraddizioni minime, piccole o enormi che hanno caratterizzata la regressione professionale ed assistenziale in questi anni. Il relativismo, il pensiero unico e debole, una errata interpretazione della globalizzazione hanno poi esasperato le criticità.

Le inevitabili incrostazioni create da una abitudine consolidata di “potere” rischia di creare assolutismi autocratici animosi.
Solo imprenditori, capitani di vere aziende, del calibro di Peter Thiel (PayPal, Plantir, Founders Fund, SpaceX, Airbnb, Spotify… ) sono in grado investire in persone intelligenti che sappiano risolvere problemi difficili, anche in ambito medico, cambiando i ruoli dirigenziali ogni 60 giorni per non dare atto all’effetto dell’abituazione e alle sue conseguenze relazionali negative.

Un “Comitato di Salute Pubblica”, sempre auspicato da Cavicchi, appare vitale. Il numero dei componenti di questo collegio dovrebbe essere significativamente contenuto e non dovrebbe avere nessuna attinenza con chi, in questi 40 anni, ha gestito il processo decisionale o sia stato coinvolto nelle scelte sanitarie (burocrazie ministeriali, agenzie, consulenti accademici, alte dirigenze AUSL, assessorati regionali, conferenza stato regioni nella componente sanitaria…). In caso contrario si assisterà alla riproposizione delle solite finte soluzioni di interesse solo amministrativo che affosseranno definitivamente il SSN pubblico (“forfait”).

Nelle ipotizzate riunioni collegiali paritarie devono trovare voce solo persone che sappiano ricercare e costruire, in un tempo definito, una nuova ed intelligente “compossibilità” tra le problematiche economiche e quelle sanitarie. I componenti il comitato devono essere in grado di dare origine ad una reciprocazione pattizia tra servizi sanitari e cittadini all’interno di concetti maturati da tempo nella comunità scientifica che in questi anni si è occupata di organizzazione territoriale sanitaria: “impareggiabilità” della professione, medico “autore”, autonomia di impresa nel processo decisionale e nel governo clinico, abolizione delle AUSL, partecipazione decisionale effettiva delle comunità di cittadini e delle associazioni dedicate ( mission statutaria).

E’ di tutta evidenza che per ottenere una operatività efficace (ma anche estremamente meno costosa dell’organizzazione attuale) le dimensioni territoriali adeguate dovrebbero aggirarsi intorno a parametri di un quartiere cittadino o ad un area extraurbana/rurale corrispondente).

Molti professionisti delle cure primarie hanno sperimentato, in alcune regioni, dal 2005 a tutt’oggi, la progressiva pervasività della medicina amministrata aggravata da un grossolano abuso di algoritmi (per altro sempre più sofisticati) circolari, normative e protocolli orientati ad una enorme raccolta di dati per altro non ancora compresi ed utilizzati disastrosamente dalle tecnocrazie monocratiche per tornaconti sfortunati. Molto presto, entro 10 anni, l’intelligenza artificiale e gli algoritmi saranno in grado addirittura di produrre, automaticamente, ulteriori algoritmi “dopanti” che si adatteranno in modo parassitario ad ogni singolo paziente e ai professionisti.

Tutto ciò comunque non riuscirà a risolvere la problematica della complessità della persona in quanto l’Intelligenza Artificiale è un determinismo meccanico che ripete sempre e comunque schemi pur avanzati ma senza qualità. Non sa darsi un fine ma manifesta solo una funzionalità: non parla, non dice ma soprattutto non spiega. Funziona solamente. Il computer si può accendere o spegnere. Nelle persone l’interruzione della coscienza si chiama morte.

La qualità sta nella cura e nel prendersi cura in quanto la fragilità/vulnerabilità e la reciproca dipendenza è ontologica, unifica tutte le persone rivelando chiaramente la mancanza di sovranità sull’esistenza da parte dell’uomo e ancor di più da parte delle istituzioni meccanicistiche. La complessa relazione di cura è una necessità ineludibile che ci ha accompagna per tutto il tempo della vita essendo viventi “prorogati” di momento in momento.

Gli sviluppi tecnologici attuali e prossimi venturi funzioneranno finchè sono accesi ma non corrispondono a nessun sviluppo scientifico relativo allo spiegare e al conoscere millantando pretese di oggettività nelle relazioni di causalità. L’evoluzione dei sistemi complessi e la fisica quantistica sanciscono la provvisorietà delle teorie scientifiche e riconoscono il carattere problematico della conoscenza.

