Casa della salute anteprima

Salute e assistenza al centro del webinar Parma 22 32

Si è svolto mercoledì sera il secondo dei tre webinar tematici dedicati al welfare di Parma 22 32, il laboratorio aperto che promuove l’elaborazione di alcuni tra i temi chiave per la Parma del futuro, coordinato da Caterina Bonetti, Chiara Bertogalli e Manuel Marsico.

Dopo il primo incontro dedicato al tema delle persone con disabilità, nella serata di mercoledì è stato affrontato l’argomento Case di quartiere – Case della salute con la partecipazione di Erika Mattarella, della rete Case di quartiere di Torino, il dottor Bruno Agnetti, medico e consigliere comunale, l’architetto Michele Ugolini, docente del Politecnico di Milano con il coordinamento di Caterina Bonetti.

Erika Mattarella ha introdotto l’argomento illustrando la case history delle case di quartiere: dalla loro nascita, in ottica di riqualificazione e attribuzione di nuove funzioni di spazi dismessi cittadini, ai servizi erogati al loro interno. Una storia di spazi aperti a tutta la cittadinanza, polifuzionali, dove trovare corsi di formazione, attività di doposcuola, appuntamenti ricreativi per tutte le età, servizi di prossimità, dove potersi incontrare per un caffè o un pranzo, ma anche per utilizzare una sala adibita ad auditorium per uno spettacolo o un incontro pubblico. Fra i servizi erogati da una di queste case anche quello delle docce pubbliche, un’esperienza fra le poche in Italia, che consente a tanti cittadini di fruire di un servizio essenziale garantito, in piena sicurezza, anche durante il periodo Covid.

L’argomento della pluralità delle funzioni è stato affrontato anche dall’intervento dell’architetto Michele Ugolini, che ha esposto alcune buone pratiche legate alla realizzazione di case della salute nel territorio emiliano, confrontando le esperienze e sottolineando come scelte improntate all’inserimento, all’interno dei "contenitori" di servizi di prossimità non solo di tipo sanitario, sia fondamentale per rendere davvero efficaci gli interventi e dare un senso a questi spazi.

"La salute è una nuova questione identitaria che tocca tutte le persone e si deve coniugare con la salubrità dell’ambiente in cui viviamo. L’obiettivo deve essere quello di ridefinire l’approccio alle Case della Salute per la comunità, in particolare quelle urbane: non più solo centri di erogazione di servizi sanitari ma nuove e importanti occasioni di rigenerazione sociale, urbana e ambientale dove coltivare salute nei quartieri in raccordo con un vasto mix funzionale di attività pubbliche. Nodi di innovazione sociale e sanitaria, nuovi spazi in città più salubri per rispondere alle tante fragilità fatte emergere dalla pandemia. Luoghi identitari, aperti ai cittadini, integrati con il volontariato e le associazioni. Potremmo definirle biblioteche di cultura della salute in cui promuovere il benessere psicofisico delle persone e corretti stili di vita. Con il Politecnico, attraverso il programma Polisocial Award, stiamo elaborando una ricerca dal titolo Coltivare_Salute.Com che vuole rispondere alle lacune e alle vulnerabilità di tipo spaziale, sociale, organizzativo e comunicativo delle Case della Salute per la Comunità al fine di rafforzare, attraverso la loro localizzazione e una ridefinizione degli spazi interni, nuove centralità urbane nelle periferie delle nostre città. Lo shock provocato dalla pandemia ne costituisce l’occasione fondamentale, anche dal punto di vista dei finanziamenti".

Il dottor Bruno Agnetti ha poi illustrato, grazie alla sua esperienza ormai di lungo corso nella progettazione di servizi sanitari di prossimità, le principali caratteristiche delle case della salute di grandi, medie e piccole dimensioni. Le attività che possono trovare spazio al loro interno, legate non solo alla cura, ma anche alla prevenzione e alla educazione ai corretti stili di vita, le opportunità che una gestione condivisa degli spazi e delle attività può offrire anche in ottica di un cambio di modalità relazionale fra medico e paziente.

"La riforma dell’assistenza territoriale di base nonostante l’importante innovazione culturale delle Case della Salute non è ancora compiuta, come anche la pandemia ha dimostrato, soprattutto per quanto riguarda la co-operazione tra le varie professionalità e l’inserimento nelle comunità di riferimento. In effetti trovare un’innovazione organizzativa territoriale della medicina di base contestuale alla comunità di riferimento corrisponderebbe a scoprire un nuovo farmaco efficace per la cura dei tumori o allo sbarco sulla luna" ha sintetizzato in chiusura  Agnetti, auspicando che un lavoro efficace, ma soprattutto di ampie vedute possa essere realizzato quanto prima, anche sulla scorta delle esperienze maturate in questo periodo pandemico.


Vaccinazione_nteprima articolo

No, non siamo messi bene…

Gentile Direttore,
il suo intervento sulla “soluzione all’italiana” per il vaccino Astra Zeneca ha dato prova di coraggio. A volte esprimere qualche dubbio sulla “comunicazione” (ma la comunicazione si fa così?) in merito al sistema vaccinale a questo punto era necessario. In alcuni casi riferire incertezza in questo ambito può produrre il rischio di essere tacciati di tendenze no-vax.
 
E’ però palese, considerate le continue informative contrastanti, che sia in atto una sperimentazione (superate la fase III necessaria per la commercializzazione) che evolve durante la stessa vaccinazione di massa.
 
La richiesta che la campagna vaccinale possa svilupparsi nel rispetto di tutti i criteri di sicurezza e di sollecitudine dovrebbe suggerire di scegliere il modello operativo detto hub and spoke che richiede la realizzazione di un centro vaccinale maggiore (aziendale/ospedaliero) e di molti altri centri, ad esempio di quartiere, definiti o autorizzati dalle aziende sanitarie e che siano in grado di replicare in tutto e per tutto i centri hub. In questi presidi possono operare medici volontari e USCA così come potrebbero dedicarsi alle vaccinazioni anche a livello domiciliare. 
Questo “semplice” sistema operativo favorirebbe il conseguimento degli obiettivi ipotizzati e limiterebbe al massimo, se non eliminerebbe, lunghe file, caos o conflitti.
 
L’adesione volontaria può raccogliere una numerosa platea di medici (mmg di CA, mmg di AP, mmg Corsisti, medici specializzandi, medici dell’emergenza territoriale, Medici dei Servizi, medici pensionati …) più che sufficiente per assicurare una vaccinazione di massa senza creare confusione tra chi “può aderire” e chi “deve aderire” causa di possibili differenziazioni e difformità professionali e assistenziali in grado di creare possibili conflitti tra assistiti e medici di base.
 
