Medicina Territoriale

Sviluppo dell'accorpamento (fusione) delle aziende sanitarie (AUSL e AO-U)

Recentemente la stampa locale ha diffuso la notizia che dal 1 gennaio 2023 anche a Parma l’azienda AUSL e L’azienda Ospedaliera -Universitaria diventeranno una sola azienda.  Un “gigante” da 8.000 dipendenti senza contare l’indotto.

Un’unica grandissima azienda con la sede all’interno della città che influisce profondamente sulla vita delle persone perché, pur essendo una azienda, si occupa del prendersi cura delle persone, dei loro familiari e del contesto intero entro il quale questi ammalati o persone si muovono.

E’ già capitato di presentare la teorizzazione dell’atteggiamento di cura, del curare, del prendersi cura, di chiedere aiuto, di accettare l’aiuto come un elemento caratteristico dell’essere umano. La pandemia da Covid (come tutte le epidemie storiche) ci ha costretto a riflettere sulla “essenza” del vivere (dipendenza di tutti le persone dalle cure). Veniamo tutti da un dove che non conosciamo e che non dipende da noi e lasceremo la nostra esistenza quando verrà deciso per noi (mancanza di sovranità sull’esistenza umana). Questa struttura propria ed immutabile è connaturata con la nostra esistenza.

Non sappiamo ancora che modificazioni subirà il processo di globalizzazione a fronte del lunghissimo elenco di criticità (pandemia, guerra, crisi energetica, inflazione/deflazione, manifestazioni sociali…) che insidiano il fenomeno che conosciamo come “globalizzazione” e come si ricomporrà nel tempo.

Vale la pena forse ricordare come le teorie relative alle unioni delle aziende sanitarie, come argomentazioni diffuse sulla letteratura di settore, partono addirittura negli anni ’80 negli Stati Uniti e negli anni ’90 in Inghilterra in piena florida globalizzazione. In Italia questo movimento (che ha già coinvolto numerose aziende sul territorio nazionale) di “accorpamento” parte verso la fine degli anni 90 e sta evidentemente proseguendo celermente per completare le condizioni giuridiche e normative fino ad arrivare ad una definitiva Legge Regionale.  Il mandato regionale sulla fusione aziendale ha proseguito anche durante tutte le fasi della pandemia come obiettivo delle Alte Dirigenze.  Siamo stati informati che questo processo ha coinvolto numerose figure professionali nella fase di studio e di progettazione. I professionisti e i tecnici, riuniti in gruppi di studio ad hoc, senza ombra di dubbio, avranno avuto la possibilità di analizzare il contesto attuale contemporaneo a fronte degli iniziali disegni progettuali degli anni 80’ e ’90.

Il processo di contestualizzazione probabilmente non presenta modelli stratificati o linee guida di evidenza in quanto proprio in questo ultimo periodo, dal 2020 a tutt’oggi, gli avvenimenti mondiali si sono complicati non poco e sembrano avere modificato profondamente lo stato delle cose.

Attualmente, in città, sembrano già integrati alcuni uffici tecnici-amministrativi. Dal punto di vista clinico pare che l’unico dipartimento attualmente integrato AUSL-AO/U sia il DAISMDP (Dipartimento Assistenziale Integrato Salute Mentale e Dipendenze Patologiche).  Il fatto che alcune teorizzazioni o ipotesi relative agli anni 80 o 90 trovano la loro realizzazione nel 2022 potrebbe presentare la criticità o il rischio corrano di risultare estranee al contesto e apparire superate ancora prima di nascere.

Un esempio locale del pericolo di scarsa valutazione della contingenza è stata la Deliberazione Della Giunta Comunale n. 465 del 29/12/2021 con la quale si stabiliva, anche su richiesta della Conferenza Territoriale Socio-Sanitaria, di concedere una area del parco di via Verona (detto dei Vecchi Mulini) per l’ampliamento della “Casa della Salute” (oggi Casa della Comunità) del quartiere San Leonardo per permettere all’AUSL di accedere ai fondi del PNRR e di partecipare ai bandi correlati per realizzare detti interventi.

Una    analisi     sanitaria, sociale   ed antropologica del contesto avrebbe potuto dimostrare   apertamente    l’inadeguatezza    logistica    di     questa     delibera    che    doveva prendere in  considerazione     una    struttura molto grande o hub, come si dice ora, con tutti i servizi territoriali   connessi    alle cure Primarie previsti compreso l’ospedale di comunità per essere coerente con il quartiere che dovrebbe servire.