Recenti documenti come l’ACN, il Metaprogetto, il DM 77, le comunicazioni della Conferenza stato regioni continuano a perseverare in modo diabolico negli errori di comunicazione e nelle determinazioni calate in modo lineare dall’alto a fronte di una realtà assistenziale sempre più complessa.

Una riforma coerente, contestuale e coraggiosa nella considerazione della complessità della cura e del prendersi cura può invece rappresentare per la sanità pubblica un evento pari alla scoperta di un farmaco contro il cancro o ad uno sbarco sulla luna.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) FISMU, Emilia Romagna

22 novembre 2022
© Riproduzione riservata


Patto contratto sanità

L’isola che non c’è

L’isola che non c’è

21 OTT -

Gentile Direttore,
l’encomiabile contributo del collega Luigi Di Candido, pur non analizzando i temi generali che possono essere alla base di una riforma radicale della sanità soprattutto territoriale pone comunque una consistente pietra angolare alle fondamenta per ristrutturare l’intero SSN.

Nel  passato pare che qualche AUSL,  nella ridondante  stagione dell’aziendalizzazione generata dalla nota modifica del Titolo V, abbia addirittura tentato di iscriversi all’Unione Industriali del territorio di appartenenza ma questa avventura  sembra non essere andata a buon fine.  In effetti, osservando i numeri e anche la logistica di quelle organizzazioni che oggigiorno, in modo barocco, continuano ad essere definite aziende sanitarie hanno migliaia di dipendenti e sono tra i pochissimi enti che hanno il vantaggio di trovarsi all’interno dell’abitato delle nostre città.

Una datata ricerca sul clima organizzativo ed il benessere aziendale (“I medici bocciano i dirigenti”, il Sole 24OreSanità, 1-7 aprile 2008) conferma, in tempi non sospetti, le condizioni snocciolate dalle “ipotesi” percentuali  del collega  Di Candido che conclude il suo intervento chiedendosi  se queste istituzioni sono o non sono aziende. La domanda è palesemente retorica e la risposta è solo una.  Tuttavia le normative attuali, la riforma del titolo V e la creazione di numerosi Servizi Sanitari Regionali non permettono nessun cambiamento ma solo toppe che tradizionalmente sono sempre peggio del buco.

Il collega cita il management, l’aziendalismo, il linguaggio economicistico e la  governance  termini  tanto cari ai proseliti che  difendono questa cultura come depositaria  del vero ( lean, six sigma, total quality System, Value based procurement, H.T.A.)  a cui andrebbero aggiunti: policy maker, medicina on demand (che volgarità!) che deve assolutamente e completamente essere sostituita con la medicina di iniziativa,  AFT (che si rifanno alla datata e ancora vigente Legge Balduzzi), big data, back office, CRM (Customer Relation Management), patient joumey, CdC ( Case della Comunità o della Salute) e OSCO ( ospedali di comunità in contraddizione con la loro stessa definizione e che dovrebbero essere indicati come Ospedali di Distretto secondo quanto emerge dal DM77), service design, consultant, digital first, COT, UCA…

Inevitabilmente sarà necessario imparare, come già fatto nel passato, questo “relativamente nuovo” linguaggio (in attesa che qualcosa d’altro, ma di radicale, possa accadere) proprio perché le così dette “nuove” normative ( ACN, DM77, Metaprogetto, Circolare della Conferenza Stato-Regioni…) promettono una  “stagione  interessante e generativa per il top e middle management delle regioni e delle aziende” che però,  come dimostrato dall’articolo del collega… non esistono.  Nasce spontaneo il quesito di cosa “prometteranno” le innovazioni  lessicali pesantemente controriformiste  ai cittadini e ai professionisti. Non conoscere la terminologia  burocratico “trendy” potrebbe creare frustrazione ed isolamento nei sistemi di decisione apparentemente molto complessi a causa di un continuo “rifornimento”  per i piani alti di parole magiche inedite. Risalta sotto tutti i suoi aspetti una contraddizione paradossale non facilmente risolvibile: convivere ed operare (da anni ed anni) con enti “inesistenti”  significa, come ripete da tanto tempo un nostro notissimo “autore”,  generare contraddizioni su contraddizioni in sanità  fenomeno che inevitabilmente crea una regressione professionale tale che probabilmente fa  toccare  ormai il suo temuto punto di non ritorno…

Una possibile “quasi riforma radicale” per le PHC (Primary Health Care) cioè per le cure territoriali  è stata presentata al convegno/evento “Sopravvivere per vivere: cosa abbiamo imparato dall’esperienza Covid. Prospettive future” celebrato il 24 settembre 2022 a Verona e di cui ha parlato anche QS il 3 ottobre scorso.

