Livia avrà un diritto pieno?

24 APR - Gentile Direttore,
abbiamo letto con molto interesse l’ultima fatica del Prof. Ivan Cavicchi (Articolo 32, un diritto dimezzato, Castevecchi, 2025) indossando gli occhiali dei comuni cittadini, degli assistiti e dei volontari della unica associazione nazionale (Runts) che ha come compito statutario il supporto e il sostegno alla Medicina Generale territoriale considerata un bene comune per la comunità. Osservare gli avvenimenti dalla periferia del regno ci permette di cogliere elementi o particolari che potrebbero sfuggire ai più. Qui si percepisce nettamente la coesistenza di “vero e falso, giusto ed ingiusto, vantaggioso e svantaggioso, diritto e non diritto”.

A Livia (la nipotina di Ivan Cavicchi, da lui citata) potremmo dire che, ora, l’area non è agibile e anche nei prossimi anni, molto probabilmente, non potrà beneficiare di un diritto pieno “di salute”. Tuttavia, crediamo che proprio la quarta generazione, quella di Livia, forte di una competenza nella scienza dei numeri, nella complessità dei sistemi, nell’interdisciplinarietà dei saperi sarà in grado di recuperare validità oggettive computazionali sovraordinate alle attuali oligarchie sanitarie composta da soffocanti apparati, aziende, assessorati, distretti, economisti, accordi professionali e ipotesi organizzative che palesano un oscurantismo culturale indescrivibile. Da questo punto di vista è evidente che l’assunto cardine non sia il ri-finanziamento del SSN. Pur questione non secondaria, ciò che merita la massima considerazione è il debito intellettuale dell’intero sistema. Altro che ECM obbligatorio!

Oggi si pongono i seguenti quesiti in relazione all’articolo 32 della Costituzione: cosa si intende per diritto alla salute? È un diritto dell’individuo come sostiene l’art.32 o è una petizione di principio di interesse collettivo? È assenza di malattia ed erogazione di servizi? È una visione deterministica e lineare oppure fa parte di un sistema complesso?

Secondo il parere del Prof. Enrico Larghero (pag. 67) il “diritto alla salute” non esiste come prerogativa assoluta individuale/universale. Per la verità si tratta di un obiettivo che va costruito, progettato, inventato. Essendo quindi una “condizione” ha caratteristiche prettamente politiche, collettive. Inoltre, essendo “compatibile” (cioè può stare insieme) con l’economia, quando ci si dovesse trovare in una eventuale negoziazione la parte più debole (la salute) è costretta ad adattarsi sempre a quella più forte (l’economia).

Il concetto di “compossibilità”, al contrario, rimuove le contraddizioni, le autoreferenzialità o le prove muscolari e crea relazioni tra valori o beni (es.: salute, economia, ambiente, società…) senza che nessuno di questi venga sminuito nei confronti di altri.

Una lettura moderna ed innovativa della parola “salus” di norma tradotta come “salute” viene resa secondo il prof. I. Cavicchi (e la Treccani) come “vita o vivere”. Di conseguenza si dovrebbe predicare il diritto al “vivere” al posto del diritto alla “salute”.

Il termine “salute” è relativamente semplice, debole ed è legato prevalentemente al mondo della medicina, alla sanità e alla prevenzione. Il concetto di “vita” invece può essere inteso in modo più ampio, come un “meta diritto”, una ragione di secondo livello in grado di includere tanti altri principi come la nozione di salvezza, di integrità, di sicurezza, di bene-essere, di prosperità, di coesistenza sociale e ambientale…
Se l’art. 32 della Costituzione tutelasse il vivere (meta diritto) sarebbe necessario, per dettato costituzionale, “prendersi cura” del vivere tramite progetti che interrelazionino i parametri sociali, economici ed ambientali. Non si tratta più solo di essere curati (il diritto alla salute è spesso vissuto come slogan retorico) ma di trovare effettivamente un equilibrio normativo atto a tutelare i valori del vivere bene annullando qualsiasi predominio autoreferenziale. Il “diritto al vivere” ha una evidente valore morale proprio perché il vivere non può mai essere subordinato o negoziabile con altri beni come invece avviene regolarmente per “la salute”.