Non resta   che   augurarsi che la nuova Amministrazione Comunale in accordo con l’Azienda Sanitaria   o    Socio-Sanitaria “Unica” possano   rivedere   in modo radicale i contenuti della delibera stessa. Potrebbe    essere    l’occasione per poter sperimentare effettivamente un Welfare di   Comunità   come   proposto da anni dalle Associazioni di Volontariato di questo territorio ed in particolare della Comunità Solidale Parma che da molti anni ha sviluppato un disegno progettuale di Casa della Salute/Comunità coerente con i bisogni sanitari e sociali del quartiere. Una esperienza che potrebbe diventare pilota o di riferimento anche per le future decisioni sanitarie che numerosi sindaci della nostra provincia potrebbero dover affrontare (vedi Guida alla Casa della Salute/Comunità, Lennesima Editore 2022, info@lenservice.it,).

Le principali motivazioni (presenti in letteratura) che spingono in favore dei processi di fusione aziendale sono di tipo politico ed economico. Occorre tenere sempre presente che questi approfondimenti si riferiscono ad un momento precedente alla situazione di crisi e smarrimento di questo periodo. Dal punto di vista strettamente economico si possono raggiungere economie che gli esperti chiamano “di scala” e di “scopo”. I servizi forniti potrebbero annullare duplicazioni. La competenza clinica e professionale potrebbe riceverne dei benefici in quanto un aumento dei volumi dei “casi” può influire sull’efficacia e sull’efficienza di un servizio e dei suoi professionisti (formazione, pubblicazioni, carriera, attrattività, fidelizzazione).

Politicamente l’idea dell’accorpamento e dell’incremento dell’eccellenza prestazionale ha semplificato le procedure delle strutture più piccole (quanto ci sono mancate nel periodo Covid!) e forse incrementare il potere contrattuale dell’Azienda unificata nei confronti dell’Assessorato Regionale.  L’organizzazione composta da più risorse umane e materiali può essere sistemata al fine di far fronte a sfide anche inattese perché si pensa che l’Azienda Unica possa “sempre” fornire servizi di maggiore qualità. È comunque ben manifesto che questa prerogativa di miglioria non possa fare a meno del privato accreditato.

Gli studi che hanno tentato di analizzare le evidenze degli accorpamenti hanno affrontato (in periodo pre-covid) le aree degli esiti clinici, dei processi, della performance finanziaria/produttività).

Non sono emerse differenze macroscopiche su alcuni parametri clinici (indici di mortalità ospedaliera; dimissione entro le 48 ore dei nuovi nati; esiti infausti post infarto a 30 giorni).  Criticità aumentate riguardano l’aumento della mortalità a 30 giorni per ictus; riammissioni a28 giorni per ictus, a 90 giorni per infarto.

Il processo relativo ai tempi di attesa ha mostrato un tempo superiore a 180 giorni come media. Sono inoltre aumentate le spese del personale e tempo determinato e del management. Diminuisce significativamente invece il totale dei ricoveri, il personale, i posti letto. Si riduce anche la spesa totale senza modificare la produttività.

L’area delle relazioni tra popolazione e cure primarie (efficacia clinica, efficacia preventiva, gradimento dei pazienti, accessibilità, performance finanziaria, coinvolgimento dei dipendenti) non ha evidenziato nessun risultato statisticamente significativo tra strutture accorpate e non accorpate.  In relazione alla popolazione di riferimento solo due indicatori sui 23 indagati hanno mostrato una maggiore probabilità di innovazioni nei servizi di assistenza primaria e di assistenza intermedia (oggi si indicherebbero come hospice, letti osservazionali, Ospedali di Comunità).

C’è un’area indagata che mette in relazione documenti ufficiali pubblicamente accessibili e possibili motivazioni non palesemente dichiarate.  Le comunicazioni pubbliche sostengono di voler investire in attività specialistiche, garantire lo sviluppo dei servizi e la qualità, migliorare le condizioni e le carriere del personale, influire in modo fortemente positivo sulle cure primarie. Le ragioni non pubblicamente esplicitate riguardano la creazione di nuovi ruoli gerarchici, la particolare attenzione all’economicismo, la risposta alle così dette “lobby di stakeholder” cioè un coinvolgimento sempre più benefico con il privato accreditato o con i professionisti “in affitto” (Programma Rai REPORT del 20 giugno 2022).

L’ultima area osservata è stata quella relativa alla percezione e soddisfazione del personale. Da una parte  si  rileva  un apparente aumento dell’autonomia  dei professionisti che possono intervenire nei processi decisionali di innovazione e cambiamento ma  si percepisce anche un peggioramento nell’erogazione  dei servizi a danno dei pazienti; differenziazioni se non discriminazioni nella cultura organizzativa  tra i vari team o gruppi; una perdita di controllo  sulle direzioni strategiche  o su attività quotidiane con accumulo di ritardi  a causa della distanza che si viene a creare tra  professionisti e management; stress dovuto ai cambiamenti, incertezze, aumento del carico di lavoro, percezione di essere stato “acquisito” all’interno di una organizzazione preesistente e più forte.