Non da ultimo questo schema operativo può prevedere la partecipazione volontaria dei medici di base alla campagna vaccinale molto più efficace di quella detta “obbligatoria” in quanto il medico di Assistenza Primaria “può partecipare” alla campagna eseguendo l’attività vaccinale vera e propria ma può anche scegliere di supportare gli assistiti nella compilazione dei moduli, nel perfezionare una anamnesi soprattutto se critica, nell’individuare elenchi particolari (fragili e non deambulabili), nel segnalare casi che per qualche motivo sono rimasti fuori dagli elenchi dedicati alla vaccinazione così da avvantaggiarsi della vaccinazione di massa per una azione di integrazione dell’intera popolazione presente sul suolo italiano, nell’osservazione e nel monitoraggio prudente di eventuali effetti collaterali o indesiderati o inattesi. Soprattutto il medico di base può partecipare attivamente alla campagna vaccinale continuando a mantenere accessibili gli ambulatori di medicina generale senza interruzioni determinate dalla partecipazione attiva al processo vaccinale.
 
Il valore deontologico ed etico in periodo pandemico del medico di base è pienamente compiuto se il medico assicura l’attività ambulatoriale, se si fa carico delle cronicità non covid, se provvedere per quanto possibile al diradamento dei controlli specialistici, se sostiene le persone quando presentano sintomi psicosomatici causati dalle chiusure e dalle distanze sociali. Potrebbe essere importante aiutare gli assistiti a non fare confusione e a non equivocare l’ambulatorio del medico con un centro vaccinale perché, in questo caso, inevitabilmente sarebbero ridotti i servizi caratteristici della assistenza primaria.
 
Non è stato semplice o possibile convincere le Alte Dirigenze Aziendali sulla opportunità di attivare il sistema hub and spoke per la campagna vaccinale forse perché l’attivazione delle unità Usca potrebbe avere un costo superiore al coinvolgimento dei medici di base ma in questo caso, visto che ci si indirizza verso una vaccinazione di massa prioritaria che deve avvenire nel più breve tempo possibile, non si dovrebbe ragionare in termini economicistici pena una svalutazione della narrazione relativa all’emergenza pandemica stessa.
 
La vaccinazione anti covid non è una vaccinazione antiinfluenzale e la così detta vaccinazione “leggera” svolta negli ambulatori o a domicilio, se in carenza dei carismi di sicurezza garantiti nei centri vaccinali hub o di quartiere/periferici, non sembra aver procurato particolari agevolazioni.
 
Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria) FISMU (Federazione Italiana Sindacato Medici Uniti), Regione Emilia-Romagna

09 aprile 2021
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medicina di base

Il potenziamento delle Cure Primarie in tempo di Covid-19

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità il 17 Marzo 2020

medicina di base

17 MAR - Gentile Direttore,
i posti disponibili di terapia intensiva il Italia sono circa 5.000, di contro in Germania sono 28.000 su 80 milioni di abitanti. Eccoci ora di fronte ad un'altra emergenza sociale e sanitaria. Alcuni studi ipotizzano un utilizzo quasi totale, in periodo di picco Covid-19, di letti di terapia intensiva nel nostro paese. Come ex anestesista-rianimatore mi sento emotivamente immedesimato e profondamente commosso da quanto i colleghi ospedalieri stanno vivendo.
 
A fronte di tragedie, disastri, epidemie/pandemie pregresse anche la medicina generale ha tentato di studiare strategie orientate al potenziamento del 1° livello assistenziale territoriale al fine di svolgere un effettivo filtro per le strutture di 2° livello e impedire gli intasamenti di questi servizi che vengono indicati in questo momento come la vera emergenza.
 
Un territorio ben attrezzato e rafforzato con i nuovi giovani mmg, preparatissimi dal punto di vista clinico-diagnostico, già inseriti nelle graduatorie regionali per la medicina generale e per la Continuità Assistenziale, adeguatamente addestrati avrebbe potuto/potrebbe far fronte in tempo reale all’emergenza in affiancamento ai mmg senior per visite a persone sospette di contagio, per eseguire tamponi, per seguire a domicilio i paucisintomatici o i così detti “stabilizzati” dimessi dalle terapie post-intensive, per somministrare eventuali terapie domiciliari innovative o per uso compassionevole pur continuando la quotidianità e l’assistenza territoriale a tutte le altre persone ammalate non di Covid-19.  
In cambio di questo importantissimo servizio alla comunità sarebbe però necessario proporre ai giovani medici non solo una valorizzazione adatta ed incrementale della loro attività ma l’assicurazione di una strutturazione, pur sperimentale, dello strumento “affiancamento” e l’ideazione concreta di un sistema di reciprocazione che possa garantire ai giovani medici strutture territoriali adeguate, moderne e funzionali dove i professionisti possano elaborare, in autonomia e indipendenza, progetti assistenziali innovativi e flessibili in grado di rispondere anche a momenti emergenziali. 
 
La pandemia ci impone un cambio di passo e castiga ogni risposta alle nuove esigenze globali (COVID-19 e non COVID-19) attuate con modalità o culture arretrate e protocollari/normative. 

In questi giorni abbiamo avuto l’esempio emblematico di come i protocolli e le linee guida si modifichino di giorno in giorno a conferma del principio che il paradigma di riferimento è inevitabilmente bio-psico-sociale e che i macro fenomeni endemici strettamente collegati alla vita degli individui sono in grado di sovvertire algoritmi, protocolli, LG fino a ieri considerate verità immutabili. 
 
La situazione attuale (non solo della Lombardia che per altro rappresenta un servizio di 2° livello eccellente) è una rappresentazione di quello che significa non essere stati in grado di riformare le cure primarie partendo da pilastri fondamentali validi per un paese come l’Italia. 
 
Inoltre appare ora come sia stato dissennato ed insidioso il percorso che ha portato a chiudere un'infinità di ospedali della variegata periferia italiana per trasformare il servizio sanitario in qualcosa che avesse efficienza manageriale ed ottimizzazione ma che poi alla fine ha voluto a tutti i costi semplificare in un pensiero unico la complessità della vita reale. 
 
Le tematiche e le argomentazioni relative ai piccoli ospedali sono applicabili e completamente sovrapponibili alla medicina generale. Gli obiettivi aziendali sono ogni anno raggiunti ma qualunque forma di governo o gestione piramidale, lontano dalla realtà, dai bisogni e dai professionisti potrà certo imporre programmi o obiettivi ma non riuscirà mai a comporre (cum ponere) progetti solidi e trasmissibili. 
 