La “quasi riforma radicale” descritta  tiene conto di  tre elementi fondamentali pur ostacolata  delle normative vigenti e  legislativamente “cogenti” (Titolo V, Aziendalizzazione, SSR, Conferenza Stato-regioni, sanità amministrata …):

  • una posizione di discontinuità alternativa per le  Alte Dirigenze Ausl e gli Assessorati Regionali  con  funzioni di garanzia o di authority  dei valori fondamentali del SSN;
  • il ritorno ad un SSN unico ed unitario con una posizione di convenzionamento in libera professione  e libera scelta per  i mmg;
  • una completa autonomia  periferica territoriale  anche  gestionale ed economica dell’insieme degli attori socio-sanitari che operano sul territorio ( medici, infermieri, specialisti,  servizi di riabilitazione psico-neuro-motori innovativi, servizi territoriali, servizi sociali, servizi educativi,  servizi socio sanitari, componenti del terzo settore, imprese generatrici..),  dei percorsi collegati anche con i servizi ospedalieri, dell’intero processo decisionale e del governo clinico agevolati da una guida “di servizio” denominata provvisoriamente “collegio del territorio” che comprende eventualmente un  ricollocamento di risorse umane di AUSL e Assessorati nelle varie aggregazioni territoriali di AFT o di NCP.

Bruno Agnetti

CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria)
FISMU (Federazione Italiana Sindacale Medici Uniti), Regione Emilia Romagna


Medicina Territoriale

Altri indizi della privatizzazione della sanità

Quotidiano on line di informazione sanitaria

Giovedì 07 LUGLIO 2022

 

 

 

 

 

Bruno Agnetti

 

Gentile Direttore,

vorrei lanciare ai colleghi un messaggio positivo relativo alle così dette “riforme” che interessano le cure primarie (PNRR, ACN, DM 77, documenti ministeriali e di agenzie varie, interventi di opinionisti “solerti apologeti” dello status quo…ante). Purtroppo non ho nessun comunicazione positiva.

Di conseguenza però si crea un aumento del numero di indizi a riprova di una deriva verso una privatizzazione della sanità anche a livello territoriale. La stessa trasmissione Rai “Report” del 20 giugno 2022 ha ampiamente dimostrato come ci si stia orientando verso la collaborazione con professionisti in “affitto” e come le regioni non siano state in grado di utilizzare i considerevoli fondi (certi) del Decreto Ministeriale del 2020 per la verità destinati alle terapie intensive, ai letti di sub-intensiva, alle autoambulanze e ai Pronti Soccorsi.

Tuttavia una visione non manichea caratteristica di alcune elaborazioni culturali specifiche relative al riordino delle Cure Primarie (Welfare di Comunità) non distingue territorio ed ospedale in quanto il territorio ha un suo ospedale di riferimento e lo stesso ospedale è all’interno di un territorio e le due entità si influenzano continuamente e reciprocamente.

C’è poi da sperare che il PNRR non faccia la fine del Finanziamento Ministeriale del 2020 o peggio e che non venga prosciugato delle continue e ripetute emergenze che richiedono comunque aiuti economici.

I fenomeni contemporanei che hanno modificato il mondo non permettono ancora di poter intravedere cosa ne sarà della nostra società. Tuttavia gli obiettivi aziendali, anche durante la prima fase covid, hanno ricercato con un impegno straordinario il così detto “accorpamento o fusione” aziendale (es.: AUSL con Azienda Ospedaliera-Universitaria) con molta probabilità considerata come la soluzione (politica ed economica) dei problemi della Sanità Italiana e del SSN.

Alcune teorizzazioni relative a queste unioni aziendali partono dagli anni 80 (USA) o 90 (Inghilterra e Italia) e trovano la loro realizzazione nel 2022. Ciò potrebbe rappresentare una criticità in quanto queste iniziative potrebbero essere vissute come estranee al contesto o apparire superate ancora prima di nascere.

A supporto degli indizi del Prof. Ivan Cavicchi va evidenziato che le dichiarazioni rilasciate in favore di questa “innovazione” fanno frequentemente riferimento alla necessità di una stretta collaborazione con il privato accreditato.