Tuttavia l’elaborazione culturale epistemica è circondata da riformatori incapaci di riformare e da bagnini che non sanno nuotare. Gli interessi singolari o i vantaggi di apparato prevalgono. È noto che il debito pubblico italiano è schizzato a livelli stellari dopo la promulgazione del decreto-legge del Titolo V (Istituzione delle Regioni) da cui non è derivato un vantaggio corrispondente a livello sanitario (circa l’80% del bilancio regionale è legato al sistema sanitario).

Inoltre non sarà superfluo rammentare che tutte le più importanti modifiche sanitarie nel nostro paese (controriforme) sono avvenute senza ricorrere al parere popolare.
Sono state quindi frantumate, negli anni, credibilità e fiducia.

Si dice che “la democrazia è la peggior forma di governo… eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora”… ed è pessima soprattutto quando i processi decisionali, anche locali, sono subiti (parafrasando una nota affermazione di Winston Churchill).

Nessuno è esente da colpe nei confronti delle catastrofi che si sono succedute proprio perché nei sistemi complessi (come è quello sanitario) sono sufficienti variazioni iniziali minime per provocare squilibri irrimediabili (es. accordi, intese, delibere neoliberiste aziendali o regionali, circolari o richiami distrettuali ecc.). Bisognerebbe saperlo.

La quarta generazione, quella di Livia, può costruire le condizioni giuste per avere ciò che serve. Può fare ipotesi, immaginare il futuro e programmare un certo “uso del tempo in tempo senza perdere tempo… “. Può, volendo, già oggi simulare e predire mondi sostenibili per il vivere e compossibili (youtube: La favola della Casa della Salute Grande e dell'ospedale della Comunità del Quartiere San Leonardo). Il coordinamento di ogni procedura logica operativa che emerga dai gruppi di studio ristretti interdisciplinari o dai comitati di salute pubblica o dai collegi di quartiere sarà esclusivamente centrale. I gruppi di lavoro saranno autonomi e indipendenti da oligarchie sanitarie autoreferenziali regionali o aziendali e l’afferenza sarà solo governativa.

Per prendersi cura del diritto al vivere servono gli algoritmi ed esperti computazionali non i distretti.
“Guarda come mi apro” direbbe un noto psicoterapeuta: la sostenibilità del diritto al vivere non è più un problema medico ma essenzialmente computazionale/politico.

Per curare invece sono essenziali i ragionamenti, agli approcci, le metodologie, le competenze, le cooperazioni, lo scambio di esperienze e delle conoscenze: tutto questo non può essere calcolato da nessun algoritmo e la professione impareggiabile finalmente può ritornare in mano ai professionisti del prendersi cura.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV
24 aprile 2025
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Medicina Territoriale

La complessità e la necessità

07 APR - Gentile Direttore,
è evidente che il tema del riordino delle Cure Primarie continui a palesare numerose difficoltà di sostanza e pesanti antinomie da pensiero unico così come è innegabile che il sistema sanitario abbia una sua coerenza (rovinosa). Qualche lettore ricorderà il periodo covid: si sosteneva allora (sembra sia passato un secolo!) che l’assistenza di base non sarebbe mai più stata la stessa. Poi è andata peggio.

Ora, dopo la pandemia, ci sono le sofferenze geopolitiche. I cambiamenti, anche in questo caso, saranno inevitabili ma ancora insondabili.

Immodificabile, inossidabile resta invece la regolamentazione sanitaria nazionale. Iniziando da una mala interpretazione delle intenzioni (prossimità) del Next Generation EU, il PNRR, il Metaprogetto, il DM77 e altri documenti di varia provenienza si sono irrigiditi entro modelli teorici tanto “sacri” quanto, alla fine, impraticabili nella prassi quotidiana (generatrici di ulteriori discriminazioni assistenziali e professionali). Anche l’ACN e gli accordi regionali manifestano incertezza e assenza di idee innovative. La Conferenza Stato-Regioni, le agenzie e la Commissione Sanità (un tempo potentissima) sembrano impacciate e attorcigliate in una insolita polemica con il Ministero della Sanità: un tempo il ministero sarebbe stato coinvolto solo al termine dell’intero processo decisionale (gestito interamente dalla Conferenza) per le firme di rito.