Conclusioni.

Non vi sono ancora evidenze solide sulle fusioni aziendali e nello stesso tempo i dati contrastanti sottolineano come non possa esistere un automatismo tra l’aumento delle dimensioni di una maxi azienda e i miglioramenti nelle performance o nelle economie e quindi l’accorpamento non è una condizione necessaria e sufficiente per costruire super aziende.

Oltre alle fusioni possono esserci modelli alternativi?

Sembrerebbero esserci ma occorrerebbe oggettivamente sperimentarli attraverso una precisa conoscenza di questi stessi modelli che passano attraverso processi decisionali territoriali fortemente autonomi e che considerano tutto il processo decisionale innovativo a carico della comunità: ideazione, progettazione, realizzazione, sperimentazione, stabilizzazione, rendicontazione. In pratica un Welfare di Comunità non calato dall’alto ma adattato a misura di ogni singola… comunità.  Forse al posto di accorpamenti o fusioni (che potrebbero anche starci a livello tecnico-amministrativo) sarebbero più attuali federazioni di tante piccole realtà autonome, sufficienti e necessarie per creare reti funzionali e operative di assistenza (entro una AFT con un referente che collabora con tutte le professionalità) co-operanti per un prendersi cura di alta qualità, portatrice di una continuità che riduce la frammentazione e favorisce, per forza di area geografica, la prossimità. Un team di questo tipo può sviluppare una programmazione   assistenziale individualizzata sia nell’ambulatorio che al domicilio. Può co-operare con personale e professionisti appartenenti a organizzazione o a forme contrattuali diverse (che possono anche operare in uno stesso spazio fisico per ottimizzare la propria offerta assistenziale sia per i deambulanti che per la domiciliarità). Il gruppo o il team può innovare e progettare molti percorsi assistenziali integrati (eventualmente coinvolgendo anche il privato accreditato…)  e sviluppa una cultura ed una identità multiprofessionale e multidisciplinare.

Con il modello del Welfare di Comunità la dimensione organizzativa (es.: sul territorio 20-25 mmg per un bacino di utenza di circa 35.000-45.000 mila persone cioè un quartiere grande) non crea distanze tra vertice strategico e linee operative e non richiede ulteriori ruoli gerarchici.

Il tempo, che come si sa è galantuomo, permetterà di valutare gli accorpamenti e le fusioni saranno riforme o controriforme.  Prima di ogni altro passaggio sarebbe però necessario   un accorpamento o meglio promuovere una condivisione culturale (oltre che tecnico- amministrativo) che consenta una crescita tangibile di fiducia e rispetto reciproco tra alte dirigenze e professionisti/operatori al fine di comprendere e agevolare le visioni derivanti da maggiori e diverse complessità.

(vedi video https://lenservice-my.sharepoint.com/:v:/g/personal/christopher_gruppolen_it/Ecks-tPbf1tDpZ30hnFEWLQBYCpqfgahJXO_A9ZBQD1H7A?e=6HJndH)

 

Bruno Agnetti
Medico


Medicina Territoriale

Per la sanità territoriale è venuto il momento del “redde rationem”

Gentile Direttore,
da anni come centro studi abbiamo scelto di seguire una via difficile ed impervia ma tuttavia esaltante proprio a causa della sua difficoltà.  Abbiamo tentato di mettere insieme ( per comporre un  concreto progetto riformatore delle cure primarie) le elaborazioni concettuali, epistemologiche ed ontologiche del nostro storico punto di riferimento Prof. Ivan Cavicchi con le visioni organizzative territoriali e di welfare comunitario del Prof. Stefano Zamagni. Per noi due giganti che hanno da sempre guidato la nostra pratica professionale.

Come capita spesso, le sollecitazioni del prof. Ivan sono, irresistibili e ci coinvolgono ogni volta profondamente. Desideriamo approfondire le sue tematiche ma abbiamo anche il desiderio di partecipare e condividere le sue argomentazioni apportando qualche nostra posizione.  Il suo ultimo intervento spiega bene come si stia profilando un completo fallimento della medicina generale a causa di un consociativismo che purtroppo pare aver cancellato ogni credibilità alle Aziende e ai sindacati coinvolti in queste pratiche di sottogoverno.