Più che una novità sembra un tentativo di dare senso ai modelli amministrativi calati dall’alto (controriforme?) che potrebbero apparire ai cittadini come elementi separati dalla loro vita quotidiana. Le suddette vie di politica sanitaria adottate per si basano, per altro, su assunzioni teoriche riguardo agli specifici effetti delle “fusioni aziendali” che non sono ancora state completamente confermate o smentite dall’evidenza empirica.

Altro fenomeno che potrebbe andare ad arricchire il numero di indizi riguarda la sensazione che (sempre in conseguenza delle politiche straordinarie come il PNRR), improvvisamente gli assessorati o le deleghe alla sanità delle Amministrazioni Comunali, le Alte Dirigenze delle aziende “Uniche” e gli Assessorati Regionali stiano diventando cariche amministrative ancora più importanti. In passato il ruolo dell’Assessore alla Sanità e al Welfare di una Amministrazione Comunale era di gran lunga superato, come importanza, dall’Assessorato all’urbanistica o similari.

Oggi la situazione appare capovolta. Chissà che un ruolo così particolare ed “impareggiabile” non riesca a fare emergere l’interesse per il bene comune e per le comunità all’interno di un consesso politico-amministrativo.

Il tempo, che come si sa è galantuomo, permetterà di valutare se alcune iniziative in atto saranno riforme o si dimostreranno rovinose controriforme. E’ di tutta evidenza che il merito e il metodo di alcuni di questi processi tradiscano possibili pregiudizi contro i medici e manifestino simpatie preferenziali per altre professioni.

E’ possibile fare politica sanitaria con i pregiudizi?

Non credo che una complessità simile alla sanità e l’organizzazione territoriale delle Cure Primarie possa meritare conduzioni pregiudiziali pena il completo fallimento dell’assistenza di primo livello.

Fondamentale, necessario, vitale, una vera ultima spiaggia per la medicina generale è una crescita tangibile di fiducia e rispetto reciproco tra Alte Dirigenze completamente rinnovate e Professionisti/Operatori al fine di agevolare le visioni derivanti da maggiori e diverse complessità che richiedono forte autonomia.

La necessità che qualche cosa debba cambiare strutturalmente e radicalmente è indubbio.

Sulla carenza di visioni etiche sono stati versati fiumi di inchiostro ma oggi si può aggiungere che nei decisori della politica sanitaria sembra alquanto carente la presenza di una poetica ingegnosa capace di creare dal nulla utopie e quindi idee e concetti. Magari si potesse ascoltare un concerto di concetti esaltanti, concerti di concetti innovativi, rivoluzionari, straordinari.

Se alcuni noti commentatori esperti sulla valutazione degli indizi dichiarano di avere le prove di una deriva del SSN verso la privatizzazione e di non farsi più illusioni sulla sanità pubblica in Italia c’è molto da meditare. Ogni giorno di più e ad ogni documento ufficiale che viene pubblicato diventa sempre più faticoso intellettualmente e operativamente salvare la sanità territoriale che evidentemente non vuol dire “salva con nome” sul computer.

Bruno Agnetti

Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) FISMU, Emilia Romagna

07 luglio 2022 © Riproduzione riservata


Medicina Territoriale

Sviluppo dell'accorpamento (fusione) delle aziende sanitarie (AUSL e AO-U)

Recentemente la stampa locale ha diffuso la notizia che dal 1 gennaio 2023 anche a Parma l’azienda AUSL e L’azienda Ospedaliera -Universitaria diventeranno una sola azienda.  Un “gigante” da 8.000 dipendenti senza contare l’indotto.

Un’unica grandissima azienda con la sede all’interno della città che influisce profondamente sulla vita delle persone perché, pur essendo una azienda, si occupa del prendersi cura delle persone, dei loro familiari e del contesto intero entro il quale questi ammalati o persone si muovono.

E’ già capitato di presentare la teorizzazione dell’atteggiamento di cura, del curare, del prendersi cura, di chiedere aiuto, di accettare l’aiuto come un elemento caratteristico dell’essere umano. La pandemia da Covid (come tutte le epidemie storiche) ci ha costretto a riflettere sulla “essenza” del vivere (dipendenza di tutti le persone dalle cure). Veniamo tutti da un dove che non conosciamo e che non dipende da noi e lasceremo la nostra esistenza quando verrà deciso per noi (mancanza di sovranità sull’esistenza umana). Questa struttura propria ed immutabile è connaturata con la nostra esistenza.