La relazione stretta tra professionisti e assistiti, esaltata da questa crisi, genera spontaneamente comportamenti collaborativi istintivi e responsabili, trova soluzioni efficaci, recupera la “calma” necessaria tra persone che si riconoscono e rispettano ciascuno con le proprie specifiche funzioni, doveri e diritti. 
 
Quanta pietà scorre nelle vene dei professionisti e dei parenti quando, per ragioni di sicurezza, non c’è più la possibilità di visitare i propri cari ricoverati nemmeno in caso di dipartenza. Ora abbiamo bisogno di senso.
 
Certe calamità superano gli individui e governanti. Il clamore finirà. La società civile saprà allora imporre un nuovo welfare sanitario che ponga il bene comune come valore superiore? 
 
Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria)
FISMU (Federazione Italiana Sindacale dei Medici Uniti )
Regione Emilia-Romagna

17 marzo 2020
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Carenza medica

Sulla carenza medica...

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità il 20 maggio 2019

11 OTT - Gentile direttore,
il vorticoso cambiamento sociale coinvolge strutturalmente la nostra professione. La velocità con cui avvengono tali cambiamenti erano già stati preconizzati nel 1989 da D. Harvey con la teoria della compressione spazio-temporale sia a livello globalizzato che glocalizzato.
 
Tra i numerosi temi evidenziati, nonostante le numerose inevitabili contraddizioni interne, vi è la questione della carenza medica ( nella specialistica ma anche nella medicina di base). Senz’altro c’è stata una predizione dilettantistica generale nell’errata dimensionalibilità dei pensionamenti e dei pre-pensionamenti ma non può essere passata sotto silenzio la manifestazione dell’estrema fragilità psico-fisica degli stessi professionisti delle cure primarie che negli ultimi anni hanno sopportato l’incremento esponenziale dell’attività ambulatoriale rimasta, nel percepito degli assistiti, uno degli ultimi servizi di vero welfare gratuito e di libero accesso.
 
L’ACN per la medicina generale, tutt’ora in discussione, dimostra tutta la sua inadeguatezza a fronte della necessità vitale di una radicale riforma delle cure primarie. Anche in questo settore i paradigmi sono profondamente mutati e non sono più accettabili “influencer” che hanno condotto la medicina territoriale al punto criticissimo in cui si trova ora. C’è inoltre la legge Balduzzi, in vigore, non abrogata, tuttavia inapplicata che non può essere ignorata a meno che non venga promulgata un’ altra legge/riforma.

Dalle numerose elaborazioni si evince l’urgenza di individuare un nuovo modello di riordino delle cure primarie adeguato alle necessità (es.: welfare di comunità e processo decisionale affidato al territorio e al suo collegio del territorio nel rispetto delle indicazioni Wonca) da sperimentare secondo una progettazione consequenziale ( es.: AFT e UCCP).

Occorre ri-argomentare la “complessità” dell’agire medico scrollandosi di dosso gli errori/orrori “normativistici” accumulati dal 2005 a tutt’oggi.
La sfida lanciata dai cambiamenti in atto ( ad es.: la medicina di base quasi tutta al femminile) costringe l’assistenza territoriale e le cure primarie a trovare nuovi assetti in grado di continuare a garantire quella deontologia, equità e l’universalità che possa rispondere all’estrema e crescente problematicità delle persone e del contesto ( es.: relazioni con i diversi livelli istituzionali e le infinite diramazioni dell’attuale potere decisionale).

Sarà sempre più importante comporre squadre autonome ( territori o AFT o Nuclei di Cure Primarie) di colleghi in grado o disposti a lavorare in team ( il micro team può essere uno slogan congressuale o pubblicitario; l’équipe applicata operativamente in medicina generale è culturalmente errata ). Cambiare il modo di lavorare è imperativo ma questo richiede una profonda modifica dell’intero processo decisionale a livello territoriale. Solo una autonomia organizzativa professionale può migliorare la qualità. Ogni gruppo di mmg appartenenti ad un territorio ( quartiere, zona, AFT, NCP …) deve poter elegge, con modalità scelte dal gruppo stesso, un proprio referente che abbia essenzialmente funzioni di servizio per tutti i colleghi senza nessun altro ruolo gerarchico. Solo il referente liberamente eletto rientra in un disegno progettuale considerato adatto per le cure primarie e non possono essere individuate altre figure o modalità elettive ( contrariamente a quanto attualmente in discussione relativamente all’articolato dell’ACN) per il pericolo di creare, ancora una volta, anacronistici e destruenti conflitti di interesse.

Se l’attività del mmg non diventa inoltre attrattiva anche dal punto di vista occupazionale, organizzativo e remunerativo si continuerà a formare professionisti ( che costano allo stato circa 250.000-300.000 euro ciascuno) che svilupperanno una gran voglia di volare all’ estero ( ai test di medicina in inglese nel 2018 si sono presentati 7660 studenti; quest’anno 2019 si sono presentati 10450 aspiranti).

A fronte dell’emergenza dettata dalla carenza medica, nell’ambito delle cure primarie, è possibile recuperare una ipotesi di progetto organizzativo territoriale definito affiancamento pubblicato in epoca pre-Balduzzi (web 2011: Nuovo patto-contratto tra i medici professionisti della sanità territoriale e il SSN).

Percorso tradizionale per ottenere la convenzione in medicina generale:
- Graduatoria Regionale provvisoria ( prevista nel mese di settembre)
- Graduatoria Regionale definitiva ( prevista per il mese di dicembre)
- Pubblicazioni delle zone carenti ( prevista per il mese di marzo azienda per azienda)
- Graduatoria degli aventi diritto aziendale ( prevista per luglio con assegnazioni delle zone carenti per preferenza, accettazione o rifiuto). In caso di rifiuto di una zona carente il medico
avente diritto rientra nella graduatoria regionale con il punteggio già ottenuto al quale possono eventualmente essere aggiunti ulteriori aggiornamenti.
- Attivazione della convenzione con apertura dell’ambulatorio ( prevista entro l’autunno).
6 - Obbligo per il medico neo-convenzionato di rimanere c/o l’ambulatorio oggetto della convenzione per almeno 2 anni . Scaduti i due anni può richiedere trasferimento in una nuova zona
carente avendo priorità di scelta.