La recente ipotesi di unificare le Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT) dette anche Nuclei di Cure Primarie (NCP) calza perfettamente con la cultura neoliberalista o globalista che trova nelle AUSL una propria nicchia imperturbabile vetero-dogmatica.

Come già ricordato più volte, nessuna riflessione o commento riuscirà ad incidere minimamente su processi decisionali ostinatamente gestiti burocraticamente. Può essere in ogni modo curioso ricercare quante volte le normative nazionali riportano, nel proprio significato specifico, il concetto dei sistemi complessi, la teoria della complessità (I. Cavicchi, La complessità in medicina è un fatto, QS, 14 maggio 2014) oppure i valori (wonca) che dovrebbero guidare i professionisti territoriali.

In questo periodo inoltre numerose narrazioni hanno popolato e forse complicato i confronti di opinione (dipendenza/non dipendenza dei mmg, tutele professionali, forse negoziabili con una idea di prossimità innovativa basata sulle AFT, specializzazione universitaria/corso regionale gravata di sospetti consociativistici, attività professionale dei mmg da svolgere un po’ qua e un po’ là…).

E’ tuttavia rilevante come oggi sia completamente assente una teoria di riferimento o una filosofia o un paradigma che sappia dare un senso ed un valore ad una situazione professionale ed assistenziale di base.

La teoria della complessità dovrebbe essere lo stile, l’approccio alla realtà adeguato per indicare un concreto/compossibile percorso ed un metodo operativo diverso da quello del pensiero unico e dalle sue strategie fallimentari.

In particolare le piccole comunità, considerate come sistemi complessi, potrebbero dare origine a visoni antropologiche ed etiche in grado di integrarsi con gli elementi del sempre valido paradigma bio-psico-sociale. La sperimentazione, da parte degli assistiti e dei professionisti, di sistemi valoriali verso la salute, il benessere ma anche la terza e quarta età e “l’orizzonte degli eventi” potrebbe essere in grado di dare un senso di serena consapevolezza alla quotidianità delle persone.

Per la medicina è fondamentale riorganizzare i saperi, che oggi sono incarcerati nelle singole discipline, affinché si possa, con disegni più umanistici e meno fideistici, contrastare una idea di salute virtuale, eterna, indefinita e “assicurata” senza più umanità (postumanesimo). Da questo punto di vista il mmg potrebbe svolgere un importantissimo ruolo di riferimento professionale e culturale per i suoi assistiti.

Alcuni esempi di complessità riportati in letteratura (stormi di uccelli, branco di pesci, formicai, sciami, eserciti, squadre di calcio, Ausl, istituzioni, orchestre…) possono essere riproposti anche per descrivere le piccole comunità. I più svariati contributi individuali si intrecciano con quelli collettivi tanto da innovare e trasformare in modo creativo (e compossibile) gli stessi sistemi in cui sono immersi (es.: AFT). Pur non esistendo condizioni ideali per sempre e isolate dal contesto è necessario oggi, almeno culturalmente, porre fondamenta etiche ben individuabili per ogni strategia organizzativa dove ogni singolo assistito e professionista venga considerato “fonte di conoscenza” : si potranno così affrontare provvedimenti più ampi, collettivi e condivisi (alcune scelte meno scontate potrebbero garantire risultati e successi infinitamente superiori all’economicismo farmaco-diagnostico aziendale predicato da anni e figlio di una cultura riduzionistica).

Nel periodo covid, alcune piccole realtà insieme ai propri professionisti, il giorno stesso dalla dichiarazione del lockdown, sono state in grado di sfruttare l’inatteso, l’incertezza, le indicazioni contraddittorie, il disorientamento delle istituzioni sanitarie mettendo in atto, in autonomia, nel giro di poco tempo, terapie e comportamenti assistenziali che alla fine si sono dimostrati molto efficaci, senza mai chiudere i servizi.

La comunità intesa come pazienti e professionisti (di una AFT) quando può crescere in autonomia, al fine di considerare i vari aspetti emergenti dalle relazioni complesse del proprio sistema collettivo, può diventare una potenza, un riferimento, un nodo, uno stimolo ed una creatività per tutta la rete assistenziale.

Bruno Agnetti
Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma

07 aprile 2025
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