Non sappiamo ancora che modificazioni subirà il processo di globalizzazione a fronte del lunghissimo elenco di criticità (pandemia, guerra, crisi energetica, inflazione/deflazione, manifestazioni sociali…) che insidiano il fenomeno che conosciamo come “globalizzazione” e come si ricomporrà nel tempo.

Vale la pena forse ricordare come le teorie relative alle unioni delle aziende sanitarie, come argomentazioni diffuse sulla letteratura di settore, partono addirittura negli anni ’80 negli Stati Uniti e negli anni ’90 in Inghilterra in piena florida globalizzazione. In Italia questo movimento (che ha già coinvolto numerose aziende sul territorio nazionale) di “accorpamento” parte verso la fine degli anni 90 e sta evidentemente proseguendo celermente per completare le condizioni giuridiche e normative fino ad arrivare ad una definitiva Legge Regionale.  Il mandato regionale sulla fusione aziendale ha proseguito anche durante tutte le fasi della pandemia come obiettivo delle Alte Dirigenze.  Siamo stati informati che questo processo ha coinvolto numerose figure professionali nella fase di studio e di progettazione. I professionisti e i tecnici, riuniti in gruppi di studio ad hoc, senza ombra di dubbio, avranno avuto la possibilità di analizzare il contesto attuale contemporaneo a fronte degli iniziali disegni progettuali degli anni 80’ e ’90.

Il processo di contestualizzazione probabilmente non presenta modelli stratificati o linee guida di evidenza in quanto proprio in questo ultimo periodo, dal 2020 a tutt’oggi, gli avvenimenti mondiali si sono complicati non poco e sembrano avere modificato profondamente lo stato delle cose.

Attualmente, in città, sembrano già integrati alcuni uffici tecnici-amministrativi. Dal punto di vista clinico pare che l’unico dipartimento attualmente integrato AUSL-AO/U sia il DAISMDP (Dipartimento Assistenziale Integrato Salute Mentale e Dipendenze Patologiche).  Il fatto che alcune teorizzazioni o ipotesi relative agli anni 80 o 90 trovano la loro realizzazione nel 2022 potrebbe presentare la criticità o il rischio corrano di risultare estranee al contesto e apparire superate ancora prima di nascere.

Un esempio locale del pericolo di scarsa valutazione della contingenza è stata la Deliberazione Della Giunta Comunale n. 465 del 29/12/2021 con la quale si stabiliva, anche su richiesta della Conferenza Territoriale Socio-Sanitaria, di concedere una area del parco di via Verona (detto dei Vecchi Mulini) per l’ampliamento della “Casa della Salute” (oggi Casa della Comunità) del quartiere San Leonardo per permettere all’AUSL di accedere ai fondi del PNRR e di partecipare ai bandi correlati per realizzare detti interventi.

Una    analisi     sanitaria, sociale   ed antropologica del contesto avrebbe potuto dimostrare   apertamente    l’inadeguatezza    logistica    di     questa     delibera    che    doveva prendere in  considerazione     una    struttura molto grande o hub, come si dice ora, con tutti i servizi territoriali   connessi    alle cure Primarie previsti compreso l’ospedale di comunità per essere coerente con il quartiere che dovrebbe servire.

Non resta   che   augurarsi che la nuova Amministrazione Comunale in accordo con l’Azienda Sanitaria   o    Socio-Sanitaria “Unica” possano   rivedere   in modo radicale i contenuti della delibera stessa. Potrebbe    essere    l’occasione per poter sperimentare effettivamente un Welfare di   Comunità   come   proposto da anni dalle Associazioni di Volontariato di questo territorio ed in particolare della Comunità Solidale Parma che da molti anni ha sviluppato un disegno progettuale di Casa della Salute/Comunità coerente con i bisogni sanitari e sociali del quartiere. Una esperienza che potrebbe diventare pilota o di riferimento anche per le future decisioni sanitarie che numerosi sindaci della nostra provincia potrebbero dover affrontare (vedi Guida alla Casa della Salute/Comunità, Lennesima Editore 2022, info@lenservice.it,).