Percorso affiancamento:
1 - Un medico ultra 65 enne ( detto Senior) o un medico con problemi di salute documentati attiva la zona carente virtuale on line in tempo reale
2 - Secondo la graduatoria regionale e provinciale definitiva il medico avente diritto (detto Junior) può scegliere o non scegliere l’ipotesi affiancamento in regime di assegnazione di
Convenzionamento/borsa formativa
- Rinunciando all’ipotesi affiancamento il medico che si trova al primo posto della graduatoria regionale/provinciale definitiva non perde nessun diritto e resta nella stessa posizione già guadagnata
in graduatoria
- Il medico Senior può chiedere di attivare il medico ( Junior) inserito al secondo posto in graduatoria ed eventualmente, in caso di nuova rinuncia, progressivamente si scorre la graduatoria
- Il medico Junior può prendere servizio attivo istantaneamente
6 - Una volta che medico Junior sceglie la via dell’affiancamento svolge un colloquio orientativo ed esplicativo con il medico Senior al quale seguirà un periodo di prova di 6 mesi
7- Svolto il colloquio e il periodo di prova sarà il medico Junior a decidere se proseguire nell’esperienza oppure interromperla immediatamente dopo il colloquio o dopo i sei mesi o prima.
- I due professionisti conducono la gestione dell’ambulatorio in modo paritario, non esistono gerarchie se non una normale relazione deontologica tra collega esperto ed uno entrato da poco nel sistema convenzionale nello stesso modo ci si può accordare in colleganza per gli orari ( che possono essere ampliati quasi ad arrivare ad un H12 diffuso su tutto il territorio nazionale ) e per le visite domiciliari, le cronicità, la palliazione territoriale, le collaborazioni con altri colleghi e servizi ecc .
9 - Questo formula permette di poter seguire un numero maggiore di assistiti ( fino a 2000) semplificando od abolendo l’istituto del numero ottimale così come quello degli ambiti stabilendo una netta semplificazione del turnover in medicina generale di base detta “uno esce-uno entra”.
10 - La borsa formativa del medico Junior è stabilita dall’abolizione delle incompatibilità, dalla quota capitaria relativa all’aumento degli assistiti oltre i 1500 del medico Senior, dall’incremento delle
attività aggiuntive e dai programmi-obiettivo condivisi dai due medici ( Senior-Junior ) o dall’aggregazione di appartenenza
11 - Al momento del pensionamento o della cessazione dell’attività del medico Senior il medico Junior ha accumulato un punteggio tale da permettergli la prelazione relativa alla zona carente creatasi ( verosimilmente corrispondente ad un trasferimento) nello stesso ambulatorio singolo o AFT/NCP o aggregazione e può insediarsi immediatamente pur dovendo gradualmente rinunciare alla quota eccedente il massimale ( non può acquisire nuove scelte fino a che non viene raggiunto il massimale posto al momento a 1500 assistiti).
12 - Questo percorso differisce da quello tradizionale per il fatto che il medico Junior che ha esercitato la possibilità di prelazione dovrà rimanere in quell’ambulatorio/AFT/NCP o aggregazione per almeno 5 anni prima di poter chiedere un trasferimento.
13 - Il sistema dell’affiancamento può trovare un suo naturale posizionamento ottimale nelle aggregazioni ma è attuabile anche dai medici singoli. È’ applicabile su tutto il territorio nazionale e da questo punto di vista non crea differenziazioni professionali ed assistenziali come invece può capitare per altre iniziative/organizzazioni della medicina generale.

Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria)

FISMU (Federazione Italiana Sindacale dei Medici Uniti )
Regione Emilia-Romagna

11 ottobre 2019
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medicina di base

Quella medicina di base comunque dimenticata

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità il 24 settembre 2019

medicina di base

24 SET - Gentile Direttore,
l’estate che ci lasciamo or ora alle spalle è stata fantasmagorica per la velocità con cui sono stati rappresentati alcuni avvenimenti politici che, oltre ad aver confermato ancora una volta la teoria della velocissima contrazione spazio-temporale contemporanea, condizioneranno profondamente anche le varie “sensibilità” sindacali.  Ora c’è anche un nuovo Ministro della Salute. Le precedenti Ministre pare non abbiano lasciato opere da tramandare ai posteri.
 
Nonostante ciò appare quantomeno inopportuna la recente firma della pre-intesa, una delle tante, di ACN ( Accordo Collettivo Nazionale per la Medicina Generale) che frettolosamente ha preceduto di qualche ora la nomina di colui che attualmente è a Capo del Dicastero della Sanità. Si conferma così l’andamento negativo in merito al riordino della medicina generale che si trascina affannosamente da decenni senza idee e innovazioni a prescindere dalle dichiarazioni propagandistiche ed enfatiche proclamate da alcune OOSS più assuefatte a percorrere i corridoi dei palazzi per interessi parziali che impegnate ad affrontare le problematiche della professione nel suo complesso.

Segni e sintomi del malessere socio-sanitario professionale ( che esplicita anche la grande fragilità dello stesso medico di famiglia) sono stati analizzati in infinite occasioni da eccellenti commentatori ( invecchiamento, cronicità, contrazione spazio-temporale, modificazioni etiche ( P.Muzzetto, 2019), cambio generazionale, modifica di genere nella professione, rapidissima innovazione tecnologica bio-medica, priorità della finanza sull’economia, disorganizzazione e carenza professionale). Questi colleghi, volenterosi e inascoltati, per anni hanno argomentato in modo appassionato di riforma ( I.Cavicchi 2019), di nuovi paradigmi, di modelli di welfare di comunità ( da non confondere assolutamente con il welfare aziendale) e progetti ( processo decisionale in carico esclusivamente al territorio).
 
La salute e la sua organizzazione territoriale periferica ( sanità) rappresenta un banco di prova psico-sociale che può essere esplosivo e può produrre guai irreparabili se dovessimo trovarci in assenza di uno dei più importanti ammortizzatori sociali.

La politica continua a non interpretare l’investimento nel welfare ( A. Rosina 2019) di comunità come un reale e produttivo investimento sociale cioè come strumento che consenta ai cittadini non solo di creare benessere ma di contribuire a generarlo a costo di costruire accordi sociali con le imprese generative a garanzia delle caratteristiche distintive della medicina generale di base.. L’ assenza di una strutturazione consolidata di questi passaggi culturali politici/sindacali suggeriti a più riprese dagli esperti costringe tutto il sistema a navigare da tanto tempo a vista dimostrando l’incapacità della politica di programmare e di decidere saggiamente ( S. Zamagni, 2015), di leggere il fenomeno nella sua complessità tanto che le continue spinte emergenziali producono solo risposte semplificate ( sbagliate) e carenti di collaborazione leale tra istituzioni, società civile/comunità e imprese generative disposte a collaborazioni etiche socio-sanitarie.
 