Che dire delle analisi coloritissime e di piacevolissima lettura del Prof.  se non che siano inevitabilmente e tragicamente condivisibili al 100%? Anche il nostro gruppo di studio ha spesso espresso concetti e considerazioni sulla medicina generale e alla sua malattia degenerativa interna sovrapponibili a quelle dell’articolo sul “redde  rationem” che ricorda, con dovizia di particolari, le lunghe manovre di controriforme, l’assenza di un coming out di ammissione del completo fallimento delle aziende sanitarie, degli assessorati, di alcune decisioni condizionate dalla maggioranza rappresentativa.  L’incapacità di ascolto della società civile, lo svilimento dei bisogni espressi ed inespressi degli assistiti e dei professionisti sono riportati addirittura con nomi e cognomi fino a ricordare l’esilarante episodio dove il Prof. Ivan riceve il consiglio (non richiesto) di utilizzare  un po’ di Prozac! Sarebbe interessante allagare questo elenco anche i nomi dei responsabili sanitari regionali e aziendali.

Nonostante i pomposi DM non si vedrà un ben nulla a potenziamento del territorio e chi ci rimetterà saranno sempre i soliti professionisti di trincea e i cittadini. Impressionante, tanto da diventare incredibile nella sua realizzazione (l’avanzo del PNRR sarà condizionato dalla guerra in atto), sono le 1350 Case della Comunità previste che entrano, concettualmente, immediatamente in contraddizione con i 400 Ospedali di Comunità   programmati. Questi ultimi, come minimo, dovrebbero modificare subito  la loro definizione altrimenti emergerebbe un ossimoro clamoroso ed emblematico (non saranno mai di comunità ma al massimo di territorio dovendo ricoprire, secondo i numeri annunciati, aree molto più ampie di quelle che vengono comunemente indicata come “territori di comunità” ) e quindi, come dice Cavicchi, da questo punto di vista la prossimità si palesa come una bella fandonia.  Gli assistiti di serie A e di serie B sono sempre esistiti in questi anni quando le strutture, chiamate fino a 6 mesi fa Case della Salute,  hanno creato, negli anni, differenziazioni o discriminazioni  coinvolgendo nella sciagura sia i pazienti che i professionisti.

Già da qualche articolo anche il Professore pare piegarsi all’inevitabile avanzare delle assicurazioni   complementari o integrative e al rovinoso welfare aziendale…  Si assiste ad una narrazione già ascoltata  nel passato dove per normativa la Guardia Medica (presidio) è diventata  Continuità Assistenziale e l’auto medica e divenuta infermieristica (con grande rispetto per i colleghi infermieri) ecc. Piccoli passi infinitesimali ma ben progettati perché la burocrazia ha tutto il tempo che le serve per una rivalsa che va servita fredda.  Inoltre, mandarini, oligarchi e autocrati riescono con estrema facilità a far credere alla stragrande maggioranza degli assistiti   che gli asini volino e che il miglior medico di base  possibile  sia quello che opera come specialista.

Quando un assessorato regionale o una amministrazione sanitaria Ausl non sono convinte di dover affrontare certi problemi in modo puntuale (cioè con una radicale riforma dell’assistenza territoriale e delle cure primarie in modo trasparente ed assolutamente equo) non saranno certo le parole o gli scritti a far cambiare queste convinzioni radicate e sovraordinate.

La cronica mancanza di avvicendamenti o alternanze nel processo politico-decisionale sanitario, considerato l’enorme potere economico e  sociale affidato alle regioni,  può portare a quello che James Reason, in campo clinico, ha definito la “teoria del formaggio svizzero”.  Reason, con la sua ipotesi, ha tentato di rappresentare come nei sistemi complessi (e non solo in quelli sanitari) la consuetudine (es.: la uggiosa ed insopportabile questione della governance che non vuol dire altro che comandare) possa causare situazioni tali da determinare errori successivi o seriali che possono diventare alla fine anche catastrofici (“tranvata”).  Ogni pratica è prigioniera della sociologia o del “contesto”.  Non avevano tenuto conto del contesto i dinosauri e sono scomparsi. Non è successo invece ai piccoli roditori che scavavano le loro tane nel terreno più profondo.

Sarà solo il tempo che riuscirà a dare ragione e senso a questa parte politica della cura.

Il modernismo regressivo, a volte, si dimentica di questo aspetto fino a ipotizzare che il cittadino ideale debba tendere alla massima autonomia, libertà, tendendo cosi a tralasciare la collettività o alla vita in comunità.

Infine, con tutto il massimo rispetto e devozione vorremmo riportare l’invocazione del Sommo Pontefice Papa Francesco riportata nel titolo dell’articolo di QdS (6 giugno 2022)  sulla Sanità Pubblica. “E’ una ricchezza: non perderla, per favore, non perderla”. “Anche in campo sanitario è frequente la tentazione di far prevalere vantaggi economici e politici di qualche gruppo a discapito della maggior parte della popolazione”.  “Tagliare le risorse per la sanità è un oltraggio per l’umanità”

Giuseppe Campo, Alessandro Chiari, Alessandro D’Ercole, Bruno Bersellini, Bruno Agnetti

Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) FISMU, Emilia Romagna