Le principali motivazioni (presenti in letteratura) che spingono in favore dei processi di fusione aziendale sono di tipo politico ed economico. Occorre tenere sempre presente che questi approfondimenti si riferiscono ad un momento precedente alla situazione di crisi e smarrimento di questo periodo. Dal punto di vista strettamente economico si possono raggiungere economie che gli esperti chiamano “di scala” e di “scopo”. I servizi forniti potrebbero annullare duplicazioni. La competenza clinica e professionale potrebbe riceverne dei benefici in quanto un aumento dei volumi dei “casi” può influire sull’efficacia e sull’efficienza di un servizio e dei suoi professionisti (formazione, pubblicazioni, carriera, attrattività, fidelizzazione).

Politicamente l’idea dell’accorpamento e dell’incremento dell’eccellenza prestazionale ha semplificato le procedure delle strutture più piccole (quanto ci sono mancate nel periodo Covid!) e forse incrementare il potere contrattuale dell’Azienda unificata nei confronti dell’Assessorato Regionale.  L’organizzazione composta da più risorse umane e materiali può essere sistemata al fine di far fronte a sfide anche inattese perché si pensa che l’Azienda Unica possa “sempre” fornire servizi di maggiore qualità. È comunque ben manifesto che questa prerogativa di miglioria non possa fare a meno del privato accreditato.

Gli studi che hanno tentato di analizzare le evidenze degli accorpamenti hanno affrontato (in periodo pre-covid) le aree degli esiti clinici, dei processi, della performance finanziaria/produttività).

Non sono emerse differenze macroscopiche su alcuni parametri clinici (indici di mortalità ospedaliera; dimissione entro le 48 ore dei nuovi nati; esiti infausti post infarto a 30 giorni).  Criticità aumentate riguardano l’aumento della mortalità a 30 giorni per ictus; riammissioni a28 giorni per ictus, a 90 giorni per infarto.

Il processo relativo ai tempi di attesa ha mostrato un tempo superiore a 180 giorni come media. Sono inoltre aumentate le spese del personale e tempo determinato e del management. Diminuisce significativamente invece il totale dei ricoveri, il personale, i posti letto. Si riduce anche la spesa totale senza modificare la produttività.

L’area delle relazioni tra popolazione e cure primarie (efficacia clinica, efficacia preventiva, gradimento dei pazienti, accessibilità, performance finanziaria, coinvolgimento dei dipendenti) non ha evidenziato nessun risultato statisticamente significativo tra strutture accorpate e non accorpate.  In relazione alla popolazione di riferimento solo due indicatori sui 23 indagati hanno mostrato una maggiore probabilità di innovazioni nei servizi di assistenza primaria e di assistenza intermedia (oggi si indicherebbero come hospice, letti osservazionali, Ospedali di Comunità).

C’è un’area indagata che mette in relazione documenti ufficiali pubblicamente accessibili e possibili motivazioni non palesemente dichiarate.  Le comunicazioni pubbliche sostengono di voler investire in attività specialistiche, garantire lo sviluppo dei servizi e la qualità, migliorare le condizioni e le carriere del personale, influire in modo fortemente positivo sulle cure primarie. Le ragioni non pubblicamente esplicitate riguardano la creazione di nuovi ruoli gerarchici, la particolare attenzione all’economicismo, la risposta alle così dette “lobby di stakeholder” cioè un coinvolgimento sempre più benefico con il privato accreditato o con i professionisti “in affitto” (Programma Rai REPORT del 20 giugno 2022).

L’ultima area osservata è stata quella relativa alla percezione e soddisfazione del personale. Da una parte  si  rileva  un apparente aumento dell’autonomia  dei professionisti che possono intervenire nei processi decisionali di innovazione e cambiamento ma  si percepisce anche un peggioramento nell’erogazione  dei servizi a danno dei pazienti; differenziazioni se non discriminazioni nella cultura organizzativa  tra i vari team o gruppi; una perdita di controllo  sulle direzioni strategiche  o su attività quotidiane con accumulo di ritardi  a causa della distanza che si viene a creare tra  professionisti e management; stress dovuto ai cambiamenti, incertezze, aumento del carico di lavoro, percezione di essere stato “acquisito” all’interno di una organizzazione preesistente e più forte.

Conclusioni.

Non vi sono ancora evidenze solide sulle fusioni aziendali e nello stesso tempo i dati contrastanti sottolineano come non possa esistere un automatismo tra l’aumento delle dimensioni di una maxi azienda e i miglioramenti nelle performance o nelle economie e quindi l’accorpamento non è una condizione necessaria e sufficiente per costruire super aziende.

Oltre alle fusioni possono esserci modelli alternativi?