Come molti cittadini anche i medici di medicina generale si sentono smarriti, fragili e disorientati dall’incapacità che le istituzioni dimostrano nel rispondere in modo adeguato ai bisogni assistenziali delle persone e all’incolumità esistenziale dei loro cittadini e dei medici stessi.

Tutto ciò ha palesato quanto oggi sia distaccato il potere ( la possibilità di fare le cose e di concluderle) dalla politica ( che dovrebbe decidere quali cose dovrebbero essere fatte dal potere). La politica non ha più il potere. A volte pare in grado di esprimere solo parole generatrici automatiche di documenti retorici. Alcune forme di potere sono completamente autonome dal controllo politico con percorsi decisionali indipendenti dal confronto e dalla discussione tanto che il parlamento viene coinvolto solo per ratificare decisioni prese in altri percorsi oppure la politica esprime elementi decisionali molto circoscritti, periferici, nepotistici sostanzialmente inutili ed inefficaci per l’economia sanitaria generale delle comunità.
 
La preoccupazione più grande è quella di perdere tutto ciò che è stato costruito in tempi lunghi e con responsabilità per lasciare una eredità di benessere e di qualità della vita per chi verrà dopo.  Non si può nascondere che qualche esperto o qualche medico di medicina generale testimone della professione vorrebbe poter ricoprire una posizione di potere per poter dimostrare cosa è possibile fare e come si possa portare a compimento un riordino appropriato delle cure primarie territoriali. Chi dice che è impossibile non dovrebbe disturbare chi potrebbe riuscire (A. Einstein).

Il nostro SSN è uno degli ultimi al mondo ( W. Ricciardi, 2019) che offre , soprattutto nella medicina generale di base, una copertura universale, una completa gratuità (o quasi), l’assenza di discriminazioni per reddito ( o quasi), residenza, confessione, orientamenti sessuali e politici, libero accesso ( o quasi) ma è destinato all’estinzione se si continua a non ascoltare gli esperti e i testimoni che possono vantare una caratteristica esperienziale non improvvisata, più meritoria che meritocratica.
 
Bruno Agnetti
CSPS (Centro Studi Programmazione Sanitaria), FISMU (Federazione Italiana Sindacale dei Medici Uniti)

Regione Emilia-Romagna

24 settembre 2019
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Cure primarie, la rifondazione che non c’è

Articolo a cura di Maurizio Andreolli, Bruno Agnetti, Ernesto Mola
(Centro studi Smi - Sindacato medici italiani)

Pubblicato su Sanità 24 - Il Sole 24 Ore il 30 giugno 2016

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La nuova “trovata” è l’assistenza medica h16. Ma possono l’atto di indirizzo prima, e l’Accordo di lavoro-Acn che ne consegue, contraddire il Patto per la Salute e la “Balduzzi”, che prevedono chiaramente un’assistenza territoriale H24, distinguendo tra 118 e guardia medica? Crediamo di no: la convenzione della medicina generale non può dettare norme in contrasto con la legislazione vigente. Le Aft partono così col piede sbagliato. Esse rappresentano, nei fatti, la generalizzazione obbligatoria dell’associazione monoprofessionale tra medici di medicina generale, più volte criticata per la sua inconsistenza, buttando alle ortiche la medicina di gruppo, che ha rappresentato fino a ora l’unica forma di aggregazione che ha funzionato.

Teoricamente la Aft potrebbe essere formata da medici che lavorano da soli, che si raccordano funzionalmente per garantire l’H16, per cui un cittadino, per poter ottenere assistenza in mancanza del proprio medico di famiglia, dovrebbe fare lo slalom tra più ambulatori per trovare quello disponibile. Il referente dell’Aft sarà remunerato attingendo a uno dei Fondi già in essere, determinando così per contratto una riduzione, anche se modesta, della retribuzione contrattuale. Il Fondo per gli accordi regionali (che ammonta attualmente a circa 40 milioni di euro) sarà infatti quasi completamente assorbito da questa voce. Una smaccata riallocazione di risorse in favore di pochi. Ma non è l’unica criticità sul piano retributivo. Mentre la quota capitaria rimane tristemente invariata rispetto al 2010 (e che rinnovo contrattuale è, senza un minimo incremento retributivo!), nella quota variabile delle Aft confluiscono tutti gli incentivi previsti per associazioni e personale di studio previsti dall’Acn 2005.

Queste risorse dovranno essere ripartite tra tutti i medici di medicina generale, dato che la partecipazione alle Aft è obbligatoria, mentre prima erano attribuite a coloro che garantivano più avanzati livelli assistenziali. Se la matematica non è un’opinione, se recupero risorse dal 50% dei medici che godevano delle indennità aggiuntive per ridistribuirle al 100%, per forza di cose la quota che ciascuno potrà ricevere si riduce alla metà.

È vero, c’è la norma che salvaguarda le retribuzioni attuali, che saranno dunque “cristallizzate” in un nuovo assegno ad personam, che non potrà però più incrementarsi né contrattualmente né per un eventuale aumento delle scelte. In pratica si sta programmando nel tempo, con il pensionamento dei medici più anziani, una rilevante contrazione della retribuzione contrattuale dei medici di medicina generale.

I nuovi assegni ad personam inoltre assorbiranno tutte le risorse che dovrebbero concorrere al fondo per le Aft che quindi come potrà essere finanziato? Le uniche risorse disponibili provengono dalla contrazione del numero di occupati in continuità assistenziale. Se i turni si riducono di circa 2/3, dato che i turni notturni copriranno dalle 20 alle 24 invece che dalle 20 alle 8 del mattino, avremo nel tempo un ridimensionamento di pari misura delle piante organiche a rapporto orario e nell’immediato il mancato rinnovo degli incarichi a tempo determinato. Nel contempo i cittadini subiranno la scomparsa dell’assistenza medica notturna e il Ssn l’intasamento delle chiamate al 118 e dei pronto soccorso ospedalieri. Il ruolo unico dei medici delle cure primarie, che dovrebbe essere inteso come inserimento a tempo pieno nella medicina generale, è stato ridimensionato a incarico di 24 ore, con le quali dovranno essere garantiti i turni serali e festivi e i “buchi” negli orari di apertura degli studi medici in modo da garantire la assistenza nell’intera giornata.

Le Uccp, poi, sono le grandi assenti in questa convenzione. Vengono genericamente definite “forme organizzative complesse” multi professionali (quindi con specialisti di varie discipline e altro personale), con sede di riferimento all’interno di strutture pubbliche individuate dalla Regione, e alle cui attività “partecipano” obbligatoriamente, non è ben chiaro come, i medici di delle cure primarie. L’articolo 7 dice poco sulle Uccp e glissa del tutto su organizzazione e finanziamenti di tali strutture, demandati quindi per intero alle Regioni. Ciò approfondirà il solco esistente tra i diversi Ssr. Ci sono poi altri aspetti criticabili: le tutele, gravemente carenti, se non peggiorative rispetto al precedente Acn (gravidanza ecc.), ma anche la formazione obbligatoria, i provvedimenti disciplinari, le regole della contrattazione e della rappresentanza.