Sembrerebbero esserci ma occorrerebbe oggettivamente sperimentarli attraverso una precisa conoscenza di questi stessi modelli che passano attraverso processi decisionali territoriali fortemente autonomi e che considerano tutto il processo decisionale innovativo a carico della comunità: ideazione, progettazione, realizzazione, sperimentazione, stabilizzazione, rendicontazione. In pratica un Welfare di Comunità non calato dall’alto ma adattato a misura di ogni singola… comunità.  Forse al posto di accorpamenti o fusioni (che potrebbero anche starci a livello tecnico-amministrativo) sarebbero più attuali federazioni di tante piccole realtà autonome, sufficienti e necessarie per creare reti funzionali e operative di assistenza (entro una AFT con un referente che collabora con tutte le professionalità) co-operanti per un prendersi cura di alta qualità, portatrice di una continuità che riduce la frammentazione e favorisce, per forza di area geografica, la prossimità. Un team di questo tipo può sviluppare una programmazione   assistenziale individualizzata sia nell’ambulatorio che al domicilio. Può co-operare con personale e professionisti appartenenti a organizzazione o a forme contrattuali diverse (che possono anche operare in uno stesso spazio fisico per ottimizzare la propria offerta assistenziale sia per i deambulanti che per la domiciliarità). Il gruppo o il team può innovare e progettare molti percorsi assistenziali integrati (eventualmente coinvolgendo anche il privato accreditato…)  e sviluppa una cultura ed una identità multiprofessionale e multidisciplinare.

Con il modello del Welfare di Comunità la dimensione organizzativa (es.: sul territorio 20-25 mmg per un bacino di utenza di circa 35.000-45.000 mila persone cioè un quartiere grande) non crea distanze tra vertice strategico e linee operative e non richiede ulteriori ruoli gerarchici.

Il tempo, che come si sa è galantuomo, permetterà di valutare gli accorpamenti e le fusioni saranno riforme o controriforme.  Prima di ogni altro passaggio sarebbe però necessario   un accorpamento o meglio promuovere una condivisione culturale (oltre che tecnico- amministrativo) che consenta una crescita tangibile di fiducia e rispetto reciproco tra alte dirigenze e professionisti/operatori al fine di comprendere e agevolare le visioni derivanti da maggiori e diverse complessità.

(vedi video https://lenservice-my.sharepoint.com/:v:/g/personal/christopher_gruppolen_it/Ecks-tPbf1tDpZ30hnFEWLQBYCpqfgahJXO_A9ZBQD1H7A?e=6HJndH)

 

Bruno Agnetti
Medico


Medicina Territoriale

Per la sanità territoriale è venuto il momento del “redde rationem”

Gentile Direttore,
da anni come centro studi abbiamo scelto di seguire una via difficile ed impervia ma tuttavia esaltante proprio a causa della sua difficoltà.  Abbiamo tentato di mettere insieme ( per comporre un  concreto progetto riformatore delle cure primarie) le elaborazioni concettuali, epistemologiche ed ontologiche del nostro storico punto di riferimento Prof. Ivan Cavicchi con le visioni organizzative territoriali e di welfare comunitario del Prof. Stefano Zamagni. Per noi due giganti che hanno da sempre guidato la nostra pratica professionale.

Come capita spesso, le sollecitazioni del prof. Ivan sono, irresistibili e ci coinvolgono ogni volta profondamente. Desideriamo approfondire le sue tematiche ma abbiamo anche il desiderio di partecipare e condividere le sue argomentazioni apportando qualche nostra posizione.  Il suo ultimo intervento spiega bene come si stia profilando un completo fallimento della medicina generale a causa di un consociativismo che purtroppo pare aver cancellato ogni credibilità alle Aziende e ai sindacati coinvolti in queste pratiche di sottogoverno.

Che dire delle analisi coloritissime e di piacevolissima lettura del Prof.  se non che siano inevitabilmente e tragicamente condivisibili al 100%? Anche il nostro gruppo di studio ha spesso espresso concetti e considerazioni sulla medicina generale e alla sua malattia degenerativa interna sovrapponibili a quelle dell’articolo sul “redde  rationem” che ricorda, con dovizia di particolari, le lunghe manovre di controriforme, l’assenza di un coming out di ammissione del completo fallimento delle aziende sanitarie, degli assessorati, di alcune decisioni condizionate dalla maggioranza rappresentativa.  L’incapacità di ascolto della società civile, lo svilimento dei bisogni espressi ed inespressi degli assistiti e dei professionisti sono riportati addirittura con nomi e cognomi fino a ricordare l’esilarante episodio dove il Prof. Ivan riceve il consiglio (non richiesto) di utilizzare  un po’ di Prozac! Sarebbe interessante allagare questo elenco anche i nomi dei responsabili sanitari regionali e aziendali.