Questa “bozza di Acn” è disarmante: la rifondazione delle cure primarie non è nemmeno accennata, riducendosi alla previsione di Associazioni funzionali territoriali che si riducono solo a un vuoto coordina- mento mono professionale. Ci auguriamo che si tratti solo di una ipotesi di massima, buttata lì per saggiare le reazioni, perché è evidente che non si prefigura nessun miglioramento dell’offerta assistenziale ai cittadini.
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http://www.slideshare.net/DottorAgnetti/progetto-mosaique-verona


Cure primarie. I punti deboli della legge Balduzzi e del Patto della Salute

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità il 12 agosto 2015

12 AGO - Gentile Direttore,
dopo una prima riflessione sulla riforma dell’assistenza territoriale e delle cure primarie, e in vista delle nuove manovre per l'ACN, chiedo ancora ospitalità sul suo giornale per continuare il ragionamento sulla legge Balduzzi e il Patto della Salute esaminando le diverse soluzioni in esse contenute, con i loro punti di forza e i loro limiti.

Le AFT (Aggregazioni Funzionali Territoriali) sono aggregazioni monoprofessionali con effetti tipicamente e solo organizzativi ( non erogativi) e comprendono un area di pertinenza della medicina generale che non superi i 30.000 abitanti ( art. 1, L. 189/2012 Balduzzi); nello specifico le AFT rappresentano l’ insieme dei professionisti che hanno in carico il cittadino che, a sua volta, esercita la scelta del singolo medico ( art. 5, comma 3, Patto della Salute 2014-2016). Da questo punto di vista, per quanto il Patto della Salute possa influire su una legge, verrebbe così mantenuta teoricamente (compatibilmente con un disegno generale apparentemente di quartierizzazione dell’assistenza all’interno di un area geografica) l’istituto della libera scelta e la capillarità in un bacino d’utenza definito. L’AFT è poi collegata funzionalmente ad una UCCP cioè ad una Unità Complessa di Cure Primarie ( art. 1, comma 3, Patto per la Salute 2014-2016).

Le AFT dovrebbero assicurare: la realizzazione degli obiettivi di salute per i cittadini di riferimento producendo quelle prestazioni che sono tipiche della medicina generale detta di opportunità (e non specialistica) finalizzate al governo clinico territoriale. In questo modo quindi, tramite le AFT, si può realizzare una omogeneità nei comportamenti assistenziali alla popolazione assistita in quanto i medici componenti l’AFT monoprofessionale condividono in forma strutturata obiettivi, PDTA, strumenti di valutazione della qualità assistenziale, LG, audit e strumenti analoghi.

Non si devono quindi individuare compiti erogativi in una AFT proprio perché le AFT non possono garantire la presa in carico integrata (essendo strutturalmente carenti di diagnostica e di personale) né attività di prevenzione né risposta alle prestazioni non differibili adeguatamente organizzate. Una AFT è collegata invece funzionalmente ad una UCCP o a più UCCP di riferimento dove vengono effettivamente erogati anche servizi specialistici integrati, attività di prevenzione e prestazioni non differibili ( art. 5, comma 3, Patto della Salute).

Le UCCP (Unità Complessa di Cure Primarie) sono forme organizzate/unità multiprofessionali (art. 1, L. 189/2012 Balduzzi) che operano, in forma integrata, all’interno di strutture o presidi (art. 5 c.2 Patto per la Salute); erogano (come compito) le prestazioni assistenziali della medicina generale tramite il coordinamento e l’integrazione (art.1 L.189/2012 Balduzzi) multiprofessionale ma anche multidisciplinare e multisettoriale (M&M&M). Il carattere multiprofessionale dell’UCCP è testimoniato dall’effettivo stretto collegamento tra le diverse professionalità presenti nell’UCCP ed in particolare dall’integrazione tra mmg e medici specialisti. L’integrazione valorizza le relazioni ed anche i collegamenti con i professionisti ospedalieri e con quelli dei servizi distrettuali (ma anche con il 3°settore).

Tutto ciò è indispensabile per le attività assistenziali complesse delle Cure Primarie (diagnosi, cura, prevenzione, educazione sanitaria individuale, counseling, domiciliarità, presa in carico della cronicità e della fragilità). Le UCCP sono quindi poliambulatori dotati di strumentazione di base aperti al pubblico h12/24 considerando anche dislocazioni plurime ( art. 5 comma 2 del Patto della Salute).
Le UCCP dovrebbero garantire prestazioni elencate nell’art. 5 comma 4 del Patto della Salute.

L’assetto organizzativo, le linee, le modalità e le caratteristiche in merito alla divisione del lavoro tra i professionisti che compongono l’UCCP (tutti i medici erogano le proprie attività attraverso l’UCCP) vengono definite da disposizioni nazionali (Atto di indirizzo - ACN). Sono demandati invece alle regioni l’individuazione dei principi per definire gli standard relativi alle erogazioni delle prestazioni, la programmazione e la realizzazione delle UCCP con la specifica dei criteri attraverso cui le aziende devono individuare e concordare i programmi di attività nelle UCCP con la possibilità di definire i livelli di spesa programmati avvalendosi anche di forme di finanziamento a budget nei confronti delle UCCP (Atto di Indirizzo).

Questo passaggio normativo evidenzia un importante punto di debolezza: se si ricerca uno sviluppo uniforme dell’ assistenza primaria, accanto alla riorganizzazione dei distretti da parte della Conferenza Stato-Regioni (con le AFT e le UCCP) la stessa conferenza (attraverso l’ACN e all’interno dell’ACN) deve prevedere anche la definizione organizzativa e programmatica dei servizi da svolgere nell’UCCP.
Le forme di finanziamento a budget (attività di programmazione tipicamente aziendale) non possono riguardare “finanziamenti adeguati programmati” inseriti nell’ articolato dell’ACN ma resteranno iniziative singole aziendali e di conseguenza le realizzazioni non potranno mai essere uniformi su tutto il territorio nazionale e ripresenteranno le difformità assistenziali e professionali già ben documentate dall’esperienza delle Medicine di Gruppo (alcune collocate in locali pubblici e contigue a servizi aziendali ed altre assolutamente lasciate al self made). Le UCCP sono parte fondamentale ed essenziale del distretto/azienda (Art. 5 comma 6 del Patto della Salute) per cui i costi ed i rapporti standard (come per i distretti/aziende) devono essere definiti a livello nazionale (ACN) per garantire l’uniformità di erogazione dei LEA su tutto il territorio nazionale.

L’adesione all’assetto organizzativo (AFT e UCCP) e informativo è obbligatorio e le regioni hanno l’impegno di prevedere lo sviluppo delle due uniche forme aggregative individuate sul territorio (AFT e UCCP) per i medici di medicina generale; queste forme sostituiscono tutte le diverse tipologie di forme di aggregazione o associative funzionali o strutturali realizzate nel tempo nelle varie regioni (art. 54 ACN 2009). L’obbligo alla partecipazione ( che è diverso dall’obbligo all’adesione) all’assetto organizzativo va considerato rivolto in modo prioritario alle UCCP in quanto le AFT, come già ricordato, sono aree territoriali della medicina generale, non sono quindi forme associative ma aree geografiche ed organizzative.

Governance. Una aggregazione di medici di medicina generale per acquisizione storica e in virtù delle normative vigenti è una organizzazione tra pari (Wonca ); sono rappresentate (come è prassi nelle  medicine di gruppo) dal referente scelto elettivamente; questo collega non può essere definito anticipatamente “ adeguatamente formato” perché, se così fosse, verrebbe a mancare la concreta possibilità di eseguire elezioni democratiche fra pari ( strumento che attribuisce vera autorevolezza). La nomina di un coordinatore medico (o altrimenti definito medico in staff o direttore di dipartimento o coordinatore ecc.) da parte aziendale, non eletto tra pari, al quale viene riconosciuto un compenso di scopo presuppone la costituzione di un ruolo automaticamente e gerarchicamente sovraordinato procurato dallo stesso istituto della nomina: un mmg nominato consulente aziendale con relativa valorizzazione economica qualificante acquisisce potere informativo, di frequentazioni e di conoscenze tali da poter trasmettere disposizioni o forti suggerimenti tecnico/organizzativi idonei senz’altro alle intenzioni dell’azienda/impresa ma nello stesso tempo trasforma il rapporto autonomo del mmg in un rapporto di consulenza/dipendenza che finisce per coinvolgere tutti i mmg dell’aggregazione. Inevitabili quindi numerosi ed inopportuni conflitti di interesse forieri di scarsa fiducia e reciprocazione.

Il referente invece, rappresentante credibile dell’aggregazione, eletto (a scrutinio segreto) tra pari e ratificato dall’azienda (e non scelto tra una triade: modalità organizzativa della dirigenza/dipendenza), è in grado per autorevolezza di promuovere i vari processi di integrazione e deve essere in grado di mantenere un rapporto di consenso e di gradimento tra i colleghi pena la decadenza. Le regioni si devono impegnare ad organizzare corsi di formazione per i referenti designati dai colleghi considerando che, all’interno di una cultura di integrazione mono/multiporofessionale, multidisciplinare e multisettoriale il referente per una AFT/UCCP è appropriato se è unico. Non possono poi esistere criteri specifici per ricoprire il ruolo di referente AFT/UCCP eccezion fatta (forse) per gli anni di servizio attivi nell’assistenza la quale, essendo soggetta al consenso e al gradimento degli assistiti, in un sistema di libera concorrenza di norma produce, negli anni, inevitabilmente una “formazione adeguata”.

Modello hub and spoke. E’ un disegno già utilizzato per il sistema ospedaliero e può essere applicato alla medicina generale in quanto è in grado di mantenere l’assistenza di prossimità e la capillarità. Le formule applicative possono essere le più varie e possono essere contestualizzate a seconda delle necessità ( forma più accentrata – forma più decentrata) ma l’essenza è che il servizio sia suddiviso tra sede di riferimento ( ad es.UCCP) ed tutte le altre sedi (ex MdG, sedi unificate, singoli mmg ). Con questo modello i costi complessivi non si incrementano in quanto si evitano compresenze e attività sovrapponibili eseguite in contemporanea e nello stesso tempo si mantiene una maggiore territorialità, una maggiore condivisione e un convinto affidamento reciproco (es. integrazione infermieri-medici).

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS)
Sindacato dei Medici Italiani (SMI) Regione Emilia-Romagna

12 agosto 2015
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Il Decreto Balduzzi va superato. Ma anche il pensiero unico della politica

Articolo a cura di Bruno Agnetti

Pubblicato su Quotidiano Sanità il 10 agosto 2015

10 AGO - Gent. mo Direttore,
da tempo su QS si intrecciano interessanti confronti sul tema della c.d. riforma dell’assistenza territoriale e delle cure primarie. Come SMI (Sindacato dei Medici Italiani) desideriamo partecipare allo scambio di opinioni con questo contributo. Gli innumerevoli articoli e gli interventi, spesso lungimiranti ed avveduti, susseguiti in questi anni sulla stampa di settore (anche prima dell’approvazione della legge Balduzzi ) non hanno poi alla fine apportato reali modifiche al paradigma tradizionale e non hanno inciso sull’urgente necessità di elaborare una discontinuità nei processi decisionali come globalizzazione e glocalizzazione richiederebbero.

Le buone intenzioni espresse dall’autorevole Patto della Salute (2014) non sono riuscite a fare luce sul fumoso decreto legislativo (Balduzzi) a causa di una debolezza normativa intrinseca e così sono rimasti al palo anche le bozze di ACN e gli atti di indirizzo susseguiti alla pubblicazione del DL 189/2012 palesando, in questo modo, una incapacità nell’affrontare e nel risolvere le contraddizione e le difficoltà interpretative contenute nella normativa legislativa stessa ( DL. 189/2012 Balduzzi).
Nemmeno l’iter del decreto legislativo attualmente in atto alle Camere permette di intravedere un “innovazione di rottura” così che il prossimo venturo ACN per la medicina territoriale (vitale per lo sviluppo del nostro SSN) appare sempre più abbandonato in una desolazione desertica con assenza completa di vita quando, al contrario, il contesto socio-assistenziale, ogni giorno di più, presenta il conto legato alle contingenze di rilievo epocale.

Qualche motivo dovrà pur esserci se dal 2012 al 2015 non si è riusciti a trovare il bandolo della matassa di un DL forse nato sbagliato nel merito e nel metodo; forse orientato, nei suoi fondamentali, a concetti medioevali; più preoccupato (ad ascoltare le malelingue) di realizzare alcuni vantaggi di business per pochi che a darsi pensiero di procedere ad un cambio di passo basato su una reale discontinuità organizzativa ed operativa da modalità ossequiate nel passato.