Nonostante i pomposi DM non si vedrà un ben nulla a potenziamento del territorio e chi ci rimetterà saranno sempre i soliti professionisti di trincea e i cittadini. Impressionante, tanto da diventare incredibile nella sua realizzazione (l’avanzo del PNRR sarà condizionato dalla guerra in atto), sono le 1350 Case della Comunità previste che entrano, concettualmente, immediatamente in contraddizione con i 400 Ospedali di Comunità   programmati. Questi ultimi, come minimo, dovrebbero modificare subito  la loro definizione altrimenti emergerebbe un ossimoro clamoroso ed emblematico (non saranno mai di comunità ma al massimo di territorio dovendo ricoprire, secondo i numeri annunciati, aree molto più ampie di quelle che vengono comunemente indicata come “territori di comunità” ) e quindi, come dice Cavicchi, da questo punto di vista la prossimità si palesa come una bella fandonia.  Gli assistiti di serie A e di serie B sono sempre esistiti in questi anni quando le strutture, chiamate fino a 6 mesi fa Case della Salute,  hanno creato, negli anni, differenziazioni o discriminazioni  coinvolgendo nella sciagura sia i pazienti che i professionisti.

Già da qualche articolo anche il Professore pare piegarsi all’inevitabile avanzare delle assicurazioni   complementari o integrative e al rovinoso welfare aziendale…  Si assiste ad una narrazione già ascoltata  nel passato dove per normativa la Guardia Medica (presidio) è diventata  Continuità Assistenziale e l’auto medica e divenuta infermieristica (con grande rispetto per i colleghi infermieri) ecc. Piccoli passi infinitesimali ma ben progettati perché la burocrazia ha tutto il tempo che le serve per una rivalsa che va servita fredda.  Inoltre, mandarini, oligarchi e autocrati riescono con estrema facilità a far credere alla stragrande maggioranza degli assistiti   che gli asini volino e che il miglior medico di base  possibile  sia quello che opera come specialista.

Quando un assessorato regionale o una amministrazione sanitaria Ausl non sono convinte di dover affrontare certi problemi in modo puntuale (cioè con una radicale riforma dell’assistenza territoriale e delle cure primarie in modo trasparente ed assolutamente equo) non saranno certo le parole o gli scritti a far cambiare queste convinzioni radicate e sovraordinate.

La cronica mancanza di avvicendamenti o alternanze nel processo politico-decisionale sanitario, considerato l’enorme potere economico e  sociale affidato alle regioni,  può portare a quello che James Reason, in campo clinico, ha definito la “teoria del formaggio svizzero”.  Reason, con la sua ipotesi, ha tentato di rappresentare come nei sistemi complessi (e non solo in quelli sanitari) la consuetudine (es.: la uggiosa ed insopportabile questione della governance che non vuol dire altro che comandare) possa causare situazioni tali da determinare errori successivi o seriali che possono diventare alla fine anche catastrofici (“tranvata”).  Ogni pratica è prigioniera della sociologia o del “contesto”.  Non avevano tenuto conto del contesto i dinosauri e sono scomparsi. Non è successo invece ai piccoli roditori che scavavano le loro tane nel terreno più profondo.

Sarà solo il tempo che riuscirà a dare ragione e senso a questa parte politica della cura.

Il modernismo regressivo, a volte, si dimentica di questo aspetto fino a ipotizzare che il cittadino ideale debba tendere alla massima autonomia, libertà, tendendo cosi a tralasciare la collettività o alla vita in comunità.

Infine, con tutto il massimo rispetto e devozione vorremmo riportare l’invocazione del Sommo Pontefice Papa Francesco riportata nel titolo dell’articolo di QdS (6 giugno 2022)  sulla Sanità Pubblica. “E’ una ricchezza: non perderla, per favore, non perderla”. “Anche in campo sanitario è frequente la tentazione di far prevalere vantaggi economici e politici di qualche gruppo a discapito della maggior parte della popolazione”.  “Tagliare le risorse per la sanità è un oltraggio per l’umanità”

Giuseppe Campo, Alessandro Chiari, Alessandro D’Ercole, Bruno Bersellini, Bruno Agnetti

Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) FISMU, Emilia Romagna