“L'è tutto sbagliato, l'è tutto da rifare!” direbbe il buon Gino.

In effetti, a questo punto la cosa migliore sarebbe dar vita ad una nuova legge: le indicazioni migliorative (se non addirittura i testi già completi per un nuovo ACN) realmente innovative e coerenti con le emergenze derivanti dalla globalizzazione e dalla glocalizzazione sono già stati tutti scritti e pubblicati in più occasioni da numerosi colleghi ma, come si sa, sono rimasti esercizi letterari.

In QS sono intervenuti, sulla tesi delle cure primarie, nomi illustri: tutti hanno contribuito a far comprendere le dimensioni del problema, i distinguo, il processo cronologico degli avvenimenti e, dal dibattito, sono emerse in modo palese le singole responsabilità in merito alla situazione attuale. La turbolenza degli eventi socio-sanitari palesa un zavorra rimasta sommersa per tanto tempo, talmente densa e pervasiva che alcuni gruppi sembrano non accorgersi delle conseguenze insistendo nella coltivazione disordinata di orticelli dove cresce soltanto il frutto del pensiero unico che sedimenta e resiste ad ogni bonifica o ad ogni implementazione che possa provenire da nuove visioni. Questa interminabile crisi interna allo stesso sistema del welfare continua inoltre a mostrare grevi conflitti di interessi, di identità e di valori.

La crisi non è solo economica. E’ soprattutto una crisi di fiducia. Tutto ciò potrebbe far improvvisamente collassare il SSN su se stesse stesso , senza nessun scricchiolio di avvertimento, proprio perché le nuove vie di uscita, di direzione o di senso, di fiducia non riescono mai ad emergere e a dimostrare come sia urgente una discontinuità dalle paludose consuetudini degli anni passati.

Tra poco, non appena i singoli professionisti attualmente operativi e produttivi smetteranno di immettere nel sistema quel qualcosa in più di assolutamente soggettivo, personale e volontario , per altro mai riconosciuto da alcun criterio c.d. oggettivo di valutazione della performance ( es.: il carico di lavoro; medicina basata sull’esperienza; personalizzazione della cura) il sistema stesso potrebbe non restare più insieme.

Come ricorda Ernesto Galli della Loggia, argomentando dello scandalo romano, la crisi è così profonda che pare non avere scampo perché il pensiero unico, pesante e obeso, non è in grado di utilizzare strategicamente le idee che nascendo dalle minoranze potrebbero attivare, in modo generativo, numerosi problem solving urgenti e necessari per uscire dal pantano.

Siamo di fronte ad una serie di doppi legami di difficile soluzione: la c.d. riforma Balduzzi, costringe la categoria medica a confrontarsi con una formulazione normativa contraddittoria ed ingarbugliata che favorisce una infinità di interpretazioni e la nascita di una costellazione nebulosa di modelli e progetti più inclini a soddisfare interessi lobbistici che il bene comune; la normativa è continuamente ossessionata dalla ricerca di una bollinatura ( visto di conformità e copertura amministrativa da parte dalla Ragioneria dello Stato , che così certifica, salvo errori ed omissioni, che le leggi approvate abbiano nominalmente copertura finanziaria) e non si intravede la tendenza ad una reale che “sostenibilità trasmissibile”.

L’impasse annoso dovuto quindi alle contraddizioni di fondo presenti nella normativa Balduzzi sembrano superabili solo con un vero nuovo atto politico legislativo che ri-definisca da capo tutto l’assetto assistenziale che dovrebbe accompagnare ( all’interno dell’ ACN) la modifica delle modalità assistenziali per i prossimi 10-15.

Il Sindacato dei Medici Italiani (SMI), ostinatamente già dal 2012, si è comunque mobilitato per tentare di uscire dallo stallo e immaginare una via d’uscita verso una sanità pubblica meno caratteriale, più solidale, più equa, di qualità e che possa rispondere ai nuovi bisogni assistenziali, alle esigenze dei cittadini e della professione . Infatti se da una parte è completamente inibito ogni aumento contrattuale a causa della legge dello Stato 189/2012 ( Balduzzi ) i sevizi, il personale, le aggregazioni di riferimento si possono e si devono finanziare tramite uno start-up iniziale in grado poi di auto sostenersi e di reintegrare completamente l’investimento iniziale. In caso contrario vi è un forte rischio sul quale si dovrebbe riflettere molto attentamente: se le regioni non sceglieranno di dialogare con i medici disposti a condividere una nuova,seria e comprensibile assunzione autonoma di responsabilità nella gestione del governo clinico e nella strategia di organizzazione territoriale proattiva contenuta nell’ACN prima o poi (al primo, speriamo mai, caso di malasanità) le regioni stesse verranno accusate di non aver voluto o saputo organizzarsi uniformemente e per tempo nonostante che lo stato avesse fornito gli strumenti ad hoc (es.: legge Balduzzi ) e di conseguenza, le regioni, perderanno consensi politici e il ruolo centrale attualmente ricoperto in sanità ( la sanità rappresenta 70-80 % di un bilancio regionale).

La perdita di consenso e di potere favorirà inoltre la realizzazione di una privatizzazione e di una esternalizzazione del SSN che potrebbe non dispiacere a qualcuno ma che comporterebbe verosimilmente ulteriori perdite di consenso e di ruolo politico.

Secondo gli approfondimenti e le analisi svolti all’interno del nostro sindacato ( SMI) lo strumento finanziario per sostenere economicamente una riforma della medicina generale territoriale esiste e dovrebbe essere gestito come un “fondo di rotazione” ( che richiede comunque una definizione normativa in ACN ad esclusivo usum fabricae) esattamente come è già stato attuato per la riqualificazione degli ospedali dove sono stati reperiti i fondi per qualificare, ristrutturare, innovare, ridurre sprechi e produrre risparmi. Se tutto ciò è stato fatto per gli ospedali non si comprende come mai non si possa fare la stessa cosa per la “struttura territorio” che deve già da ieri ( garantendo qualità diffusa e risparmi estremamente importanti) affrontare l’epidemia della cronicità, della fragilità, della domiciliarità, del disorientamento emotivo degli assistiti, della somatizzazione del disagio, dell’enorme difficoltà di costruire prevenzione e corretti stili di vita con assistiti scoraggiati e quindi disinteressati, dei ricoveri sempre più brevi e delle dimissioni ogni volta più precoci.

Bruno Agnetti    
Centro Studi Programmazione Sanitaria ( CSPS)
Sindacato dei Medici Italiani (SMI)
Regione Emilia-Romagna

10 agosto 2015
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